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Autore: F_Brekker    23/03/2021    4 recensioni
Dopo aver terminato Il regno corrotto, avevo assolutamente bisogno di far continuare la storia fra Kaz e Inej. La narrazione è ambientata a partire da un periodo ipotetico in cui Inej torna dalla sua prima avventura in mare, a caccia di schiavisti. Lei e Kaz si ritrovano a fare i conti con il desiderio e le difficoltà che hanno sempre caratterizzato il loro rapporto.
Ho cercato di mantenere il più possibile i personaggi fedeli a quelli descritti dalla Bardugo, spero che non troverete grandi dissonanze fra quelli che conoscete e quelli di cui sto scrivendo.
Buona lettura :)
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inej Ghafa, Kaz Brekker
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Erano trascorsi due giorni da quando Kaz aveva visto Inej nella casa di Van Eck, e da quella sera non si erano più rivisti. Aveva dovuto occuparsi di alcuni affari, che gli avevano procurato non pochi grattacapi. In particolare, una partita di jurda era stata intercettata da una banda rivale, che aveva fatto fuori tre dei suoi, e nella sua ignoranza continuava a sbandierare per le strade del Barile di averla fatta a Kaz Brekker. Erano Centesimi di Leone, giovani reclute che si trastullavano nella loro arroganza, e che evidentemente non avevano ancora provato sulla propria pelle le bastonate del re dei ratti. Non li avrebbe fatti attendere a lungo. Era il primo affronto che subiva da quando aveva  fatto sparire dalla circolazione Pekka Rollins, e probabilmente era successo perché negli ultimi tempi era stato più impegnato a comprare azioni, che a fracassare crani nelle vie degli Scarti. Aveva deciso di occuparsi personalmente del regolamento di conti, per non far perdere alla gente il gusto di alimentare le leggende su di lui. Avrebbe dato al Barile altro su cui cianciare, e sperabilmente dei buoni motivi per non mettere più in discussione la sua posizione. 

Non era tanto stupido da buttarsi nella mischia dei Centesimi di Leone da solo, ma loro avrebbero dovuto crederlo. Lo seguivano il suo nuovo ragno, che non valeva un mignolo di Inej (ma dopotutto lei era sprecata per il Club dei Corvi), Anika e Keeg. Erano in pochi, ma sarebbero bastati, e fracassare una banda in quattro sarebbe stato di monito per chi avesse osato di nuovo sfidarlo. Per rendere tutto più eccitante, nel pomeriggio Kaz aveva fatto ripulire tutti i turisti che bazzicavano nella zona dei Centesimi di Leone. 

Col suo solito passo cadenzato, avanzava per le vie del Barile fra i mormorii di chi lo riconosceva, e non c’era una sola persona che si azzardasse ad intralciare il suo cammino, anzi, la maggior parte indietreggiava cautamente. Respirò a pieni polmoni quel rispetto che si era guadagnato giorno dopo giorno, tra un fendente e l’altro. Si era meritato tutto questo, e certamente non avrebbe lasciato dei mocciosi dubitare del fatto che quella fosse la posizione che gli spettava. 

Fece un cenno ad Anika e Keeg, che annuirono e si defilarono. In lontananza, un gruppo di avanzi di galera armati fino ai denti gridava e beveva: i Centesimi di Leone. La banda era molto diversa rispetto a quella che Kaz ricordava. C’era ancora qualche veterano, ma perlopiù erano giovani reclute. L’assenza di Pekka Rollins doveva aver cambiato di parecchio le carte in tavola e gli equilibri interni, così come del resto era successo al Club dei Corvi. La maggior parte sembrava avere circa la stessa età di Kaz, anche se in qualche modo lui si sentiva molto più vecchio di loro. Il biondino che aveva l’aria di essere il loro leader, e di cui non si era preso la briga di conoscere il nome, si irrigidì alla sua vista, ma sicuramente non ne rimase sorpreso. Si sforzò di stamparsi in faccia un sorrisino di scherno, e si fece avanti fra i suoi compari. La cicatrice che gli attraversava l’occhio destro gli conferiva un’aria temibile, questo Kaz doveva ammetterlo. Era pettinato nello stesso modo in cui era solito fare lui, probabilmente nel tentativo di scimmiottarlo. 

— Manisporche — iniziò il ragazzo — quale onore —. Fece un inchino barcollante, probabilmente per via del whiskey. Era proprio stupido e arrogante come aveva immaginato.

— Non avevo dubbi sul fatto che ti saresti chinato rapidamente — ribatté Kaz, mettendosi di fronte a lui per guardarlo negli occhi. Stava con le gambe divaricate, il bastone di fronte ad esse, ed entrambe le mani posate sul corvo. 

In tutta risposta il biondino gli lanciò uno sputo, che Kaz schivò prontamente.

— Vedo che non conosci le regole del gioco — gli disse.

— Solo tu stai giocando, Manisporche — ringhiò. I Centesimi di Leone gli stavano dietro, come una muta di cani randagi pronti ad attaccare.

— Vedi che non le conosci, le regole del gioco? Tu hai fatto fuori tre dei miei, è proprio così che si inizia a giocare — gli spiegò, stringendo le mani sul corvo, e poi aggiunse — Ora io devo fare fuori il triplo dei tuoi. Ma forse ti interessa negoziare —. 

Il ragazzo caricò un potente manrovescio, che Kaz evitò senza problemi. 

— Lo prendo come un no — gli disse, e a quel punto schiantò il suo bastone prima sul lato destro e poi sul sinistro del volto del suo avversario, sfregiandone il viso con il pomello. Barcollò, ma non cadde, e ancora stordito dal colpo si gettò verso di lui con un coltellaccio che aveva estratto dalla cintura. Kaz sentì la punta fredda del pugnale ferirgli il fianco, ma il suo avversario a quel punto era abbastanza vicino, e poté assestargli una testata, che lo mandò definitivamente a terra. Infierì, e gli fiondò il corvo sul cranio con un colpo secco. Perse i sensi, o più probabilmente, morì.   

Si tastò il fianco, la ferita non era profonda ma stava comunque perdendo sangue, e dal sapore che aveva in bocca, anche il suo viso non doveva essere nella sua forma migliore. Non era certamente la prima volta che si trovava in una situazione del genere, e aveva imparato che se si riuscivano a fare fuori i primi cinque o sei, in qualche modo si disincentivavano gli altri a tentare il brivido del suo bastone sul cranio. Ora che aveva atterrato il loro capo, però, i suoi compari iniziavano a circondarlo, schiumando di rabbia. Il suo unico obiettivo era uscirne vivo, al resto ci avrebbero pensato il ragno, Anika e Keeg, che al momento si trovavano sul tetto. Sferrò colpi in ogni direzione, con tutta la sua forza, e vide parecchie teste sanguinanti abbassarsi per i suoi fendenti. Ma erano decisamente in troppi. Sentì una lama sfiorargli la nuca, e si voltò di scatto, schivando il colpo all’ultimo. Gettò il corvo nella guancia del suo aggressore, ma ormai gli arrivavano pugni da tutte le parti. Uno gli arrivò in faccia, e lo gettò a terra. Dove diavolo era quel rincoglionito del ragno? 

Finalmente sentì dei pugnali fendere l’aria e conficcarsi nelle teste dei suoi avversari, che guardavano verso l’alto per capire da dove provenissero. Sentì degli spari, i Centesimi di Leone stavano provando a centrare il ragno sui tetti, ma lui si teneva ben nascosto. 

Il motivo per cui non sparavano a Kaz una pallottola nel petto, era che nel Barile i soggetti come lui non si mandavano all’altro mondo a colpi di pistola, e questo certamente non in segno di rispetto, ma perché era considerata una morte troppo rapida e indolore. Kaz sapeva che se fosse morto per mano di un clan avversario, l’avrebbero torturato per sentirlo implorare, e sicuramente gli sarebbero tornati indietro tutto il dolore e la distruzione che aveva seminato nella sua vita. Tuttavia non escludeva che qualcuno un giorno avrebbe potuto infrangere quella regola per farlo secco con un proiettile. 

Un suono metallico attirò la sua attenzione, il ragno aveva mancato un colpo e il pugnale era caduto sulla strada. Lo afferrò in fretta e lo conficcò con violenza in tutti i polpacci e in tutte le braccia che riusciva a vedere. Erano diminuiti rispetto all’inizio, e forse sarebbe riuscito a strisciare abbastanza lontano da lasciare il campo ad Anika e Keeg. Si trascinò ansimando, muovendosi sugli avambracci, ma le mani avversarie lo trattenevano e continuavano a pestarlo. Arrivò Anika in suo aiuto, non era così che doveva andare, ma doveva ammettere di essere ormai completamente privo di forze. Si servì di una catena per colpire i Centesimi di Leone rimasti in piedi, scagliandogliela addosso senza pietà. Kaz intanto strisciò verso il ciglio della strada. A quel punto notò che Anika era riuscita ad allontanarsi a sufficienza, e dopo aver fatto un cenno verso l’alto, lo spazio fra loro si riempì di una pioggia di cocci di vetro, che evidentemente Keeg era riuscito a lanciare senza il suo aiuto. Erano bottiglie rotte che avevano raccolto nelle strade del Barile. Kaz a tratti aveva pensato che la sua idea si sarebbe tradotta in un flop, ma ora, vedendo i cocci infilzati nella pelle dei Centesimi di Leone, grondanti di sangue e già accasciati a terra per i colpi, doveva ammettere di essere stato brillante. Era il colpo di grazia, difficilmente i clan avversari l’avrebbero sfidato nuovamente, e osservando le sue ferite, pensò che anche lui non avrebbe sfidato nessuno per un po’ tempo. 

— Sei messo male, capo — gli disse Anika. — Stavolta potevamo portarci qualcuno in più —.

— Beh, siamo ancora tutti vivi — le rispose Kaz, con la voce più rauca di quanto già non fosse normalmente.

— Se fossi in te, non avviserei lo Spettro di quest’ammucchiata a cui non è stata invitata — gli disse Keeg. Kaz lo ignorò, si sarebbe preoccupato in un altro momento di quanto reputare opportune le osservazioni su lui e Inej. 

Il ragno intanto era sceso dal tetto e recuperava i suoi pugnali, fra i rantoli dei Centesimi di Leone. Ora che aveva somministrato al clan rivale la lezione che gli spettava, mancava la seconda metà del piano: tornare a casa sulle proprie gambe. Lasciò gli altri tornare al Club dei Corvi senza aspettarlo, ad eccezione di Anika loro non avevano neanche un graffio. Non aveva certamente bisogno della scorta, più che altro perché conosceva una miriade di stradine secondarie in cui sarebbe potuto passare inosservato. Si avviò, e ogni passo era un inferno. Sarebbe sorto il sole prima che riuscisse ad arrivare nella sua stanza, senza considerare eventuali pause. Inej gli avrebbe consigliato di investire quel tragitto in riflessioni e preghiere. Sorrise. Inej. La immaginò dormire sonni tranquilli nel sontuoso letto di casa Van Eck.

Dopo un  tempo che gli parve interminabile, Kaz arrivò finalmente al Club dei Corvi. Sentì grida di festeggiamenti e un gran tintinnare di bicchieri, probabilmente Anika e Keeg aveva raccontato l’accaduto. Fu accolto da un’ondata di entusiasmo, li sentì brindare a “Manisporche”, e poi lanciare piogge di insulti contro i Centesimi di Leone. Nessuno sembrò particolarmente colpito dal suo aspetto truculento, ma del resto l’avevano visto conciato così in più di un’occasione. Nessuno di loro si aspettava che si sarebbe fermato con loro a festeggiare, così fece un rapido cenno di saluto e si avviò verso le rampe di scale che conducevano alla sua camera. All’ultimo piano. Arrivarci fu un vero e proprio calvario.

Dalla finestra filtravano le prime luci dell’alba, e sul davanzale si trovava Inej che, come era solita fare, dava da mangiare ai corvi. Fu un tuffo al cuore. Per un attimo gli sembrò di non essere mai partito per la Corte di Ghiaccio, e di essere sempre stato lì, con lo Spettro al suo fianco a progettare colpi e scambiarsi informazioni. Nel giro di alcuni mesi la loro vita era drasticamente cambiata. 

— Cos’è successo? — gli chiese, allarmata. Sarebbe stato assolutamente inutile mentire.

— Regolamento di conti — le rispose, sdraiandosi con cautela sul letto. L’avrebbe chiazzato di sangue, ma non riusciva più a stare in piedi.

Rapida e silenziosa come sempre, Inej gli si avvicinò. — Posso? — gli chiese, alzando le mani verso l’alto. Lui annuì, era a pezzi. Avrebbe potuto fare quello che voleva, e lui non avrebbe avuto neanche un briciolo di forza per impedirglielo. 

— Dobbiamo trovare un Corporalki, Kaz — gli disse, mentre con un pugnale gli strappava via la camicia, già lacerata in diversi punti. 

— Non so dove cercarlo, un Corporalki —. 

— Io sì —. Fece spallucce. 

Andò in bagno e riempì una tinozza di acqua fredda. 

— Cosa ci fai qui? — domandò Kaz. 

— Volevo vederti. Sono entrata e ho visto che non c’eri, ho immaginato che fossi in mezzo a qualche guaio, così sono rimasta —. Volevo vederti

Si schiarì la voce. — Hai fatto bene —. 

— Lo so. Ora mettiti seduto —. Lui ubbidì, ma era completamente privo di forze. Gettò la testa sulla spalla di Inej, fregandosene del sangue e di tutto lo schifo che aveva in faccia. Lei trasalì, ma non lo spostò di un millimetro. Gli mise una mano fra i capelli. — Kaz Brekker, tu sei pazzo —.

Ma lui non rispose, si trovava in un particolare stato di coscienza in cui tutto era buio e si sentiva solo il profumo della pelle di Inej. La sentì strizzare la spugna, e con tocchi leggerissimi tamponargliela sulle ferite che aveva nel petto. L’acqua era gelida, e gli fece venire la pelle d’oca. Venne anche a lei, e sentì il suo respiro accelerare. Quand’era frastornato, quando il contatto con la realtà si faceva labile, come era successo qualche notte prima, diventava più facile per lui stare a contatto con la pelle di Inej. Il ricordo di Jordie si faceva lontano, piccolo, rispetto a tutte le sensazioni che gli esplodevano in corpo. Lei intanto continuava, bagnava la spugna nella tinozza, la strizzava, e poi la passava sulle sue ferite. Ora si era spostata sulla nuca, dove un Centesimo di Leone aveva tentato di affondargli una lama, e poi cercò dei tagli sulle braccia, ma quelle erano state risparmiate. Kaz si scoprì a mordicchiare la sua pelle. Inej gli mise la sua mano minuta sotto al mento, costringendolo ad alzare il capo. Ora si guardavano negli occhi, ma solo perché lo sosteneva lei, altrimenti lui sarebbe crollato. Lo esaminava con attenzione, le sue gote erano un po’ accaldate. Gli passò la spugna su tutto il viso, come una carezza. Voleva baciarla. Moltissimo. Ma aveva ancora la sua mano a sostenergli il mento, e il viso sembrava non voler rispondere ai comandi. Voleva avvicinarsi, ma era il movimento più difficile che avesse mai tentato. Inej gli sorrise, e fu lei ad accostare le labbra alle sue. Si diedero un bacio leggero, e poi un altro, meno leggero, e sentì le loro lingue incontrarsi per dirsi tutto quello che erano incapaci di comunicare a parole. Provò a tirarla verso di sé, ma il dolore si irradiò ovunque. Al diavolo. Lei scosse la testa, sorridendo, e si alzò per svuotare la tinozza. Kaz intanto si gettò sul letto, la stanchezza lo stava ammazzando. La sentì tagliare della stoffa con un pugnale, e le sue dita rapide cominciarono ad avvolgere le fasciature intorno alle ferite. Voleva liberarsi dei pantaloni, armeggiò con la cintura e poi tentò di sfilarseli. La mano di Inej gli attraversò la gamba, mentre lo aiutava, il suo tocco lo fece sobbalzare.

— Tu vuoi uccidermi — boccheggiò. 

— Mi sembra che tu ci stia riuscendo benissimo da solo — gli rispose lei, mentre annodava l’ultima fasciatura. — Ho fatto — aggiunse — vado a cercare la Corporalki —.

— Resta con me — le disse in un sussurro. Lei era già vicina alla finestra. 

— Finché non ti addormenti, pazzo di un Brekker —.

— Accordato —. 

Si infilò sotto alle lenzuola, gli mise un braccio sotto al capo e lasciò che il viso di Kaz trovasse posto sotto al suo. S’intrecciarono, e non passarono cinque minuti che lo sentì abbandonarsi al sonno. Accarezzò il suo corpo a lungo, poiché non sapeva se al suo risveglio avrebbe potuto farlo di nuovo.

   
 
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