Ho
passato l’esame,
gloria e giubileo, perciò mi sono impegnata nello scrivere
un capitolo nuovo
(non questo, il prossimo) ma non sono riuscita a concluderlo, ho
pensato che
fosse comunque carino pubblicare quello nuovo, perché oggi
è una buona
giornata.
Il capitolo è abbastanza filler, ma credeteci o meno, ci
sono cose importanti.
Un grazie a chi segue/ricorda/preferisce e a chi legge solamente, un
bacio
invece ad Arwen Fenice per le recensioni <3
Buona Lettura,
RLandH
Non
è il verde che ti aspetti
“Be,
è qui. Ci siamo”
aveva dichiarato Ej con un certo scetticismo ed una punta di delusione,
che
Magnus sembrava condividere.
L’ingresso della Somma Stregona di Leiden, era una porta in
legno, ben curata,
sì, ma di dimensioni modeste, quelle che si aspetterebbe di
trovare in una casa
e non come portone d’accesso per la dimora di … un
palazzo.
D’altronde l’intero edificio era una perfetta
casetta, alta tre piani, stretta,
un po’ sbilenca per via del terreno, di un bianco inteso ed
adornata da un
tetto a capanna molto spiovente.
Era affiancata da due case molto più ingombrati e si
affacciava proprio davanti
ad uno dei canali principali.
A Magnus dava l’idea che fosse un edificio appiattito con la
magia, scoordinato
e fin troppo allungato, regolato ad hoc perché potesse
essere sistemato in uno
spazio dove non sarebbe stato possibile altrimenti.
Accanto alla porta in legno, ben curata, c’era un citofono,
c’erano quattro
targhette, in corrispondenza dei piani, ma tutte vuote tranne
l’ultima in cima.
Vale.
Addio.
“Quando dici che tra voi non è finita bene, quanto
è grave?” aveva chiesto
Magnus, infilando le mani nelle tasche microscopi dei pantaloni skinny
rivolto al
suo vecchio amico di merende.
“Non so, Justine ha un metro molto variabile per il rancore.
Ha scatenato un
invasione barbarica su Roma per vendicarsi del suo fratellastro una
volta, per
averle ucciso un amate, ma ad un ex-fidanzato ha solo tenuto il muso
per
qualche secolo e lui aveva cercato di uccidere lei
…” Ragnor aveva fatto una
pausa, come se avesse voluto dire altro, poi aveva ripreso a parlare,
“L’ultima
volta che avevamo litigato nel seic-”, ma era stato
interrotto sia da Magnus
sia da Ej.
“Invasione barbarica?” aveva
chiesto la giovane Cacciatrice, “Roma?”
aveva domandato Magnus.
Esistevano stregoni che avevano vissuto ai tempi di Roma, o almeno
erano
esistiti, uno degli ultimi si era spento quasi un secolo prima, ma
erano rari,
mosche bianche.
Era un tempo lunghissimo anche per quelli come loro.
Immaginava che Ej non fosse stupita dalla probabilità di una
stregona così
vecchia per via dell’abitudine a mentire di gran parte di
loro per darsi più
lustro.
Alla sola età di ottant’anni Magnus aveva convinto
Carlos II e Marie Luise
d’Orléans che era uno stregone così
vecchio da aver condiviso il desco con
Platone – quel pensiero gli diede un brivido,
perché con la mente lo portò ad altri
ricordi, tremendamente belli e tremendamente dolorosi.
“Si!” aveva risposto Ragnor
sterile, prima di pigiare il tasto del citofono.
Avevano ricevuto una risposta dall’interfono, in Olandese,
chiedeva
semplicemente chi fossero.
“Il magnifico Magnus Bane” era intervenuto lui, in
inglese, prima che Ej
potesse rispondere, “Oh! Che bello” aveva squittito
la voce femminile, prima
che sentissero il suono della porta che veniva aperta,
“Ultimo piano!” aveva
esclamato quella, in un ottimo inglese.
Magnus
nella vita aveva
vissuto un certo numero di orrori, alcuni più grandi
– immensamente – di altri,
aveva deciso, comunque, di includere nella lista le scale che portavano
al
piano di Justine Vale.
Erano strette, degne della tomba di un faraone, ripidissime, lo spazio
era
poco, ma invece di essere organizzate in una chiocciola, erano tutte
addossate
da un lato, come se qualcuno avesse scalfito perfettamente i gradini
nel muro.
Lo spazio per i piedi, era a malapena calpestabile solo per un numero
di piedi
degni di Cenerentola, quindi tra loro, solo Ej sembrava sicura.
E dulcis in fundo: i gradini erano di una spaventosa altezza, da
rendere la
salita oltremodo scomoda.
Ed erano quattro piani.
“Strano” aveva detto solamente Ragnor,
“Justine non è mai stata donna da certe
fatiche” aveva valutato, cosa che Magnus in quel momento
dissentiva.
La scalinata sembrava fatta a posta per scoraggiare la salita;
“Mi sento come
in quella scena del Castello Errante di Howl” si era
lamentata Ej, che era la
più agile di loro, in quella circostanza, Magnus attribuiva
il merito ad un
eccellente forma fisica, modellata da duri anni di allenamento
Shadowhunters e,
scommetteva, anche una combo tra una runa di Resistenza e
Agilità.
“Non ho idea di cosa stai parlando” aveva
dichiarato Ragnor.
“Oh be ci sono queste due signore di una certa età
che per incontrare la Strega
di Corte sono costrette a faticare lungo questa mortale
scalinata” aveva raccontato
la cacciatrice.
“Calzante” aveva commentato Ragnor, mentre seguiva
Ej lungo le scale.
Lui d’altronde doveva trovare calzante come più
volte l’Olanda lo avesse spinto
a pensare a quel film, forse avrebbe dovuto farlo vedere ai suoi figli
tornato
a casa, anche ad Alec, chi sa perché sospettava che suo
marito non lo
conoscesse.
Una giovane fata, viste le orecchie appunta e delle ali da libellula,
si era
affacciata dalla balconata interna del secondo piano, per osservarli
con un
certo interesse, ma anche una guardinga consapevolezza, almeno quando
gli occhi
si erano posati sull’atletica figura di Ej.
Non aveva fatto nulla però, restandosene in pantaloncini
della tuta, pantofole
e canotta a bere il suo smoothie da una cannuccia colorata.
Nonostante sul campanello non ci fossero stati altri nomi, era evidente
che
ogni piano che si lasciavano alle spalle fosse brulicante di persone e
pregnante di potere magico.
Magnus aveva contato almeno tre fey al secondo piano, due vampiri al
primo ed
un cucciolo di licantropo che spiava
dalla ringhiera del terzo piano.
Qualcuno da qualche parte stava anche praticando un incantesimo,
nessuno
particolarmente potente, ma abbastanza perché Magnus lo
percepisce, era
sicuramente opera di qualche stregone. “Ragnor”
aveva chiamato lui, ottenendo
uno sguardo di traverso dal suo amico, che lo aveva staccato di qualche
metro.
Si stava decisamente chiedendo perché Ragnor fosse
più allenato di lui, non era
una cosa plausibile. “Non credi sia una Domus
Magicae?” aveva chiesto
alla fine, “Lo è sicuramente” aveva
dichiarato il suo amico, “Justine le adora”
aveva dichiarato.
Ej, ormai lontana anni luce – sì, quella scala era
maledetta, lo percepiva
chiaramente – si era fermata, “Una cosa?”
aveva chiesto incuriosità. “Una Casa
di Magia, sono luogo costruiti lungo i nodi delle vie telluriche,
insomma si
come dire … convergenze” aveva spiegato
didascalico l’altro.
Come quella che Malcom aveva utilizzato per riportare in vita la sua
bella
sposa svitata, aveva pensato Magnus, con rammarico e dolore.
“Per molti secoli gli stregoni costruivano case sugli snodi
per sfruttarne l’energia
e praticare incantesimi potenti, con il tempo hanno cominciano ad
attirare altri
nascosti come fari con le navi” era intervenuto Magnus.
“Gli Shadowhunters non ne sono molto fan, di questi tempi, ma
se non ci sono violenze
su mondani o evocazioni di demoni maggiori tendono a chiudere
un’occhio. In
alcuni tempi le bruciavano con tutti quelli che ci vivevano
dentro” aveva detto
lapidario Ragnor, ricordando forse qualcosa del suo passato.
Anche Magnus aveva ricordato qualcosa, il loro viaggio ad Istanbul,
quando il
suo amico gli aveva fatto spergiurare di non raccontare ai fratelli
silenti che
era stato lì, al posto che nella casa del rispettoso Alto
Stregone di Costantinopoli.
Fratello Zebulon aveva detto a Magnus – dopo – che
erano luoghi di perdizione.
Magnus molti anni in seguito, dopo aver viaggiato e veduto cose umane e
demoniache, indicibili, avrebbe dissentito.
Erano molto peggio di qualsiasi cosa il Fratello Zebulon avrebbe mai
potuto
descrivere – o meglio, questione di punti di vista.
“Sono sicuro che il nuovo Console non tornerà ai
vecchi metodi” aveva
dichiarato Magnus, “Speriamo che il nuovo Cancelliere sia
disposto a dargli il
beneficio del dubbio” aveva replicato Ragnor, prima di
riprendere la salita.
La sua voce era sembrata terribilmente raschiata.
Nel frattempo il loro vociare doveva aver allarmato la palazzina,
perché il flusso
di magia che criptava nell’aria era venuto ad esaurirsi
bruscamente, interrompendo
il rituale.
“Immaginavo
più alto il
Sommo Stregone di Brooklyn!” la voce, femminile, era arrivata
dalla cima della
lunghissima scala, quando Magnus aveva sollevato gli occhi, aveva visto
chi
c’era.
Si era dovuto dichiarare piuttosto confuso da ciò che lo
attendeva. Era una
ragazzina, non aveva più di una dozzina di anni, con le
ginocchia nodose, nude,
esposte grazie ad una salopette di jeans, con il pantaloncino corto.
Aveva anche una chioma grano ardente, stretta in due trecce che
scendevano sul
petto ancora imberbe.
Magnus Bane doveva dichiararsi piuttosto stupito, non era
così che immaginava
la Somma Stregona di Leiden, amante on-off per secoli di Ragnor Fell e
… istigatrice
di barbari.
“Io più adulta” aveva dichiarato Magnus.
“Non è lei” era intervenuto Ragnor,
facendo ridacchiare Ej, “Decisamente no”
aveva confermato poi la shadowhunters.
La ragazzina aveva riso cotta con un certo divertimento, “No,
no!” aveva detto
poi, mentre gli accoglieva gentili sul pianerottolo del quarto piano.
“Che oro stupendo!” aveva
dichiarato la ragazzina senza indugio, fissando
il viso di Magnus sfacciata, probabilmente ammiccando agli occhi da
gatto,
“Anche tu hai dei begli occhi” aveva risposto
galante lo stregone.
La giovane aveva occhi verdi come foglie primaverili, non molto grandi,
ma
incredibilmente espressivi. Lei aveva aggrottato le sopracciglia
bionde, come
se il complimento di Magnus l’avesse confusa,
“Grazie” aveva ammesso incerta,
prima di riprendersi.
“Tu non sei del colore che
immaginavo” aveva dichiarato la ragazzina,
ammiccando al buon Ragnor, che aveva schioccato le dita, permettendo al
suo naturale
colorito pisello di tornare vivace sul suo viso.
“Più così?” aveva chiesto,
poi, la ragazzina si era morsa il labbro, come se improvvisamente si
ritrovasse
in una situazione tesa e nervosa, come se camminasse in equilibrio
precario, “No”
aveva dichiarato alla fine, con un sospiro – stupendo tutti i
presenti – prima
di sorridere.
Il suo viso sembrava quasi iridescente quando indugiava in
quell’azione, “Ma è
decisamente molto meglio di quello che immaginavo” aveva
dichiarato sicura,
prima di volgere lo sguardo su Ej.
La shadowhunter aveva osservato la scena con interesse. La ragazzina
aveva
inclinato il capo, facendo ondulare le trecce bionde, “Non so
chi tu sia, ma
sei sicuro impetuosa nello spirito” aveva
dichiarato.
Ej aveva riso con un certo gusto, “Be, grazie, tu sei un
po’ secca” le aveva
risposto, prima di presentarsi. “Io sono Sunflower Vale,
la figlia di Justine,
è un piacere conoscervi” aveva dichiarato,
ricambiando la stretta la ragazzina
e poi conducendoli all’interno dell’appartamento.
“Figlia?” aveva domandato con
una certa confusione Ragnor.
Lei aveva annuito piena di vita.
Probabilmente Sunflower – che nome esoso – era una
di quelle bambine umane che
venivano adottate dagli stregoni; anche Magnus lo aveva fatto,
tecnicamente,
certo lui non aveva mai avuto bambini umani.
Sunflower si era poi sporta dalla ringhiera, facendo oscillare le
trecce bionde
al vuoto, allarmando per un secondo Magnus ed immaginava anche i suoi
compari,
aveva strillato qualcosa in olandese che somigliava ad un
“Michael, rientra a
casa o tua nonna si preoccuperà” e
nell’attimo che aveva parlato, il cucciolo
di licantropo che stava guardando loro, ben nascosto dal piano
inferiore, era
evaporato alla velocità della luce.
“Entriamo?” aveva proposto poi la ragazzina,
ammiccando all’unica porta di quel
piano, che era aperta ed offriva uno spiraglio alla casa della Somma
Stregona
di Leiden.
La
casa di Justine era
spaziosa, esibiva un salotto bello invitante, in cui appariva un
tavolinetto
basso, con un divano ad elle che lo circondava. Il soggiorno era
collegato ad
una cucina senza muro, c’era anche una porta chiusa ed una
scala che portava
verso un eventuale quinto piano.
La casa era piena di piante floreali e foto. A Magnus piaceva
sicuramente, ma
poteva notare sul viso di un verde cetriolo,
leggermente più pallido
rispetto al solito, un’espressione vagamente più
confusa e spaesata.
Conosceva quell’espressione, Magnus sapeva di averla avuta in
vita sua, almeno
una volta; era la consapevolezza di essere un estraneo in un mondo che
un tempo
era suo e di cui si conosceva ogni dettaglio; Camille Belacourt tendeva
a farlo
sentire così.
La casa di Justine sembrava piena di vita, assolutamente vissuta in
ogni suo
aspetto. Era anche piena di chincaglierie varie ed eventuali.
“Volete acqua, menta e limone?” aveva domandato
subito Sunflower,
“Assolutamente sì!” aveva risposto
immediatamente Ej, mentre si accomodava sul
divano ad L, di un pittoresco color cobalto, che faceva una buona
cromia con le
pareti tinte di giallo paglierino ma non si sposava bene con il
pavimento
parquet di legno scuro.
“Non ho il permesso di offrire alcolici” aveva
aggiunto Sunflower con un tono
allegro.
Ragnor aveva tossicchiato per attirare l’attenzione,
“Dove è tua madre?” aveva
chiesto poi, con un tono piuttosto stranito nell’utilizzare
quel nome per
simboleggiare la parentela tra le due.
“In effetti avevamo un appuntamento” aveva
dichiarato Ej, mentre accavallava le
gambe, ma non sembrava troppo nervosa.
“Si, l’appuntamento prima di voi si sta trattenendo
un po’ più del previsto”
aveva dichiarato Sunflower con una punta di nervosismo evidente nella
voce, “Però
si accomodatevi” gli aveva invitati di nuovo.
Magnus aveva imitato Ej, cercando di rilassarsi, Ragnor era rimasto
stoico in
piedi nel mezzo del soggiorno.
“Quindi quante acque menta e limone?” aveva chiesto
ancora la ragazzina.
Aveva una dizione perfetta in inglese, ma l’accento duro
olandese strisciava
molto, pesando sulle parole, Ej aveva sollevato una mano, come una
ragazzina
alle elementari, “Facciamo anche per me” aveva
dichiarato Magnus.
Sì, normalmente fidarsi era bene e diffidarsi era meglio, ma
se fosse accaduto
qualcosa a Magnus, somma Appendice – a quanto pareva
– del Console degli
Shadowhunter, sarebbe stato impossibile per Justine scamparsela, a meno
che …
Sunflower
aveva
schioccato le dita, un lampo sottile di luce rosa vibrante era
schioccato
nell’aria esaurendosi in una pioggia di scintille luminose ed
un lampo sia
Magnus, sia Ej tenevano nelle loro mani un bicchiere di vetro colmo
fino
all’orlo di acqua, in cui erano immerse foglie di menta ed
una bella fetta di limone.
“Sei una strega!” aveva esclamato Ej, ammirata, con
gli occhi illuminati.
“Aye!” aveva replicato
Sunflower, aveva fatto comparire un bel bicchiere
anche per lei, e si era lasciata cadere sul divano.
“Questo ha molto più senso” aveva
dichiarato allora Ragnor, “Trovo molto più
credibile che Justine abbia adottato una stregona” aveva
valutato.
“Oppure potresti starci ingannando” aveva proposto
Magnus, “Non sono uno a cui
piace pensar male” aveva ammesso.
Ej allora aveva guardato il suo bicchiere con una certa
criticità. Lei aveva
ridacchiato, “Non lo ho fatto, anche volendo, dubito avrei il
potere di
sopraffare la mamma” aveva dichiarato Sunflower, prendendo un
bel sorso della
sua acqua.
“E che non ho mai pensato a Justine come una persona
particolarmente materna”
aveva valutato nuovamente Ragnor.
“Diciamo che non ha proprio scelto di adottarmi, ma
la vita va come deve
andare, no?” aveva chiesto con un tono retorico la
ragazzina, con un
sorriso gioviale e luminoso sul viso.
Ragnor
non era sembrato
poi molto convinto della spiegazione, Magnus inoltre non aveva la
minima idea
di quanto la cosa dovesse o meno sembrare strana, non la conosceva bene
questa
Justine, però non era esattamente una cosa abitudinaria che
gli stregoni
prendessero dei giovani bambini come figli. Boris non aveva poi molti
torti, da
quel punto di vista, ma immaginava che se Magnus avesse messo la testa
apposto,
allora forse, poteva averlo fatto anche a Justine.
Uno spiraglio luminoso era apparso nel soggiorno, una luce brillante
bianca, si
era aperta, accompagnata da un forte vento.
L’attimo dopo sul tavolo basso del soggiorno era piombato
qualcuno, un giovane
uomo, ferito, che si teneva una mano sulla spalla, sanguinante.
“Oh!” aveva strillato Sunflower, “Erwin!”;
l’attimo
dopo Ej era già saltata in piedi con una
lama angelica – e l’urlo Amenadiel
in combo – sguainata pronta al
combattimento; la giovane strega aveva detto qualcosa in olandese,
troppo
veloce perché Magnus la comprendesse e si era chinata su di
lui per
sorreggerlo.
Dallo squarcio era spuntata anche una donna, dietro cui il portale si
era
rinchiuso. La prima cosa che Magnus aveva veduto della nuova arrivata
era stato
un collo sottile attorno da un lunghissimo filo di perle con
più stringhe, così
di classe, che si abbinava male ai jeans chiari ed il cardigan rosa
confetto.
“Scusate il ritardo, ci sono stati dei problemi”
aveva stabilito quella,
atterrando nel suo soggiorno, voltandosi verso i presenti.
“Pensavo si sarebbe gelata qualche dimensione infernale prima
di rivedere la
tua brutta faccia da zucchina” aveva detto quella con un tono
infuocato, prima
di rivolgersi verso gli altri.
“Fanciulla cara, puoi abbassare la lama, questa è
una zona libera da armi
letali” aveva detto subito ad Ej con un tono calmo.
La donna, che doveva essere ovviamente una strega, non si confaceva
molto all’aspetto
che aveva visto tipicamente negli olandesi. Non era molto alta, ma
aveva un
corpo voluttuoso, l’incarnato era olivastro, con un naso
leggermente importante
ed una voluminosa chioma di capelli corvini e serpentini.
E soprattutto, realizzò Magnus, Justine non era
un’estranea.
Da qualche parte nella sua lunga vita, lui l’aveva
già incontrata.
“Oh, il Magnifico Magnus Bane” aveva detto quella,
rivolta verso di lei, con un
sorriso rilassato sul viso, pieno di vita, “Mi piace proprio
il nome che hai scelto,
Tesoro” aveva enunciato.
Dall’ultima volta che Magnus Bane aveva incontrato Justina
Vale erano passati
quattrocento anni, anno più anno meno.
Al Mercato delle Ombre di Costantinopoli.
Una sola volta.
Prima di entrare per la prima volta nel Labirinto a Spilare; quando la
donna
rispondeva al nome di Iusta.
Oh, che scemo che era stato.
Comunque, aveva pensato Magnus, c’era un ché di
poetico.
“E ti sei fatto proprio un bell’ometto!”
aveva detto smaliziata Justine,
giocando con il suo filo di perle.