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Autore: Obiter    06/04/2021    2 recensioni
Prendete Sherlock BBC e tutti i suoi personaggi, diminuite drasticamente la loro età anagrafica e metteteli tutti nella London High School durante il loro ultimo anno. (No, aspettate, non dileguatevi. Non è una storia di adolescenti, non sul serio. Okay, tecnicamente lo è, ma il narratore sarà il nostro maturo, disilluso e geniale Sherlock. Sarà forse un po' più insicuro, un po' più impacciato, un po' più con gli ormoni in subbuglio... Ma sarà sempre lui).
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, De-Aging | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Lunedì 14 ottobre sono accaduti due fatti degni di nota.

Punto primo: è arrivato un nuovo studente. Si chiama John Watson, ha la mia età ed è uno sportivo biondino e belloccio che in breve tempo è diventato la nuova celebrità della London High. Ovviamente ha già fatto amicizia con gli altri giocatori di football e a pranzo si è seduto vicino a Kate, la migliore amica di Irene Adler.

È il classico tipo di tendenza che piace un po' a tutti. Non mi stupisce che abbia già trovato degli amici, ma è comunque deprimente constatare come lui in un giorno si sia fatto più amici di me in dieci anni. Ma tant’è.

Punto secondo: il padre di Lestrade ha un nuovo caso. Una povera donna è stata trovata senza vita sulle rive del Tamigi e nessuno ha la benché minima idea di cosa le sia accaduto. Dopo la scuola mi recherò personalmente presso il luogo del ritrovamento del corpo e cercherò di mettere un po' di luce in questo pantano. Se sono in vena, provo anche a intrufolarmi nell’obitorio. La sola idea mi elettrizza, non vedo l’ora.

Nel frattempo però mi aspettano le solite cinque ore interminabili di prigionia, di cui due con il compito in classe di letteratura inglese. Ma è un bene: le verifiche mi aiutano a combattere la noia. Due ore a rispondere a delle domande passano in fretta, due ore a contare i pietrini nel pavimento sembrano eterne. 

Sino a qui, questo giorno poteva sembrare un esordio della settimana più che soddisfacente, ma non lo è stato. Durante l’ora di pranzo il mio commensale abituale, colui con cui pasteggio ormai da cinque anni, mi ha informato che la nostra spacciatrice di fiducia è stata arrestata proprio ieri notte dalle forze dell’ordine.

Mi sono sentito male. Questa è una tragedia. Non sono dipendente da sostanze stupefacenti e infatti non vado in crisi d’astinenza se resto un paio di giorni pulito, tuttavia sapere di non poter più contare sulla droga e sul suo potere anestetizzante mi riempie di angoscia. A questo punto so già cosa penserà la gente: “oh no! Ecco qui l’ennesimo caso di adolescente cocainomane che ha sete di attenzione e vuole fare il trasgressivo, l’anticonformista”.

Niente di più sbagliato.

Io non uso la cocaina per “sballarmi”, anzi l’esatto contrario: la uso per sedarmi, per fare tacere i pensieri e non sentirmi più soffocare dall’apatia e dal nulla cosmico che mi circonda e perciò assumerla mi aiuta proprio a tirare avanti, a sopravvivere. E quella stupida donna si è fatta arrestare malgrado tutti i consigli che io le avevo dato e che, evidentemente, non ha seguito. Ma dopotutto dare dei consigli a certi soggetti è solo uno spreco di voce.

Adesso dovrò cercarmi un pusher nuovo, il che è molto pericoloso, perché quello non è un mondo in cui ci si può affacciare con serenità. Puoi ritrovarti con un coltello ficcato nello stomaco in meno di dieci secondi.

Il ragazzo con cui condivido questa nociva abitudine, comunque, mi ha detto che potrebbe avere un’altra soffiata. Dopotutto è stato proprio lui a presentarmi quella prostituta spacciatrice, ormai un anno fa. 

Costui, tanto per la cronaca, risponde al nome di James Moriarty ed è la persona più sinistra e più simile a me che io conosca. Abbiamo molte cose in comune: anche lui si annoia moltissimo e anche lui possiede un QI di gran lunga superiore alla media, ma a differenza mia, questo lo porta a odiare la gente e lo farà diventare presto un criminale, uno di quelli psicopatici. Gliel’ho detto, lui mi ha risposto che aveva già un coltello pronto nei pantaloni. Gli ho detto che l’avevo notato, lui mi ha risposto che in verità era solo felice di vedermi.

Ah-ha. Fortunatamente in quel momento è suonata la campanella e ho potuto dileguarmi. Questo per dire che in effetti non è molto centrato… Ha delle stereotipie e delle abitudini che assumono una sfumatura inquietante nella sua persona, losca. Ad esempio, a pranzo beve sempre e solo una lattina di Coca Cola Zero, nient’altro. In quattro anni di mensa giuro che l’ho mai visto mangiare qualcosa. Gli ho chiesto il motivo di questo suo sciopero della fame, e la risposta è stata nauseabonda: “Chi ti dice che non è carne umana, quella?” e ha indicato le mie polpette al sugo.

Beh, da quel giorno non ho più preso la carne. Non penso ovviamente che la scaloppina o la paillard celino una fosca natura criminale (sarebbe troppo interessante), ma quando le vedo non posso fare a meno di pensarci, forse perché in effetti non sono del tutto centrato nemmeno io. Il famigerato confine sottile tra genialità e pazzia…

Questo per dire che io e Jim potremmo anche diventare amici, ma la sociopatia che condividiamo, i coloriti problemi psicologici che abbiamo e il nostro QI ci rendono sostanzialmente incompatibili. Siamo come un cieco e un sordo. “C’era una volta al pub uno schizo e un aspi” sembra più l’inizio di una barzelletta che la realtà. Però le nostre conversazioni delle tre del mattino mentre aspettavamo di nascosto Caramel (la spacciatrice) me le ricorderò per tutta la vita. Sono tra le più interessanti che ho avuto. Parliamo sempre e solo di cold case, di omicidi, di assassini, di morti inspiegabili e in generale di casi investigativi irrisolti. Lui ha una cultura sterminata, conosce tutto e io adoro confrontarmi con lui perché la pensiamo sempre allo stesso modo. Senza saperlo, abbiamo risolto in modo identico molti omicidi rimasti insoluti e concordiamo sempre sull’identità degli assassini. Questo mi rende felice perché va a caldeggiare ulteriormente le mie tesi, ma mi inquieta perché mi fa capire quanto Jim sia pericolosamente in gamba.

Ciò non toglie che avrei bisogno di una persona un po' più… Ordinaria, al mio fianco. Suona malissimo detta così perché sembra che io mi consideri “straordinario”, e forse lo sono, ma non in senso positivo. La diversità, così come l’unicità, non sono sempre positive. Anzi, arrivo a dire che è molto più frequente essere diversi perché si è sotto la media piuttosto che sopra.

 

 

***

 

 

Terminate le cinque ore di tortura cerebrale, il mio progetto di andare nelle rive del Tamigi è completamente andato in fumo a causa di un improvviso acquazzone. La pioggia elimina ogni prova, ogni traccia, ogni orma. Il tempo, sia atmosferico che non, è il peggior nemico dei detective, quanti criminali sono rimasti a piede libero per colpa sua…

Sono quindi tornato a casa con l’umore sotto i tacchi e nel farlo sono passato di fronte al campo da football. C’erano i giocatori che correvano, tra cui quello nuovo, John Watson, già perfettamente integrato nel gruppo, e le cheerleader che ballavano tra di loro sulle note di una canzone latino americana. Ma credo che lo facessero per gioco, si stavano solo divertendo. Notai Adler in mezzo a loro, che fu letteralmente afferrata e scaraventata per aria da un tizio biondo e muscoloso.

Mi voltai e me ne andai.

Quella sera sniffai una partita intera di cocaina e dormii fino al mattino, profondamente e senza sogni. Ovviamente il risveglio fu disastroso: mal di testa lancinante, leggera nausea e sensazione di intorpidimento generale, come se stessi covando l’influenza. Purtroppo il post dose mi fa questi effetti, ma sono sceso comunque per la colazione e ho preteso di stare bene, sono un bravo attore. Mia madre era già attaccata ai fornelli perché stasera abbiamo degli ospiti a cena, e visto che lei è una persona ansiosa per natura, non è tranquilla se non inizia a cucinare già dalle prime luci dell’alba.

Mio fratello Mycroft invece stava già litigando con mio padre, i due hanno un pessimo rapporto. Io cercavo di estraniarmi mentre volavano gli insulti, ascoltavo mia madre che parlava: “Ecco, non mettere mai il sale nelle verdure mentre si cuociono, altrimenti esce l’acqua”.

Certo, è un processo chimico. Le ho spiegato come il sale favorisca la rottura delle pareti cellulari delle cellule vegetali, sarei anche sceso nel dettaglio ma lei poi mi ha interrotto ricordandomi che erano solo le sei del mattino e ha aggiunto un “Da bravo, Sherly” come se avessi ancora due anni. 

A quel punto ho taciuto, mentre Mycroft dava dell’idiota senza speranza al nostro genitore.

Sto bene a casa mia? No.

Voglio andare a vivere da solo quanto prima. È uno dei motivi principali per cui mi iscriverò al college, anche se nel mio caso non sarà altro che un prolungamento del tedio scolastico. Non ho bisogno del “pezzo di carta” per diventare un detective, tanto meno di uno che mi insegni i segreti del mestiere.

Comunque mi sono lavato, vestito, pettinato, ho perso ogni speranza e sono uscito.

Ho preso la metropolitana ma sono sceso a tre fermate prima per fare una passeggiata, anche se fuori, come di consueto nella mia amata città, piovigginava. Ho alzato solo il bavero del cappotto, visto che non avevo l’ombrello e tanto meno il cappuccio. 

Che cosa dozzinale il cappuccio. 

Nel dirigermi verso l’istituto, però, ho fatto un incontro a dir poco inaspettato: ho scorto il ragazzo nuovo di nome John Watson che faceva jogging insieme a Mike Stamford. Malgrado ci fossero cinque gradi e questa gelida pioggerella invasiva, John stava indossando solo un paio pantaloncini corti e una maglietta a maniche lunghe, Mike invece aveva il K-way. Mi sono passati di fianco, dall’altro lato della carreggiata, e non mi hanno nemmeno salutato. Mike non mi ha salutato, John Watson era girato e non mi ha visto, ma non mi avrebbe salutato in ogni caso, visto che non ci siamo mai parlati e molto probabilmente non ci parleremo mai…

 

Niente di più sbagliato.

 

Tre mattine dopo si è ripresentata esattamente la stessa identica scena. Io sono sceso a tre fermate prima, fuori piovigginava, il cielo era brumoso, e all’incirca nello stesso incrocio sono comparsi John Watson e Mike Stamford, solo che John questa volta era voltato verso di me.

“Ciao!” ha esclamato non appena mi ha visto. Credo di avere sgranato gli occhi. Per poco non mi sono voltato, ma vivaddio non l’ho fatto. 

“Buongiorno” gli ho risposto invece, teso e rigido come mio solito.

Mike Stamford a quel punto si è trovato costretto a dirmi un “ehi” tra i denti, ma in fondo chi se ne frega di Mike Stamford.

Con mia grande gioia ho aggiunto subito John Watson nella lista delle persone che mi salutano, in quel momento figuravano: Lestrade, Molly e ogni tanto Jim. Adler l’avevo depennata d’ufficio. E poi c’erano anche i docenti, ma loro sono obbligati a salutare i discenti, non contano.

Sono giunto nel tetro istituto con uno spirito rinnovato, più allegro. Adler e le sue amiche mi sono passate di fianco e hanno ridacchiato, ma io le ho ignorate. 

Dopo di che mi ha raggiunto Lestrade, aveva un nuovo taglio di capelli, di quelli rasati ai lati che vanno di moda adesso tra i calciatori. 

“Psst, Sherlock” mi ha chiamato, guardandosi intorno “Ho novità”

Lestrade si comporta come se fossimo in un film di spionaggio. Non so se lo faceva perché si divertiva o perchè temeva davvero di essere scoperto, in ogni caso era inopportuno.

“Cosa c’è?” gli ho chiesto a voce rigorosamente alta.

“Ti ricordi quella cosa su quella persona ritrovata in quel luogo?”

Sssht! Cavolo! Parla piano!”

“Non c’è bisogno di parlare in codice, siamo a scuola, Greg, non al Cremlino”

Lui alzò gli occhi al cielo e mi si avvicinò comunque quatto quatto. 

“Papà è un po’ bloccato con le indagini…”

“Ma non mi dire” mi sfuggì del sarcasmo, non potei farne a meno. Gavin non ci fece troppo caso, ormai era abituato ai miei commenti al vetriolo.

“No!” lo interruppi, non volevo nemmeno sentire quella dannata parola.

“Si è suicidata”

Ecco. Lo sapevo. Che fastidio, che fastidio! Quando non sanno cosa dire, pensano al suicidio, è esasperante, irritante come poche cose al mondo. E dopotutto come posso io formulare delle antitesi se non ho mai visto il corpo, il luogo del delitto e il luogo del ritrovamento? Non si può lavorare così.

“Hanno almeno individuato il ponte? Sai, ce n’è più di uno sul Tamigi” gli ho chiesto brusco, mi ero inacidito.

“Non ci ho guardato”

“Guardaci”

“Okay” mi ha risposto “C’è Anderson, devo andare. A dopo, Sherlock”

“Ciao, George”

“Greg!”

Gli ho rivolto un mezzo sorriso. 

Terminata la breve e nefasta conversazione con Lestrade, ne è iniziata una con Molly. Ora, io non ho niente contro Molly. Non la trovo antipatica, né fastidiosa né altro, ma la sua ostinata gentilezza nei miei confronti è equivoca. L’ho chiesto anche a Lestrade: “Cosa vuole Molly da me?” e lui mi ha illuminato con un “Non lo so, amico”. 

Avrei davvero bisogno di un altro “amico” a cui chiedere consiglio. E soprattutto di un modo per disilludere Molly senza farla soffrire. Non era per lei, era per me. Non voglio ragazze, ragazzi, partner, amanti o altro. Non li voglio, fine.

“Ciao, Sherlock!”

“Molly” la salutai sfrecciando via, ma lei non demorse e mi corse dietro. 

“Come va? Tutto bene?” mi rincorse giuliva, con tre grossi libri tra le braccia. Dieci secondi e quello di chimica inorganica le sarebbe scivolato per terra.

“Non male, grazie” le ho risposto con una frase fatta “Tu?”.

“Anche io tutto bene. Ti volevo chiedere una cosa, se hai tempo un attimo. Ecco, che ne pensi degli scacchi? Ti piacciono?”

Questa è la classica domanda da formulare a uno come me. Secondo me, lei pensava che io avessi la camera piena di cubi di Rubik, scacchiere e magari anche un poster con la faccia di Stephen Hawking appeso vicino a un telescopio di Amazon puntato fuori dalla finestra.

“Dipende. Perché?” le risposi comunque, piegandomi a raccoglierle il libro che le era giustappunto caduto per terra.

“Grazie” arrossì “Ecco, Io e Tom vogliamo aprire un club degli scacchi. Ti andrebbe di partecipare?”

Povera Molly. Era talmente convinta che la mia risposta sarebbe stata affermativa che quasi mi dispiacque declinare l’offerta.

“Dubito di riuscire a gestire un’altra attività extra scolastica, mi dispiace” le ho risposto onestamente “Ma grazie comunque per l’offerta”

“Oh” sussurrò, visibilmente delusa “Certo, capisco”

“Già…” mi sentivo un po’ in colpa.

“Posso chiederti quali corsi frequenti?”

La domanda era scomoda, sembrava un goffo tentativo di rintracciarmi. “Corsi privati” le ho risposto quindi “A casa”.

Molly annuì vigorosamente. “Ah, okay. Perfetto” mi ha sorriso di nuovo, ma la delusione che traspariva dal suo sguardo era evidente.

“Dovresti chiedere a Tom di uscire, sai?” le ho consigliato per distrarla.

“Cosa?”

“È innamorato di te, dovresti dargli una chance” insistetti. Non era propriamente vero, ma lo sarebbe stato presto. Lei però non ne sembrava affatto convinta.

“Fidati” continuai io “Si vede lontano un miglio” 

“Ma Tom è gay” mi ha sorpreso con una smorfia confusa.

Io sentii la mia fronte aggrottarsi, questo non me lo aspettavo. “No, non è gay”

“Ma lui mi ha detto di sì”

“Ti ha detto una bugia” precisai con convinzione, so riconoscere un omosessuale quando lo vedo “Non è affatto gay”.

Molly continuava a guardarmi con un’aria interrogativa, come sempre toccava a me sbrogliare le matasse.

“Ti sei mai spogliata di fronte a lui o qualcosa del genere?” le domandai allora io, i suoi occhi nocciola si fecero più grandi.

“Sì” mi rispose, inorridita “L’ho fatto entrare nel camerino di un negozio, ma perché sapevo che era gay, quindi... Non c'era niente di male”

Io scossi lentamente la testa e la consapevolezza parve investirla, così come il rossore. 

“Non è gay?”

“No” le confermai nuovamente io. 

Molly si voltò con uno scatto così veloce che feci appena in tempo ad appoggiarle il manuale sopra gli altri.

“Vado ad ammazzarlo!”

“Buon omicidio” la salutai, lei si era già precipitata via. Presto si metteranno insieme. Ma cosa non fanno i miei coetanei per vedere un reggiseno? 

E a proposito di reggiseni, dopo che Molly si fu allontanata, mi passarono di fianco Irene Adler, Astrid Mikkelsen e Kate Steele, tutte tre in minigonna. Sorridevano e chiacchieravano fra loro, poi sono sparite tutte insieme nel bagno delle donne. Dicono che le ragazze vadano sempre in bagno insieme, ma nessuno sa bene il perché, lo fanno e basta. Sono squisitamente incomprensibili. Mi piacerebbe andare nel bagno con loro e vedere cosa fanno, ma solo per amor di conoscenza. Secondo me si tengono la borsa a vicenda (perché poi devono sempre spostarsi con delle borse/valigie ricolme di roba, non è dato saperlo), oppure (esagero) si sorreggono per non doversi sedere sulla tazza, che giustamente fa schifo. Non mi vengono in mente altri motivi. 

In ogni caso è meglio non pensarci, perché i miei ormoni sono sempre dietro l’angolo, pronti a mordermi come dei piraña impazziti. Già ieri mattina mi sono svegliato con un missile Sputnik tra le gambe, gradirei non ripetere l’esperienza in pubblico.

A volte ho degli istinti da uomo di Neanderthal che fanno concorrenza a Sebastian, lui poi ha anche la clava, anche se la spaccia per mazza da baseball.

 







 

 

Note dell'autore
Grazie per le visite! Auspico siano state letture e non solo “aperture”. Non credo che riuscirò ad aggiornare così velocemente anche per i prossimi capitoli, ma ci proverò, tutto ciò è molto divertente. Il cognome di Kate me lo sono inventato, come mi sono inventato il personaggio di Astrid Mikkelsen e altre comparse che probabilmente troverete.  
A presto, Obi.

 

   
 
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