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Autore: heliodor    06/04/2021    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Dimenticare tutto
 
“Valya Keltel” stava dicendo Ros. “Sei davvero tu? Che cosa ci fai qui?”
Valya strinse i denti. Per un attimo desiderò di sparire o di non aver mai fatto quella pazzia.
Che mi è venuto in mente? Si chiese. Era chiaro che mi avrebbero scoperta ed è successo. Ora come esco da questa situazione?
“Ros” disse Valya. “Che ci fai tu qui?”
Lui si chinò al suo fianco. “Faccio da assistente a Jan” disse.
“E chi sarebbe questo Jan?”
“Il padrone di questa bottega. Jangar” spiegò lui.
“Sì, giusto” disse Valya.
Ros diede una rapida occhiata alla ferita. “È profonda e hai perso molto sangue, ma non sembra grave. Jan dice che hai una scheggia o due conficcate dentro.” Assunse un’aria grave. “Devo toglierle e poi pulire bene la ferita o si infetterà. Solo dopo la potrò chiudere.”
“Tu” disse Valya. “Tu sai chiudere una ferita?”
Ros annuì.
“Ma tu sei il figlio di un mercante. Quando hai imparato?”
“Mi ha insegnato Jan.”
“Ne hai già chiuse parecchie?”
Rosa annuì di nuovo. “Almeno un centinaio.”
“Ma nella piazza non ci sono cento persone” osservò Valya.
“Ho fatto esperienza sui topi” rispose Ros. “E sui conigli e i gatti. Jan li adora e quando gliene portano uno ferito è sempre entusiasta di poter guarire quelle povere bestiole. Invece odia i cani. Li odia davvero.”
“Topi” disse Valya disgustata.
“Adesso fammi controllare la ferita. Tu” disse rivolto a Rann. “Tienila ferma.”
Rann appoggiò le mani sulle spalle di Valya.
“Vediamo” disse Ros infilando un dito nel taglio.
Valya sentì il dolore avvampare e si arcuò cercando di sfuggire a quel tocco. “Fa male” grugnì.
“Lo so, ma devo vedere la scheggia o non potrò estrarla. Tienila ferma.”
Rann serrò la stretta sulle sue spalle fino a farle male.
“Attento” lo rimproverò Valya.
“Scusa” fece il ragazzo imbarazzato. “Ho stretto troppo?”
“Quasi mi spezzavi le ossa.”
Ros esplorò la ferita strappandole altre grida di dolore e non smise finché non sembrò soddisfatto. Quando ritirò la mano Valya tornò a respirare come prima.
“Hai finito?”
“Non ancora.” Il ragazzo prese dalla cintura una boccetta piena di liquido rosa e gliela porse. “Bevila tutta in un sorso.”
Valya la soppesò tra le dita. “Cos’è?”
“Estratto di solina cremisi” rispose.
“E che cosa sarebbe?”
“Serve a non farti sentire troppo dolore.”
“E non potevi darmela prima?” chiese lei polemica.
“Ce n’è rimasta poca e non sapevo se ti sarebbe servita o meno.”
Valya tolse il tappo di sughero che chiudeva la boccetta e la portò alle labbra. “Non è veleno, vero?” chiese.
“No” rispose Ros.
Valya bevve la pozione in un sorso.
“Almeno non in questa concentrazione.”
Il liquido amaro le scese giù per la gola. “Come?” tossicchiò.
“Niente” disse Ros. “Ora conta fino a trenta perché faccia effetto.”
Valya sospirò. “È davvero necessario?”
Lui annuì deciso.
“Uno, due, tre” iniziò a dire Valya. “Quattro, cinque, sei” I particolari della piazza sfumarono come se all’improvviso fosse calata la nebbia. “Sette, otto, nove”. Sentiva la testa leggera e le gambe intorpidite, come se fosse rimasta seduta per mezza giornata. “Dieci, undici.”
Che cosa viene dopo l’undici? Si chiese.
Stava per domandarlo a Ros ma sentiva le palpebre pesanti.
Le chiuderò solo un istante, si disse. Solo per riposare un po’.
Riposare.
Riposare.
 
La luce le ferì gli occhi costringendola a stringere le palpebre. Emise un debole lamento. Era distesa sulla schiena, la testa rivolta verso l’altro. Cercò di mettersi dritta ma le forze le mancarono e ricadde all’indietro.
“Non ti sforzare” disse Rann.
Era accanto a lei seduto sulle ginocchia.
Da quanto tempo è lì? Si chiese.
La luce del giorno era sfumata verso l’arancione assumendo quel tono delicato che precede di poco il tramonto.
“È tardi” esclamò. “Devo tornare a palazzo.”
Cercò di alzarsi ma fu costretta a stendersi di nuovo.
“Il tuo amico ha detto di aspettare prima di alzarti” disse Rann.
“Quale amico?”
“Quello che ti ha chiuso la ferita.”
Ros, pensò Valya. Sta parlando di Ros Chernin.
“Non è mio amico.”
“Ma vi conoscete.”
“Questo non fa di lui un mio amico” protestò. Si raddrizzò puntellandosi sui palmi delle mani. Girando la testa di lato notò che metà della piazza si era svuotata e solo una decina di giacigli erano occupati. “Dobbiamo andare via. Io devo tornare a palazzo.”
“Ma il tuo amico…”
“Lascialo perdere quello lì” esclamò Valya. “E ti ripeto che non è mio amico. È per colpa sua se siamo dovuti andare via da Cambolt.”
Non era del tutto vero ma in quel momento le serviva una scusa valida per andarsene.
Rann arrossì. “Non ne avevo idea.”
“Dammi una mano.”
Lui la sostenne mentre si rimetteva in piedi. Il fianco le faceva male ma dove prima c’era la ferita aperta ora vi era una fascia. Sfiorandola con le dita sentì qualcosa di morbido e appiccicoso.
“Il tuo… quella persona” disse Rann. “Ha detto che devi cambiare la fascia e pulire la ferita ogni due giorni. E che dovresti andare da un guaritore per farla controllare, quando torni a palazzo.”
“Gli hai detto che abito lì?” gli domandò Valya allarmata.
“No” fece Rann scuotendo la testa. “Non lo so, non mi ricordo. Forse potrei avergli detto qualcosa.”
“Dannazione” esclamò rabbiosa. “Non dovevi dirgli niente.”
“Scusa, non lo sapevo.”
Valya scosse la testa. “Lasciamo perdere. Andiamo via. Ora.”
“Ce la fai a stare in piedi?”
“Sì” rispose.
Il mondo le girava attorno e temeva di cadere a ogni passo, ma non voleva restare lì un attimo di più. Voleva solo tornare a palazzo e dimenticare tutta quell’assurda giornata e fare finta che non fosse mai accaduto niente.
Rann la sorresse per metà della strada e quando Valya si sentì in grado di camminare da sola, gli disse di lasciarla andare.
Raggiunsero la porta che dava sul cimitero degli animali. “Hai con te il mio vestito nuovo?”
Rann annuì.
“Dammelo. Devo indossarlo.”
Lui glielo porse e Valya chiuse la porta lasciandolo fuori. Tolse il vestito strappato e macchiato di sangue e vomito infilando quello nuovo. Era di almeno una taglia più grande ma sarebbe andato bene lo stesso. Fece attenzione a non macchiare il tessuto col sangue che era colato dalla fasciatura applicata da Ros e questo le costò un movimento brusco e una smorfia di dolore. Chiuse in vita la cintura assicurando la gonna e aprì la porta.
Rann l’attendeva ancora in strada.
“Entra, svelto” disse Valya.
Lui ubbidì.
“Torna alla forgia e nascondi l’armatura e la spada in un luogo sicuro” disse Valya.
“Li metterò dove tengo la mia roba.”
“Non farti vedere da nessuno e mi raccomando la spada. Non devi toccarla.”
“Non la sfiorerò, tranquilla. Tu non vieni con me?”
“Non posso apparire all’improvviso a palazzo. Entrerò dalla porta principale.”
“Ma hai un vestito diverso.”
“Mi inventerò una scusa con Olethe.” Valya fece per andarsene ma lui la trattenne.
Accidenti, pensò Valya. La sua stretta è davvero forte.
“Stai attenta” disse Rann.
“Fai come ti ho detto e andrà tutto bene.”
“Valya” iniziò a dire lui.
“Che c’è ancora?”
“Non devi farlo mai più. Usare la mia armatura, intendo. Non voglio stare in pena per te. Se ti succedesse qualcosa…”
“La tua corazza mi ha protetta, Rann. Se sono viva lo devo a te.”
E alla mia spada magica che mi ha protetta dall’incantesimo di uno stregone rinnegato e senza la quale sarei bruciata viva, pensò.
“È stata comunque una cattiva idea.”
Valya sospirò. “Possiamo riparlarne dopo? Ora vorrei andare a riposare. Sai, sono stanca e ho una ferita.”
“Giusto” fece lui annuendo. Chiuse la porta con delicatezza.
Valya attese qualche istante, trasse un profondo sospiro e si avviò in direzione dell’entrata principale.
Davanti al portone vi erano ancora dei soldati di guardia con lance e scudi bene in vista. Valya non li conosceva ed era certa che non fossero mai stati assegnati prima alla difesa della piazza.
Procedette con passo deciso verso di loro.
Uno dei soldati si fece avanti. “Fermati.”
Valya ubbidì. Senza la spada non si sentiva altrettanto sicura affrontando un guerriero armato e protetto da una corazza.
“Chi sei? Nessuno può entrare” disse il soldato.
“Mi chiamo Valya.”
“Sei una serva? Un’ancella?”
“Sono la protetta della governatrice.”
Il soldato ghignò. “E io sono il principe di Malinor, ma non dirlo in giro. Ora sparisci, ragazzina.”
“Ti dico che sono Valya Keltel e la governatrice mi sta aspettando. Se verrà a sapere che non mi hai lasciata passare si arrabbierà molto.”
“Stai facendo arrabbiare me” disse il soldato con tono minaccioso. “Ora vattene, abbiamo altro a cui pensare.”
Avrei fatto meglio a seguire Rann, pensò Valya. Chissà se posso tornare indietro e usare il passaggio attraverso il cimitero degli animali.
Non era sicura di ricordare se Rann avesse chiuso la porta col chiavistello. In quel caso avrebbe dovuto scalare il muro o trovare un altro modo per entrare.
Poteva anche attendere lì fuori, ma non era sicura che sarebbe uscito qualcuno che la poteva riconoscere prima che facesse sera.
Forse dovrò passare tutta la notte qui fuori, pensò. E con la stanchezza che sento e la ferita sarà un bel guaio.
Stava per andare via, quando qualcuno si avvicinò. “Lasciatela passare” disse una voce divertita. “Io la conosco. Purtroppo.”
Valya girò la testa di scatto e vide Zane Stanner avanzare verso di lei. Indossava lo stesso mantello bianco di quella mattina, lacero e sporco dopo la battaglia con lo stregone rinnegato che lo aveva quasi ucciso.
La guardia si irrigidì. “Tu garantisci per lei, straniero? E chi garantisce per te?”
Zane gli mostrò il mantello con i fregi di Lormist. “Questo. Ma se vuoi posso mostrarti qualche incantesimo per convincerti.”
La guardia sospirò e fece un passo di lato.
Zane invitò Valya a seguirlo con un gesto che lei avrebbe usato con un cane, se ne avesse avuto uno.
Quando lo raggiunse, disse a denti stretti: “Grazie.”
“Di niente, che ci facevi lì fuori? La governatrice ha vietato a chiunque di lasciare il perimetro del palazzo.”
“Non sono mai tornata dentro” mentì.
Lo aveva fatto, ma come Val il Leone, non come Valya la figlia del fabbro.
Zane sgranò gli occhi. “Eri lì fuori durante la battaglia?”
“Sì” disse Valya sicura. In quel momento voleva impressionarlo. “Ero nella piazza quando è apparsa quella creatura, l’evocazione.”
“Quella non era una creatura. Era un Baloroth.”
“Non mi veniva in mente il nome” disse lei con aria di superiorità.
Zane ghignò. “Stai mentendo. Non hai idea di cosa sia un Baloroth, vero?”
Valya arrossì. “Ha importanza?”
“È una delle nove creature che uno stregone può evocare” spiegò Zane.
“Nove?”
Lui annuì. “Baloroth, Aerrax, Laerion, Varthag, Azeas, Telarion, Remnac, Nifogr e Mandrasath” disse Zane come se stesse recitando una poesia.
“E sono tutte grandi come quel Balorok?”
“Baloroth” la corresse lui. “No, ma il Varthag gli somiglia. Aerrax, per esempio, è una specie di serpente, ma ha le scaglie taglienti. Nifogr somiglia a un cane ma ha le zanne che sporgono. Remnac sembra un grosso cinghiale con delle placche sulla schiena che fanno da corazza. Mandrasath ha una coda che termina con una specie di clava di osso che usa per spezzare le gambe ai nemici e…”
“Sembrano pericolose.”
“Lo sono.”
“Tu sai evocarne una?”
Zane si strinse nelle spalle. “Non ho il dono di evocare. E se lo avessi mi guarderei bene dall’usarlo.”
Valya si accigliò.
“Gli evocatori finiscono a Krikor se non tengono a bada il loro potere.”
“Valya” esclamò una voce femminile.
Parlando erano giunti vicino alle scale che portavano alla fortezza. Non c’erano più i feriti allineati ma il segno lasciato dal sangue era ancora visibile.
In cima alla scalinata c’era Olethe. La donna scese le scale a due a due. “Per l’Unico e gli antichi Dèi, ti abbiamo cercata dappertutto.”
Valya si finse imbarazzata. “Ero nella piazza quando è iniziato l’attacco.”
Olethe la scrutò dalla testa ai piedi. “Questo vestito non è il tuo.”
“Nella confusione il mio si è strappato.” Valya aveva pensato a una storia credibile fin da quando aveva lasciato la bottega di Jangar. “Siamo scappati in una via laterale e da lì ci siamo nascoste nella cantina di una casa.”
“Tu e chi altri?” chiese Olethe.
“C’erano delle donne e dei bambini” rispose Valya. “Eravamo tutti spaventati e non osavamo uscire. Sentivamo i rumori della battaglia sopra di noi e sapevamo che stava accadendo qualcosa di terribile.” Scosse la testa. “È stato allora che una donna mi ha fatta notare che il mio vestito era strappato. Si è offerta di darmene uno che apparteneva a sua figlia.”
“Dovrai restituirlo il prima possibile” disse Olethe accompagnandola verso l’entrata della fortezza. Guardò Zane. “Tu puoi andare. Da qui in poi mi occupo io di lei.”
Lo stregone scrollò le spalle e andò via.
Valya lo guardò allontanarsi da sopra la spalla e un po’ gli spiacque.
Forse, si disse, tra qualche giorno potremo riprendere quel discorso sulle evocazioni.
“Riguardo al vestito” disse Valya. “La donna che me l’ha dato ha detto che potevo tenerlo. Era contenta di donarmelo.”
“Allora la rintracceremo e la ringrazieremo” disse la donna.
Dannazione, pensò Valya, proprio non vuole cedere.
“Non ricordo il suo nome.”
“Puoi riconoscerla?”
“Era buio.”
“E la casa dove vi siete rifugiate?”
Scosse la testa. “Non ricordo dov’era di preciso. Era tutto molto confuso.” Si sfiorò la testa con la mano. “Sono così stanca.”
“Ti farò portare qualcosa da mangiare nella tua stanza. Dopo che avrai fatto un buon bagno per toglierti di dosso la polvere e la sporcizia.”
Così vedranno la ferita.
“Vorrei dormire, prima” disse Valya. “Sono davvero molto stanca.”
Olethe sospirò. “D’accordo, niente bagno. Con tutto quello che è successo oggi, ci meritiamo tutti un po’ di riposo. E io devo presenziare alla veglia funebre del comandante Abbylan.”
Valya trasalì. Aveva dimenticato che erano morte tante persone, compreso il fratello di Ferg.
Olethe dovette notare la sua espressione e annuì grave. “Il comandante Zebith Abbylan è stato ucciso insieme ad altre dodici persone.”
“E Ferg?”
“È nelle cripte che veglia sul corpo del fratello.”
Valya tacque. “Sarebbe sconveniente andare a porgergli le mie condoglianze?”
“Potrai farlo domani, quando ci sarà il funerale. La veglia è per i parenti più stretti e quelli che prestano servizio a palazzo.”
“Capisco” disse Valya.
Olethe la lasciò solo davanti alla porta della sua stanza. “Riposa, adesso. Ci attendono giorni faticosi. La guerra è iniziata davvero.”
Valya chiuse la porta e andò a sedersi sul bordo del letto. Non aveva scambiato molte parole con Zeb Abbylan, ma ricordava bene quando lo avevano incontrato sulla strada per Ferrador e lui le aveva promesso che avrebbe trattato bene Bel.
Aveva mantenuto la sua promessa e il cavallo era stato accudito e nutrito.
Sospirò e si lasciò andare distendendosi con la schiena sul letto. Fissò il soffitto di pietra, immaginando le stelle che si trovavano dall’altra parte, molto più in alto.
Ho ucciso uno stregone in duello, pensò. Persino Margry Mallor sarebbe fiera di me. Ferg lo sarebbe di sicuro. Anche la governatrice, se potessi dirlo a qualcuno oltre che a Rann. Tutti tranne mio padre. Lui si arrabbierebbe e sarebbe capace di trascinarmi via da Ferrador dopo aver fuso e trasformato in un blocco di metallo la spada.
La spada.
Non deve accadere, si disse. Lei è mia e solo mia. Senza di lei non avrei mai sconfitto quello stregone. Senza di lei ora sarei uno dei tanti corpi schiacciati dai palazzi abbattuti da Dofia Pugno di Fuoco. No, mio padre non capirebbe. Lui non ha mai capito.
Chiuse gli occhi, le palpebre che diventavano pesanti. Il fianco le faceva male ma molto meno di prima. Ros Chernin aveva fatto un buon lavoro e le seccava doverlo ammettere.
Domani dovrò trovare il modo di riportare la spada al suo posto, si disse. Darla a Rann non è stata una buona idea ma non potevo fare altro. Mio padre potrebbe trovarla per caso e la perderei per sempre. Non deve accadere. Mai.
Solo in quel momento, quando il sonno stava per sopraggiungere, un pensiero le sfiorò la mente. Non aveva visto suo padre da nessuna parte e non era nemmeno venuto a cercarla né l’aveva attesa davanti all’ingresso. E ora che ci pensava bene, era da almeno un paio di giorni che non lo intravedeva mentre si recava alla forgia o ne usciva per fare qualche commissione.
Sembrava sparito.

 
  
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