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Autore: Laisa_War    24/03/2021    1 recensioni
Questa storia nasce da una fantasia che accomuna, credo, ogni fan di Vikings (di cui faccio fieramente parte): esser trasportati nel mondo dei figli di Ragnar, per poter interagire con loro e combattere al loro fianco.
Hylde, una normalissima ragazza del 2020, viene spedita nella Kattegat dell'800 d.C. per volere di Odino in persona. Il motivo, per ora, è per lei un vero mistero.
Incontrerà i fratelli Lothbrok, intenti ad organizzare una grande spedizione punitiva ai danni di re Aelle e re Ecbert, colpevoli di aver contribuito alla morte del più grande re vichingo della storia: Ragnar Lothbrok.
Diventerà, col tempo, parte integrante della società vichinga, imparandone gli usi e i costumi. Quella diventerà casa sua, molto più di quanto lo fosse il mondo moderno.
Con questo racconto, i cui capitoli usciranno settimanalmente, spero di potervi trasportare con me in quella fantastica epoca, trasmettendovi le sensazioni che avevo io, durante la scrittura.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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--- Note dell'Autrice ---

Ciao a tutti! Come state?

Oggi si inizia con le note di me medesima (eheh), perchè ho bisogno di fare una piccola premessa: mi è stato fatto notare quanto la mia storia possa dare di più, quanto possa essere arricchita e quanto spazio possa essere riservato all'interazione tra i vari personaggi.
Io mi sono trovata estremamente d'accordo con queste critiche super costruttive, perchè amo scrivere e questo racconto mi sta letteralmente salvando... Quindi è per questo che da oggi ci saranno capitoli più lunghi, più articolati e (spero) migliori.

Fatemi sapere se vi piace questo cambio di registro. Continuate a mandarmi i vostri feedback, lasciate una recensione, perchè sono fondamentali.
Menzione particolare per Kurapika95, che con la sua fantastica recensione ha contribuito ad aprirmi gli occhi... Grazie davvero!

Ed ora vi lascio alla prima parte del Capitolo 13, l'ultimo prima della fatidica partenza!

Un Abbraccione,
Laisa_War




 
Capitolo 13 - Parte 1


 
Quello stesso giorno, il tramonto si manifestò con magnifica teatralità, riempiendo l’orizzonte di colori meravigliosi, riflessi nel pacifico specchio d’acqua che era il mare. Il cielo variopinto veniva solcato dai gabbiani in volo, che approfittavano della fresca brezza dall’odore di salsedine.

Hylde, che osservava quello spettacolo da quello che era diventato il “suo” promontorio, stremata da quella giornata così ricca di novità, si strinse nel suo mantello color terra, quando il leggero venticello le colpì il viso, provocandole dei brividi. Con la bella stagione, aveva iniziato ad indossare dei vestiti più leggeri, abbandonando la lana in favore del più delicato lino, che le permetteva di lavorare meglio, senza farle soffrire troppo il calore. Imparò sulla propria pelle quanto fosse preferibile portare sempre un mantello sulle spalle, a causa dei venti freddi del nord, che di certo non avrebbero smesso di soffiare col sopraggiungere dell’estate, e a causa delle frequenti piogge, che si alternavano a ritmo forsennato con le meravigliose giornate di sole.

Non aveva mai imparato a cucirsi gli abiti da sola, di questo si occupava Helga, che era il vero fulcro di quella famiglia così calorosa, il cuore pulsante di quel nucleo familiare. Senza di lei, che si occupava davvero di tutto, probabilmente, se ne sarebbero andati tutti alla deriva.

Non solo Helga, ma anche Floki e Brandr avevano fatto del loro meglio per far sentire Hylde parte integrante della famiglia, con tante piccole attenzioni che inizialmente l’avevano messa in imbarazzo, non essendo molto abituata a quel tipo di serenità domestica e a quell’affetto disinteressato. Le dimostravano ogni giorno la loro profonda lealtà, come quella volta in cui Floki era tornato a casa con le nocche delle mani ferite, per aver fatto a pugni con un vecchio, viscido timoniere che lavorava con lui ad una nave, dopo che costui, insieme ad altri lupi di mare, si era azzardato a sputare commenti osceni riferiti proprio a Hylde, che non passava certo inosservata, con la sua chioma dello stesso colore del fuoco vivo. Sì, Floki, che era il primo ad ignorare le dicerie della gente, il primo a consigliarle: «Non lasciarti influenzare da ciò che dicono.».

In quell’occasione, persino la calma e diplomatica Helga si era schierata dalla parte del marito, nonostante Hylde si sentisse più che mai in colpa. «Nessuno può infangare così l’onore dei membri della nostra famiglia.», aveva detto la donna, mentre tamponava via il sangue dalle mani di Floki. E, come al solito, Brandr aveva reagito con la sua sobrissima moderazione vichinga, sfoderando i muscoli ben torniti del braccio ed esclamando: «Dimmi chi è, e domani gli do il resto.».

Col tempo, le cose si erano stabilizzate, ormai Floki ed Helga consideravano Hylde come una vera e propria figlia. Invece con Brandr, non c’era neanche bisogno di dirlo, si era creato un rapporto talmente stretto di sorellanza che, forse, avrebbero potuto davvero condividere il patrimonio genetico.

Anche per Hylde stessa si era consolidato il suo essere parte della famiglia, insieme a loro si sentiva al sicuro, grazie a loro aveva ritrovato quel senso di accoglienza e protezione perso alla morte della madre. Sensazioni che le provocavano una bella serenità: sapere di importare a qualcuno, far parte di un nucleo familiare vero era quello che aveva ricercato negli ultimi anni, quasi senza saperlo, sebbene il suo carattere insicuro la portasse spesso a sentirsi in dovere di dimostrare la sua gratitudine a tutti loro, di provare d’esser degna del loro affetto.

Nonostante il freddo, Hylde non si mosse da quel tronco su cui era seduta, posizionato da Floki sul promontorio vicino a casa, quando aveva capito che per lei fosse un luogo catartico, in un gesto d’affetto paterno. Era il posto più tranquillo in assoluto, secondo lei, che aveva l’abitudine di ritirarsi lì in completa solitudine, per riflettere e riordinare le idee, cercando di assimilare tutti gli eventi che accadevano nella sua vita, specie quelli che le provocavano ansia, o paura.

Era così immersa nei propri pensieri che non si accorse minimamente dell’arrivo di Ivar, a bordo della sua biga, tant’è che sobbalzò quando lui constatò: «Sapevo che ti avrei trovata qui.». Aveva la voce calma e non troppo alta, come se percepisse inconsciamente la sacralità di quel luogo così silenzioso.

In quei mesi, il fisico di Ivar si era plasmato molto, in preparazione della battaglie che avrebbe dovuto affrontare in territorio straniero. Il torso si era scolpito, rivelando dei muscoli tonici molto piacevoli alla vista, secondo Hylde, che si era ovviamente accorta del suo cambiamento. Il petto, gli addominali, le spalle erano tutte parti del corpo che erano cresciute di volume, dopo aver intensificato gli allenamenti fisici, e ciò gli aveva conferito molta più forza e resistenza, due elementi fondamentali per la sopravvivenza. Era inoltre migliorato nell’agilità, in tutto ciò che lo rendeva un vero guerriero, al pari dei suoi fratelli.

Anche le sue gambe iniziavano pian piano a trasformarsi, per sua grande gioia, grazie ai movimenti che Hylde gli aveva insegnato per sollecitare i muscoli ancora in gran parte atrofizzati. Era però consapevole che fosse solo l’inizio, poiché quei cambiamenti erano minimi: provava ancora ribrezzo per quelle gambe che odiava, che non mostrava a nessuno, soprattutto a Hylde, con la quale evitava di proposito ogni tipo di situazione che avrebbe potenzialmente portato ad un reale approccio fisico. Lei non si era mai lamentata di questo, forse intuendo quel suo disagio, quella vergogna mortificante che lo inseguiva ovunque andasse, unita alla paura di non essere in grado di soddisfare a dovere la propria donna. Ivar però sapeva quanto fosse frustrante per lei, perché lui stesso provava i medesimi sentimenti, soffrendone in egual modo: bruciava per lei, la desiderava ogni giorno di più. Ormai ogni bacio, ogni carezza lo portavano a pensare a quanto avrebbe voluto farla sua, nel fervore tipico della loro giovane età.

Dopo aver preso posto accanto a lei, la quale non fece una piega, essendo tornata a guardare fisso nel vuoto, Ivar le passò un braccio attorno alle spalle, avvolgendola completamente. «Bjorn mi ha detto del compito che ti ha affidato. Sono orgoglioso di te, per avere accettato.», esordì lui, rompendo quel pesante silenzio con fare impacciato.

Hylde diede un segno di vita scuotendo la testa, appoggiata comodamente contro il solido petto del ragazzo, che manteneva lo sguardo su di lei, per comprendere cosa le passasse per la mente.

«Non sono adatta per quel ruolo, Ivar. Lo so io, lo sai tu, lo sanno tutti.», replicò Hylde con tono flebile, lasciando trapelare tutta la fragilità che la caratterizzava in quell’istante. Si sentiva insicura, caricata di un peso troppo ingombrante. Per quanto potesse dimostrare di essere forte e determinata in alcune occasioni, nella sua testa continuava ad aleggiare quella vocina che le remava sempre contro, esponendo quel lato della sua personalità che la rendeva una ragazza dalla scarsa fiducia in se stessa. Non sempre aveva la lucidità adatta a vedere il proprio potenziale, e Ivar lo sapeva bene.

Il giovane l’abbracciò forte e le diede un piccolo bacio vicino alla tempia, parlandole con delicatezza: «Non è affatto vero.». Si spostò leggermente e le prese il viso tra le mani, per indurla a guardarlo negli occhi: «Penso che nessuno sia più adatto di te per dirigere quell’ospedale da campo. E non sono l’unico ad esserne convinto.».

A Hylde venne naturale contraddirlo, ma lui non volle sentire ragione, non le avrebbe mai permesso di continuare a sottovalutarsi in quel modo, così la sovrastò con la voce: «Munin stessa ti ha scelta! Bjorn e gli uomini dell’esercito si fidano di te ciecamente. Hai insegnato ai guaritori più anziani cose che mai avrebbero appreso senza il tuo aiuto.». Perché non amava se stessa almeno la metà di quanto l’amasse lui?

Dagli occhi limpidi della ragazza, che mai si sarebbe sognata di distogliere lo sguardo dal volto perfetto di Ivar, iniziarono a scendere delle lacrime. La cosa lo sconvolse, temeva di averla ferita alzando la voce e di aver peggiorato la situazione, ma, con sua grande sorpresa, lei lo abbracciò a sua volta,buttandogli le braccia al collo con tanto trasporto che quasi caddero entrambi dal tronco.

Lo strinse forte a sé e gli parlò all’orecchio con voce rotta: «Sono lusingata di esser stata scelta per questa responsabilità...». Prese un bel respiro, ricacciando indietro altre numerose lacrime: «...ma la paura mi sta divorando. Ho paura che tra i feriti da soccorrere, un giorno, ci siate tu, o Brandr, o Floki...». Quel pensiero così vivido nella sua mente l’agitò ancora di più ed iniziò a singhiozzare. Ad Ivar si spezzò il cuore nel vederla così spaventata e si odiò per non poter fare nulla di materiale, di tangibile, per farla stare meglio.

Le accarezzò la schiena, tenendola stretta a sé per trasmetterle tutto il senso di sicurezza di cui fosse capace, e decise di essere del tutto sincero con lei: «Anch’io ho paura di perderti, di non riuscire a farcela.». Un sorriso spontaneo gli illuminò il volto, parzialmente nascosto dalla folta chioma rossa di Hylde, e ciò gli permetteva di godersi il buon profumo di lei. Aggiunse: «L’unica cosa che al momento mi fa stare bene è sapere che saremo insieme, e che gli dei ci sosterranno esattamente come quando ci hanno fatti incontrare.».

Hylde, che continuava a rimanere ben ancorata al collo di Ivar, non poté reprimere un sorriso, prova lampante di quanto le parole dolci del ragazzo l’avessero rassicurata. Ciò che più la fece rallegrare fu avere l’assoluta certezza che tutto il discorso di Ivar fosse davvero sincero: lui non era il tipo da ammettere a cuor leggero di avere paura e, probabilmente, di fronte ad altre persone lo avrebbe addirittura negato. Non stava mentendo per farla stare meglio e gliene fu immensamente grata.

«Una giovane saggia, una volta, mi ha detto di non farmi sopraffare dalle emozioni negative, perché questo non mi porterà alcun beneficio. Non puoi controllare l’ignoto, ma quello che puoi fare è continuare a combattere proprio come fai qui ogni giorno, con le persone che hanno bisogno di aiuto.», concluse Ivar con una certa risolutezza, prima che Hylde tornasse a guardarlo con gli occhi lucidi ed il viso sopraffatto dalla gratitudine nei suoi confronti.

«Ti ho fatto diventare sentimentale!», esclamò lei, mentre si asciugava il volto con le dita, risollevando gli animi che si erano fatti molto pesanti, provocando in lui una risata liberatoria, molto sentita.

Le rispose, stando al gioco: «Straniera, mi stai rovinando!».

Tornando seri per un attimo, Hylde gli posò un bacio sulle labbra, diventate secche per l’alzarsi del vento, e lo ringraziò per il supporto dimostrato, promettendogli che avrebbe sempre fatto del suo meglio , tentando di tenere a bada la paura, la quale non sarebbe sparita tanto facilmente.

Mentre riaccompagnava Ivar alla sua biga, con cui sarebbe tornato in città per raggiungere i fratelli, Hylde scorse dalla piccola finestra della casa gli sguardi di Helga e Floki che, non appena videro la ragazza guardare nella loro direzione, si dileguarono all’interno dell’abitazione. Quello scatto improvviso li fece sembrare assolutamente molto buffi.

Trattenendo una risata, Hylde capì tutto ed interrogò Ivar simulando un tono accusatorio: «Ti hanno mandato Floki ed Helga, non è vero?».

Il ragazzo, che stava cercando di risalire sulla biga mossa dal cavallo divenuto impaziente, raggelò e si voltò verso di lei, pregando gli dei che non si fosse arrabbiata e pensando: “Ma come fa a sapere sempre tutto?”.

Tirò un sospiro di sollievo quando la vide con le mani sui fianchi, con un’espressione tutt’altro che da persona infuriata e col viso che tradiva gli sforzi per non scoppiare a ridergli in faccia, così confessò a cuor leggero: «Giuro che è stata un’idea comune. Eravamo preoccupati per te, quindi abbiamo deciso di...».

«...di mandarti in avanscoperta.», completò lei la frase, con un sorriso benevolo.

Ivar annuì, ammettendo quell’azione combinata, e cercò di scusarsi in qualche modo, ma Hylde lo fermò subito, perché comprendeva il loro stato d’animo, lei avrebbe fatto la stessa cosa. Trainandosi sulla biga e mettendosi accanto a lui, lo baciò con tenerezza: «Sei stato di una dolcezza infinita. Grazie di esser venuto a tirarmi su il morale.».

Non essendo molto abituato ad essere ringraziato, soprattutto per la dolcezza, lato di sé che teneva ben nascosto, Ivar sorrise con un pizzico di vergogna, cosa che fece venir voglia a Hylde di abbracciarlo, conscia di averlo messo in imbarazzo. Lui non avrebbe mai ammesso quanto gli facesse piacere essere coccolato così, ma era felice di sapere che la ragazza lo avrebbe intuito comunque.

Dopo essersi salutati, Hylde rientrò a casa, dove trovò Helga e Floki davanti al focolare, intenti a cucinare un pasto caldo, con ogni probabilità una zuppa di ortaggi vari, ed a riscaldarsi le mani. Entrambi finsero indifferenza, consapevoli d’esser stati scoperti.

Lo sguardo di Hylde ricadde sullo sgabello di fianco all’ingresso, su cui era seduta Brandr, la quale era occupata a lucidare i vari componenti della sua armatura di ferro nuova, che si era fatta forgiare proprio in occasione dell’imminente spedizione. Appoggiandosi allo stipite della porta, la ragazza ridacchiò ed incrociò le braccia sul petto, mentre affermava: «Sono piuttosto sicura che sia stata tua l’idea di mandare Ivar da me, sorella.». Quelle parole fecero alzare le teste dei due coniugi, che rimasero in ascolto senza fiatare.

Per nulla sorpresa, Brandr appoggiò a terra la protezione che stava pulendo e la guardò, parlando con tono pratico: «Secondo Ivar era meglio lasciarti riflettere in solitudine, ma non potevamo lasciarti là fuori, tutta sola, senza nessuno con cui confrontarti. E sapevo che ti saresti aperta solo con lui, quindi...». Rivolse anche uno sguardo omicida ai genitori, cosa che li fece impercettibilmente tremare, mentre aggiungeva: «Vi avevo detto di non sbirciare dalla finestra.».

Non appena Floki ed Helga cominciarono a scusarsi, con delle facce che li rendevano davvero buffi, Hylde baciò Brandr sulla testa e dispensò gesti di affetto anche verso loro due, che si zittirono, sbigottiti. Dopodiché si sedette su uno sgabello accanto alla sorella, iniziando a pulire con lei un’altra parte di armatura e dichiarando: «Ivar ha ragione, mi piace riflettere da sola, ma devo ammettere che parlare subito con qualcuno mi ha aiutata tanto...». La voce le tremò: «...quindi grazie, a tutti voi.».

Quelle parole, espresse dalla ragazza con un po’ d’imbarazzo, fecero rallegrare tutti loro, in particolare Helga, che con fare materno si avvicinò a lei e l’abbracciò: «Non esitare mai a chiederci aiuto, Hylde!». Frase a cui fece eco Floki, con fare da vecchio saggio dai toni burberi: «Siamo una famiglia, e in famiglia ci si aiuta, senza pensarci un attimo.».


I preparativi di quella che sarebbe passata alla storia come la Grande Armata Pagana procedevano a buon ritmo, a Kattegat. Non c’era un singolo individuo che non si desse da fare,anche tra coloro che non avrebbero preso parte a quella mastodontica azione militare. Perfino i ragazzini erano entusiasti di dare una mano agli adulti e gioivano dell’essere incaricati di qualche semplice responsabilità, così da sentirsi utili a tutta la comunità.

Ogni giorno, Ivar non perdeva tempo, svegliandosi alle primissime luci dell’alba per dedicarsi alla manutenzione delle proprie armi e di tutto l’equipaggiamento di cui disponesse, armatura e protezioni comprese, rincasando poi quando il sole era già tramontato, dopo essersi allenato senza sosta. S’impegnava soprattutto nei combattimenti a bordo della biga, per imparare a gestirla meglio durante un ipotetico scontro.

Per lui, fu fondamentale fare tutto questo in compagnia dei fratelli e Brandr, coi quali poteva testare le proprie abilità come se avesse di fronte dei veri avversari. Fu un vero colpo, per loro, constatare quanto il fratellino più piccolo fosse diventato capace di gestire con una mano il cavallo che trainava la biga ed allo stesso tempo di maneggiare un’arma con l’altra.

Ubbe e Hvitserk reagirono come dei veri fratelli maggiori, con puro entusiasmo all’idea che anche Ivar potesse accompagnarli in battaglia, di vederlo combattere al loro fianco come aveva sempre sognato. Ogniqualvolta il ragazzo dimostrasse la propria bravura, Ubbe aveva l’abitudine di scompigliargli i capelli e di baciarlo sulla testa, urlando: «Sei un vero vichingo, Ivar! Lo sei!», cosa che provocava le risate di Brandr, la quale condivideva con loro la gioia di vedere colui che aveva sempre considerato “il piccolo Ivar” diventare un vero e proprio guerriero.

L’unico a tenersi lontano da quei festeggiamenti era Sigurd. Per quanto tentasse di dissimulare e comportarsi da uomo maturo, non riusciva a digerire i progressi di Ivar, come non sopportava di vederlo al fianco di Hylde. Certo, aveva giurato di rimanerle amico, le aveva detto di aver accettato di buon grado la “sconfitta”, tuttavia non era capace di tollerare di vederla così felice accanto a lui. In più, Ivar non perdeva occasione per stuzzicarlo sull’argomento, riprendendosi delle rivincite a cui ambiva da tempo, nonostante Hylde gli avesse chiesto di non farlo. Per questo il loro rapporto era in bilico costante, e toccava agli altri fratelli il compito di mantenere quel fragile equilibrio, aiutati inoltre dal comune senso di attesa di qualcosa più grande di loro, dall’adrenalina che scorreva nelle vene di tutti loro, tenendoli in un perpetuo stato di agitazione.

Hylde, invece, fu completamente assorbita dal suo nuovo incarico, cosa che non le regalò molti attimi di tempo libero. Passava le giornate insieme a Munin e agli altri guaritori, soprattutto coloro che sarebbero salpati con lei, che l’aiutavano ad organizzare il lavoro e i vari carichi, studiando inoltre dei piani da eseguire nel nuovo accampamento. Tutti loro la supportavano ed erano felici di condividere con lei le loro idee ed esperienze: non era mai facile, però, far concordare tutte le loro teste allo stesso tempo, ognuno aveva approcci differenti, con diverse priorità su come andasse svolto il loro lavoro, che Hylde avrebbe dovuto tenere a bada, una volta sbarcati. Per sua fortuna, facevano del loro meglio per rendere quei preparativi il meno pesanti possibile, riducendo le discussioni come se ci fosse un tacito accordo, che prevedeva una perfetta coordinazione per riportare a casa sano e salvo ogni singolo guerriero.

Sebbene la fatica la stroncasse, la giovane continuava a sentirsi grata: era nel suo elemento naturale, sapeva di essere utile ad ogni persona che sarebbe salita su quelle impressionanti imbarcazioni, che ormai dominavano tutta la visuale fino all’orizzonte, dal porto fino alle insenature dei fiordi facenti parte di quella baia così amata. Nel frattempo, però, era dominata dal peso di dover costantemente prendere delle decisioni che fossero giuste, senza troppo margine d’errore.

Il luogo che vedeva di più era sempre quella bottega, messa a disposizione per loro guaritori, costituita da un unico ambiente arricchito da vari scompartimenti in cui venivano conservati con cura tutti gli attrezzi, nonché gli infusi, creme e intrugli vari, in modo tale da assistere in poco tempo tutte le persone che si presentavano lì con dei malesseri di diverso genere: nel mondo moderno avrebbero identificato quel posto come un ibrido tra un ambulatorio ed una farmacia. C’era anche un secondo ambiente, più piccolo e più arieggiato, rispetto al primo, che costituiva il luogo in cui venivano create le numerose “medicine”, con un focolare tenuto acceso per tutto il giorno, sopra al quale era stata messa un’impalcatura di legno ed alcune parti in metallo, che permetteva di scaldare più pentole e calderoni insieme, alla stregua di un moderno fornello a induzione.

La ragazza era sostanzialmente sparita dalla sua cerchia di amicizie, tant’è che una sera, rientrando come al solito molto tardi e trovando Brandr ancora sveglia, lei le aveva detto, con aria sarcastica: «Ora capisco perché Ivar ti chiama “Straniera”.». Hylde si era sentita talmente tanto in colpa da aver ignorato la stanchezza che le gravava addosso per restare alzata fino a notte fonda in compagnia della sorella, per aggiornarsi e raccontarsi gli avvenimenti dei giorni precedenti.

Si sentiva altrettanto in colpa nei confronti di Ivar, al quale non poteva dedicare molto tempo, anche se lui non si era mai permesso di recriminarle nulla, essendo lui stesso impegnato. La situazione ebbe però anche un risvolto positivo, li indusse a godere dei piccoli attimi rubati, come l’incrociarsi in città e scambiarsi un bacio al volo, oppure un sorriso, o stringersi le mani per un secondo, prima di proseguire sulla propria strada, verso i doveri che li attendevano. Non era il massimo sviluppare la loro relazione in quel modo, ma l’attesa del momento in cui sarebbero tornati a viversi sul serio era ciò che li spingeva ad arrivare in fondo a quella settimana infinita.
  
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