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Autore: F_Brekker    18/03/2021    2 recensioni
Dopo aver terminato Il regno corrotto, avevo assolutamente bisogno di far continuare la storia fra Kaz e Inej. La narrazione è ambientata a partire da un periodo ipotetico in cui Inej torna dalla sua prima avventura in mare, a caccia di schiavisti. Lei e Kaz si ritrovano a fare i conti con il desiderio e le difficoltà che hanno sempre caratterizzato il loro rapporto.
Ho cercato di mantenere il più possibile i personaggi fedeli a quelli descritti dalla Bardugo, spero che non troverete grandi dissonanze fra quelli che conoscete e quelli di cui sto scrivendo.
Buona lettura :)
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inej Ghafa, Kaz Brekker
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Dopo la tempesta 
 
Il buio aveva guidato i loro corpi, era stato tutto così facile. Non esisteva un attimo della notte precedente che Kaz non ricordasse, e ora, che il sole era già sorto e inondava di luce la stanza, avrebbe desiderato che calasse di nuovo, per ricominciare daccapo. 
Tuttavia, fra quello che voleva e quello che poteva fare, esisteva un varco grande quanto il Mare Vero, e per questo Kaz era profondamente infelice. 
Aveva almeno due ragioni per cui rimproverarsi. La prima, la più grave, era quella di aver creduto davvero che baciando Inej avrebbe spezzato la maledizione di Jordie. Aveva delirato al punto di pensare che dopo quella notte avrebbe fatto a pezzi i suoi guanti. Era stato uno stupido, e si chiedeva quante volte ancora avrebbe ingannato sé stesso prima di smettere di credere alle favole. Hertzoon, Van Eck... Sì, gli piaceva credere alle favole, e non era qualcosa che poteva perdonarsi. La seconda ragione per cui Kaz si rimproverava quella mattina, era di non essere stato in grado di gestire il panico, vedendo il suo corpo nudo accanto a quello di Inej. Si era svegliato presto, alle prime luci dell’alba. Il sole faceva capolino dopo il temporale, e i raggi rossi che filtravano dalla finestra disegnavano forme geometriche sulla schiena calda di Inej. Era bellissima. Ma aveva il viso così abbandonato nel sonno, così profondamente rilassato, e il suo corpo era nudo, e le loro pelli erano così schiacciate, che non poté fare a meno di avere un conato di vomito. Si portò una mano alla bocca, per soffocarlo. Si alzò bruscamente e corse verso il bagno, buttò la testa nella tazza e rigettò l’anima. Avrebbe voluto dare fuoco al mondo. 
Invece si sciacquò il viso, si lavò, e prima di indossare qualsiasi altro indumento si infilò i guanti. La sensazione famigliare della pelle sulle sue mani, gli indusse involontariamente un sospiro di sollievo. Avrebbe insultato tutti i Santi allacciandosi i bottoni della camicia, ma poco importava, avrebbero dovuto staccargli le mani dai polsi perché si togliesse di nuovo i guanti.
Rapidamente, si vestì, indossando tutti gli strati che gli fu possibile mettersi addosso senza morire di caldo. E poi, molto lentamente, per non svegliarla, si sdraiò al fianco di Inej. In realtà lei era già sveglia, lo sapeva. Si era svegliata nel momento in cui lui si era fiondato in bagno. Eppure, per qualche motivo, teneva gli occhi chiusi e fingeva di dormire. L’unico indizio era il lenzuolo che aveva tirato su di sé in modo che la coprisse fino alle spalle. Lui non la meritava, ma ormai non gli importava neanche più, dato che non sarebbe riuscito a stare senza di lei. In ogni caso, avrebbe continuato a fare tutto quello che era in suo potere per renderla felice. La sua regina. Aveva dei cerchi scuri sotto gli occhi, e dall’ultima volta che si erano visti aveva perso peso, lo aveva notato immediatamente. Avrebbe voluto infilare le dita fra i suoi capelli, ma Inej era stata molto chiara con lui: l’avrebbe avuto completamente, oppure per niente. Non avrebbe gradito il tocco ruvido dei suoi guanti. Sospirò, e si scoprì preoccupato della reazione che avrebbe avuto Inej aprendo gli occhi. Sarebbe stata delusa? 
In risposta ai suoi pensieri, Inej li aprì. Dovette fare violenza su sé stesso per non evitare il suo sguardo. Gli fece venire una fitta alla gamba, e si portò una mano su di essa. Lei invece era l’immagine della calma. Gli sorrise, e si accucciò ancora di più fra le coperte, facendo scomparire il suo corpo e lasciando fuori solo il viso. Era arrossita. A Kaz si sciolsero tutti i muscoli. Tentò un sorriso, ma non era certo di come gli fosse uscito, perché Inej in risposta soffocò una risatina. 
— Dove vai? — gli chiese.
Da nessuna parte
— Ho degli affari da sbrigare, fra un po’ —. Lei annuì, e si tirò su dal letto, premendosi addosso le lenzuola. Lo sguardo gli cadde nell’incavo del collo, quel punto così pericoloso del corpo di Inej. 
— Mi passi i vestiti? —. Erano stesi su una sedia vicino a Kaz, ormai asciutti. Lui li prese e glieli porse. Questa volta non le diede le spalle mentre si vestiva, ma cercò nel suo sguardo un cenno di approvazione. Inej fece una smorfia. — Non siamo ad armi pari —. 
Aveva ragione. Ma se quella mattina la sua pelle avesse toccato qualcosa, sarebbe impazzito. Deglutì, non sapeva come rispondere, ma non voleva nemmeno voltarsi. Lei scosse leggermente la testa, ma aveva già finito di vestirsi. Kaz, seduto sulla sedia su cui poco prima si trovavano gli indumenti della sua ragazza, le allungò una mano guantata. Inej esitò, ma poi la prese e si avvicinò a lui. Con grande sorpresa di lei, Kaz appoggiò rapidamente la testa sulla sua pancia, ma non chiuse gli occhi né diede alcun segno di rilassatezza. Ora era Inej a non sapere cosa fare. Poteva toccarlo?
— Ho del lavoro per te — le disse. 
— Fammi vedere —. La sua voce si era un po’ incrinata. 
Entrò in modalità Manisporche, e alzandosi bruscamente le illustrò alcuni edifici della città in cui si sarebbe dovuta infilare per capire se fosse tutto sotto controllo. Sotto controllo di Kaz. Lei lo ascoltava attenta, con una leggera malinconia negli occhi che lui sapeva leggere, ma non come alleviare. L’avventura a cui Inej lo invitava gli faceva gelare le budella. Gli era servito meno tempo per decidere di penetrare Fjerda con un gruppo di disgraziati. 
— Verrò da te stasera, Inej, e faremo rapporto su quanto hai scoperto —. 
— Ti aspetterò —. Non era il volto dell’entusiasmo, ma non poteva biasimarla. Non era nemmeno stato in grado di chiederle come avesse passato gli ultimi due mesi. Mentre lei stava già per uscire dalla finestra, Kaz la fermò. 
— Inej —.
— Sì? —. Le luccicarono gli occhi.
— La cravatta? E’ dritta? —. Lo era, lo sapevano sia lei che lui, ciononostante lei gli si avvicinò con un sorriso. Sentì il bisogno di reggersi sul bastone.
— Ecco fatto — annunciò, dopo che aveva prima rovinato e poi riaggiustato il suo nodo alla cravatta. Poi volò via. 
Se Kaz avesse creduto in qualcuno o in qualcosa, l’avrebbe ringraziato per avergli messo sulla strada l’unica ragazza che capiva la sua lingua.  
 
Inej, in quei lunghi mesi di navigazione, aveva dimenticato il calore di casa Van Eck. Era stata accolta dagli ululati di Jasper e dai sorrisi timidi di Wylan, e si accorse di non desiderare di trovarsi in nessun altro luogo. Avevano trasformato le loro vite in qualcosa che nessuno dei due avrebbe mai sperato di poter avere, e sprizzavano un’energia completamente diversa da quella che li animava quando, fianco a fianco, avevano lottato per portare a termine con successo i colpi organizzati dalla mente folle e geniale di Kaz. Per darle in benvenuto, Wylan aveva suonato col flauto una melodia allegra che l’aveva fatta traboccare di gioia, e poi Jesper aveva cominciato a strillarci sopra una ballata marinaresca delle più squallide. Aveva riso così tanto da farsi venire mal di stomaco. Le erano mancati in un modo che non avrebbe saputo esprimere a parole, e ringraziò i suoi Santi Suli per avere persone così meravigliose da cui tornare, dopo le sue estenuanti traversate a caccia di schiavisti. Nel calore di quella casa, i giorni trascorsi sulla Spettro le sembravano terribilmente lontani. Non c’era spazio per la paura, per la rabbia, per il rancore, fra quelle quattro mura. 
Trascorsero la serata a raccontarsi delle loro nuove vite, inebriati dal vino e rimpinzati di cibo. Jesper si esibiva con orgoglio per mostrare i suoi progressi nell’addestramento da Fabrikator, e Inej ne fu sinceramente colpita. Fra le sue lunghe dita affusolate riusciva a dominare il ferro con maestria, facendogli assumere tutte le forme che desiderava con una rapidità e una destrezza che prima non aveva. Wylan lo osservava ammaliato e sognante, e Jesper sotto il suo sguardo gonfiava il petto come un gallo. Fece un sospiro, non riuscì ad impedire alla sua mente di tornare a quella mattina, quando aveva sentito Kaz correre in bagno a rimettere. No, non era andata esattamente come aveva sperato, ma se lui aveva deciso di lasciarsi andare, se aveva deciso di lottare come aveva fatto la notte precedente, non ci sarebbe stato nulla in grado separarla dal suo posto, accanto a Kaz. 
— L’hai visto? — le chiese Jesper. Doveva aver lasciato trasparire le sue emozioni. Sentì il suo viso scaldarsi.
— Sì — rispose con un filo di voce, distogliendo lo sguardo. Sentiva gli occhi indagatori di Jesper addosso. Wylan gli tirò una manica per invitarlo a farsi gli affari suoi, ma non era esattamente una delle specialità del suo ragazzo. 
— E’ com’é andata? — 
— Jesper! — sbottò Wylan.
— E’ andata bene — gli rispose Inej, mentre si cacciava in bocca una fetta di torta.
— Ah, sì? —. Jesper aveva un sorrisetto impertinente stampato in faccia, e inzuppava con un po’ troppa insistenza un biscotto in un bicchiere pieno di liquore dolce. Le fece l’occhiolino. Wylan alzò gli occhi al cielo e tentò di cambiare argomento chiedendo ad Inej altri racconti sulla sua avventura in mare. 
Inej apprezzò l’aiuto di Wylan, e si lanciò in una narrazione avvincente delle sue gesta, complice l’ebbrezza dovuta al vino. Era felice. In realtà, quello che avrebbe voluto urlare ai quattro venti era di aver passato la notte con Kaz Brekker, che aveva visto l’eccitazione nei suoi occhi vincere ogni resistenza. E avrebbe voluto urlare che si era sentita a un passo dal trascendere, ma che con tutte le sue forze era rimasta  avvinghiata al proprio corpo, per non perdere nulla di quello che provava. Per la prima volta, aveva desiderato con ardore ogni sensazione, ogni contatto, aveva amato il suo respiro affannato che le sfiorava la pelle, e la sua postura sbilenca per non caricare troppo peso sulla gamba dolorante. Quando avrebbe rivisto Nina, forse gliel’avrebbe confidato, ma per ora era uno dei tanti segreti che custodiva. 
Sapeva che in qualche modo quella notte si sarebbero rivisti, e osservando le occhiate cariche di impliciti che Wylan e Jesper si stavano lanciando, concluse che fosse giunto il momento in cui ognuno aveva bisogno della propria privacy. Diede la buonanotte ai suoi amici, e corse verso la sua camera, ancora un po’ stordita dall’alcol. Sperava vivamente che Kaz non avesse avuto per lei nessun piano per quella notte. 
Entrando, non fu così sorpresa di vederlo sdraiato sul suo letto, ovviamente completamente vestito. Anzi, si era tolto la giacca, che aveva appoggiato ad un gancio vicino alla porta. Così come lei era in grado di entrare nella sua camera senza farsi sentire, allo stesso modo era in grado di farlo lui. Lo sondò per comprenderne l’umore. In un primo momento gli era sembrato particolarmente pallido, ma adesso le guance gli si stavano arrossando e assumeva un’aria divertita.
— Inej, tesoro, hai bevuto? —. Era così evidente? 
— Un po’ — ammise. Lui rise.
— Cosa diranno di te i tuoi Santi Suli? Non crederanno ai loro occhi  —. Fingeva un’aria incredula. 
Inej esitò.
— Mi sono concessa a un capoclan del Barile. Ho già toccato il fondo —. Fece spallucce. 
— Il re dei ratti. La peggior specie —. Aveva un sorriso obliquo stampato in faccia, e la guardava in un modo che portò Inej a controllare di avere ancora i vestiti addosso. 
— Cos’hai lì? — indicò con un dito un sacchetto di carta di fianco a Kaz. L’espressione che aveva in viso gli scomparve all’istante e piombò in quello che ad Inej sembrava imbarazzo. Lui guardò il sacchetto come se si fosse materializzato in quel momento e non avesse idea di cosa farsene. Poi si tolse i guanti, li appoggiò sul comodino, e glielo allungò. 
— E’ per te — le disse, con un soffio di voce, mentre la guardava. — Era quello che avrei dovuto fare stamattina —.
Lei gli scivolò vicino, curiosa. Forse le dita le tremavano un po’. Il profumo che veniva dal sacchetto ne aveva già tradito il contenuto.
— Sono delle cialde! — esclamò Inej, con le sopracciglia sollevate dallo stupore. — Manisporche mi portato delle cialde — sentenziò, dando voce ai suoi pensieri, e ottenendo in risposta uno sbuffo di Kaz.
— A quanto pare — borbottò lui. 
Erano seduti uno al fianco dell’altra, vicinissimi. Inej non aveva più fame, ma dopo due mesi di gallette stantie non avrebbe mai rifiutato quel cibo divino. 
— Ne vuoi un po’? — gli chiese. Lui sembrò soppesare l’offerta, anche se non era una domanda difficile, poi annuì. Prima di addentarne una se la rigirò fra la mani, probabilmente chiedendosi se le cialde fossero un cibo troppo felice per i suoi standard. 
— Sono buone — ammise infine, con aria sconfitta. Tornò a stendersi sul letto, e lei gli si appollaiò vicino. Finché erano vestiti poteva evitare di avere preoccupazioni su cosa poteva mettere Kaz a disagio o meno.
— Vuoi sapere cosa ho scoperto oggi? — gli chiese. 
— E’ qualcosa per cui valga la pena spendere il tempo che abbiamo? —.  Le si strinse il cuore. 
— In realtà, no —.
— E allora rimanderemo questa conversazione —. Inej gli mise una mano sul petto, sentì il suo respiro mozzarsi, e premette ancora di più il suo viso sulla sua spalla. — Stasera Inej... — cominciò lui, ma le parole successive gli morirono in bocca. Lei capì all’istante.
— Abbiamo molte altre notti, da qui a quando ripartirò —. 
— Stai già organizzando la tua ripartenza? Ho ancora del lavoro per te, Spettro —.
— Non mi tratterrai qui con il lavoro, Kaz —. 
Silenzio.  
— Raccontami delle tue avventure in mare, Inej. Vediamo di quanto riesco ad allungare la lista di persone da fare fuori —. 
— Le metà le ho già fatte fuori io —.
— Non avevo dubbi —. 
E così cominciò a raccontare, ma non fu come a cena, con Wylan e Jesper. A lui poteva dire tutto. Poteva rivelargli l’angoscia, la paura, e di quanto a tratti non le sembrasse poi così eroica la sua missione. Tutte quelle lacrime, tutto quel sangue, le facevano temere di perdere la protezione dei Santi, anche se sapeva di essere dalla parte giusta, dalla parte dei deboli e degli indifesi. Era stata spettatrice di situazioni che avrebbe voluto dimenticare nel momento stesso in cui le vedeva. 
Kaz la stringeva con le sue braccia, e talvolta si irrigidiva, nei momenti più crudi dei suoi racconti. Non la interrompeva mai, lasciava che le parole le sgorgassero come un fiume in piena. Probabilmente non aveva mai parlato così tanto. 
Poi in qualche modo il sonno la rapì, facendole calare le palpebre. Non seppe dire se fosse ancora sveglia o stesse già dormendo, quando Kaz le si avvicinò all’orecchio e le sussurrò — Buonanotte, mia regina  —.
 
 
 
 
   
 
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