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Autore: Gatto1967    03/04/2021    2 recensioni
Oggi vi presento una nuova fan fiction scritta in collaborazione con Tamerice
Nella storia originale, nulla o ben poco viene narrato del periodo che Albert trascorre in Africa, è una storia tutta da scoprire e da raccontare, e abbiamo provato a riempire quei giorni, a modo nostro e in base alla rispettiva fantasia, alternandoci nel percorso di scrittura.
L'amico misterioso (Storie dall'Africa) non è la solita fan fiction con protagonisti Candy e Terence, per cui non aspettatevi di trovarli tra queste pagine, questa è principalmente una storia di amicizia e di gratitudine, ma se vi piacciono le storie con un pizzico di romanticismo, un po' di avventura e di azione, e magari anche qualche losco intrigo, allora seguiteci, poiché capitolo dopo capitolo, vi porteremo a fare un emozionante viaggio nell'Africa coloniale, sotto il sole cocente nella piana di Giza tra le piramidi, nella sconfinata savana tra leoni ed elefanti, in giro per il Cairo, e naturalmente a contatto con la popolazione locale immersa nelle piccole e grandi difficoltà di ogni giorno.
Buona lettura da Gatto1967 e Tamerice
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: William Albert Andrew
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disteso sul letto della sua angusta cabina, Albert riviveva ad occhi chiusi i ricordi delle sue avventure africane. Il rollio della nave sull’acqua e lo sciabordio delle onde sullo scafo lasciarono il posto al vento e ai rumori della savana africana.

L’intenzione di Albert quando era partito per l’Africa era quella di raggiungere le sorgenti del Nilo, ma ormai era più di un mese che si era fermato “per qualche giorno” alla condotta medica dove lavorava Mary a dare una mano per sdebitarsi dell’ospitalità.

Aveva conosciuto il dottor Adam Stevenson, titolare dell’ambulatorio, un medico americano di cinquant’anni circa di età, un uomo che aveva dedicato tutto se stesso alla cura dei poveri e dei disadattati.
Molte malattie che in America o in Europa venivano spesso curate, anche se magari non erano state del tutto debellate, in Africa diventavano mortali.

Aveva conosciuto il giovane studente in medicina Ahmed, un ragazzo egiziano che nell’ambulatorio faceva un po’ di tutto.

Poi c’erano le due infermiere: Mary l’americana e Naomi, l’egiziana. Ad Albert entrambe le ragazze ricordavano Candy. Il loro impegno, la loro gentilezza, la loro bontà d’animo, ricordavano al giovane magnate in incognito la sua bionda figlia adottiva.
Si scoprì a pensare che avrebbe ben visto Candy nel mestiere di infermiera. Anche lei aveva la dolcezza e la pazienza di quelle ragazze poco più grandi di lei.

E poi c’era Amir, lo strano enigmatico Amir, un vagabondo capitato come lui quasi per caso alla condotta. Qualche giorno dopo l’arrivo di Albert, era arrivato anche Amir. Cupo e taciturno aveva chiesto ospitalità per qualche giorno, proprio come aveva fatto Albert, e anche lui si era fermato da un mese abbondante.
Entrambi gli sconosciuti enigmatici uomini avevano suscitato fiducia nel personale della condotta. Non sapevano niente di loro, ma sentivano di potersi fidare.
L’Africa era un posto pericoloso, dove approdavano fuorilegge di tutte le nazionalità, ma quei due giovani uomini non sembravano fuorilegge, o perlomeno non sembravano pericolosi.

Un giorno, mentre nell’ambulatorio Albert stava imparando a usare lo stetoscopio sotto la guida di Mary e Naomi, giunsero dall’esterno rumori di voci concitate, come se due persone stessero discutendo animatamente.
Uscirono all’aperto e videro Amir e un altro uomo che stavano uno di fronte all’altro a guardarsi e parlare in modo non proprio amichevole.
-Che succede qui?- chiese Mary frapponendosi fra i due.
-Questo africano non vuole farmi passare signorina Johnson!-
-Questo africano ha un nome signor Smith, si chiama Amir, ed è con noi da qualche tempo. Comunque mi dica, qual è il problema?-
-Mia figlia Elisabeth! È caduta e si è fatta male!-
Mary si chinò sulla bambina che stava in piedi vicino al padre.
-Si tranquillizzi signor Smith, sua figlia ha solo una sbucciatura al ginocchio. Comunque si metta in fila, quando arriverà il suo turno saremo lieti di disinfettare la ferita e medicarla.-
-Mia figlia non fa la fila dietro agli africani! Mia figlia è bianca ed è inglese, quindi ha la precedenza su questi selvaggi!-
-Non qui signor Smith!-
La voce era quella del dottor Stevenson.
-I pazienti sono tutti uguali, senza distinzione di nazionalità o colore della pelle. Sua figlia non è ferita in modo grave e può aspettare un po’.-
Il signor Smith, un uomo grosso modo coetaneo del dottor Stevenson, ebbe un’espressione carica di odio. Tuttavia sua figlia, la sua unica figlia era davvero ferita, e quella condotta medica era l’unica nel raggio di diverse miglia.
-Coraggio.- intervenne Albert con voce accomodante come a voler stemperare la tensione –Si metta in fila, non c’è molta gente oggi, vedrà che…-
Inaspettatamente il signor Smith sferrò un poderoso pugno al volto di Albert che cadde a terra.
-Ma… cosa fa?!!!-
Poi, vedendo che l’uomo stava per avventarsi su una giovane donna egiziana in fila, Albert si alzò in piedi con insospettabile energia e si avventò sull’arrogante signor Smith prima che questi potesse anche solo sfiorare la donna.
La colluttazione fu energica, entrambi gli uomini si rivelarono buoni combattenti, ma alla fine Albert ebbe la meglio e il prepotente uomo stramazzò a terra.

Diversi mesi prima

Samira stava tornando dal mercato del pesce, portando con sé nella borsa della spesa due pesci ancora guizzanti, destinati a fare da cena a lei e ai suoi figli.
Samira non aveva nessuno a prendersi cura di lei e dei suoi figli da quando il suo povero marito era morto in mare, e la giovane donna era costretta a barcamenarsi fra mille difficoltà per tirare avanti il carretto della sua famiglia. Da qualche tempo era riuscita a trovare un lavoro come donna delle pulizie presso un albergo inglese sul lungomare di Alessandria d’Egitto, proprio davanti al caotico porto di quella città.

Doveva percorrere appena due isolati per arrivare a casa sua, quando due uomini le si pararono davanti. Non erano due egiziani, erano due bianchi, sicuramente due inglesi a giudicare dai lineamenti.
Samira stava imparando un po’ di inglese, lavorando in quell’albergo sul lungomare, e cercò di usarlo anche se in modo goffo.
-Io… andare a mia casa… io cucinare per miei figli…-
I due uomini, dall’apparente età di trentacinque-quarant’anni, la squadrarono con un’aria ferocemente divertita.
-Quanta fretta bellezza… lo sai che sei davvero carina per essere un’africana?-
Uno di loro la prese per il braccio mandandola nel panico.
-Vi prego signori… lasciatemi… vi prego!-
I due uomini non la lasciavano, anzi le strinsero il braccio fino a farle male e Samira cominciò a chiamare aiuto cercando di attirare l’attenzione dei passanti. Ma i passanti erano povera gente di una città caotica e pericolosa, gente che tendeva a farsi gli affari suoi e a passare oltre, tutti tranne un uomo, un egiziano anche lui, che Samira riconobbe: era un suo vicino di casa che lavorava al porto come scaricatore. Lo conosceva fin da quando era bambina.
L’uomo si avvicinò minacciosamente ai due inglesi.
-Lasciatela!-
-Chi ti credi di essere ragazzo?!!!-
Lo affrontò uno dei due dopo aver lasciato il braccio di Samira.
-Quella donna è una donna rispettabile, e voi non la violerete!-
Il giovane parlava un inglese sorprendentemente fluente, frutto del suo costante contatto con gli inglesi.
-E chi ce lo impedirà? Tu?- Lo irrise l’altro uomo.
Il giovane colpì in pieno volto uno dei due inglesi facendolo cadere per terra mentre l’altro uomo gli si avventava contro.
La colluttazione fu breve ed energica, ma il ragazzo ebbe presto la meglio sui due prepotenti uomini, evidentemente molto più abituati a fare gli smargiassi che non a menare le mani.
Con un gesto fece cenno a Samira di andarsene e la donna obbedì dopo averlo ringraziato con lo sguardo.
Nel frattempo uno dei due uomini riprese conoscenza e vedendo l’altro inerte a terra, gli si fece vicino.
Non gli ci volle molto a capire che il suo amico era morto.
Evidentemente cadendo aveva battuto la testa e si era rotto il collo.



Seduto in cima alla collina che sovrastava la condotta medica, con la schiena appoggiata all’albero, Amir ricordò l’episodio che qualche mese prima aveva segnato per sempre la sua vita.
Pensare di giustificarsi per l’omicidio di un inglese era impensabile. L’Egitto era un protettorato di quella ricca e potente nazione che era l’Inghilterra, e nessun giudice lo avrebbe scagionato dall’accusa di omicidio avendo a suo carico la testimonianza di un altro inglese.
Così quella stessa sera aveva lasciato per sempre Alessandria d’Egitto, la città dove era nato e dove aveva sempre vissuto, ed era fuggito in direzione sud.
Aveva anche cambiato nome, il suo vero nome era destinato ad essere dimenticato per sempre, ora lui era Amir, l’uomo il cui passato doveva rimanere un segreto per tutti.


Scritto da Gatto1967

 
   
 
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