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Autore: DanilaCobain    06/04/2021    0 recensioni
Olivia Stonebridge è una ragazza felice e spensierata. Non immagina che la notte possa nascondere simili pericoli e ignora che la sua famiglia discenda da un'antica stirpe di cacciatori di vampiri. Fa parte della sua eredità ma, secondo la tradizione, tutto dovrà esserle svelato al compimento del suo diciottesimo compleanno.
Un gruppo di vampiri assetati di vendetta sta per arrivare in città e niente più andrà secondo i piani. Vampiri potenti e passioni brucianti trascineranno Olivia in una nuova vita a cui dovrà presto abituarsi.
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8. Mezzaluna crescente



Olivia si distese sul divano che odorava di pino e legna bruciata. Avvertiva il pizzicore della medicazione sulle ferite, un costante segnale che fosse tutto vero, che lei era lì presente e viva e non in una qualche dimensione onirica. Se anche fosse stato un sogno, stava durando troppo.
La conversazione avuta con Zaganos le aveva lasciato solo altri interrogativi nella testa. La madre  di Zaganos era stata una cacciatrice, proprio come quelli della sua famiglia. Come lei. A quanto pareva questo era il suo inevitabile destino. Fissò le travi di legno chiedendosi cosa stessero facendo i suoi genitori in quel momento. Probabilmente la stavano cercando. E sua sorella Scarlett, anche lei era una cacciatrice. Ormai ne aveva la certezza. Il ricordo del suo diario si era fatto nitido, come se fosse successo solo il giorno prima.
Zaganos l’aveva definita strega. Era stata in grado di manipolarle la mente e farle dimenticare quell’episodio, forse anche tanti altri. Ma se anche lei era destinata ad essere cacciatrice perché lo aveva fatto? Non voleva che lo sapesse?
Poi c’era la questione del marchio e del perché Magnor la stesse cercando: per renderla la sua concubina. Il solo pensiero le fece venire il voltastomaco. Ma come faceva ad accertarsi che fosse proprio lei la portatrice del marchio e che non si trattasse di uno stupido equivoco? Zaganos le aveva detto che lei era immune alla compulsione, però poi aveva aggiunto che poteva essere protetta dal braccialetto che le aveva regalato il padre. Lo osservò, giocherellando con il ciondolo a mezzaluna che aveva sempre adorato. Amava la luna, così affascinante e misteriosa, in grado di esercitare forza e influsso sulla terra e sugli uomini. Quel ciondolo lo aveva avuto da sempre. Da che ne aveva memoria. Non lo aveva mai tolto. La mezzaluna d’argento satinato l’aveva protetta senza che lei lo sapesse.
Anche Scarlett ne possedeva uno simile, con un fenicottero. E a ben vedere lei non lo indossava più da diversi anni. Probabilmente perché non ne aveva più bisogno, ormai era diventata una cacciatrice. Anche Scarlett aveva il marchio? Olivia slacciò il bracciale e lo ripose nella tasca.
Perché proprio io? Perché non posso essere una ragazza normale come tutte le altre? Si crogiolò in quei pensieri piagnucolosi per un po’, pensando a quanto facesse schifo la sua vita. Poi udì un cane abbaiare, dei passi vicino alla porta.
Forse era la sua occasione per scappare. Scattò in piedi mentre la porta si apriva. Olivia fissò un paio di occhietti tondi e acquosi, un viso segnato dal tempo e un corpo magro e ricurvo, provato dagli anni. Il vecchio le fece un sorriso come se si aspettasse di trovarla proprio lì.
«Buongiorno signorina, mi chiamo Paul. Sono venuto a portare il pranzo a voi e al signore.»
Nelle mani stringeva una scodella avvolta da una busta di plastica. Fuori dalla porta, seduto accanto allo zerbino c’era un cane bianco e marrone, un cane da caccia.
«Non vi preoccupate, lui è Bok, è buono e poi non entra nelle case» disse l’anziano seguendo lo sguardo di Olivia.
«Senta, io ho bisogno di tornare in città.»
L’uomo la guardò con affetto mentre poggiava la busta sulla tavola. «Il signore tornerà presto.»
«Ma lei non ha una macchina? Come è arrivato qui?»
«Io abito da solo qui nel bosco con Bok, non vado più in città. Ogni tanto vengono mio figlio o il signore e mi portano quello che mi serve.»
Olivia si sentì mancare. «Può prestarmi almeno il suo telefono?» Se fosse riuscita a chiamare a casa almeno avrebbe potuto far sapere ai suoi che stava bene.
«Non ho il telefono.»
La stava prendendo in giro? Non aveva un cazzo di telefono. Stizzita sbuffò e tornò a sedersi. Nascose il viso tra le mani e represse la voglia di piangere.
«Non vi preoccupate, signorina. Il signore torna presto.»
«Lei sa dove è andato?» Olivia alzò la testa.
«No. Stamattina è passato a salutarmi e mi ha detto che aveva ospiti, così ho preparato il pranzo per entrambi. Il signore è davvero una brava persona. Ha preso questa casetta qualche mese fa, ha detto che gli serviva un posto tranquillo dove comporre la sua musica. Beh, io vado. Se avete bisogno di me fate un fischio, sono qui in giro.»
Olivia si alzò e lo accompagnò alla porta. «Grazie mille per il pranzo.»
Sempre più frastornata e avvilita aprì la scodella. Dentro c’era una zuppa dall’odore invitante. Non sapeva nemmeno che ore fossero. Voleva tonare a casa sua. Aveva bisogno di risposte, di spiegazioni. Zaganos era molto ermetico e anziché soddisfare la sua sete alimentava altre domande.
 
***
 
I passi riecheggiavano contro le pareti di marmo mentre Zaganos percorreva il lungo corridoio diretto alle stanze di Magnor. Spalancò la prima porta. L’odore di sangue rappreso e morte lo investì. Alcuni vampiri stavano succhiando il sangue dal collo di giovani uomini mentre li sodomizzavano, qualche cadavere giaceva scomposto per la stanza, con le giugulari squarciate e i vestiti strappati a mostrare le loro intimità. Non era uno scenario insolito nel castello di Magnor, le feste e le orge erano la normalità. Più raro era invece trovare la stanza di Magnor piena di cadaveri, proprio quello che vide Zaganos non appena aprì le porte.
Magnor sedeva sul suo trono, una gamba che penzolava oltre il poggia braccio e l’altra allungata verso terra. Gli occhi sbarrati, iniettati di rosso erano puntati su Zaganos ed emanavano una furia a stento controllata. Zaganos chiuse la porta e si fece largo tra i corpi martoriati sul pavimento.
«Magnor.»
«Dov’è la ragazza?» Era il tono del comandante, di colui che deve solo schioccare le dita per avere ciò che vuole.
«Non lo so. Perché hai mandato Ulric e gli altri? Hanno ucciso dei ragazzi, sono dovuto intervenire.»
«Ci stavi mettendo troppo tempo. Dov’è, Zaganos?»
«Protetta dalla sua famiglia, immagino.»
Magnor batté con forza la mano sul bracciolo, facendolo scricchiolare. «Il fatto che tu sia mio fratello non ti autorizza a mentirmi in questo modo.» Si alzò in piedi e lo raggiunse a passi lenti e misurati. «Tutti i cacciatori di Tiern la stanno cercando. Dove l’hai portata?»
Zaganos sostenne lo sguardo di ghiaccio di Magnor. «È al sicuro.»
Le narici di Magnor si dilatarono. «Mmmh. Riesco a sentire il suo profumo su di te. Ha il marchio?»
«Non sono riuscito a capirlo. È ancora pura, non ha ricevuto l’anello.»
«Questo lo sapevamo già. Avresti dovuto assaggiarla, Zaganos, perché non lo hai fatto?»
Zaganos sapeva che assaggiando il suo sangue sarebbe stato in grado di capire se possedesse o meno il marchio, poiché avrebbe avuto un sapore diverso da tutti gli altri.
«Perché non sono riuscito a rimanere da solo con lei, mi serviva più tempo.»
«Adesso sei da solo con lei.»
«Non ho intenzione di farle del male. È ancora una ragazzina, è piccola. Non sapeva nemmeno dell’esistenza dei vampiri…»
«Ah, tu e la tua stupida pietà umana.» Magnor sorrise arcigno. «Non intralciare mai più i miei piani, fratello, o ti uccido. Adesso sparisci.»
Zaganos rimase dov’era. Essendo un vampiro di nascita e di sangue reale Magnor era a capo di tutta l’area della Pennsylvania, conquistata dopo aspre battaglie e trattative con i vari clan in particolare con quello di Stanis, più giovane di Magnor ma autoctono. Stanis viveva in quei luoghi da quando ne aveva memoria, Magnor invece era un europeo trasferitosi in America. Non era insolito per un vampiro migrare in altri posti dopo un certo numero di anni. Vedere i suoi piani andare a monte lo metteva in uno stato di collera che era meglio non stuzzicare.
Zaganos si soprese che gli avesse detto semplicemente di sparire. Non che si aspettasse una punizione esemplare, ma quantomeno un atteggiamento più autoritario riguardo la ragazza. Aveva già un piano per tale evenienza ma era completamente impreparato per questa sua reazione. Magnor si mosse come una pantera pigra e tornò a sedersi sul suo trono d’oro.
«Magnor, ascolta.»
«Sei ancora qui? Ti ho detto di sparire.» Agitò la mano bianca facendo scintillare le pietre nere e rosse incastonate sugli anelli, come per scacciare una fastidiosa mosca.
«Voglio spiegarti le ragioni del mio gesto.»
«Sei troppo maledettamente umano. Loro non hanno tutta questa pietà nei nostri confronti. Ci uccidono, solo perché ci ritengono dei mostri, solo perché ci temono. Vogliono essere immortali come noi e invece sono solo degli stupidi corpi fragili, che amano tormentarsi a vicenda, si fanno male si torturano, si odiano proprio come noi. A loro non importa se siamo padri, se amiamo, se proviamo pietà per loro. L’unica cosa che vedono in noi è un nemico, un abominio, un parassita che va estirpato dalla terra. Come se la terra gli appartenesse per davvero, come se loro avessero il diritto di stabilire chi è degno di abitarla e chi no. Eppure tu, avendo sperimentato entrambe le condizioni, credevo avessi imparato quanta ipocrisia regna in quelle stupide creature.»
Zaganos ascoltava in silenzio, condivideva molto di quel discorso, ma allo stesso tempo credeva che comportarsi come gli umani e rendergli pan per focaccia non fosse la soluzione giusta. Quei cadaveri sparsi sul pavimento non facevano che dare ragione a chi cercava di sterminarli. Erano più simili di quanto entrambe le razze fossero disposte ad ammettere. La voce melliflua continuò.
«Proteggi pure la ragazza se ti fa sentire meglio. Tanto sarà mia comunque.»
Dietro la sua maschera impassibile Zaganos era un fascio di nervi. L’unica cosa che lo teneva calmo lì, senza correre a controllare che Olivia fosse al sicuro, era la luce del giorno. Magnor non aveva vampiri diurni tra le sue fila, ma la sua calma e la sua sicurezza lo atterrivano. Fece un inchino e uscì.
 
Poco prima del crepuscolo fece ritorno alla baita. Aveva trascorso l’intera giornata girando senza senso e sostando nei posti più strani e impensabili, assalito dalla paranoia di essere seguito. Era persino tornato a Tiern, dove si respirava un clima di sconcerto e terrore per la morte agghiacciante dei due giovani. Per fortuna lì nessuno aveva fatto caso a lui.
Olivia era distesa sul divano, le mani incrociate sull’addome e lo sguardo rivolto al soffitto.  Sul tavolo gli avanzi del cibo che le aveva portato Paul. Si mise a sedere non appena lo vide.
«Dove sei stato?»
Zaganos chiuse la porta e diede a Olivia un sacchetto di carta con dentro la cena: hamburger e patatine. «Che hai fatto oggi?»
Lei prese il sacchetto e guardò dentro. «Cosa avrei potuto mai fare? Sono sola, in una casa minuscola in mezzo al bosco.»
«È venuto Paul a farti compagnia, no?»
Lei accennò un sorriso. «Sì, è stato molto gentile. Lo hai soggiogato?»
«In parte. Lui crede che io sia un compositore del sud America venuto in cerca di pace e ispirazione.»
Zaganos si sedette sulla poltrona. Olivia aveva lo sguardo perso nel sacchetto, come se stesse pensando a qualcosa che forse non era il caso di fare ma allo stesso tempo voleva fare.
«Non ti piace?»
Lei alzò gli occhi verde smeraldo su di lui. «Zaganos, io ci ho pensato molto.» Mise da parte il sacchetto e infilò le mani in tasca. «Voglio che provi la compulsione su di me» tirò fuori il bracciale d’argento che secondo lui possedeva la magia. «L’ho tolto. Voglio sapere se ho quel dannato marchio» disse infine risoluta.
Zaganos fissò per un attimo il bracciale col ciondolo di luna. «No.»
«Perché no? Zaganos, io mi fido di te.»
«Olivia, non dimenticare mai chi sono e cosa rappresento per te.»
Lo disse in maniera così dura che la vide rimpicciolirsi sul divano. Nascose il viso tra le mani e cominciò a piangere.
«Non voglio essere la concubina di un vampiro! Ho bisogno di sapere se ho quel marchio oppure no, ho bisogno…»
Zaganos si accovacciò accanto a lei e le scostò le mani dal viso. Era così piccola e ingenua, come si poteva pensare di renderla già una schiava di sangue? Quando era un ragazzo umano, alla sua età Oliva era considerata adulta ma i tempi erano cambiati. Anche se per lui era una follia non rendere i giovani cacciatori consapevoli delle creature che popolavano il mondo della notte, guardando Olivia capì perché la sua famiglia e così tutti gli altri cacciatori volessero preservare la spensieratezza e l’ingenuità dei figli il più a lungo possibile.
«Non diventerai la concubina di nessuno. Domani ti porterò a casa, i tuoi genitori ti insegneranno tutto quello che devi sapere, diventerai una cacciatrice e sarai in grado di difenderti da qualsiasi minaccia.»
Lei si asciugò le lacrime con il dorso della mano e sembrò rassicurarsi un poco.
«C’è solo una cosa che voglio che ricordi. Non siamo tutti uguali. Così come tra gli esseri umani esistono persone spregevoli e persone buone, tra noi esistono vampiri che non uccidono gli umani. Ti diranno che siamo dei mostri, ma chi non lo è? Anche qui dentro è celata un po’ di oscurità.»
Le mise una mano sul cuore, sentendolo battere all’impazzata. «Sii coraggiosa e non esitare o soccomberai.»
Le aveva detto quelle parole perché voleva che serbasse un buon ricordo di lui, perché era egoista e ancora un po’ umano, ma si era affezionato a lei ed essere considerato un mostro gli faceva male.
Olivia si irrigidì tutta. «Che succede? Ho come la sensazione che…»
«Cazzo» esclamò lui, balzando in piedi. «Ci hanno trovati.»
   
 
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