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Autore: Il Maiale    27/03/2021    4 recensioni
Vicky è un cacciatore di taglie, ma nonostante questo reprime i suoi impulsi.
Frank è lo sceriffo di Bodie, ma nonostante questo non riesce a tenere al sicuro la città.
John Reddy Heart è il ragazzino, ma nonostante questo dice di avere una missione, come quella che Dio affidò a Mosè.
Kyle Antrim è solo un parente acquisito di Billy The Kid.
Prima classificata al contest “Storie incrociate” indetto da mystery_koopa sul Forum di EFP.
Genere: Noir | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Secessione americana
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La Mattanza


 
 
Bodie

Se ne stava lì seduto con i gomiti poggiati al bancone, dando le spalle all’ingresso del Madrigan Saloon.
Si era ritrovato in quel posto sperduto a levante della catena montuosa della Sierra Nevada quasi per caso, prendendo una di quelle strade sterrate che ti portano lontano da casa.
Non importa dove, l’importante è lontano.
Eppure si era dovuto fermare per far riposare il cavallo, legato lì fuori, a soli venti miglia o poco più dalla casa in cui era nato.
Fissava il bicchiere davanti a sé, con le mani congiunte sotto il mento, stanco.
Aveva dato la caccia a quel fuorilegge per tre giorni nei pressi di Bridgeport: si era nascosto fra le montagne e aveva dovuto sparargli in pieno petto per fermare la sua fuga.
Aveva portato poi il corpo in città, lo aveva consegnato allo Sceriffo afferrando al volo il sacchetto pieno di monete d’oro, per poi salire in sella e dirigersi lontano, verso sud-est, ma il povero animale era stanco e sentiva che ogni speronata era come una coltellata nello stomaco.
Aveva deciso di fermarsi lì per la notte, eppure c’era qualcosa di strano in quel piccolo centro.
Aveva trovato insolitamente silenziosa la via principale e le poche anime che vagavano lì attorno erano mute e raccolte in loro stesse.
Perfino in quel saloon, con i bicchieri di whisky semipieni ad ogni tavolo, c’era un’insolito e tacito accordo fra i commensali di non alzare troppo la voce.
Insolito.
Sinistro.
Nei volti di tutti si poteva leggere un velo di depressione, un po’ di fallimento.
Il fumo dei sigari impestava l’aria e dava quel senso di nebbia e perdizione, la stessa atmosfera che ci si aspetta di trovare all’ingresso dell’Inferno.
Guardò per l’ennesima volta il proprietario dietro al bancone, ma anche lui era intento a parlare sottovoce con due uomini. Anche lui poggiato e inclinato in avanti a sussurrare segreti.
Una donna di compagnia lo notò e si sedette al suo fianco, mettendosi fra lui e ciò che stava guardando.
I suoi dettagli erano capelli neri, ricci, raccolti in una mezza coda alta legata da un nastro nero, identico a quello che aveva legato al collo.
Formosa, maliziosa.
«Siamo così poche anime dannate qui che quelle nuove le noti perché hanno una certa luce che le avvolge», disse lei incrociando le gambe, scoprendosi inevitabilmente mezza gamba nel movimento.
Lui le sorrise soltanto, guardandola di sbieco, prendendo l’ultimo sorso di whisky.
«Quante siete voi anime dannate? Forse poche centinaia, non la trovo un’abilità particolare la tua», rispose, ma senza quel tono di spavalderia che poteva sottintendere quella frase.
Senza superbia, senza secondi fini.
Lei sorrise, lui sorrise.
«Che ti porta qui a Bodie, straniero?»
Vicky guardava davanti a sé, specchiandosi nella lastra sporca dietro gli alcolici.
Guardò il riflesso dei suoi occhi fra una bottiglia e l’altra.
«Semplice sosta», la liquidò sbrigativo, senza però perdere occasione di dare risposta alla curiosità che lo attanagliava da quando aveva messo piede in quel posto.
«Quello che però mi spinge a fermarmi forse più del dovuto sono tutti questi sussurri», e si girò verso di lei, indicando poi con lo sguardo tutte le persone attorno a loro, «che succede?»
Lei sbuffò visibilmente, roteando quasi gli occhi al cielo e facendo un gesto stizzito della mano, come a minimizzare l’argomento.
«Qualche animale morto qua e là, la maggior parte delle persone credo sia a sbraitare contro lo Sceriffo», si voltò verso i tavoli, sbuffando di nuovo e inarcandosi con la schiena all’indietro, poggiando i gomiti al bancone, «non giova né a noi ragazze né al Vecchio Madrigan.»
Un’altra cosa che aveva notato, infatti, era che le ballerine erano tutte sedute ai tavoli ma non ad ammaliare gli uomini.
«Non credevo che qualche animale morto potesse impressionare una piccola cittadina di minatori», disse lui gettando un rapido sguardo al suo profilo.
Lei sorrise fra sé e sé, abbassando un poco gli occhi, fissandosi le scarpe laccate nere con il cinturino alla caviglia, per poi rivolgersi nuovamente verso di lui, sporgendosi a sussurrare: «Quando trovi il tuo bovino a terra, con la lingua tagliata e la pancia sventrata qualche brivido sulla schiena ti sale.»
I loro occhi si incatenarono per qualche istante. Forse per motivazioni diverse, forse per mera curiosità l’uno verso l’altra.
Infantile, ingenua, curiosità.
Si scostarono entrambi, lui schiarendo la voce, lei rivolgendosi di nuovo verso tutti i clienti.
«Perché la lingua tagliata?» Chiese poi lui dopo qualche secondo, pensandoci.
La donna alzò le spalle, quasi annoiata.
Non era una cosa che le interessava.
Guardava ai pochi incassi, lei.
«Martha», la richiamò il proprietario, indicandogli forse due uomini appena entrati, vogliosi magari di un po' di compagnia.
Lei salutò lo straniero sorridendo sfacciata.
Vicky la lasciò andare, distratto poi dall'ingresso dal retro del saloon di un ragazzino con il viso sporco e i capelli tagliati male.
Il proprietario, Madrigan, gli tirò un ceffone subito dopo, facendolo barcollare.
Vicky aggrottò le sopracciglia, ma non ci diede troppo peso, poiché subito dopo lo stesso ragazzo si mise a pulire con enfasi l'intero bancone, come se volesse tirarlo a lucido, senza emettere nemmeno un suono.
Non una risposta.
Nemmeno uno sguardo rancoroso o impaurito.
Sentì la porta a battenti cigolare e come se la provvidenza gli avesse dato ordine, gettò lo sguardo alle sue spalle, quasi distratto.
Un uomo sulla trentina, alto e con le spalle robuste, occhi chiari seminascosti da taglio, si avviò al bancone rimanendo in piedi.
Spilla appuntata sul gilet di pelle, cappello da cowboy ben calato sul capo.
Nell’avanzare, gli stivali facevano un rumore talmente profondo che riuscivano a sovrastare il brusio dei discorsi sommessi.
Si poggiò stanco, inarcando la schiena, come se si portasse un’enorme peso sulle spalle.
Si tolse il capelli con un gesto lento, poggiandolo sul legno, per poi incrociare le dita e abbassare il capo, esausto. Si stropicciò il viso e fece segno di aver bisogno da bere.
Nel voltarsi, sul viso di Vicky si allargò un sincero sorriso.
Lo riconobbe dalla camminata.
Dallo sguardo distratto.
«Frank!» Esclamò, attirando la sua attenzione.
Lo Sceriffo si voltò, confuso a sentirsi chiamare in quel modo, per poi incrociare lo sguardo dell’uomo seduto poco più in là.
Aggrottò le sopracciglia per qualche secondo, per poi lasciare posto alla sorpresa mista quasi a felicità nel rivedere un vecchio volto amico.
«Victor “il selvaggio” Delancy!» Disse a sua volta, andandogli incontro.
Si diedero delle pacche sulle spalle, forti e decise, come a testare l’uno la robustezza dell’altro.
«Che cosa ti porta in questo posto dimenticato di minatori?»
«Ho portato a termine un lavoro nella vecchia Bridgeport e-» venne interrotto subito dalla fragorosa risata dell’altro.
«E sei scappato immediatamente, lontano dalla sottana di tua madre!»
Risero entrambi, consapevoli l’uno del passato dell’altro.
«Sei sceriffo, ora?» Vicky lo ricordava Frank. Ricordava la loro infanzia fra un gioco infantile e l’altro, fra una corsa alle poste e una gara per chi arrivasse primo a casa. 
«È un anno, quasi», disse gettandosi in gola il whisky che gli avevano appena servito. 
«Non ti sei allontanato di molto, ti pensavo ormai lontano miglia e miglia», ma l’altro sviò, distogliendo anche lo sguardo.
«Te, invece? Sei stato il primo di noi ad andartene dalla città.» 
«Io faccio quello che voi sceriffi non avete voglia di fare», e sorrisero entrambi, capendosi come da piccoli.
Poi la colse, Vicky, l’ombra dietro la luce negli occhi dell’amico.
Quel tarlo che lo attanagliava.
«Stai avendo problemi, qui?»
L’altro alzò le sopracciglia, storpiando un po’ le labbra. 
«Ti hanno già informato», e fece gesto per chiedere un’altro bicchierino, «niente di troppo pericolo, più strano che pericolo.» 
«Lo strano spaventa più del pericoloso.»
Frank annuì, come se fosse una verità scritta.
Poi si accese un attimo, come se un’idea lo avesse fulminato in quel momento, drizzandosi con la schiena.
«So che hai intenzione di saltare sul tuo cavallo e allontanarti il più lontano possibile da qui già domani mattina, ma per adesso», e chiamò di nuovo Madrigan con un fischio, gioioso,  «portaci il tuo whisky migliore, Bill!» quasi urlò.
Vicky sorrise, scuotendo il capo: «Ho il presentimento che mi stai per chiedere un favore.»
«Amico mio», continuò tirandogli una sonora pacca sulla spalla, «mi offendi. Prima ho intenzione di farti ubriacare, per poi chiederti un favore.»


 
La casa dello Sceriffo

Gli disse che poteva stare da lui.
Gli offrì un letto dicendo: "Di sicuro ha meno pulci di quella bettola in cui volevi stare".
Erano ancora in quella stagione in cui il sole non tramonta troppo tardi e la sera è fresca, talmente tanto che dava fastidio alle ossa.
Decisero comunque di sedersi in veranda a parlare dei loro ultimi viaggi, delle loro ultime conoscenze.
Si abbandonarono per qualche minuti a qualche episodio strano dell'infanzia, raccontandosi e narrandosi a vicenda. La casa dello Sceriffo si trovava alla fine della via principale, poco distaccata dal resto.
In un piano rialzato rispetto al resto del centro, con una visuale quasi completa di Bodie. Se si strizzavano un po' gli occhi e si cercava di scrutare nella notte, si poteva notare in lontananza la chiesa metodista in fondo alla strada, sull'altro piano rialzato, o la stazione appena costruita.
«Come ci sei finito qui?», rise Vicky poggiando i piedi al parapetto in legno che circondava la veranda. 
«Venni chiamato qui da mio cugino, te lo ricordi? Quello stupido.»
Vicky annuì, chiedendogli con gli occhi di continuare. 
Se ne stavano entrambi seduti sulle loro sedie scomode, senza scarpe, a fumare sigari.
A sciogliere i muscoli delle spalle, ad alleviare tensioni.
«C’era stato un omicidio. Un uomo fu trovato morto dal figlio in casa sua, pugnalato al cuore», si interruppe, rise guardando in cielo, «che ironia. Si chiamava John Reddy Heart.» 
«Un omicidio non è eclatante di questi tempi», rispose l'altro, guardandogli il profilo con la coda dell'occhio.
«Non lo sarebbe stato, se non fosse che era iniziato proprio così. Un paio di animali da bestiame morti, tutti accoltellati più volte. Un anno fa, quando successe, lo prendemmo come un solito omicidio. Un nomade in cerca di oro si era intrufolato in casa, John aveva opposto resistenza ed era stato accoltellato. Insomma, terribile», raccontò enfatizzando proprio quella parola, «terribile», ripeté, «ma non strano. Semplice.»
Si voltò a guardarlo stringendosi nelle spalle, come a sottolineare la linearità di quegli avvenimenti.
«Mio cugino decise di andarsene per dei problemi suoi, a questa gente mancava uno sceriffo, quindi mi feci avanti. Conosco tutti, dal primo all'ultimo minatore. Dalla prima all'ultima puttana di ogni saloon.»
Vicky percepiva che stava per arrivare il punto.
Percepiva che il meccanismo all'interno del suo cranio stava lavorando, stava girando.
Doveva aver fatto le sue ipotesi, le sue congetture.
«Un anno fa mio cugino non collegò la morte di quegli animali all'assassinio di John, perché non ce n'era motivo. Ma adesso, ritrovare gli stessi segni su quei bovini, ritrovare gli stessi tagli, le stesse incisioni...» prese un profondo respiro, riportando il suo sguardo verso la luna pallida.
Frank aveva degli occhi così chiari che alla luce di essa sembravano quasi bianchi.
Vicky per un attimo non riuscì ad ascoltarlo, distraendosi a causa di quella particolare luce, a causa di quel dettaglio.
«Ho paura che ci scappi di nuovo il morto... ho paura che si tratti di qualcuno che conosco.»
Quando abbassò quegli occhi per rivolgergli a lui, Vicky dovette ricomporsi, distogliendo a sua volta lo sguardo.
Guardando avanti a se. Guardandosi il buco che aveva nella calza scura, con i piedi poggiati ancora al parapetto. Congiunse le mani sullo stomaco, scivolando piano sulla sedia fino quasi a sdraiarsi.
«Che ne è stato del ragazzo?» 
«Chi? Il figlio di John? Niente, è ancora lì, in quella casa», e così dicendo estese il braccio fino ad indicare una casa poco più il là sulla strada, distaccata anche lei dalle altre case, quasi isolata, dal lato della chiesa.
«Anche tu pensi che sia la stessa persona?» Chiese poi, cercando quasi una sorta di conforto nell'amico.
Vicky si strinse nelle spalle, pensando a varie possibilità, in realtà.
«Magari il ragazzo si ricorda qualcosa che ad oggi potrebbe essere importante.»
Frank scosse il capo in segno di negazione: «Lui era appena rientrato in casa quando trovò il corpo, era con il figlio degli Antrim», poi sorrise, rivangando un ricordo lontano, ripescato dall’infanzia.
«Quei due, ogni volta che li vedo, mi ricordano noi, sai?» Si prese la visiera fra pollice e indice, abbassandosela per coprirsi un po’ il viso, come a nascondersi dalla luna e dall'altro.
«Rubano anche loro la carne essiccata dal droghiere?» Chiese scherzoso e entrambi risero.
Poi un altro ricordo tornò alla mente di entrambi. Un episodio che era divenuto un tabù, come se entrambe le menti fossero collegate da un filo invisibile.
Si guardarono, allora, per non dirsi nulla, per dirsi forse tutto.
«No, nessuno era come noi», concluse lo Sceriffo, alzandosi dalla sedia e dandogli una leggera pacca sulle gambe, facendogliele cadere dal parapetto.


 
John Reddy Heart


Avevano deciso che il mattino dopo sarebbero andati a casa Heart a sentire il ragazzo.
Non che Vicky avesse molte aspettative, ma si diceva che era un buon punto da cui partire.
Erano stati ritrovati, fino a quel momento, otto bovini morti.
Si fermarono di fronte ad una piccola casa con una piccola veranda all’ingresso.
Una casa come un’altra.
Una casa uguale a tutte le altre.
Prima di bussare però, lo Sceriffo si girò verso di lui, sussurrandogli: «Ha visto la madre e il fratello minore morire di tubercolosi e poi il padre assassinato, non credo si sia mai ripreso del tutto», e così dicendo bussò sonoramente sulla porta in legno.
Aspettò qualche secondo e, ricevendo in risposta solo silenzio, bussò una seconda volta.
Nessuno andò mai ad aprire, ma comparvero dal lato destro della casa due ragazzi giovani, forse con pochi anni di differenza, entrambi col viso sporco e a piedi nudi.
«Sceriffo Wyatt», disse quello più alto, poggiandosi alle travi della casa con una spalla.
L’altro ragazzino, Vicky ne era certo, era lo stesso che aveva visto lavorare al Madrigan Saloon.
Salutò senza dire nulla, alzando solo una mano in direzione dell’altro, per poi infilarsi le scarpe nascoste sotto la veranda e correre via, probabilmente verso casa.
«John», lo presentò indirettamente all’altro, «lui è Victor Delancy, un mio vecchio amico», e indicò Vicky alle spalle per poi sistemarsi il cappello con una mano sulla testa, poggiandosele poi sui fianchi, con le gambe divaricate, «siamo qui per chiederti un paio di cose.»
John Reddy Heart Junior, questo era il nome completo.
Il ragazzo guardò prima lo Sceriffo di fronte a sé e poi il giovane uomo alle sue spalle.
Quello che maggiormente colpì Victor fu il suo sguardo.
Non era esattamente come se lo era immaginato.
Aveva dei dettagli spigolosi, magri, ma nel complesso non disturbanti. I suoi occhi erano scuri e i suoi capelli i più neri che avesse mai visto.
Basso forse per la sua età. Decisamente denutrito.
Ma tutto ciò era marginale, perché Vicky si soffermò sullo sguardo e su quello che emanava.
Sulla percezione che quello sguardo aveva su di lui.
Uno sguardo adulto, segnato.
Due occhi che erano capaci di squadrarti, come solo una persona con una grossa esperienza alle spalle può fare.
Una persona che aveva visto il mondo, che ne aveva provato le gioie e i dolori.
Non un ragazzino.
Si aspettava qualcos’altro. Qualcun altro.
Il ragazzo annuì, disincantato.
Si avvicinò al pozzetto lì di fianco, prese con entrambe le mani un po’ d’acqua dal secchio e si lavò rapido il viso, come a rendersi presentabile.
Come se avesse avuto importanza.
Si liberò dall’acqua con gesti rapidi delle mani per poi invitargli a seguirlo in casa.
Entrando, entrambi si tolsero il capello poggiandoli sul lungo tavolo in legno al centro della stanza, sedendosi.
Anche John si sedette, in quel modo strano in cui solo un ragazzino magro può sedersi.
Con le ginocchia al petto e i piedi poggiati sulla sedia, stringendosi le gambe con entrambe le braccia.
Nessuno sembrava voler parlare, John meno di tutti, ma gli invogliò alzando le sopracciglia, come se avesse fretta di fare altro.
Il primo a prendere parola fu quindi lo Sceriffo Wyatt, schiarendosi prima la gola.
«Saprai di certo di quello che sta avvenendo in questi giorni», disse.
John annuì: «La mattanza di bovini.»
«Ricordo che uccisero due bovini qualche giorno prima che-»
«Che assassinarono mio padre», concluse lui, interrompendolo.
Vicky, in quella piccola casa, si soffermò a studiare ogni superficie.
Ogni spazio.
Ogni disposizione dei mobili.
Si soffermò sul piccolo camino alle spalle di John, forse per non doverlo guardare.
C’era qualcosa in quel ragazzino che gli ricordava la sua infanzia. Qualcosa che gli ricordava se stesso e lo spaventava.
«Pensate sia la stessa persona?» John aveva inclinato la testa, come a voler incatenare il suo sguardo in quello del giovane uomo che aveva di fronte, occupandone lo spazio visivo.
Vicky non riuscì a sottrarsi, si stava rivolgendo direttamente a lui.
Benché potesse sembrare che la domanda fosse stata posta ad entrambi, Vicky sentiva che invece voleva che rispondesse proprio lui.
Trovava una certa curiosità nei suoi confronti in quello sguardo
Vicky annuì, guardando di sbieco l’amico al suo fianco: «Pensiamo che forse il bandito potrebbe essere tornato.»
Le labbra di John si curvarono leggermente in un sorriso.
«Una volta assaggiato il sangue è difficile farne a meno», disse quasi soprappensiero, per poi rendersi forse conto del tono troppo leggero con cui aveva pronunciato quella frase, «lo diceva sempre mio padre», aggiunse con un sorriso.
Era una delle poche cose che voleva ricordare di lui.
«Mio padre mi odiava, ma non si sottraeva mai dal darmi delle perle di saggezza fra una cinghiata e l’altra.»
Vicky rise sommesso, divertito quasi: «Quale padre non odia il proprio figlio?» Chiese forse a se stesso, fissandosi le mani, non notando quindi lo sguardo di John farsi sottile e attento.
«Sì,» si ricompose lo Sceriffo Wyatt, «hai ricordi di volti nuovi in quell’anno? Qualcuno che si era trasferito qui proprio in quel periodo?»
«A parte lei, Sceriffo?»
Frank quasi diventò rosso dalla rabbia per quella sottile e sottintesa accusa.
Però John non gli diede modo di replicare, continuando subito dopo: «Qui c’è la miniera, parecchia gente si trasferisce qui per lavorare. Presto saremmo troppi per queste montagne.»
Era una cosa vera quella che diceva.
Da quando avevano trovato dell’oro in quelle miniere, la popolazione aumentava di mese in mese.
Due persone in più, una famiglia in più, qualche parente che raggiunge i familiari per una vita migliore.
John aggrottò le sopracciglia poi, come colto da un terribile dubbio: «Pensate che l’assassino di mio padre non se ne sia mai andato da Bodie?»
I vicini.
I tuoi amici. Tutti sospettabili.
Però John non guardava lo Sceriffo.
John non guardava mai Frank.
Teneva la testa dritta davanti a se, piantata in un’unica direzione.
Come se lo stesse studiando. Come se volesse aprirgli il cranio per vederci dentro.
Come se stesse scrutando nei suoi pensieri, rimestando nella poltiglia di confusione con un bastoncino di legno, come Vicky e Frank facevano da piccoli con le pozzanghere.
E questo Vicky lo percepiva e lo faceva soffocare.
Nessuno dei due uomini volle sbilanciarsi con le conclusioni, così si congedarono con parole gentili, ringraziandolo.
Prima di andar via però, sulla soglia della porta, John chiese: «È un cacciatore di taglie, vero?»
Vicky, che aveva solo l’impulso di scappare da quella casa, si voltò sentendo il suo corpo troppo pesante.
«La Colt», disse indicandogliela, «nessuno tiene una Colt così pulita e lucida se non uno che la usa per mestiere.»
Era una deduzione facile. Era intuibile.
Non era uno degli uomini dello Sceriffo, né un collaboratore.
Uno straniero con il cappello da cowboy senza bestiame da rimettere in riga.
«È qui per cacciare l’assassino di Bodie?»

 
Gli animali

Fu trovato un ultimo bovino prima del primo cadavere.
Il nono.
Lontano dalla piccola cittadina, lontano dagli occhi di chiunque, anche di quelli più curiosi.
Sotto il sole cocente, Vicky si asciugò la fronte, davanti al cadavere di quel povero bovino squartato.
«Gli manca la lingua?» Chiese, come se fosse normale.
Uno degli uomini dello Sceriffo lì accovacciato alzò la testa e confermò con lo sguardo.
Vicky si mise le mani sui fianchi, guardando il suo amico. Entrambi sentivano qualcosa dentro, come la tacita conferma di tutto ciò che già pensavano.
Sarebbe passato ad altro, il loro uomo.
E così successe, infatti.
Due sere dopo il corpo di William B. Madrigan, proprietario del Madrigan Saloon, venne trovato morto stecchito ai piedi del pozzo principale.
Lì, fra la terra e la sporcizia, il sangue aveva creato una chiazza scura, quasi nera.
Il corpo era rivolto a pancia in giù, il braccio destro piegato in maniera innaturale, gli occhi spalancati.
«Gli manca la lingua?» Chiese sempre Vicky, forse allo stesso giovane uomo.
La scena fu la stessa, perché questi, piegato sul cadavere, alzò la testa e fece segno di conferma.
Guardò allora il suo amico, lo Sceriffo, il quale però non ricambiò, per quella volta.
Rimase impietrito di fronte alla scena.
Assorto.
Spaventato.
Lui era il massimo della legge in quella cittadina, eppure si sentiva di fallire giorno dopo giorno.
Vicky si chiese se non si fosse mai pentito di aver scelto quel ruolo troppo importante.
Frank Wyatt non era mai stato ragazzo da troppe responsabilità, eppure lì, di fronte a lui, c’era lo stesso Frank, con qualche anno in più, gli stivali logori e la spilla da Sceriffo appuntata al gilet di pelle sopra la camicia.
Si voltò, allora, cercando qualche punto da cui qualcuno potesse aver visto qualcosa.
Era accaduto di notte e nelle vicinanze del pozzo non c’erano molte abitazioni. Non così vicine da essere a portata di occhio, almeno.
C’era la chiesa metodista un po’ più in là.
Così, con il suo capello in mano, Vicky decise di muoversi in quella direzione, perché se c’era un uomo che poteva conoscere i segreti di tutti era proprio il pastore.
Sentì qualche passo dietro di sé e senza voltarsi, dal rumore di essi, capì che si trattava proprio dello Sceriffo Wyatt.
Si fermò davanti a quei cinque gradini d’ingresso, aspettando che l’altro gli si affiancasse.
Cominciò a studiarne la struttura, Vicky.
Così spigolosa, così simile alle altre abitazioni, se non per il piccolo campanile che troneggiava in mezzo al tetto.
Se non per l’arco acuto che decorava l’ingresso o le due finestre alte laterali.
La casa di Dio.
Non diversa da altre, come tante.
Salirono le scale e anche Frank si tolse il cappello, in segno di rispetto.
Non c’era bisogno di bussare per entrare nella casa del Signore.
Non c’era bisogno di essere invitati a sedersi.
L’interno era molto ordinato, con sei fila di panche in legno per lato, con un piccolo altarino in fondo, al centro.
Percorsero tutta la navata, attirati dalla figura di spalle inginocchiata. Vicky si concentrò sulle scarpe nere, laccate e lucide, sulla tonaca nera lunga e perfettamente pulita.
L’uomo si alzò e dalla lunga gonna dell’abito  comparve un’altra piccola figura.
Bassina, con i capelli lunghi e ispidi.
Una bambina, pensò Vicky.
Il pastore le posò una mano sulla testa e poi le carezzò la guancia.
La bambina, vedendo i due uomini avvicinarsi, riconoscendo Wyatt, senza dire nulla corse via attraversandoli, lasciando il suo interlocutore guardarla andare lontano.
Sorrideva, il pastore.
Guardò prima Wyatt, poi lo straniero.
«Sceriffo Wyatt», lo chiamò allargando le braccia, «sono passati parecchi giorni da quando l’ho vista varcare quella porta», lo schernì, quasi.
Al collo, l’uomo, aveva un collarino bianco, incrociato, che si apriva come se fossero ali.
«Pastore Kit», rispose, «ahimè, non sono qui per delle visite private o di cortesia.»
L’uomo poteva avere una cinquantina d’anni, si disse Vicky.
I capelli brizzolati, la faccia rotonda e flaccida. Si chiese che tipo di corpo grassoccio e sudaticcio si nascondesse sotto quella lunga tonaca nera.
«Lo immaginavo, ho sentito tutto il frastuono delle genti qui di fronte.»
«Ha qualcosa da dirci, Pastore Kit?» Chiese Vicky, in maniera quasi prepotente, come se qualcosa in quell’uomo gli desse fastidio.
L’altro gli rivolse uno sguardo interrogativo, duro e schietto come lo era stato lui.
«Vi presento Victor Delancy, è un amico d’infanzia, mi aiuta nella cattura del delinquente che sta facendo tutto questo.»
Il Pastore si voltò verso lo Sceriffo, impassibile.
«C’è un corpo adesso, non mi sembrano più i giochi di un delinquente.»
«Per questo siamo qui, ha notato qualcosa di strano questa notte? Qualche rumore sospetto, qualcuno in giro che gli è sembrato insolito. Oppure ha notano qualche fedele che si è comportato in maniera strana nelle ultime settimane?»
«Tendo a dormire di notte, signor Delancy, lei invece di notte cosa fa?»
Ed era troppo informale come conversazione affinché nessuno di loro la prendesse in realtà sul personale.
Vicky non rispose alla provocazione, come a fingersi superiore.
C’era davvero qualcosa che lo infastidiva in quell’uomo, ma non sarebbe riuscito a spiegarlo in maniera razionale. Era un’antipatia dettata dal semplice aspetto fisico, forse.
Dalle sensazioni che provava, senza conoscerlo.
«Il cadavere di un uomo è stato ritrovato a meno di trenta yard dalla casa del signore, questo vorrà pur dire qualcosa, non crede?»
Il Pastore Kit sembrò ammorbidirsi.
«Certo, perdonatemi. Fate solo ciò che è giusto nelle leggi degli uomini.»
«Qualche fedele ha smesso di seguir messa?»
Lo Sceriffo si era poggiato fiaccamente ad una delle panche in legno, come a sottolineare la sua stanchezza fisica e mentale.
«Escluso lei, Sceriffo?» Chiese il Pastore Kit, sorridente, «ho notato carenza di menti giovani, in effetti, nelle ultime settimane. I figli dei fedeli sembrano non voler più ascoltare la parola di Nostro Signore.»
Vicky rise, sommesso, nascondendo malamente la bocca abbassando il capo e mettendosi il cappello.
«Particolare attenzione da parte di un occhio devoto a Cristo», forse decise in quel momento cosa in quell’uomo gli desse particolarmente fastidio.
«Il giovane Heart, in particolare. Da quando il vecchio John Reddy ci ha lasciati per essere accolto da Nostro Signore, il figlio non si era mai perso un sermone. Da qualche settimana invece lo trovo sfuggevole. L’altro giorno ho incontrato lui, il figlio degli Antrim e Dalia alle poste, ma non mi hanno rivolto parola.»
«Antrim?» Chiese Vicky, sentendo il nome familiare.
Lo Sceriffo si alzò, si mise le mani in tasca e divaricò le gambe, rispondendo: «Ma sì, lo hai visto anche tu! Era quel ragazzino che abbiamo trovato insieme a John Reddy Junior quando siamo andati a fare quella chiacchierata.»
Vicky annuì.
«Bene», disse lo Sceriffo Wyatt, «venga a parlarmi se le viene in mente altro o se sente qualcosa. I Saloon e le chiese sono i salotti perfetti per chi è pettegolo.»
Così dicendo Wyatt salutò mettendosi il capello da cowboy bene in testa e voltando le spalle al Pastore, intimando con lo sguardo a Vicky di fare lo stesso.
Appena fuori la casa del Signore, entrambi, si guardarono, scendendo le scale lentamente.
«Antrim è un ragazzino buono a nulla, Madrigan lo bastonava sempre. John Reddy, invece, mi è sempre sembrato strano.»
«Ci vado a parlare io, se a te sta bene.»
Frank lo guardò per qualche secondo, calciando poi con la punta dello stivale un sassolino, stizzito, con le mani sempre in tasca.
«Si va bene, cerchiamo di cavare più ragni dai buchi. Io parlerò con Antrim, sempre se non si piscia addosso al solo vedermi.»
Vicky guardò per un attimo il suo amico, con lo sguardo basso, con sfondo i suoi stessi uomini che caricavano il corpo sul carro trainato da un cavallo.
«Hey», disse poi Frank, alzando gli occhi al sole, «l’altro giorno mi sembravi un po’ stranito da quel ragazzino. Ha la capacità di… farti sentire a disagio, in qualche modo. È particolare, stai attento.»
Vicky rise di gusto, infilandosi anche lui le mani in tasca, oscillando un po’ con il corpo.
«Ho sparato a fuori legge e cacciato assassini per tutto il continente, non sarà di certo un ragazzino a intimorirmi.»
Lo Sceriffo annuì guardando altrove, nemmeno troppo convinto.
Vicky, come a rassicurarlo di quello che diceva, gli mise una mano sulla spalla stringendo amichevole: «Penso che tu invece ne sia troppo intimorito, in fondo non può essere più strano di noi due alla sua età.»
Quelle parole sembrarono colpire particolarmente Frank, come se avesse appena bestemmiato.
Si voltò di scatto, scottato nell’animo da un significato nascosto, divincolandosi in malo modo da quella stretta che sembrava improvvisamente bruciare.
«Non so a cosa ti riferisci, Delancy… ma sta attento.»
Vicky lo guardò allontanarsi furioso, come se lo avesse insultato nella maniera più offensiva possibile.
Realizzò dopo a cosa la mente di Frank lo avesse portato a pensare.
Si mise le mani nelle tasche, incamminandosi lungo la strada principale di Bodie.
C’era un episodio nella loro infanzia di cui non avevano mai parlato.
Un “incidente”: così lo avevano definito.
Ricordò le cinghiate del padre a causa di quell’incidente.
Ricordò gli sputi.
Gli insulti.
I calci sullo stomaco, in viso.
Da quell’incidente Frank e Vicky non erano più stati amici come prima.

 
L’arresto

«Cacciatore!» Si sentì chiamare dall’altro, e alzò lo sguardo contro il sole, abbassando la visiera del suo cappello da cowboy.
Scorse una figura prima di accecarsi coi raggi del sole.
Strizzò gli occhi, facendoli diventare due fessure sottili, riuscendo a mettere a fuoco la figura di un ragazzo seduto sul cornicione della finestra, con le gambe a penzoloni nel vuoto, a piedi nudi, e le mani a stringere il telaio in legno.
«John», rispose mettendosi i pollici nei passanti dei pantaloni, sfiorando con le dita della mano destra la fondina della Colt.
«Come procede la ricerca all’assassino di vacche?»
Aveva un tono quasi canzonatorio, il ragazzino.
«Stai cercando di ucciderti?» Chiese invece.
John si sporse in avanti, quasi come se volesse davvero buttarsi, e sentì subito un’inusuale stretta alla gola. Si sentì la bocca secca, cercando di ingurgitare saliva.
Ma prima che potesse fare qualsiasi passo per correre ad afferrarlo, l’altro raddrizzò velocemente la schiena, sbilanciatosi all’indietro, muovendo le gambe.
Lo sentì ridere, di gusto, senza riuscire bene a vedere lo sguardo che gli stava rivolgendo.
«In realtà mi farei solo un gran male», rispose, sincero.
«Mi aspetti», gli disse poi alzandosi in piedi sul cornicione, per poi balzare dentro casa e scendere le scale a raggiungerlo.
Prese un enorme respiro, Vicky.
Un respiro quasi liberatorio. Si asciugò la fronte sudata, per il troppo caldo, per l’irrazionale paura.
Si chiese quanto realmente gli sarebbe dispiaciuto se Heart avesse fatto davvero quel salto.
Si rispose che forse gli sarebbe dispiaciuto molto.
Forse troppo.
Forse inappropriato.
Il ragazzo comparve alla soglia della porta, sulla veranda, ancora a piedi nudi e con le mani nelle tasche.
«L’altra volta ha detto che ogni padre odia il proprio figlio, perché lo pensa?»
Fece qualche passo in sua direzione.
«Perché ogni figlio finisce per deludere il padre.»
L’altro non si fece scoraggiare, avanzando anche lui e poggiandosi con una spalla alla trave della veranda, incrociando le braccia al petto.
«È per questo che ha pensato che fossi stato io a uccidere mio padre?» Chiese incuriosito, «non provi a negare, lo so che lo ha pensato.»
Vicky rimase a fissarlo per qualche secondo, seguendo la linea del suo contorno.
Il fianco, la spalla, il viso.
Nel mentre si sovrapponevano altre immagini. Le immagini di suo padre.
Le immagini della bottiglia.
Suo padre che beve.
Si ricorda principalmente le sue mani. Sporche, con le unghie incrostate.
Si ricorda lo sguardo che gli rivolgeva, poi, ogni volta.
Con gli occhi annebbiati dal whisky, con la cinghia della cintura in mano.
«Anche se fosse, so che ti trovavi con il tuo amico quando fu ucciso, mi sbaglio?», rispose soltanto sbattendo un paio di volte le palpebre per poi sputare a terra.
Un gesto di stizza, istintivo.
John scosse il capo in segno di negazione.
Non si sbagliava.
Lui aveva l’alibi.
«Ne avrei avuto i motivi però», continuò. Sembrava volerlo incalzare in un qualche ragionamento più che consegnarsi alla giustizia. «Il vecchio mi odiava. Non ne faceva di certo un segreto, la mia schiena lo può confermare.»
Era dunque questo che li accomunava? L’odio dei loro padri?
Vicky non voleva esporsi, aprirsi e parlare dei suoi sentimenti, di come anche lui venisse vessato da ragazzo, di come non riesca più nemmeno a stare più di qualche ora nella sua città natale di Bridgeport.
Era un ragazzino, quello di fronte a lui.
Era un estraneo.
Un ragazzino a cui piaceva giocare con le parole, uno di quelli che sanno come muoversi nelle menti delle persone. Vicky però era un adulto.
Era più grande e più esperto.
Sbuffò e concentrò il suo sguardo altrove, cercando di riprendere le redini della conversazione.
«Ieri sera qualcuno ha pugnalato Madrigan alla schiena».
John aggrottò le sopracciglia, senza muoversi dalla sua posizione.
«Non trovo particolari…», si fermò, come se stesse cercando le parole giuste, «differenze. Tra Madrigan e una vacca, si intende.»
«Queste tue parole ti possono mettere nei guai, lo sai?»
«Se tu andassi a chiedere in giro non credo che qualcuno parlerebbe diversamente. Come si dice quando si riceve quello che si merita?»
«Che intendi?»
«Madrigan era un prepotente, non sapeva perdere al gioco. Magari qualcuno gli ha semplicemente insegnato a perdere», aveva cambiato il tono di voce. Sembrava più adulto. Più grande.
Una voce profonda, da brividi alla schiena.
«Strana coincidenza», disse cercando di non farsi sfuggire nessuna sfumatura.
«Nè io né lei pensiamo che lo sia, infatti.»
Il modo in cui gli si rivolgeva, lo sguardo, la piega delle labbra: tutto indicava che in qualche suo strano e malato modo stava giocando.
Ma Vicky di criminali ne aveva visti, ne aveva catturati e ne aveva ingannati.
Eppure in John Reddy Heart c’era qualcosa che lo spingeva anche a giustificarlo. Una certa ombra velata nella voce o nella luce degli occhi, una virgola nei suoi movimenti, un sospiro di troppo, un qualcosa, insomma, che lo destabilizzava.
Nel profondo, il suo istinto, gli urlava che John c’entrava qualcosa con tutto ciò che stava accadendo, eppure, una voce ancora più profonda, più roca e soffocata, sussurrava: “Lascialo fare”.
Quella voce però Frank non la sentiva, perché arrivò da dietro, spedito, a grandi falcate.
Superò Vicky, guardò con occhi sottili John, e poi gli fece cenno di andare sul retro della casa, senza salutare, senza parlare.
Gli uomini dello Sceriffo lo precedettero con delle pale in mano, andando a scavare nell’angolo destro, nel terreno su cui poggiava il legno della struttura.
Il terreno era stato smosso da pochissimo e in pochi minuti, come Frank si aspettava, i suoi uomini tirarono fuori un fagotto sporco di sangue rappreso e terra.
Vicky gli si avvicinò, ma lo Sceriffo lo tenne lontano alzando un dito, senza mai guardarlo.
John se ne stava lì, con alle spalle altri due uomini più alti e massicci, con i capelli da cowboy e gli speroni agli stivali.
Braccia conserte, sguardo perso, vuoto.
Passarono allo Sceriffo il fagotto e lui lo prese tra le mani con cura, soddisfatto, aprendo lembo dopo lembo, scoprendo una lunga lama affilata che concludeva con un impugnatura in osso bianco, sporco e rovinato.
Vicky guardò il suo amico, poi guardò il ragazzo.
Era come trovarsi a riva con lo sguardo rivolto verso l’orizzonte, oscurato dall’enorme onda anomala che ti sta per travolgere e annegare.
John guardava la lama, spento e anonimo nell’espressione, ma Frank guardava lui, invece, leccandoli le labbra, eccitato.
«John Reddy Heart sei accusato dell’omicidio di William B. Madrigan.»


 
L’incidente


Kyle Antrim aveva detto qualcosa allo Sceriffo su quel coltello. Nessun particolare, nessuna motivazione. Solo che avevano seppellito un coltello insanguinato.
Non servivano altre prove.
Un cadavere, un’arma ancora calda e fumante. Sei colpevole.
Wyatt arrestò sia Antrim che Heart.
Vicky aveva cercato di parlare con lo Sceriffo, ma sembrava che quest’ultimo fosse troppo concentrato sul trovare altre prove per avvalorare la sua teoria che sul cercare realmente la verità.
Vicky assistette a tutto quello in maniera passiva, senza proferire nessuna parola. C’era ancora quella voce dentro di lui, che aveva preso coraggio e urlava: “Lascialo fare”.
Guardò i due ragazzini dietro le sbarre, sporchi e a piedi scalzi, così diversi.
Il sole era ormai calato dietro le montagne e la luna e i ceri illuminavano la strada principale e accentuavano le ombre di quella stanza grande e allo stesso tempo soffocante.
Disse all’uomo di guarda, seduto dietro la piccola scrivania in legno, di andare a farsi un giro, così da poter stare da solo con entrambi.
Antrim e Heart si trovavano in due piccole celle, una affianco all’altra, comunicanti, strette, senza finestre.
Kyle era accovacciato in un angolo, con le gambe strette al petto e il volto nascosto in esse.
John invece era in piedi, di fronte a lui, con le braccia poggiate alle sbarre, a fissarlo incuriosito.
«Lo sai che non sono stato io vero?» Gli chiese una volta che Vicky si sedette sulla sedia di fronte a entrambi.
Finalmente da solo, con i due volti della medaglia.
Antrim non si muoveva, John non si spaventava.
«Di chi è il sangue su quel coltello?»
«Non di Madrigan», rispose semplicemente.
«Di chi è?» Chiese nuovamente, senza scomporsi troppo.
Lascialo fare”, continuava la sua voce interiore.
John gli sorrise, troppo spontaneo e destabilizzante, ma Vicky era bravo a far finta di nulla.
Antrim alzò il volto, poco, il giusto per puntare i suoi occhi corrucciati e lucidi sul cacciatore di taglie.
«Non ho mai detto che abbiamo ucciso noi Madrigan, perché siamo qui?»
John si voltò alla sua sinistra, in direzione della cella di Antrim, come se potesse vederlo lì per terra.
«È rannicchiato in un angolino, vero?» Chiese a Vicky, divertito.
Non sembrava gli servisse avere conferma.
«Sei ancora un ragazzino impaurito, Kyle, speravo di averti fatto diventare uomo», lo punzecchiò.
Parlava rivolto al muro, come se lo avesse di fronte.
Lo stesso faceva Kyle, con il volto rivolto in sua direzione. Sembrava volesse solo scavare una profonda buca per nascondercisi dentro.
«Io sono un uomo!» Rispose freddo, a denti stretti.
John rispose con un verso di stizza, per poi poggiarsi di nuovo alle sbarre, leccandosi le labbra.
Decisamente John non sembrava un ragazzino.
Più lo guardava e più si sentiva che lo stava divorando.
Dentro.
Internamente.
Si sentiva consumato.
«Di chi è il sangue su quel coltello?» Chiese ancora una volta, ma non si sentiva padrone della situazione. Non provava quelle sensazioni da anni.
Si sentiva impotente, inerme.
Così come si sentiva impotente da ragazzino, quando il padre lo picchiava e gli sputava addosso.
«Che importanza ha?» Rispose semplicemente John, ridendo.
«Vi state concentrando troppo sui piccoli dettagli, su cose insignificanti che a voi sembrava avere senso senza riuscire a cogliere il quadro generale, senza riuscire a vedere i segnali.»
Vicky rimase interdetto da quelle parole, saettando lo sguardo da John a Kyle, come a cercare di capire, di leggere fra le righe.
Antrim fissava il muro, ancora con le braccia strette attorno alle ginocchia, trattenendo il respiro.
Lo sguardo che rivolgeva a John, quello che lui stesso non poteva vedere, era di puro odio.
John invece lo fissava, incatenandolo in una sorta di trappola mentale, giocando e facendo leva sulle sue curiosità.
«Anche suo padre la picchiava, vero?» Spezzò il silenzio, facendogli perdere qualche battito.
«Sono bravo a leggere le persone, gliel’ho detto. È la mia missione. Dà la caccia ai fuorilegge perché nel profondo vuole che qualcuno avesse fatto lo stesso col suo vecchio anni fa? Ci parla ancora con lui?»
Antrim chiuse gli occhi, esasperando i suoi sentimenti in un sospiro rumoroso, in uno sbuffo disperato.
«No… dal suo sguardo non ci parla da anni. Lo sta evitando, o forse è morto e non ha mai avuto il coraggio di andare sulla sua tomba. Perché nonostante tutto, nel profondo, si sente in colpa per non essere stato il figlio che lui desiderava.»
Vicky si alzò di scatto, come a volerlo prendere a pugni, ma Frank e due suoi uomini irruppero nella stanza proprio in quel momento, con lo sguardo nero e le mani tremanti.
I due uomini aprirono le celle, contemporaneamente, e Vicky si voltò di scatto verso il suo amico, con sguardo interrogatorio.
Sguardo che venne abilmente evitato, stropicciandosi la faccia dalla frustrazione.
«Liberi», disse John tendendo una mano verso il suo amico, ancora accovacciato per terra.
Antrim guardò prima la mano, poi lui, per poi afferrarla e tirarsi su.
«Fuori», intimò lo Sceriffo con un cenno del capo, facendoli scortare dai suoi uomini.
Prima di lasciarli, John, si rivolse verso Frank, dicendo: «Sceriffo, la informo che io e Kyle partiremmo domani mattina, qui noi non abbiamo più niente.»
Wyatt schioccò la lingua in bocca, ridendo nervoso. Non aveva prove, non aveva testimoni. Stava già fallendo come Sceriffo e condannare a morte due ragazzini senza riuscire a dar fine a quegli omicidi non avrebbe giovato alla sua carriera.
Quando furono soli, Vicky chiese a Frank cosa stesse succedendo, ma lo Sceriffo semplicemente si tolse il suo cappello poggiandolo al tavolo, sbuffando stanco e sedendosi.
Erano passati pochi giorni da quando era in quella cittadina, eppure Vicky lo vedeva invecchiato.
«Hanno trovato il cadavere del Pastore Kit in chiesa, al centro della navata. Gli manca la lingua.»
Disse soltanto nascondendo il viso fra le mani.
«Abbiamo parlato con lui questa mattina, loro sono stati arrestati poco dopo, non avrebbero mai avuto il tempo materiale per farlo, possibile che nessuno abbia visto niente?»
«È stato ucciso poco prima della messa serale, il sangue era fresco quando i fedeli lo hanno trovato.»
Così dicendo si alzò e si rimise il capello, pronto ad andare alla nuova riunione cittadina straordinaria dove lo aspettavano urla, rancore e insulti.
Ma Vicky gli si mise davanti, costringendolo a guardarlo.
«Spiegami perché è da prima che mi eviti, mi hai chiesto tu di rimanere ad aiutarti, fosse per me me ne sarei già andato da giorni.»
«Puoi andartene quando vuoi, non sono grane che ti appartengono.»
Vicky ebbe l’impulso di colpirlo, ma si trattene impaurito dalla possibile risposta.
«Qual è il tuo problema? Possiamo parlarne.»
«Non c’è niente di cui parlare, proprio niente di cui parlare. Non ne abbiamo parlato per anni e mai ne parleremo», si mise le mani in tasca e fissò lo sguardo a terra, scuotendo un po’ il capo.
«Ah… avevo ragione. Perché diamine ci stai pensando, eh? Perché mai ti è venuto in mente?»
«E a te no? Appena ti ho visto al saloon, appena ti ho riconosciuto, ho rivisto noi due da ragazzini. Ho risentito nella mia testa gli insulti di tuo padre, le botte», rise amaramente, «la mia spalla non si è mai ripresa.»
«Non ne dobbiamo parlare», disse subito Vicky, evitando ora lui il suo sguardo.
Incoerente. Codardo.
Come è sempre stato, come indirettamente gli ha detto John.
Ecco come lo faceva sentire. Ecco il motivo per cui provava quella sorta di ammirazione malata e contorta nei confronti di quel ragazzino.
Lo guardava, lo giudicava, e lo faceva sentire un codardo. Come se, senza proferire nessuna parola, gli dicesse di aver fallito nella vita per non aver mai cercato realmente la sua libertà. La sua identità.
«No infatti, non ne parliamo. Guardiamo alle nostre vite di adesso… fare il cacciatore di taglie è un ottimo modo per trovare moglie, vero?»
Si erano baciati.
Da ragazzini, nel retro del droghiere. Per sbaglio, per un attimo.
Per due secondi,  ma forse meno, le loro labbra si erano toccate.
Si erano detti che era stata curiosità infantile. Si erano detto che mamma e papà lo facevano sempre.
Ma il padre di Vicky aveva finito le compre nel negozio e nel cercare i due li aveva trovati proprio in quell’istante.
Un uomo che beveva ogni sera. Un uomo che era figlio dei suoi tempi, del suo secolo, delle sue religioni.
Da allora Vicky e Frank non erano più stati così amici.
Anche crescendo nessuno dei due aveva mai ricercato la compagnia di nessun uomo, perché le botte prese ancora bruciavano.

 
La missione

Quella mattina il treno sarebbe partito alle nove in punto.
Vicky non aveva dormito, ci aveva pensato su tutta la notte.
Aveva bisogno della sua conclusione, così aspettò i due ragazzi alla stazione, vedendoli finalmente in lontana che si spingevano l’un l’altro, con ai piedi due paia di scarpe logore.
John Reddy Heart lo guardò e disse qualcosa al suo amico, il quale fece un cenno di saluto all’uomo per poi correre sulla carrozza, eccitato. Non vi era più nessuno sguardo di odio. Solo gli occhi di chi ha fame del mondo.
«È venuto a salutarmi, cacciatore di taglie?» John gli si fermò proprio davanti, inclinando leggermente il capo.
Vicky prese la visiera del suo cappello da cowboy fra le dita, abbassandola un po’.
«Hai ucciso tu tuo padre, vero?»
John Reddy Heart, sacca in spalla e sorriso sulle labbra, lo guardò dal basso della sua statura.
«Ho fatto solo quello che forse lei ha solo immaginato di fare.»
Vicky si sentì cedere le gambe, come non avesse più il controllo dei suoi arti.
Ipotizzare, immaginare, erano considerazioni lontane, astratte.
Qualcosa a cui pensi ma che non immagini reale.
Averne certezza però, averne conferma, era come sentirsi un cappio alla gola.
Sentiva le sue interiora liquefarsi, forse avrebbe vomitato in un angolo, più tardi.
«Perché?» Chiese soltanto, ma, in fondo, la risposta non la voleva realmente.
Denunciarlo era la cosa giusta da fare, ma lo avrebbe fatto una volta visto salire su quel treno, lontano.
Glielo doveva.
Non sapeva perché, ma se lo sentiva.
John Reddy Heart scosse il capo, quasi deluso.
«Perché piegarci alle ingiustizie? Perché piegarsi alla prepotenza?» Chiese invece, cercando di incatenare i suoi occhi a quelli dell’altro, «Perché accettare le vessazioni di un uomo adulto frustato dalla sua vita, fra puttane e conti che non tornano? Perché accettare di essere toccati da uomini che hanno votato la loro vita a Dio?» Lo guardava ma Vicky cercava di non ricambiare.
Così fece qualche passo in avanti, attirando inevitabilmente il suo sguardo.
Una volta che Vicky ebbe il coraggio di guardarlo, di nuovo, come sempre, ma con qualche consapevolezza in più negli occhi.
«Perché accettare le cinghie di un padre che non ti vuole per quello che sei?»
«Non è una giustificazione, non sono motivi.»
«Sono soluzioni, però.»
«Hai ucciso tutte quelle persone?» Chiese ma John scosse il capo, sempre più deluso.
«Pensavo che avesse capito, ogni debole deve combattere il proprio prepotente.»
Sentirono Kyle urlare dal vagone, gli disse di sbrigarsi, che stavano per partire.
«Cosa ti lega a lui?» Era realmente curioso, perché in quella storia c’erano davvero troppi tasselli che mancavano.
«La stessa cosa che lega tutti noi reietti della società. C’è un filo sottile fra noi, quelli vessati dalle persone che ci circondano. Io avevo mio padre, Antrim aveva Madrigan, Dalia, la figlia degli Hampton, aveva il Pastore Kit. Ogni animale ha il suo cadavere. Siamo tutti collegati, siamo stati deboli, ma adesso siamo liberi.»
«Perché stai andando via?»
«Kyle ha un cugino a Santa Fè che si è risposato, dice che la vita lì non è male. Signor Delancy io qui ho finito, ora vado a liberare altri reietti da altri prepotenti.»
Così dicendo, senza salutare a dovere, si voltò e si diresse in direzione della carrozza, richiamato dal fischio di partenza.
Ma fu proprio in quel momento, in quell’esatto istante, che nella mente di Victor balenò un dubbio.
Uno di quelli atroci.
Uno di quelli spaventosi.
«Aspetta… che cosa vuol dire che ogni animale ha il suo cadavere?»
Ma il treno fischiava troppo forte e le cinghie avevano cominciato a girare.
Attorno a lui i cari salutavano altri cari e cominciò a muoversi insieme a quel cavallo di ferro per avere le sue risposte.
«A quanti ragazzini hai insegnato ad uccidere?»
Ma John Reddy Heart lo salutava con la mano, ridendo, ripetendo di averli solo liberati dall’oppressore.
«Dì a Wyatt quello che è successo, quello che abbiamo fatto», una volta che il treno prese velocità, continuò urlando: «Non sopporto di sapere che si crogioli nei dubbi per tutta la vita.»
Col fiato corto Vicky si fermò.
Quella sera ci sarebbe stato un altro cadavere.

 
Fine





Delucidazioni: Doverosissime, dato che temo non si capisca granché. Si basa molto sul detto non detto e sull’interpretazione dei legami che collegano i vari personaggi.
John Reddy Heart è un manipolatore, il quale, dopo aver ucciso il padre e aver chiesto all’amico di coprirlo, decide che avrebbe votato la sua intera esistenza nella “liberazione degli oppressi”.
John è omosessuale e questo il padre lo sentiva e lo rifiutava, così come lo è Vicky. A differenza di Vicky, però, John non ha intenzione di opprimere la sua natura. É un personaggio visionario per i tempi.
Per questo recrimina a Victor il fatto di non aver mai ricercato la sua libertà. 
D’altra parte Vicky è attratto da John, non a livello sessuale, più a livello mentale. Più perchè percepisce in lui una libertà che lui non si è concesso. Perché a tratti John sembra che lo stia capendo, per poi sbattergli in faccia la sua codardia nell’aver scelto di reprimersi e scappare piuttosto che affrontare ciò che lui è realmente.
John invece vede in Victor ciò che lui non vuole essere da grande. Un uomo che reprime i suoi impulsi, che si preclude di poter amare perché non ha mai chiuso definitivamente col padre.
John e Kyle non stanno insieme, sono davvero migliori amici. Kyle era trattato malissimo dal suo datore di lavoro, per questo John gli insegna come uccidere. John aveva premeditato l’omicidio del padre e si era allenato uccidendo due bovini.
Per questo gli omicidi sono preceduti dalla mattanza di bovini. È l’addestramento dei suoi adepti.
Non c’è solo Kyle infatti, oppresso, ma anche Dalia, la bambina che incontrano in chiesa. Sono inciampata nel cliché del prete con tendenze pedofile.
Così come seguiranno poi altri omicidi.
Il cognome di Kyle non è a caso, infatti Antrim è anche uno dei cognomi usati da Billy the Kid.
Il cognome del secondo marito della madre, con cui si trasferisce a Santa Fè.
Il cugino di cui John parla è proprio il patrigno di Billy.
Mi piace l’idea che John possa incontrare Billy e che insieme possano fare meraviglie.
Di storie su Billy the Kid ce ne sono a bizzeffe, ma tutte concordano sul suo odio nei confronti dei prepotenti.
Il coltello (o meglio il sangue sul coltello) è un MacGuffin, nel cinema è un oggetto che si crede realmente importante nella storia, ma che in realtà si rivela insignificante (Valigetta di Pulp Fiction, i soldi rubati in Psycho).
Semplicemente era il coltello con cui John faceva allenare i ragazzi.
Antrim, durante il suo colloquio con Frank, essendo comunque un ragazzino spaventato che ha appena commesso un omicidio, non freddo e calcolatore come John sperava di avergli insegnato, si lascia sfuggire quel dettaglio.
Bodie è una città fantasma ora, davvero suggestiva.
Tutti gli edifici che descrivo, così come il pozzo, sono presi dalle foto di Bodie ad oggi. Si trova in california a poco meno di 18 km da Bridgeport.
Bodie negli anni della storia (ho perso il foglio degli appunti in cui avevo scritto l’anno esatto in cui è ambientata, ma dovrebbe essere 1817) è ancora in fase di sviluppo. Non è ancora la grande città con più di trenta saloon, ma la via di mezzo in cui tutti migrano per cercare di far fortuna con le miniere.
Le foto le potete trovare a questo link: https://www.viaggi-usa.it/citta-fantasma-bodie-west/ Sicuramente ci saranno altre cose che ora mi sfuggono, ci sono un sacco di cose non dette, perché è più una storia da rileggere e rileggere per poter cogliere tutti gli indizi. Che poi è presuntuoso da dire, ma solo magari conoscendo il finale si può intuire tutto il corpo della storia.
Detto questo, spero di non aver fatto un pessimo lavoro.
Grazie a Mystery_koopa per il Contest e per avermi spinta a cimentarmi in un genere in cui non ho mai scritto, e forse dopo questa qualcuno dirà anche che era meglio mi facessi gli affari miei.





 

 

  
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