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Autore: edoardo811    27/03/2021    5 recensioni
La pace ha continuato a regnare al Campo Mezzosangue, gli Dei si sono goduti molti anni di tranquillità. Ma la pace non è eterna.
La regina degli dei Amaterasu intende dichiarare guerra agli Olimpi, mentre un antichissimo mostro ritornato in auge si muove nell'ombra, alla ricerca di Ama no Murakumo, la leggendaria Spada del Paradiso.
EDWARD ha trascorso l'intera vita fuggendo, tenuto dalla madre il più lontano possibile dal Campo Mezzosangue, per ragioni che lui non è in grado di spiegarsi, perseguitato da un passato oscuro da cui non può più evadere.
Non è facile essere figli di Ermes. Soprattutto, non è facile esserlo se non si è nemmeno come i propri fratelli. Per questo motivo THOMAS non si è mai sentito davvero accettato dagli altri semidei, ma vuole cambiare le cose.
STEPHANIE non è una semplicissima figlia di Demetra: un enorme potere scorre nelle sue vene, un potere di cui lei per prima ha paura. Purtroppo, sa anche che non potrà sopprimerlo per sempre.
Con la guerra alle porte e forze ignote che tramano alle spalle di tutti, la situazione sembra farsi sempre più tragica.
Riuscirà la nuova generazione di semidei a sventare la minaccia?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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34

Onore e orgoglio 

 

 

Un giorno, si augurò Stephanie, avrebbero potuto ripensare a tutto quello che era successo quella settimana e farsi sopra una grossa risata. Certo, prima sarebbe dovuta arrivare alla fine, della suddetta settimana.

Una cosa era certa però: se fosse tornata al Campo Mezzosangue, avrebbe posato armi e armature e si sarebbe dedicata alla coltivazione dei fiori per il resto della sua vita.

Sentiva il cuore in gola per la tensione, e non era solo perché stavano per affrontare chissà quali pericoli. Quel luogo… emanava un’energia insolita, qualcosa di strano, di oscuro, di incomprensibile. La stessa energia che emanava Edward quando maneggiava la Spada del Paradiso, quella che giusto un giorno prima aveva fatto impazzire i suoi sensi e l’aveva portata a combattere contro di lui. Come aveva detto Chirone, quello era il luogo in cui la cultura orientale era più marcata. Loro, semidei greci, erano estranei lì dentro. 

Lei era estranea. Ogni erbaccia, ogni radice rimasta sotto quel pavimento di marmo stava cercando di comunicare con lei per farsi liberare e radere al suolo quel luogo. Doveva uscire da lì e al più presto. 

Konnor e Talia non avevano più detto una parola da quando si erano separati da Tommy e gli altri. Marciavano con cautela tra le esposizioni nella penombra, coi sensi affinati al massimo. Erano tesi anche loro e Steph si domandò se fosse per gli stessi motivi.

Procedettero in relativa calma per un paio di mostre, fino a quando non misero piede in quel grosso salone con sculture e quadri di personaggi a lei sconosciuti. Si domando se tra qualcuno di quelli vi fossero anche gli dei orientali. 

Una porta sbatté dall’altro lato del salone, facendola sussultare. Qualcuno entrò, ritrovandosi sul lato opposto rispetto al loro. Non appena Steph notò le corna che spuntavano da sotto un cappuccio nero si irrigidì: quello era il mezzo demone, Naito.

Quello spalancò l’occhio quando li vide. «E voi chi diamine siete?!»

Konnor fece un passo avanti, come a volersi frapporre tra il demone e Steph. «Dov’è Edward?»

«Hm? Ma tu…» Naito sogghignò. «… ma tu sei il piccolo dio del treno! Non pensavo che ti avrei mai rivisto… o perlomeno, non in piedi.»

«Rispondi» disse Konnor, impassibile. «Dov’è Edward?»

Naito posò lo sguardo sui tre semidei, studiandoli uno ad uno. Stephanie sentì il sangue gelarle nelle vene. Quel tizio sembrava uno zombie. 

«Voi sareste i suoi rinforzi? Due piccoli dei…» Naito studiò Talia con scrupolo. «… e una servetta? Non mi sorprende che siate arrivati solo ora.»

Talia attivò l’Egida. «Dicci dov’è Edward e arrenditi, o verrai spazzato via.»

Il mezzo demone posò lo sguardo sullo scudo e fece una smorfia. Non sembrava intimorito dall’arma, solo infastidito. «Il vostro amico non ce l’ha fatta. Siete arrivati tardi.»

Stephanie si portò le mani di fronte alla bocca, inorridita. Si augurò che Naito stesse solo mentendo. Il solo pensiero di aver lasciato Edward da solo a morire dopo che aveva salvato tutti loro… non poteva accettarlo.

«Non preoccuparti, ragazzina» gracchiò Naito, volgendole un cenno del capo prima di rivolgerle un inquietante sorriso. «Lo rivedrete molto presto.»  

Sguainò una spada scarlatta e si avvicinò a loro. Stephanie capì immediatamente che la via del dialogo era appena stata sbarrata. Talia bracciò lancia e scudo e si preparò.

«Steph…» sussurrò Konnor, afferrandole un braccio. «… noi lo tratteniamo. Tu va avanti e cerca Edward.»

«Ma… ma ha detto che…»

«Naito ha detto tante cose» tagliò corto Konnor. «Ed erano tutte menzogne. Però Fujinami ha detto che Edward era ferito, quindi non c’è molto tempo. Trovalo.»

Stephanie esitò. Non voleva lasciare Konnor e Talia soli ad affrontare Naito, tuttavia sapeva anche che il tempo che avevano non era più molto. «Va bene. Però… fai attenzione.» Ripensò a ciò che Naito aveva fatto a Konnor già una volta. «Non… non voglio che…»

Konnor le posò una mano sulla spalla, rivolgendole uno dei suoi rari sorrisi. Sembrava davvero determinato. «Non preoccuparti per me. Trova Edward. E…» Qualunque cosa volesse dirle, parve ripensarci. 

«Che state confabulando?» domandò Naito, puntando la spada verso di loro. «Vi state dicendo addio? Allora forse dovrei…»

Talia lo interruppe urlando a perdifiato, buttandosi su di lui con la lancia sguainata. Il sorriso divertito di Naito svanì quando le loro lame si incrociarono. 

«Vai. Ci pensiamo noi» concluse Konnor, piazzandosi di nuovo di fronte a lei. 

Steph era sicura che il figlio di Ares non aspettasse altro che pareggiare i conti con il mezzo demone, ma ancora provò un moto di angoscia. Il pensiero che potesse succedergli qualcosa di brutto divenne insopportabile. 

«Fa attenzione» ripeté.

«Anche tu. Ci vediamo dopo.»  

E detto quello, Konnor estrasse la spada e si lanciò nella battaglia. Stephanie lo osservò sferrare potenti attacchi contro il mezzo demone, che fu costretto ad arretrare sotto la pressione dei suoi colpi e di quelli di Talia, in aggiunta al potere dell’Egida che, malgrado Naito non fosse un mostro comune, sembrava comunque riuscire a rallentarlo. 

«Dove vai?!» protestò il mezzo demone quando si accorse del suo tentativo di sgusciargli alle spalle. «Torna qu…» 

S’interruppe quando Konnor schiantò la spada sulla sua. Naito digrignò i denti e indietreggiò, mentre Talia lo attaccava di lato con la lancia. Steph ne approfittò per lasciare la stanza. Konnor stava correndo un grosso rischio per lei, non l’avrebbe deluso.

Procedette per il museo di corsa, cercando in ogni direzione. Quel posto era un labirinto, credeva che ogni suo passo la stesse conducendo in una trappola. Cultura orientale e greca, una pessima combinazione. 

Entrò nell’ennesima stanza, una mostra di antiche lance, balestre e armature e notò una zona ristretta al pubblico, con il cordone tagliato a metà. Qualcuno era passato di lì e quel qualcuno non era felice. Forse Naito, o forse…

Non perse tempo e corse verso lo stanzino. Non appena vi entrò, sentì il sangue raggelarsi nelle sue vene: «Edward!»

Lo aveva trovato. A terra, ferito, immobile. 

«No, no, no!» 

Stephanie si chinò accanto a lui, con le lacrime agli occhi. Controllò il suo battito, il suo respiro, lo chiamò a squarciagola. Nessuna risposta, nessun segno vitale. Prese una delle fialette di Acqua di Luna che le cacciatrici le avevano dato e ne versò tutto il contenuto tra le labbra di Edward, pregando che sortisse qualche effetto, ma non c’era niente da fare. Non c’era più. Era troppo tardi. 

«Edward…» mormorò, singhiozzando. «No…»  

Sapevano tutti a cosa andavano incontro vivendo quel tipo di vita, ma era la prima volta che le capitava di trovarsi in quella situazione. E per lei fu una volta di troppo. Ripensò al giorno in cui aveva incontrato quel ragazzo diffidente e scontroso al quale aveva illustrato il campo. Sembrava passata un’eternità. Di tutte le cose che sarebbero potute accadere da allora, quella era l’ultima che si sarebbe aspettata, e sicuramente ciò di più lontano possibile da quello che avrebbe voluto. 

Si vergognò di aver dubitato di lui. Se solo Edward avesse detto la verità, se solo non avesse deciso di fare tutto da solo... ma purtroppo lui era fatto così. Quando decideva che una cosa andava fatta in un modo, non c’era verso di fargli cambiare idea.

«Sei sempre stato un testone…» bisbigliò, accarezzandogli la guancia. «Ma hai sempre voluto il bene di tutti noi… grazie, Edward.» 

Venne colpita da un altro scossone e le lacrime scesero col doppio dell’intensità. Si chinò sul suo petto freddo, piangendo a dirotto. «G-Grazie…»

Non aveva idea di come sarebbe riuscita a dire agli altri la verità. Edward aveva portato a termine la sua impresa, però loro avevano fallito. Avevano fallito come compagni, come amici. 

«… agi… o… urugi…»

Una voce roca provenne alle sue spalle. Stephanie trasalì e si voltò. Un uomo in armatura barcollò dentro la stanza, tenendo premuta una mano sopra il volto ricoperto di un liquame blu. Tra le fessure delle dita, Stephanie notò un’iride rossa come il sangue. 

«… anagi… o… urugi…»

Una strana sensazione avvolse il corpo della ragazza. Proprio come gli dei, quell’individuo emanava un’aura dal proprio corpo. Per quanto malconcio sembrasse, per quanto in trance, Stephanie provò comunque un terrore viscerale nei suoi confronti. 

«Ah… ahhh…» L’uomo staccò la mano dal volto, rivelando una ferita orripilante che arrivava da fronte a mento, come se fosse spaccato a metà. La sua pelle era bluastra e squamosa, i denti affilati e sporchi. «Kusagio…»

Avanzò verso di lei. Stephanie si alzò in piedi. Sentì il bisogno impellente di fuggire da lì e non voltarsi più indietro, ma allo stesso tempo le sembrò di avere le gambe paralizzate. Notò chiazze scarlatte sparpagliate sull’armatura di quell’essere, spaventosamente simili a sangue. Anche i denti ne erano impregnati. 

«…ore wa… oko… i… aru?» Incrociò lo sguardo di Steph e fu come se una mano le avesse appena stretto la gola. «Dov’è… la spada?»

Quella domanda riuscì a farla riscuotere. Si mosse di un passo indietro, allontanando le mani dal corpo e mostrando i palmi vuoti. «I-Io non…» 

All’improvviso, Stephanie realizzò. A causa della paura era andata in blocco totale, ma ora che riusciva a ragionare di nuovo in maniera lucida non ebbe dubbi: quello… quello era Orochi. 

«Dov’è…» L’uomo serpente fece un altro passo, accorgendosi di Edward. Gli rivolse un’espressione di puro odio. «Kono yarou…» 

Stephanie assottigliò le labbra e si frappose tra loro due, ignorando la sensazione di paura. Non avrebbe permesso a quel mostro di avvicinarsi al suo amico. «La spada non c’è più.»

«Co… cosa?»

«La spada è stata restituita» disse Stephanie, stringendo i pugni. «Non c’è più.»

Orochi rimase in silenzio per qualche secondo, impassibile. Osservò lei, poi Edward, poi un punto alle spalle della ragazza, dove si trovava un espositore con una katana. La targhetta recitava che si trattava proprio della Spada del Paradiso, ma Steph aveva visto l’originale, e quella non ci assomigliava per niente. E Orochi sembrò pensare lo stesso, perché spalancò gli occhi. «Īe…»

Disse qualcosa che Stephanie non comprese e rimase immobile, come in trance. Steph non aveva idea di come agire. Orochi era ancora vivo. Certo, era ferito, ma era vivo. 

Improvvisamente, Orochi tornò ad osservarla, per poi rivolgerle un freddo sorriso. «Quindi ho perso la mia spada… non importa. Mi serviva per rovesciare gli dei, ma per uccidere voi cuccioli non è necessaria.»

Scattò verso di lei. Se non fosse stato per i suoi riflessi da semidea, Stephanie non sarebbe mai riuscita a schivare la sua mano artigliata puntata verso il suo volto. Si gettò di lato, rotolando a terra e rimettendosi in ginocchio. L’uomo serpente non le diede nemmeno tempo di riprendere fiato. La attaccò ancora, e ancora, muovendosi con una rapidità disarmante. Non c’era più nessuna traccia dell’individuo ferito e barcollante, si muoveva come se quell’enorme squarcio sul volto non esistesse nemmeno. 

Si gettò di lato un’altra volta e la mano di Orochi sfondò una teca piena di armi. L’uomo si scrollò via le schegge di vetro come se fossero state briciole di pane e sogghignò. «Se davvero speravate di sconfiggermi non sareste dovuti arrivare con un esercito di vergini. Vi ringrazio comunque per il dono, il loro sangue era delizioso.»

La figlia di Demetra spalancò le palpebre. Le vergini… erano le cacciatrici! Il suo sguardo scivolò sul sangue di cui la sua armatura era imbrattata e sbiancò.

«E anche tu, piccola dea…» Orochi ruppe un altro vetro e afferrò una lunga katana dall’espositore. «… anche tu odori come una vergine.»

Stephanie sentì la propria pelle accapponarsi. Quel mostro aveva ucciso delle cacciatrici. Aveva bevuto il loro sangue. Nemmeno in un incubo la sua mente avrebbe potuto raffigurare una scena raccapricciante come quella. 

«Sì… sì, è quello sguardo ciò che voglio…» Orochi distese il suo sorriso malato. «Quella paura… quel terrore nei miei confronti… presto tutti si ricorderanno cosa sono in grado di fare… con o senza Kusanagi-no-Tsurugi, vi ucciderò tutti. E dopo toccherà agli dei.»

La profezia aveva parlato di sangue di vergine. Steph non poteva sapere se era il suo, quello delle cacciatrici, o perfino quello di Rosa. E non era affatto intenzionata a scoprirlo. Si alzò in piedi e fronteggiò Orochi. Aprì le mani, puntandole verso il pavimento. Aveva detto agli altri che non voleva più combattere, ma non poteva rimanere immobile di fronte a quel mostro, non dopo quello che aveva fatto, non con tutto quello che avrebbe potuto fare se lei non lo avesse fermato. Aveva paura, ma vedere quell’essere sorridere soddisfatto in quel modo, dopo aver ammesso le atrocità che aveva appena commesso le stava facendo ribollire il sangue nelle vene. 

Percepì erbacce e radici nascoste sotto il pavimento di marmo, furibonde tanto quanto lei, braccate anche loro da un mostro, ma di cemento. Le chiamò e quelle risposero al suo comando.

Orochi tornò all’attacco, questa volta brandendo la spada. Le radici sfondarono le piastrelle, afferrandolo per le braccia e le caviglie. L’espressione beffarda del rettile svanì quando si ritrovò immobilizzato, con la katana che gli cadeva di mano. 

Stephanie digrignò i denti e scaraventò Orochi contro la parete opposta alla loro, distruggendo altre teche, in un inferno di vetri in frantumi e armi che cadevano. 

«Uh…» Orochi barcollò in avanti e cadde in ginocchio, con la schiena coperta di schegge di legno e vetro. «… ammetto che non me l’aspettavo...»

Altre radici ruppero le piastrelle, muovendosi come una sola entità. Si avvolsero attorno alla vita di Orochi e lo scaraventarono fuori dalla stanza, contro altri espositori. Stephanie tutte quelle teche andare in frantumi e si sentì in colpa. Era sicura che gli dei orientali non avrebbero affatto gradito tutto quel disastro in casa loro. Sperò che la comprendessero.

Diversi colpi di tosse roca provennero da Orochi, mentre cercava di rialzarsi sui gomiti sul pavimento coperto di vetri rotti. Si voltò verso la semidea e la osservò con odio mentre si avvicinava a lui, accompagnata da altri centinaia di rampicanti che spuntavano dal terreno sfondando il pavimento. Nel giro di poco tempo, venne circondato. 

«Non ti permetterò di fare altro male» asserì Stephanie. 

Gli puntò contro la mano e ordinò alle piante di colpire. 

Pezzi dell’armatura di Orochi si ruppero sotto il peso di quella punizione. Di tanto in tanto il rettile riusciva ad afferrare qualche radice e a strapparla via dal suolo, ma stava comunque venendo sopraffatto. A seguito dell’ennesima frustata l’uomo crollò carponi, col respiro pesante, ma le piante non gli diedero tregua, abbattendosi sulla sua schiena con forza tale da crepare il pavimento. Lo flagellarono finché non rimase completamente immobile, con il volto premuto sul suolo. La sua armatura era ridotta a un ammasso di ferro ammaccato, il corpo ricoperto di segni e striature bluastre. 

Steph ordinò ai rampicanti di sollevarlo. Lo afferrarono sotto le ascelle e lo tirarono su a peso morto. Teneva la testa accasciata verso il basso, senza dare segni di vita. La ragazza si tenne a debita distanza, incerta. Non credeva che fosse morto, anzi era impossibile. Ed era certa che non fosse nemmeno svenuto. Altri rampicanti lo afferrarono per le gambe e le braccia, immobilizzandolo.  

Solamente in quel momento Stephanie riuscì ad allentare la tensione. Si accorse di avere il cuore che batteva all’impazzata e il respiro pesante. Ma soprattutto si sentiva esausta. Mai aveva provato una simile spossatezza dopo aver usato i suoi poteri. Doveva aver dato il tutto per tutto senza nemmeno accorgersene. 

Orochi drizzò la testa all’improvviso, scrutandola con odio. Steph sgranò gli occhi. Puntò le mani e altre radici piombarono su di lui, ma quello liberò un braccio con uno strattone, bloccandole a mezz’aria. Con un altro strattone liberò anche l’altro braccio, strappando via i rampicanti dal terreno. 

Avanzò verso la semidea, liberandosi di ogni pianta che tentava di arrestarlo. Tutto ad un tratto, sembravano rimbalzare su di lui senza nemmeno scalfirlo. La figlia di Demetra lo attaccò con tutto quello che aveva, ma Orochi sembrava ignorare tutti i suoi attacchi.

«Tutto qui, piccola dea?» asserì, afferrando un altro rampicante che puntava dritto al suo volto, strappandolo come erbaccia.  

Realizzando quanto futili fossero i suoi sforzi, Stephanie fece apparire altri rampicanti, che si frapposero tra lei ed Orochi come un muro nel tentativo di rallentarlo, anche se quel gesto le costò caro, perché sentì le proprie energie venire risucchiate via. 

Non capiva cosa stesse succedendo, ma non voleva rimanere lì per scoprirlo. Corse via dalla stanza, sollevando altri rampicanti per ostruire il passaggio. Tornò indietro, non sapendo nemmeno cosa fare. Non poteva affrontare Orochi, era come se tutto ad un tratto fosse diventato immune ai suoi attacchi. Inoltre, le sembrava di essere oppressa da una forza invisibile, come se una mano gigante la stesse schiacciando a terra. 

Si guardò attorno. Che fosse l'energia che emanava quel luogo? Lei aveva attaccato Edward perché lo aveva visto come una minaccia troppo grande. Che... che quel luogo stesse vedendo lei allo stesso modo? Dopotutto, avrebbe potuto raderlo al suolo come niente, se lo avesse voluto. Sembrava una spiegazione assurda, ma non sarebbe stata la prima volta nella loro storia che qualcosa di simile accadeva. 

Esistevano molti luoghi in grado di influire sulle persone che ospitavano. Quello non faceva eccezione. Era un rifugio della cultura orientale in territorio occidentale e lei era un'occidentale che avrebbe potuto distruggerlo. Anche se quella in pericolo era lei, quel posto vedeva lei come il pericolo. La semidea strinse i denti. Non ci voleva, per niente.

Cercò di controllare i rampicanti per più tempo possibile, ma dopo poco tempo divenne insostenibile. Si nascose dietro il piedistallo di una grossa statua di una specie di leone per riprendere fiato e lasciò che le piante si ritirassero sotto terra. Sentiva il corpo pesante e la mente annebbiata. Prese una fialetta di acqua di luna e se la portò alle labbra, ma prima che potesse berne il contenuto udì dei passi alle sue spalle. La statua venne rovesciata a terra e Stephanie si scansò un attimo prima di essere schiacciata, perdendo la fiala. 

La voce di Orochi seguì il frastuono della ceramica in frantumi: «Non puoi nasconderti, piccola dea.»

La ragazza tentò di rialzarsi, ma venne afferrata dietro al collo e scaraventata a terra. Sbatté la testa e sobbalzò per il contraccolpo. La vista le si appannò, mentre un dolore lancinante la assaliva alla nuca. 

Orochi torreggiò su di lei. Le serrò la gola con una mano e la sollevò a peso morto, sogghignando. Steph cercò di dimenarsi, ma fu tutto inutile. Non riusciva più a respirare e neanche a vedere. L’uomo avvicinò il volto a lei, per sussurrare: «Ora tocca a me.»

Scagliò Stephanie contro un’altra teca, distruggendola. Stephanie urlò mentre sentiva i cocci di vetro conficcarsi nella sua schiena, brucianti come una frustata. Stramazzò a terra e tossì, con il corpo che andava a fuoco. Sentì i passi di Orochi farsi sempre più vicini e pur di allontanarsi da lui si mise a strisciare. Doveva pensare a qualcosa e in fretta, o non sarebbe uscita viva da lì.

«Dove pensi di andare?» gracchiò Orochi, quasi con tono di rimprovero. 

Abbatté lo stivale sulla schiena di Stephanie, facendola urlare a squarciagola, schiacciandola contro i cocci di vetro che erano caduti a terra, che si conficcarono nella sua pelle come aghi sottili e affilati.

Orochi l’afferrò per i capelli e le tirò su la testa. «Cosa speravate di fare voi piccoli dei contro di me, mh? Non siete affatto alla mia altezza.»

Sangue caldo scivolò lungo la fronte di Stephanie, impregnandole le sopracciglia. Orochi ci passò sopra un dito, per poi portarselo alle labbra. Venne scosso da un fremito. «Meraviglioso. Davvero meraviglioso.»

Lasciò andare Steph, che crollò esanime, e le sferrò un calcio al fianco. Stephanie urlò di nuovo, portandosi una mano sopra quelle che sicuramente dovevano essere le sue costole rotte. Si girò sulla schiena, annaspando. Lo stivale di Orochi le schiacciò il collo. «Nessuno mi fermerà, né gli dei, né voi stupidi meticci!»

Stephanie sapeva di non avere molto tempo. Ma non si sarebbe arresa. Mentre Orochi le schiacciava la trachea, i rampicanti spuntarono di nuovo dal terreno, dietro di lui. Steph riuscì a sorridere tra i gemiti di dolore e a boccheggiare: «Attento alle spalle…»

«Credi forse che…» Orochi non riuscì a finire: la statua che aveva rovesciato poco prima gli si schiantò sulla testa, scaraventandolo contro la parete e sfondandola. Il suo urlo si smarrì nel fragore del muro che gli crollava addosso.

Stringendo i denti per il dolore arrecato da ogni minimo movimento, Stephanie riuscì a rialzarsi e a barcollare via. Afferrò un’altra fiala di acqua di luna, l’ultima che le era rimasta, e la trangugiò. Le sue condizioni non migliorarono di molto, ma se non altro il dolore al collo, alla schiena e alle costole cominciò ad attenuarsi.

Riuscì appena ad uscire da quella stanza che sentì il frastuono dei detriti che cadevano, seguiti da un urlo furibondo. Steph accelerò il passo. Usare i poteri poco prima le era costato caro e l’acqua di luna poteva aiutarla solo fino ad un certo punto. Se avesse combattuto ancora le poche forze che le rimanevano l’avrebbero abbandonata del tutto. Dover scappare in quel modo era umiliante, ma che scelta aveva? Non poteva rimanere indietro a morire.

Non seppe per quanto tempo corse, parve un’eternità. Non era nemmeno sicura che quella fosse la strada che aveva fatto per entrare, non se la ricordava così lunga. Quando rientrò nel salone dove si era separata con gli altri, sentì le gambe cederle. Barcollò ancora per qualche passo, prima di cadere. 

Sentì Konnor chiamarla preoccupato: «Steph!»

Stephanie sollevò lo sguardo, sentendosi così grata di aver udito quella voce. Tuttavia non appena vide Konnor in ginocchio, ferito, ogni traccia di sollievo svanì. Aveva un labbro sanguinante e un sopracciglio spaccato. Talia stava ancora combattendo con Naito, ma anche lei sembrava molto provata. E soprattutto era senza l’Egida, che era finita in un angolo della sala. 

«Trovato il tuo amico?» gracchiò il mezzo demone, mentre allontanava la cacciatrice con un calcio. 

Talia ruzzolò a terra, portandosi una mano sull’addome. Si rimise in ginocchio a stento, reggendosi sulla lancia con mano tremolante. 

Naito roteò la katana e si voltò versò di Stephanie. «Sei tornata appena in tempo, piccola dea. Stavo giusto per…»

«Naito.»

Il mezzo demone tacque all’improvviso. Stephanie si voltò, appena in tempo per osservare Orochi che entrava nella stanza, l’armatura rotta che scricchiolava ad ogni suo passo. Non fece caso né a lei, né agli altri due semidei: la sua attenzione era unicamente incentrata su Naito. 

«Perché non mi hai cercato se eri ancora vivo, Naito?» domandò con voce sottile, mentre marciava verso di lui. 

Tra tutti quanti, Naito sembrava il più sconvolto. «Credevo… credevo che fossi morto…»

«Pensavi davvero che il piccolo dio mi avesse ucciso?!» tuonò l’uomo serpente, facendo sussultare Stephanie e trasalire Naito. 

«Ti aveva colpito con Ama no Murakumo, ho pensato che…»

«Che cosa? Hai pensato cosa?!»

Naito tacque. Del suo sorriso divertito, della sua arroganza e della sua spavalderia non rimase altro che il ricordo.

«Sei al corrente del fatto che il piccolo dio ha restituito la spada mentre ero ferito?» proseguì Orochi, rantolando di rabbia. 

Naito abbassò la testa, annuendo.

«E il sacrificio, Naito? Dov’è?»

Altro silenzio. La mano di Orochi si avventò attorno al suo collo. Naito gridò di sorpresa e cercò di allontanarla, ma senza risultato. 

«Dammi una ragione per non ucciderti proprio in questo momento» sibilò Orochi.

Naito strinse i denti. Sollevò la katana con la mano libera, quasi come se volesse usarla contro il suo padrone. Anche Orochi se ne accorse, perché emise una risatina roca. «Che cosa credi di fare, stupido moccioso?»

Aumentò la presa, strappando un altro grido al mezzo demone. «Sono stanco di essere deluso da te, Naito. Questa sarà la tua ultima occasione. Se mi deluderai ancora, ti ucciderò con le mie mani. Hai capito?» 

Il mezzo demone serrò le palpebre. Abbassò la spada e annuì a fatica. 

Orochi lo lasciò andare. Naito indietreggiò, massaggiandosi la gola, e strinse la presa sulla spada. Quando riaprì gli occhi, Stephanie scorse in lui un’emozione di pura rabbia. Non sembrava felice, per niente. 

«Tu… tu sei Orochi?» mormorò Talia, rimettendosi in piedi a fatica. 

L’uomo serpente si dimenticò di Naito e squadrò Talia con le sue iridi scarlatte. «Il tuo abbigliamento… sei una di loro?»

«Loro? Loro chi?» 

«Una di quelle vergini che ho sterminato poco fa.» 

Talia spalancò gli occhi. Strinse la lancia fino a far sbiancare la mano. «Stai mentendo! Non possono essere state sconfitte da un essere come te!» 

Orochi sorrise di nuovo glaciale, mostrando le macchie rosse sui suoi denti. «Ho ancora il loro sangue tra i denti, come puoi vedere. Davvero delizioso.»

Stephanie non poteva sapere cosa stesse provando Talia in quel momento. Se aveva fatto male a lei udire quelle parole, per la comandante delle cacciatrici doveva essere cento volte peggio. Era stata poco con loro, ma aveva visto quanto erano affiatate. Erano una famiglia, proprio come i semidei.

«Le famose serve della dea Artemide» continuò Orochi, passandosi la lingua sulle labbra. «Un buffet di splendide vergini, tutte giunte qui per me. Ma come sono fortunato.»

La figlia di Zeus abbassò la testa. «Sta zitto…» 

«Che succede, cucciola di dea? Ho ferito i tuoi sentimenti? Erano forse tue amiche?»

«Sta zitto!» tuonò Talia, fiondandosi su di lui.

«Talia no!» 

Stephanie cercò di fermarla, ma fu tutto inutile: la semidea si avventò sull’uomo, puntando la lancia alla sua gola. Orochi la afferrò a mezz’aria, a pochi centimetri da lui, distendendo il suo ghigno. «Patetica.» 

Talia spalancò gli occhi. Orochi la disarmò con uno strattone e le sferrò un colpo col palmo della mano, scaraventandola via. Talia rotolò a terra, gemendo per il dolore. Konnor barcollò verso di lei. «Talia!»

Orochi scrutò il figlio di Ares che si chinava accanto alla cacciatrice con disgusto. 

«Vado a riprendermi il mio sacrificio. Tu finisci questi moscerini» ordinò a Naito, per poi puntare l’indice verso di Stephanie. «Ma non lei. Lei la voglio viva. Sarà il mio prossimo pasto.» 

La figlia di Demetra sentì la pelle accapponarsi. 

«Ricorda, Naito. Deludimi di nuovo e non avrò pietà di te.»

Il mezzo demone abbassò la testa. «Hai, Orochi kyo.»  

Orochi sorrise di nuovo a Stephanie. «Ci rivedremo presto.» E detto quello, abbandonò la stanza. 

Talia grugnì, cercando di rialzarsi. «Torna qua… brutto… schifoso…» Si rimise in ginocchio, ma le gambe le cedettero. 

«Basta così, Talia. Non puoi continuare» mormorò Konnor.

«Vuoi lasciarlo andare via così?!»

Il figlio di Ares non rispose. Per Stephanie fu impossibile capire cosa pensasse.

«È inutile che ti sforzi, piccola dea» affermò Naito, puntandole contro la katana. «Ormai avete perso. Arrendetevi ora e vi prometto che vi ucciderò in fretta.»

«Naito…» lo chiamò Stephanie, distogliendo la sua attenzione dai semidei feriti. «Ho visto… il tuo sguardo, prima. Perché lo stai facendo? Perché obbedisci a quel mostro?»

Naito la soppesò per qualche istante, probabilmente domandandosi se risponderle o meno. «Perché è l’unico modo per avere quello che voglio.»

«E cosa vuoi?»

«Qualcosa che non potrà mai accadere finché gli dei esisteranno.»

Stephanie si morse un labbro. Certo che così non le era molto di aiuto. «Naito, ascolt…»

«Smettila di chiamarmi per nome. Non sei mia amica, nemmeno ti conosco. Chiudi la bocca e arrenditi. Orochi ti vuole viva, ma non ha specificato in che condizioni, perciò ti consiglio di non farmi perdere la pazienza.»

La figlia di Demetra abbassò la testa, sconfortata. Se Naito non voleva ascoltarla, l’unica opzione che rimaneva era combattere. E quell'opzione era assolutamente terribile. Sentiva ancora dolore alle costole e chissà quanti cocci di vetro le erano rimasti conficcati nella schiena. L’acqua di luna la stava aiutando a sopportare, ma da ferite così gravi occorreva tempo per guarire. Era sicura che il mezzo demone non fosse forte come Orochi, ma non poteva combattere anche contro di lui, non in quelle condizioni e soprattutto non lì dentro, dove i suoi poteri sembravano limitati. 

«Steph…» Konnor la affiancò, posandole una mano sulla spalla. «Rimani con Talia. A lui ci penso io.»

«Ma… sei ferito, Konn…»

«Non preoccuparti per me. Me la caverò.» Il figlio di Ares le rivolse un cenno del capo e un tenue sorriso. Malgrado fossero feriti e la situazione fosse critica, quel piccolo gesto riuscì ad infonderle coraggio. «Stai indietro. Non gli permetterò di portarti da Orochi.»

Stephanie esitò. Non voleva lasciarlo solo. Erano una squadra, erano più forti se erano insieme. Eppure, sapeva che se Konnor le stava chiedendo una cosa del genere, era perché aveva un piano. O almeno, lo sperava. Posò una mano sopra quella callosa di Konnor e lo osservò negli occhi. 

«Fidati di me, Steph.» Il suo amico annuì con un gesto calmo. Stephanie vide nel suo sguardo e nella sua espressione il desiderio ardente di riscattarsi. Conosceva Konnor, sapeva che non si sarebbe dato pace fino a quando non avrebbe sconfitto Naito. 

O finché non sarebbe morto provandoci.

Stephanie serrò le labbra e lo guardò con la sua stessa intensità. La stanchezza svanì dal suo corpo all’improvviso. «Ti avverto Murray, se fai qualcosa di stupido giuro che te la vedrai anche con me.»

Mai avrebbe pensato di dover dire una cosa del genere a Konnor. Sembrava più un discorso da fare con Thomas, o Edward. Al pensiero del figlio di Apollo, il cuore di Steph si strinse in una morsa. Avrebbe dovuto dire cosa gli era successo anche a Konnor, ma non poteva farlo in quel momento. Lo avrebbe fatto quando avrebbero sconfitto Orochi. 

Perché l’avrebbero fatto. 

Konnor ridacchiò. «Tranquilla, quello non rientra nei miei programmi.»

Si scambiarono un ultimo sguardo. Stephanie sentiva che c’era qualcos’altro che Konnor avrebbe voluto dirle. Anche lei in verità avrebbe voluto dirgli ancora qualcosa. Ma entrambi sapevano che non c’era più tempo. 

Il figlio di Ares si voltò e sguainò la spada, avanzando verso il mezzo demone, che era rimasto a guardarli con espressione incolore.

«Cosa speri di fare adesso, piccolo dio?» domandò a Konnor. «Mi hai già affrontato due volte e ti è andata male in entrambe. Pensi che adesso cambierà qualcosa?»

«Se credi che getterò la spugna solo perché mi hai già sconfitto, allora non hai la più pallida idea di con chi hai a che fare.» Konnor si mise in posizione da combattimento. «Non importa quante volte tu mi abbia battuto, non mi fermerò finché avrò le forze per combattere.»

«Non preoccuparti, piccolo dio. Presto non ne avrai più nemmeno per parlare!» Naito scattò verso il figlio di Ares, che parò l’affondo con un grugnito. Le armi si incrociarono e i loro sguardi pure. E così iniziò il loro scontro. 

Stephanie non era un’esperta di combattimenti, ma aveva visto i semidei allenarsi al campo Mezzosangue, ed era certa che Naito non stesse combattendo nella maniera tradizionale. I suoi movimenti, il modo in cui impugnava la katana, erano molto diversi da quelli di Konnor. Inoltre Naito non sembrava per niente provato, a differenza del semidio. Eppure, il figlio di Ares rimase comunque al suo passo.

Stoccate, parate, schivate e affondi. Nessuno dei due si risparmiò in quello che divenne in tutto e per tutto un duello all’ultimo sangue. Stephanie pensò diverse volte che avrebbe voluto aiutare l’amico, ma sapeva che lui non lo avrebbe accettato. Si ripromise, comunque, che sarebbe intervenuta se le cose si fossero messe male, non le importava quanto caro le sarebbe costato. Non era sicura di poter battere Naito, ma forse con l’aiuto di Konnor ci sarebbe riuscita. 

Mentre il duello proseguiva, corse verso di Talia, chinandosi accanto a lei. «Stai bene Talia?» 

La figlia di Zeus annuì. «Sì, sto bene… mi serve solo un momento…» Tentò di raddrizzarsi di nuovo, ma senza successo. Gemette infastidita, premendosi una mano sul fianco. 

«Ma sei ferita!»

«Non è niente… solo un graffio…»

«Fammi vedere.»

A malavoglia, Talia allontanò la mano, mostrando uno squarcio sulla tuta grigia, ancora macchiata di sangue fresco. Il taglio sembrava essersi rimarginato. 

«Hai bevuto l’acqua di luna?» le domandò. 

«Sì, ma mi fa comunque male. Non capisco perché.»

Stephanie osservò la katana scarlatta di Naito mentre veniva deviata dallo spadone di Konnor. Non era forgiata con un materiale che loro conoscevano. L’Acciaio Prezioso aveva effetti diversi su di loro. Nettare e ambrosia non erano efficaci contro le ferite che quelle armi infliggevano, o meglio, lo erano ma solo in superficie. Per guarire ci voleva molto più tempo. Reiterò l’informazione a Talia, che imprecò in greco antico. «Ci mancava solo questa…»

Un verso di dolore la fece sobbalzare. Vide Konnor cadere in ginocchio e Naito sopra di lui in procinto a calare la katana. 

«Konnor!» urlò Stephanie terrorizzata, un istante prima che il figlio di Ares si riscuotesse, parando quell’assalto dal basso. La katana rossa si fermò a pochi centimetri dal suo naso. 

Naito sghignazzò. «Speravo che almeno questa volta facessi di meglio, piccolo dio. Sono deluso.»

Konnor digrignò i denti. Spinse la spada verso l’alto con un urlo e allontanò Naito, facendolo indietreggiare di qualche passo, e riprese l’assalto. Ogni attacco andò a vuoto; Naito era veloce, aveva riflessi fulminei e soprattutto sembrava instancabile. Parò, deviò e schivò la spada di Konnor quasi senza sforzo. Il figlio di Ares sferzò l’aria, mirando di lato verso la testa di Naito e il mezzo demone lo neutralizzò ancora una volta, colpendolo con un calcio allo stomaco prima che potesse connettere.

Ancora una volta, Konnor si ritrovò piegato e boccheggiante, alla mercé del mezzo demone, che lo schernì: «Saresti dovuto fuggire finché eri in tempo, piccolo dio.»

«Un figlio di Ares… non fugge di fronte al pericolo» ansimò Konnor, raddrizzandosi. «Non importa quanto grande sia.»

«Coraggioso, devo dire» commentò Naito, roteando la katana. «E anche molto stupido.»

«Chiamalo coraggio, chiamala stupidità, io lo chiamo onore.» Konnor si passò una mano sopra il labbro spaccato. «E il mio onore mi impone di affrontarti. Se fuggissi da te, o se mi arrendessi, non sarei degno del mio genitore divino. Non sarei degno nemmeno di essere un semidio.»

«Onore. Ridicolo.» Naito scattò di nuovo verso di Konnor, muovendosi con una rapidità straordinaria. «Tu non sai niente sull’onore!»

Le lame cozzarono di nuovo tra di loro. Konnor strinse i denti, tentennando, mentre Naito allargò il ghigno. «Lascia che ti dica una cosa, piccolo dio. Non c’è nessun onore nel portare avanti le battaglie di qualcun altro. Tu non combatti per te, combatti per i tuoi dei. Non sei mosso da nulla, sei un semplice burattino!»

«Ti… sbagli» gemette Konnor, mentre la katana di Naito premeva sempre più forte come la sua. «Io non combatto solo per gli dei, io combatto per quello in cui credo. Combatto perché voglio aiutare i miei amici, perché voglio salvare il Campo Mezzosangue, perché voglio mostrare ai miei fratelli che possiamo essere persone migliori!» 

Konnor fece più forza, stringendo i denti, il sangue che scivolava dalla bocca ferita e dal taglio sulla guancia. «Io combatto per proteggere i più deboli, per mostrare a tutti che il cambiamento è possibile, per dimostrare che la mia famiglia non è quello che tutti credono che sia!» 

La sua spada cominciò a spingere via quella di Naito mano a mano che parlava, causando un ribaltamento delle parti. Naito iniziò a perdere il vantaggio sul semidio e il suo sorriso cominciò ben presto a trasformarsi in una smorfia di fatica. 

«Un vero figlio di Ares non si arrende solo perché è stato già battuto! Un vero figlio di Ares combatte finché non vince, o finché non viene vinto! Onore, gloria, sacrificio, vita e morte! Ognuno di questi aspetti fa parte della mia, della nostra vita!» 

Ora stava quasi schiacciando la spada contro il volto di Naito, il quale sembrava fare sempre più fatica a reggere il confronto. Le braccia gli stavano tremando, mentre Konnor sembrava aver acquisito una forza e una passione del tutto nuove. 

«Combatterò per proteggere quello in cui credo. Morirò pur di veder salvo ciò che i nostri avi hanno faticato per costruire. Non lascerò che tutto venga raso al suolo per causa vostra. Nessuno dimenticherà le lacrime, il sangue e il sudore versati dai semidei, nessuno dimenticherà le vite che sono state strappate prima del tempo, non finché io potrò fare qualcosa per impedirlo. Non finché noi potremo!» 

Konnor respinse la lama del mezzo demone, poi non perse un istante e si avventò su di lui. Naito non poté fare altro che arretrare di fronte all’assalto del figlio di Ares. Konnor non riuscì a ferirlo, ma per la prima volta da quando era iniziato il loro combattimento Naito apparve chiaramente come quello in posizione di svantaggio. 

«Io, i miei fratelli, mio padre, noi tutti siamo guerrieri, noi tutti lottiamo per ciò in cui crediamo, lo scontro fa parte della nostra vita e non ci vergogniamo di ammetterlo! Perciò no, Naito, non sono un burattino e non scapperò da te!» 

Gridando a perdifiato, Konnor tentò di colpirlo alla testa, un attacco che avrebbe decapitato Naito se fosse andato a segno. Il mezzo demone riuscì a schivarlo con un verso sorpreso, saltando all’indietro. Digrignò i denti e riprese fiato, osservando Konnor con odio, finché la sua espressione non mutò in una di stupore. «Ma… ma cosa…»

Konnor stava risplendendo, letteralmente, di fronte agli occhi increduli di tutti i presenti. Il suo corpo emanava un bagliore rosso, qualcosa che Stephanie non aveva mai visto prima.

«Incredibile…» sentì Talia mormorare. 

«Avanti, affrontami!» tuonò Konnor, battendosi il pugno sul petto. «Anche tu hai qualcosa per cui combattere! Vinci per la tua causa, o soccombi provandoci come un vero guerriero!»

L’espressione stupita di Naito tornò ben presto ad assumere le fattezze di una di rabbia pura. 

«Ne rimarrà solo uno…» rantolò, cavernoso, per poi lanciarsi all’attacco con un urlo disumano. 

E il figlio di Ares non lo fece attendere. Le pareti sembrarono tremare quando le spade cozzarono per l’ennesima volta. 

«Non m’importa quanti trucchetti avete intenzione di usare!» sbraitò Naito in mezzo al clangore del metallo. «Né tu né nessuno dei tuoi pidocchiosi compagni mi fermerà!»

Konnor non gli diede tregua. Stava combattendo come se il destino del mondo dipendesse da lui, con una forza ed una determinazione che mai aveva visto in nessuno, nemmeno in Edward quando utilizzava la spada. E anche Naito, dapprima spaesato dall’ondata di forza improvvisa del figlio di Ares, ora stava al suo passo, ringhiando e mugugnando come un animale furibondo. 

«Distruggerò gli dei!» bramì, quando la spada di Konnor si schiantò per l’ennesima volta contro la sua. «Vendicherò mia madre e renderò giustizia alla mia specie!»

Deviò lo spadone di Konnor con la katana, disarcionandolo. Non appena lo vide vulnerabile, Naito sollevò la lama e il suo unico occhio rosso brillò. «Dare mo watashi o tomemasen!»

Konnor lo osservò dal basso. La lama scese su di lui come a rallentatore. Stephanie fece per chiamarlo a squarciagola. Ma il figlio di Ares fu più veloce sia di lei che di Naito. Si mosse come un lampo, schivando l’attacco saltando di lato e ritrovandosi di fronte il fianco scoperto del mezzo demone. Quando Naito se ne accorse, ormai era troppo tardi. Gridò di dolore quando venne trafitto tra le placche dell’armatura. La spada gli cadde di mano, schiantandosi al suolo. Osservò atterrito il semidio. «N-No…»

«Per te è la fine.» Konnor conficcò la spada più in profondità, strappandogli un altro grido, poi la estrasse. Naito cadde in ginocchio, premendosi una mano sulla ferita.

«Non… è possibile…» boccheggiò, come in trance. «Non… posso perdere…»

Konnor rimase fermo, col fiato pesante, osservandolo severo dall’alto.

«Come… come ho potuto… farmi battere da uno come te…» rantolò il mezzo demone, raschiando le dita sul pavimento.

Il figlio di Ares storse la bocca. «Quando mi hai sconfitto la prima volta, Naito, ho capito una cosa. L’orgoglio precede la caduta.» Sembrò quasi usare un tono di rimprovero, qualcosa che Stephanie mai si sarebbe aspettata. «Sei forte, è vero, ma sei anche arrogante.»

Naito gemette, abbassando la testa e stringendo la mano libera a pugno. «Smetti di farmi la predica e finiscimi…»

Konnor rimase in silenzio, studiandolo ancora per qualche secondo, mentre la sua aura rossa si spegneva lentamente. Infine, trasformò di nuovo la spada nel portachiavi e se lo rimise in tasca. Accorgendosene, Naito sollevò la testa confuso. «Ma cosa…»

«Ti ho sconfitto. Non ho nessun bisogno di ucciderti.» Konnor si voltò. «Tu non mi hai ucciso, dopotutto. Per quello che mi riguarda siamo pari.»

Cominciò ad allontanarsi, sotto lo sguardo sempre più incredulo del mezzo demone. «Ma che stai dicendo?! Non voglio la tua misericordia!»

«Non è misericordia.» Konnor si fermò. «Capisco che il tuo orgoglio ti impedisce di accettarlo, ma ti sto dando una seconda possibilità. Non sei uno di quei mostri senza cervello, Naito. Sei per metà umano, proprio come noi. Hai più cose in comune con noi che con Orochi.» 

Il semidio lo osservò con la coda dell’occhio. «Puoi essere meglio di così. Sta solo a te riuscire a capirlo. Rifletti sulle tue azioni e se mai deciderai di volermi ancora uccidere, allora vieni pure a cercarmi. Vorrà dire che la finiremo una volta per tutte.»

Naito rimase in silenzio, con le labbra schiuse. Non sembrò riuscire a processare cosa Konnor stesse intendendo, nemmeno Stephanie stava capendo, in realtà. Tuttavia non aveva bisogno di farlo; se il suo amico voleva risparmiarlo, non sarebbe certo stata lei a tentare di fargli cambiare idea. E comunque, ferito in quel modo Naito non rappresentava più una minaccia. 

Mentre tornava verso di lei, Stephanie rimase a guardarlo paralizzata. Non aveva idea di cosa fosse successo, da dove fosse uscita quell'aura rossa, ma non aveva importanza. Era vivo e stava bene. E soprattutto aveva sconfitto Naito. 

«Va tutto bene?» domandò Konnor, raggiungendo le due ragazze. 

Stephanie trasalì quando la guardò. «Sì, va tutto bene… tu piuttosto, stai bene?»

«Mai stato meglio» affermò lui, sorridendole. «Te l’ho detto che ce l’avrei fatta.»

Stephanie incrociò i suoi occhi e ricambiò il sorriso. Sentiva, percepiva, che c’era qualcosa di diverso in lui. Ripensò a quella sera al motel, quando lui aveva ammesso per la prima volta i suoi dubbi, le sue incertezze, quando aveva detto di essere troppo orgoglioso e di aver paura che il suo orgoglio rovinasse tutto. Ora, dopo averlo visto affrontare Naito, aveva capito che ormai era tutto passato. Aveva superato i suoi blocchi. E Stephanie non poteva essere più felice. 

«Beh, ero stata chiara dopotutto» disse, avvicinandosi a lui con una mano sul fianco. «Non potevi certo fallire dopo che ti avevo minacciato.»

Konnor ridacchiò. «Assolutamente no.» 

I due semidei si osservarono ancora per qualche istante, distendendo i sorrisi. 

«Allora, hai… hai trovato Edward?» domandò Konnor, tornando serio. 

Il sorriso svanì dal volto di Stephanie. Non poteva vedere l’espressione che aveva fatto, ma a giudicare dalla reazione di Konnor fu molto ovvia.

«Mi dispiace…» mormorò lui, abbassando la testa. «Sono stato un idiota a dubitare di lui…»

«Non potevi saperlo, Konnor. Nessuno poteva» sussurrò Steph, cercando di ricacciare le lacrime, per poi stringere i pugni. Purtroppo, non era il momento per piangere un amico. Non finché il mostro responsabile di tutto quello era ancora a piede libero.  

«Dobbiamo fermare Orochi» asserì, determinata. Konnor annuì. 

Aiutarono Talia a rialzarsi, la quale, dopo qualche borbottio, affermò di riuscire a farcela da sola. 

Mentre uscivano dalla stanza, sentirono ancora la voce di Naito provenire alle loro spalle. «Non finisce qui…» 

Stephanie pensò che Konnor avrebbe risposto, ma il figlio di Ares non gli disse nulla. 

«Muoviamoci» affermò invece alle due ragazze. 

Senza perdere altro tempo, i tre ripresero a correre.

   
 
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