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Autore: LadyNorin    31/03/2021    1 recensioni
John Watson si era allontanato quanto più possibile da Baker Street. La decisione che lo aveva spinto a fare le valigie era molto semplice: Sherlock Holmes.
Dopo la morte di sua moglie Mary, John decide di allontanarsi da coloro che lo hanno fatto soffrire e iniziare una nuova vita. Ma forse il destino prende le sue decisioni, e nemmeno un uomo razionale come John può contrastarle.
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9:

***

Questo capitolo contiene descrizioni di procedure mediche e l’utilizzo di aghi.*
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[Revisionato]
Come chiesto dal dottor Lewis; John tornò il lunedì per aiutare Sherlock con i pasti.
Ancora non era nella sua stanza, a quello che gli avevano detto le infermiere, lo avevano portato via per delle visite di controllo e per fare la terapia.
Quindi restò fuori ad aspettare per almeno un ora. Quando alla fine lo portarono su, avevano già iniziato a servire il pranzo. Entrò.
Sherlock era nel suo letto e si stava muovendo, sembrava insofferente.
«Come va?» Domandò John, che non si era accorto della presenza del dottor Lewis ancora nella stanza.
«Abbiamo tolto un po’ di bende come si può vedere. Le ferite alla testa sono guarite bene e gli ematomi interni si sono riassorbiti; anche l’occhio va meglio, ma è meglio che ancora non lo usi, le luci intense potrebbero danneggiarlo e qui purtroppo non siamo dotati di luci soffuse.»
Mentre parlava stava cambiando una delle flebo, buttando una sacca vuota.
«Tornerò dopo pranzo a dargli l’antibiotico, è meglio che inizi a mangiare qualcosa, anche se liquido, se riesce a tenerlo. Ma deve abituarsi.»
«Ci proverò.»
«Grazie ancora per il suo tempo dottor Watson.»
«Mi chiami John, e non si preoccupi. E’ il minimo che possa fare.»
«Lo sa di solito noi dottori non sopportiamo vedere altri colleghi al nostro posto. Lei invece credo sia una delle persone più di aiuto con cui abbia mai avuto a che fare.»
«Non esageri adesso. E’ vero quello che dice ma pestarci i piedi a vicenda non sarebbe affatto utile e al momento l’unica cosa di cui mi interessa… -« John si schiarì la gola. «- E’ aiutare il mio amico.»
«E’ sicuro che non sta cercando lavoro? Sarei davvero felice di proporla all’ufficio risorse.»
John rise.
«La ringrazio ma no, sto bene così, non potrei mai reggere i ritmi di un ospedale.»
«Certo la capisco benissimo. Si è molto impegnativo effettivamente. Anche mia moglie mi sgrida sempre, dice che lavoro troppo e vorrebbe andassi in pensione, ma io non sono capace a stare fermo.»
«Nemmeno io. Non amo non lavorare, devo tenermi impegnato con qualcosa.»
«Ma sbaglio o lei è anche un detective? Così mi pare di ricordare.»
«Ah si, non esattamente detective, ma un consulente investigativo.» ovviamente non era proprio così ma era già una situazione ingarbugliata, figurarsi andarla a spiegare a qualcuno di totalmente estraneo al loro mondo.
«Questo sì è avere un hobby. E com’è?»
A John non era piaciuto molto che il dottor Lewis lo definisse “hobby”. Aiutare la polizia non aveva niente dell’hobby. Ma aveva capito che probabilmente l’uomo lo intendesse come tale perché per lui essere medico era l’unica cosa che sapeva e voleva fare nella vita.
«Difficile. Bisogna usare molto la mente e non è facile vedere certe situazioni.»
«Un po’ come fare il dottore.» aggiunse il dottor Lewis.
«Sì, un po’ come fare il dottore. Con la differenza che possiamo far arrestare chi fa del male ad altri.»
«Deve essere molto appagante.»
«Insomma, va a giorni. A volte è terribilmente frustrante. Soprattutto quando i cattivi riescono a farla franca.»
«Immagino. Io ad esempio non sopporto gli avvocati. Per loro qualunque occasione è buona per seppellirti, non puoi commettere sbagli, nemmeno il più piccolo.»
«Assolutamente d’accordo. Riuscirebbero anche a convincere qualcuno che il cielo è verde.»
Il dottor Lewis finì di sistemare il rilevatore cardiaco.
«Ecco ora è tutto a posto, tra poco passerà qualcuno a portare il vassoio, non preoccupatevi, può chiederlo anche per se dottor Watson.»
«A grazie non si preoccupi, non ho fame al momento.»
Il dottor Lewis uscì, lasciandoli finalmente soli.

John sistemò la sedia accanto al letto e si mise a sedere.
Sherlock si stava grattando convulsamente nel punto in cui l’ago con la cannula era attaccata a una delle flebo. Anche se era coperto con un cerotto abbastanza largo era quasi riuscito a sollevare una parte.
«Ehi! Falla finita!»
Gli bloccò la mano con cui stava grattando. Sherlock a quel contatto sobbalzo e diede uno strattone con il braccio, tirando il filo collegato all’ago, che si era impigliato, facendo così strappare il cerotto e l’ago in questione uscì per una parte dalla vena.
«Merda... Guarda qua che casino.»
Sherlock teneva il polso stretto con l’altra mano contro al petto, si era mezzo rannicchiato su se stesso, per quanto potesse riuscirci, e lo fissava sconvolto.
«Dai non è successo niente, si sistema tutto, capita. È solo uscito un po’ l’ago, basta rimetterlo al suo posto.» John si era alzato per cercare di sistemare la faccenda, e aveva allungato una mano per prendere il polso di Sherlock, che però sembrava non volesse particolarmente collaborare.
«Avanti dammi qua, te la sistemo io, non c’è bisogno di far venire un infermiera.»
Sherlock molto titubante aveva allentato la presa e allungato il braccio verso John.
La cannula si trovava inserita nella parte sotto del polso, sollevò il cerotto e vide che c’era un grosso livido, che era diventato viola scuro e con un bel bernoccolo proprio dove era inserito l’ago.
«Che casino hanno combinato? Cosa sono dei principianti usciti dall’Università? Ma guarda qua.»
Molto delicatamente sfilò l’ago e coprì il foro con un pezzo di carta.
«Meglio?»
Solo ora aveva alzato gli occhi per guardare Sherlock, sembrava un cervo in mezzo alla strada, rimasto abbagliato dai fari di una macchina.
«Non è niente, dico davvero. Oh dai.» massaggiò delicatamente con il pollice il punto dove si era formato quel bozzolo.
«Dobbiamo trovare un altro posto dove metterlo, qui non va più bene.»
Chiuse la piccola valvola che faceva scorrere il liquido nella sacca della flebo alla vena, così che non si perdesse per terra, e attacco un pezzo del tubicino con una parte del cerotto al bordo del comodino.
«Fammi vedere l’altra mano.»
Sherlock titubante obbedì, John gli sollevò la manica del camice per controllare.
«Uhm...»
Visto i certi precedenti di Sherlock era normale che le vene non fossero nelle migliori condizioni, e anche se erano ormai anni che non faceva più uso di droghe, almeno per quello che ne poteva sapere, dal momento che non lo aveva più visto per più di un anno, alcuni degli effetti collaterali si sarebbero protratti ugualmente nel tempo. Avere le vene soggette a flebiti era uno di quegli effetti, in più la lunga permanenza in ospedale non aveva aiutato dal momento che le vene erano state usate molteplici volte.
In quel momento entrò un'infermiera con il carrello.
«Cosa sta facendo?»
John era tentato di risponderle “il suo lavoro”, ma preferì ignorarla.
«Per sbaglio si è sfilato l’ago.»
«Per sbaglio?» Commentò lei già piena di sospetti, come se un bambino stesse cercando di fregarla. A John non piaceva per niente quell’atteggiamento.
«Sì per sbaglio. Si era impigliato con il filo.»
«E ora dov’è l’ago?»
Il dottore fece vedere all’infermiera scettica che lo aveva sistemato momentaneamente attaccato al comodino, e quella inorridì.
«Dia qui, bisognerà fare un altro buco adesso.»
Si trattenne dal rispondere in modo acido e sarcastico e staccò l’ago, allungandolo all’infermiera. Lei tolse il cerotto, e sbuffò.
«L’ago va cambiato, si è tutto storto.» Non che ci volesse molto a cambiare un dannato ago ma alla signora pareva scocciare in particolar modo. Forse le dava fastidio che lui fosse lì e lei non potesse fare quello che le pareva.
E lui ora le sarebbe stato con il fiato sul collo.
La donna prese il braccio di Sherlock dove prima era la flebo, per inserire quella nuova. Dovette mordersi la lingua per non darle dell’incapace.
Quando lei vide il grosso livido cercò un altro punto lungo la vena, ma a quanto pareva non c’era nulla di adatto. Controllò anche la parte superiore della mano e del polso, ma nulla.
Allora passò all’altro braccio. Anche lì sembrava faticasse a trovare una vena adatta, ma comunque mise il laccio emostatico e iniziò a tastare un punto sopra al polso, poi lo sfregò bene con una garza imbevuta di alcool e iniziò ad inserire l’ago, che a quanto pareva girava a vuoto. Riprovò altre volte, senza risultati.
John stava davvero perdendo la pazienza, quando si accorse che Sherlock aveva sbiancato e stava stringendo il lenzuolo con la mano libera, si vedeva chiaramente che si stava sforzando a non emettere un suono. Ovviamente, non era da lui lamentarsi.
La tizia stava riprovando un po’ più su, sempre senza esito.
John scattò in piedi.
«Veda di farla finita!»
«Come prego?» Questa si era messa a fissarlo sbalordita.
«Dove è andata a scuola? Questa roba la insegnano al primo anno di università! Ci sono ragazzini di 15 anni che sanno farsi l'iniezione da soli e lei che è un’infermiera diplomata non riesce a trovare una dannata vena! Nemmeno stesse cercando l’acqua nel deserto! Lasci, faccio io.» fece il giro del letto.
La donna si era fatta da parte e non aveva ancora detto una parola. Ancora troppo sconvolta.
«Io-» fece per parlare lei.
«E ringrazi che non vado a dirlo al suo superiore! Non ha altri giri o disastri da fare?»
L’infermiera si allontanò, o meglio, quasi corse fuori.
«Incompetente, incapace.» borbottò John appena lei uscì.
Sherlock lo stava guardando tra l’ammirato e il preoccupato.
«Che c’è? Preferisci che sia lei a mettere l’ago?»
Sherlock scosse la testa.
«Ah ecco.»
Per fortuna l’infermiera aveva lasciato il carrello, così aveva tutto l’occorrente a disposizione. Infilò un paio di guanti in lattice e prese a tastare le vene. Purtroppo quelle principali non erano utilizzabili, quindi si concentrò sul dorso della mano, lì le cose sembravano diverse, e infatti ne trovò una che forse poteva andare.
Sfregò con il disinfettante, dopo di che iniziò lentamente ad inserire l’ago. Era talmente concentrato che non stava pensando nemmeno a quello che lo circondava, o a chi.
Per fortuna non ebbe troppa difficoltà, la vena era un po’ dura, ma con delicatezza riuscì a posizionare correttamente lo strumento al suo interno, bloccò tutto con un cerotto bianco, poi collegò il tubo e aprì la valvola, passò il filo dietro i cuscini in modo che non desse più fastidio e non rischiasse di nuovo di strapparsi, poi cercò la crema da dare sul vecchio foro.
Massaggiò delicatamente in modo che si assorbisse per bene.


Arrivò l’inserviente con il vassoio sigillato con il cibo.
«Ecco qui.-» Lo appoggiò sul comodino. «-Buon appetito.»
«Grazie.» Rispose John che si stava levando i guanti, per buttarli nell’apposito bidone, sotto il carrello. Poi andò a prendere il vassoio e tolse la pellicola.
C'erano del purè e una crema verde che doveva essere un qualche tipo di verdura non meglio identificabile, e una confezione di gelatina rossa.
«Okay.»
Tolse le posate di plastica e il tovagliolo di carta dall’involucro.
«Ecco, tieni. Il tuo fantastico pranzo.»
Sherlock guardava il non troppo invitante pasto, e dalla sua espressione si capiva che non era troppo intenzionato a mangiare.
«Che c’è, non devo anche imboccarti vero?»
Sherlock scosse la testa, inorridito da quella domanda.
«Allora mangia. Almeno provaci.» cercò di incoraggiarlo John.
Sherlock prese la forchetta di plastica e iniziò a tormentare il purè.
«Senti lo so che non è gran che come cibo, ma devi iniziare da qualche parte no?»
Sherlock annuì e ne prese una piccola porzione, avvicinò la forchetta alle labbra, e quasi come se stesse per assaggiare del veleno, la fece scivolare in bocca. La sua espressione di disgusto era più che eloquente.
Buttò la forchetta sopra il vassoio e lo allontanò.
«Andiamo non fare il pretenzioso adesso, lo devi mangiare, almeno un po’, non dico tutto.»
Sherlock scosse la testa.
John sbuffò e prese la forchetta, prese una bella porzione di purè.
«Guarda che lo faccio, sono molto bravo a fare gli aeroplani, Rosie gli adora, riesco a farle mangiare anche i broccoli.»
Sherlock lo fissò sconvolto, aveva spalancato la bocca e lo fissava ad occhi sgranati.
«Se ti comporti come un bambino ti tratto come tale.» John si strinse nelle spalle.
Sherlock doveva essersi offeso a morte ma non gli importava particolarmente.
«Decidi tu.»
Sherlock per tutta risposta quasi gli strappò la forchetta di mano, e mangiò.
John gongolò soddisfatto. Sapeva essere maledettamente convincente.
«Visto, non era così difficile.»
Sherlock lo guardò storto.
«Ah no non guardarmi così, è per il tuo bene.»
Il consulente investigativo si allungò oltre il bordo del letto e aprì il cassetto del comodino, prese il blocchetto e la penna e iniziò a scrivere.
Perché ti importa?’ la calligrafia era ancora incerta e la mano tremava.
«Come sarebbe perché mi importa, che ragionamento è?»
Io ho distrutto la tua vita, che ti importa del mio bene? Perché sei qui?’
Il cuore di John sprofondò. Era inutile, per quanto cercasse di aiutarlo, non poteva semplicemente cancellare quello che aveva fatto. Fare finta come se non fosse mai successo.
Vattene.’
«No.»
Non mi serve la tua pietà.’
Quella osservazione lo fece particolarmente infuriare.
«Non lo faccio perché provo pietà!»
Allora perché?’
L’unico occhio con cui Sherlock poteva guardare e capire quello che lo circondava, ora era diventato lucido.
«Perché…» in realtà non lo sapeva nemmeno John il perché. Sensi di colpa per la gran parte, ma come faceva a spiegarglielo?
«Ti ho abbandonato.- disse solo. -Tu avevi bisogno di me e io non c’ero e sei quasi morto. Per davvero. E non voglio… Non voglio che succeda di nuovo.»
D’accordo ormai non poteva essere più sincero di così, ma non aveva il coraggio di alzare la testa e guardarlo in faccia, alla fine era un codardo e i codardi scappano.
Sentì una mano stringersi sulla sua, e finalmente ebbe il coraggio di alzare gli occhi. Sherlock aveva solo scritto sul suo blocchetto:
mi dispiace.’
Lo abbracciò.
«Non farlo mai più, non posso rischiare di perderti per davvero.»
Era egoista? Quasi sicuramente. Ma preferiva mille volte essere egoista che vivere in un mondo dove Sherlock Holmes era morto per davvero.
Non poteva lasciarlo andare via, non poteva lasciarlo andare da nessuna parte.
Lo stupido era lui e ora doveva rimediare.
«Senti va bene se non lo vuoi, ma almeno mangia la gelatina, quella dovrebbe essere buona.»
Sherlock prese la confezione, levò il coperchio con la linguetta e assaggiò la parte di gelatina che era rimasta appiccicata sotto. Sembrava soddisfatto, così prese il cucchiaino e la mangiò tutta.
«Visto, te l'avevo detto. Di solito è la cosa migliore che c’è in questi posti. Anche il budino non è male.»
Passò l’inserviente a portare via tutto.
«Ora devo andare ma torno più tardi ok?»
Sherlock annuì.

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Note d’autrice:

Allora, siccome lunedì ho l’appuntamento per andare a fare il 5G (spero cogliate la citazione), e non so come starò. Probabilmente morta con la mia ipocondria. Ma dettagli. Per non saltare un aggiornamento, aggiornerò oggi invece di venerdì, e domenica invece di lunedì. Quindi poi appunto, prossima settimana salterà l’aggiornamento del lunedì.
Se sopravvivo ci sentiamo direttamente o mercoledì o venerdì. Poi deciderò.
Grazie e benevenut* a chi mi ha aggiunto tra gli autori seguiti e preferiti.
Inoltre il primo capitolo ha superato le 300 visualizzazioni!

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