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Autore: Placebogirl_Black Stones    07/04/2021    0 recensioni
Dopo la sconfitta dell'Organizzazione, tutte le persone che sono state coinvolte nella battaglia dovranno finalmente fare i conti con i loro conflitti personali e con tutto ciò che hanno lasciato irrisolto fino ad ora. Questa sarà probabilmente la battaglia più difficile: un lungo viaggio dentro se stessi per liberarsi dai propri fantasmi e dalle proprie paure e riuscire così ad andare avanti con le loro vite. Ne usciranno vincitori o perderanno se stessi lungo la strada?
"There's a day when you realize that you're not just a survivor, you're a warrior. You're tougher than anything life throws your way."(Brooke Davis - One Tree Hill)
Pairing principale: Shuichi/Jodie
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Jodie Starling, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tomorrow (I'm with you)'
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Capitolo 32: Una serata a Brooklyn
 
 
 
Era ormai trascorsa un’ora da quando aveva finito di fare la doccia ed era andata in camera a scegliere il vestito da mettersi. Continuava a chiedersi quale fosse l’outfit adatto ma nulla le sembrava perfetto per l’occasione: quella era la loro prima vera uscita “in pubblico”, dal momento che nei giorni precedenti avevano più che altro pranzato fuori da soli durante la pausa e lei era andata a casa di Shuichi il giorno prima dopo il lavoro. Voleva essere bellissima per lui, voleva che tutti coloro che li avrebbero visti insieme lo avessero invidiato per avere una donna così al suo fianco. Sapeva che stavano semplicemente andando a mangiare un gelato in un sabato sera come tanti, ma non le importava.
Dopo innumerevoli prove, scelse un abito bianco leggero con le spalline sottili, stretto in vita e più morbido sui fianchi, con un’ampia scollatura che metteva in evidenza il suo prosperoso decolleté. Ormai l’estate era ufficialmente arrivata, pertanto non correva rischio di sentire freddo. Indossò una collanina molto fine con un ciondolo a forma di cuore, che le aveva regalato proprio Shuichi anni fa e un paio di semplici orecchini punto luce; ai piedi optò per un paio di sandali color argento con il tacco alto. Solo per il make up scelse qualcosa di non troppo vistoso, non le era mai piaciuto truccarsi troppo: una sottile linea di matita nera e un po’ di mascara. Decise di non mettere il rossetto come era solita fare, dal momento che si sarebbero sicuramente baciati e non voleva che Shuichi sembrasse un clown dopo averlo fatto. Completò il tutto spruzzandosi il suo profumo preferito, giusto in tempo prima che il citofono suonasse.
 
 
…………………………..
 
 
Suonò il citofono e attese che la voce di Jodie uscisse dall’altoparlante, poi quando sentì lo scatto del portone che si apriva entrò e prese l’ascensore diretto al quarto piano. Si sentiva bene all’idea di uscire finalmente “all’aperto” con Jodie, nonostante il timore che avessero potuto incontrare qualche loro collega. Non che si vergognasse, ma per il momento preferiva non dare adito a voci e pettegolezzi sul luogo di lavoro, specie dopo essere venuto a conoscenza dalla stessa Jodie delle lingue lunghe e taglienti di alcuni di loro.
Quando giunse davanti alla porta dell’appartamento di Jodie suonò il campanello e attese qualche secondo. Sentì il rumore dei tacchi avvicinarsi e poi la porta si aprì, rivelando Jodie in tutta quella che era la sua bellezza. Le lunghe gambe lasciate scoperte dal corto vestito bianco e rese ancora più slanciate dai tacchi, il seno florido che si intravedeva dalla scollatura, quegli occhi azzurri resi ancora più intensi da quel sottile velo di trucco nero che li circondava. Sapeva come attirare l’attenzione su di sé, non c’era alcun dubbio, eppure la preferiva in abiti più semplici, che rispecchiavano il suo vero essere. Così era bellissima, ma gli sembrava uscita da una rivista di moda e soprattutto troppo scoperta. Doveva ammettere che non amava vedere gli sguardi lussuriosi che gli altri uomini le rivolgevano, non gli era mai piaciuto nemmeno all’epoca.
La guardò finalmente negli occhi e si accorse di quanto era raggiante.
 
- Ciao Shu- lo salutò sorridendo.
- Non sapevo che il gelato andassimo a prenderlo ad una festa mondana nell’Upper East Side- commentò il suo abbigliamento, senza curarsi troppo dei modi.
 
Si rese conto solo dopo che quella che per lui era una battuta detta senza cattiveria per lei invece risultava più come una critica. D’altra parte quel vestito non lo aveva indossato per attirare le attenzioni degli altri uomini, ma per piacere a lui.
 
- Grazie Shuichi, anche tu sei vestito molto bene!- cambiò subito il tono, visibilmente alterata - Ma è mai possibile che tu non riesca a fare un minuscolo complimento per una volta?! Lo sai quanto ci ho messo per trovare il vestito adatto?! Guarda che lo faccio per te!-
- Lo so, ma non hai bisogno di vestiti per attirare la mia attenzione. Se ti vesti in un certo modo attirerai anche l’attenzione di persone sbagliate, dovresti stare attenta-
- Non mi sembra di essere nuda!-
- No, ma si vede abbastanza da scatenare idee malintenzionate-
- D’accordo- alzò le mani e strinse le labbra - Vado a mettermi una bella felpa con il cappuccio e i pantaloni lunghi, contento?-
 
Gli diede le spalle e mosse i primi passi verso la sua camera da letto, pestando i piedi a terra e provocando un forte rumore coi tacchi che sicuramente non avrebbe fatto piacere agli inquilini del piano di sotto. Istintivamente le corse dietro e l’afferrò per un braccio, fermandola.
 
- Che vuoi?!- si girò di scatto, guardandolo con aria truce.
 
Invece di rispondere alla sua domanda le cinse la vita con l’altro braccio e l’attirò a sé, senza darle il tempo di reagire. Adesso i loro corpi erano premuti uno contro l’altro e poteva sentire la morbidezza del suo seno premuto contro il suo petto. Lasciò la presa sul suo polso e portò la mano dietro la sua testa, spingendola delicatamente in avanti fino ad avvicinarle il volto al suo, posando le labbra sulla sua fronte e dandole un casto bacio, cercando di calmare le sue ire. Aveva esagerato con le parole, a volte è meglio tenere i propri pensieri per sé. La sentì rilassarsi fra le sue braccia, anche se non sembrava voler alzare la testa per guardarlo negli occhi. Gliela sollevò lui, avvicinando le labbra alle sue ma senza baciarla.
 
- Mi stavo solo preoccupando per te- le disse con voce bassa.
- So badare a me stessa Shu- rispose lei, ma non più con la rabbia di prima.
- Lo so, ma mi preoccupo lo stesso-
- Ci sei tu a proteggermi-
 
Sorrise a quelle parole e annuì, catturando le sue labbra in un bacio dolce, quasi casto, che durò pochi secondi.
 
- Non serve che ti cambi- le disse.
- Ma non ti piaccio vestita così- abbassò nuovamente lo sguardo.
- Non ho mai detto questo. È ovvio che mi piaci, piaceresti a chiunque con questo vestito. Ma non voglio che pensi di potermi piacere solo per come ti vesti. Che sei una bella donna è evidente a tutto il mondo, sei bella qualunque cosa indossi Jodie, ma a me interessa la bellezza che hai qui- posò l’indice sul suo cuore.
 
Jodie alzò nuovamente il volto e lo fissò con gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa, incredula davanti a quello slancio di romanticismo che in effetti non era da lui. Non gli era facile essere così delicato, lui era più il tipo che diceva in faccia quello che pensava come aveva fatto poco prima, ma si era reso conto che con lei non poteva farlo in ogni occasione. Doveva sforzarsi ad essere migliore, perché Jodie lo meritava.
Sentì il suo corpo ancora più premuto conto il suo torace mentre allungava il busto e gli cingeva il collo con le braccia, premendo le labbra contro le sue. Questa volta approfondirono il bacio, facendo intrecciare le loro lingue.
 
- Andiamo?- le chiese quando si furono separati.
 
Jodie annuì e sorrise, arrossendo improvvisamente.
 
- Che c’è?-
- Sei molto bello stasera- disse a voce bassa, come se avesse timore di una sua reazione negativa.
- Perché di solito sono brutto?- ghignò.
- No!- scosse la testa lei, temendo di essere fraintesa - È solo che vestito così stai molto bene-
 
Osservò il sottile dito di lei scorrere lungo la parte del suo petto lasciata esposta dalla camicia che aveva lasciato sbottonata più del solito, sia per il caldo estivo sia perché anche lui ci teneva ad essere guardato  da lei.
Le diede un altro bacio sulla fronte e poi uscirono dall’appartamento di lei, diretti alla sua Mustang che li aspettava parcheggiata fuori.
 
 
Durante i primi due minuti di viaggio chiacchierarono e di tanto in tanto posava la mano sulla coscia di Jodie, senza però esagerare. Lei non sembrava affatto dispiaciuta di quel contatto fisico, al contrario lo ricambiava posando la mano sulla sua oppure accarezzandogli i capelli dietro la nuca.
Mentre erano fermi ad un semaforo si girò a guardarla e l’occhio gli cadde sulla collanina che indossava, a cui non aveva prestato molta attenzione prima. La riconobbe subito: era quella che le aveva regalato anni fa quando stavano insieme. Allungò una mano e prese il ciondolo a forma di cuore tra il pollice e l’indice, sorridendo.
 
- Non credevo che l’avessi ancora, non te l’ho più vista indosso-
- Non l’ho più messa da dopo che ci eravamo lasciati, tuttavia l’ho conservata. Non avrei mai potuto gettarla- ammise.
- Mi fa piacere che tu abbia deciso di indossarla questa sera- le sorrise.
 
Dopo poco si ritrovarono sul ponte di Brooklyn e Jodie gli chiese dove fossero diretti.
 
- Alla Ice Cream Factory- rispose.
- Andiamo fino a Brooklyn per prendere un gelato?- si stupì - C’erano almeno quattro gelaterie nel raggio di cinque kilometri dal mio appartamento-
- Già, ma dal tuo quartiere non si gode della vista di Manhattan illuminata dalle luci notturne-
 
Una volta arrivati a destinazione parcheggiarono l’auto e si incamminarono verso la Ice Cream Factory. Camminavano fianco a fianco, godendo già della vista di qualche scorcio della città brulicante di luci. Teneva le mani nelle tasche, ma segretamente guardava quelle di Jodie strette intorno alla piccola borsetta a tracolla che si era portata appresso. Mentre quest’ultima gli stava parlando, estrasse la mano sinistra dalla tasca e prese quella destra di Jodie, intrecciando le dita con le sue. Lei lo guardò dapprima stupita e poi regalandogli uno dei suoi meravigliosi sorrisi, facendogli capire quanto fosse felice di quel gesto.
Passeggiarono mano nella mano fino a quando non raggiunsero la fila che si era formata davanti alla porta d’entrata della gelateria. Avevano circa una decina di persone davanti, comprensibile dal momento che era estate e molta gente la sera usciva per concedersi il piacere di qualcosa di fresco come un buon gelato. Attesero pazientemente il proprio turno, nemmeno per troppo tempo, continuando a tenersi la mano.
Quando finalmente furono abbastanza vicini da poter leggere i gusti segnati sul cartello, Jodie iniziò a far scorrere lo sguardo sulla lista.
 
- Tu cosa prendi Shu?- si rivolse a lui.
- Credo che passerò, lo sai che non amo particolarmente i dolci-
- Ma dai, nemmeno un gelato?- fece sporgere il labbro inferiore, assumendo quell’aria da cucciolo appena sgridato che faceva ogni volta che voleva intenerire chi la guardava.
- Siamo venuti qui perché ne avevi voglia tu- sorrise.
- Sì ma pensavo che andasse anche a te…c’è il gusto caffè- ci riprovò di nuovo, sbattendo le ciglia.
 
Dannazione, ci sapeva fare la ragazza. Avrebbe potuto restare fermo sulle sue convinzioni, ma era troppo divertito dal suo atteggiamento infantile per farle un torto, così cedette.
 
- D’accordo, se insisti- rispose senza mostrare troppo entusiasmo.
- Evviva!- esclamò, posando la testa contro la sua spalla.
 
Arrivato il loro turno, entrarono e si diressero al bancone, dove Jodie face scorrere emozionata lo sguardo sulle vasche piene di gelato, mentre la gelataia in divisa la osservava sorridendo. A volte sembrava proprio una bambina che si eccitava per un nonnulla, forse perché durante quell’infanzia che Vermouth le aveva rubato non aveva potuto fare tutte quelle cose normali che fanno i bambini a quell’età.
 
- Una coppetta al caffè e una con vanilla chocolate chunk- ordinò per entrambi.
 
La gelataia preparò le due coppette e poi indicò loro la cassa dove pagare, che si trovava pochi metri più avanti prima dell’uscita.
 
- Puoi reggerli un attimo Shu?- gli allungò le coppette - Altrimenti non riesco a tirare fuori il portafoglio dalla borsetta-
- Tranquilla, offro io-
- Ma non devi Shu…-
- Lo so, lo faccio perché mi va non perché mi sento obbligato-
 
Pagò il conto di entrambi e prese il suo gelato dalle mani di Jodie, uscendo insieme a lei dalla Ice Cream Factory. All’esterno vi era una pavimentazione quadrata di legno, come quelle dei pontili, circondata da una balaustra in ferro che dava sul mare. Circondate da un recinto rosso c’erano delle panchine e dei tavoli in legno suoi quali i clienti potevano sedersi per gustare il gelato appena preso.
 
- Vuoi sederti?- le chiese, indicandogli un tavolo libero con un cenno del capo.
- No, preferisco restare in piedi e guardare la skyline. C’è una vista mozzafiato-
 
Si avvicinarono alla balaustra e vi si appoggiarono contro, cominciando a mangiare i propri gelati mentre il rumore dell’acqua e il vociferare delle persone faceva da sottofondo.
 
- Com’è il tuo?- gli chiese.
- Un normale gelato al caffè. Non troppo dolce almeno. Il tuo?-
- È delizioso, ho fatto male a prenderne solo una pallina-
- Guarda che se ingrassi non riuscirai più a muoverti e ti cacceranno dall’FBI- la provocò.
 
In tutta risposta Jodie si imbronciò e lo guardò in malo modo, prendendo una grossa cucchiaiata di gelato e mettendosela in bocca, facendolo sorridere.
Davanti a loro si stagliavano alti grattacieli dalle innumerevoli finestre illuminate, come piccoli occhi che silenziosi osservavano la vita notturna della “città che non dorme mai”, specchiandosi sull’acqua del molo. A rendere il tutto più suggestivo però era certamente l’imponenza del ponte di Brooklyin, che avevano attraversato poco prima in macchina e che ora potevano ammirare in tutta la sua lunghezza. In lontananza era possibile scorgere la Statua della Libertà. Non aveva scelto quella gelateria a caso, sapeva benissimo che il punto era strategico per creare l’atmosfera giusta per un appuntamento notturno. Brooklyn Heights era un quartiere storico che offriva non solo scorci del passato rivisitati in chiave moderna, ma anche un panorama degno di nota. Era lì che New York era nata anni prima e di quegli anni restavano ancora antichi edifici e vecchi magazzini che nel corso degli anni erano stati trasformati in appartamenti, negozi e ristoranti. La stessa Ice Cream Factory un tempo era un magazzino di barche.
 
- Certo che New York è davvero bella- disse Jodie, ammirando estasiata ogni singola luce.
- Già- rispose semplicemente.
- Sai, durante la nostra permanenza in Giappone mi sono innamorata del posto e vorrei tanto tornarci presto, ma devo ammettere che tutto questo mi è mancato. New York è la mia casa-
- Ti capisco, anche a me un giorno piacerebbe tornare a Londra-
- Per un attimo ho pensato che lo spirito di James ti avesse posseduto, non sai quante volte gli ho sentito dire quella frase!- lo guardò un po’ scandalizzata e un po’ disgustata all’idea di un appuntamento romantico con lo spirito del suo patrigno e capo.
 
Si lasciò andare ad una risata, divertito da quell’immagine appena descritta dalla compagna.
 
- Vorrà dire che a Londra ci andrò con James-
- Ma ti consideri ancora inglese?- gli chiese - Non vivi più lì da anni, ormai sei un cittadino americano a tutti gli effetti-
- Non cambia le mie origini- parlò con una nota di orgoglio nella voce - Se tu ti trasferissi in Giappone e ci restassi per dieci anni per esempio, smetteresti di considerarti americana? Lo hai detto anche tu, questa è la tua terra perché il luogo dove sei nata e cresciuta. Ho trascorso i miei primi quindici anni di vita a Londra e mi è spiaciuto dover fuggire come se fossi un criminale ricercato. Mi piace stare in America e anche io amo New York, ma resto pur sempre un inglese-
 
Jodie stette ad ascoltarlo, lo guardava come rapita dal modo in cui descriveva l’amore per la sue terra natale. Era sempre stata curiosa di conoscere le sue origini, di sapere tutto di lui, ma da inguaribile uomo chiuso in se stesso qual era le aveva sempre detto il minimo indispensabile, lasciandola con più domande che risposte. Si ripromise di sforzarsi ad aprire quel guscio che aveva creato e di soddisfare la curiosità di Jodie nei suoi confronti. Se voleva che fosse la sua donna era giusto metterla al corrente della sua vita passata e dei suoi segreti.
 
- Shu?-
- Mmh?-
- Sai, pensavo…- abbassò lo sguardo per un attimo, come se sapesse di stare affrontando un argomento delicato -Non prendermi per un’insensibile, mi dispiace davvero per tutto quello che la tua famiglia ha dovuto passare, però forse una cosa buona nell’essere dovuto andare via da Londra c’è- lo guardò negli occhi, mostrando tutto il timore che aveva nel pronunciare quelle parole.
- E quale sarebbe?- chiese, ma senza alcuna cattiveria.
- Se non fossi andato via e non avessi deciso di venire a vivere in America, non ci saremmo mai incontrati. Non riesco a immaginare come sarebbe stato non averti nella mia vita- arrossì.
 
Lo sorprendeva ogni volta come quella donna potesse racchiudere in sé così tante sfaccettature. Un momento prima si comportava come ragazzina e quello dopo era capace di pensieri profondi e maturi e di una sensibilità d’animo come pochi aveva conosciuto. Era una guerriera, una che sapeva essere più forte dei colpi che la vita le riservava e che sapeva come rialzarsi in piedi in un modo o nell’altro, ma al tempo stesso era anche una creatura fragile, come ogni donna, bastava poco per spezzarla. La dolcezza che aveva dimostrato in quel momento era disarmante anche per uno come lui, abituato a non smuoversi di un millimetro.
Sorridendo, la prese fra la sue braccia e la strinse a sé, inalando il suo profumo.
 
- Sei sicura che sia stato un bene per te incontrarmi?- le chiese, ripensando a tutto ciò che aveva dovuto passare per colpa sua.
- Ne sono certa- rispose senza esitazioni.
- Quindi non hai pensato male di me nemmeno una volta?- la provocò.
- Diciamo che il più delle volte ti trovo insopportabile, ma qualche volta mi vai a genio- scherzò, facendo un’espressione buffa.
 
Senza bisogno di ulteriori parole, catturò le sue labbra e si lasciarono andare ad un bacio appassionato, mescolando il retrogusto di caffè, vaniglia e cioccolato che era rimasto nelle loro bocche a causa del gelato appena mangiato. Era sempre stato un tipo riservato, ma in quel momento non gli importava se qualcun altro dei clienti della gelateria li stesse fissando: voleva solo baciare quella donna straordinaria che ancora pensava di non meritare. Le accarezzava la schiena lasciata scoperta nella parte alta dalla scollatura posteriore del vestito, sentiva la sua pelle morbida sotto i suoi polpastrelli.
 
- Ti va di fare una passeggiata lungo la Brooklyn Heights Promenade?- le chiese, con le labbra ancora vicinissime alle sue.
- Certo, in qualche modo lo dobbiamo pur smaltire il gelato che abbiamo appena mangiato- sorrise.
 
Mano nella mano si allontanarono dalla Ice Cream Factory, iniziando a costeggiare l’East River lungo la Promenade. Si ritrovarono immersi in un’atmosfera da favola con viali alberati, lampioni disposti in fila che illuminavano il cammino, aiuole fiorite e giardini. Da un lato potevano ammirare la New York moderna, fatta di grattacieli pieni di luci, del ponte e della statua; dall’altro quello che restava della New York di un tempo, ovvero antichi edifici costruiti con mattoncini rossi. Jodie commentava tutto estasiata, indicandogli ogni singola cosa che vedeva. Ormai aveva sentito così tante volte “Guarda Shu” da averne perso il conto.
 
- Andare in giro con te è come portare a spasso un cagnolino- le disse a un certo punto.
- In che senso?- lo aveva guardato storto.
- Nel senso che sei adorabile, ma fai una confusione tremenda-
 
Lei si imbronciò e aveva lasciò la sua mano, incrociando le braccia al petto e facendo la sostenuta.
 
- Tu invece non farai rumore ma non sei nemmeno carino!- aveva replicato.
 
La sua reazione lo divertiva, fingeva di essere arrabbiata ma sapeva che non poteva tenergli il broncio per più di cinque minuti. Gli sembrava di essere tornato indietro a sei anni prima, durante i loro ultimi appuntamenti, prima che tutto cambiasse. Non erano più gli stessi, ma in qualche modo la chimica che c’era sempre stata fra loro era rimasta immutata nel tempo.
Dopo aver percorso circa metà strada, si fermò davanti a una delle panchine che si trovavano lungo la via.
 
- Vuoi riposarti un po’?- le chiese.
- Perché? Manca ancora tanta strada-
- Sì, ma riesci a farla? Le scarpe che hai indosso non devono essere proprio comodissime per una passeggiata di cinquecentocinquantasette metri- guardò i suoi tacchi.
- Ti svelo un segreto- gli si avvicinò, afferrando i lati del colletto della sua camicia e portandolo più vicino a sé - I miei piedi imploreranno pietà molto presto, ma siccome sono una donna sorriderò elegantemente fino a quando non sarò tornata a casa-
- Vuoi davvero massacrarti i piedi?- ghignò.
- Questo e altro pur di apparire fantastica agli occhi del uomo su cui devo fare colpo- gli fece l’occhiolino.
 
Si diedero un bacio a stampo e ripresero a camminare, prendendosi di nuovo la mano. Pochi metri dopo incrociarono un gruppo di ragazzini che dovevano avere all’incirca dai diciotto ai vent’anni, con in mano delle bottiglie di birra, i quali parlavano ad alta voce disturbando le altre persone che come loro erano lì per godersi una passeggiata tranquilla. Barcollavano, segno che quelle birre non erano di certo le prime che bevevano. Quando si accorsero di Jodie iniziarono a fare una serie di versi e fischi di apprezzamento, uno di loro si leccò addirittura le labbra per evidenziare l’eccitazione che gli aveva causato.
 
- Ciao splendore, ti va di unirti a noi?- chiese uno di loro, allungando un braccio e mostrandole la bottiglia.
- Sì, dai, divertiamoci tutti insieme!- intervenne un altro.
- No, prima voglio giocare io da solo in mezzo alle sue cosce!- esordì il terzo, facendo ridere gli altri due.
 
Quando sentì che Jodie tirava la mano per separarla dalla sua si accorse che l’aveva stretta troppo forte e forse le aveva fatto male involontariamente. Gliela prese fra le sue e accarezzò le dita con i pollici, guardandola dispiaciuto: era il suo modo silenzioso per dirle che gli dispiaceva. Nel frattempo quei tre ragazzini idioti continuavano a fare apprezzamenti e allusioni poco carini nei confronti della sua compagna, mettendo a dura prova la sua pazienza e il suo autocontrollo. Le lasciò la mano e mosse qualche passo veloce verso di loro, ma si sentì afferrare da dietro: Jodie lo stava trattenendo scuotendo la testa.
 
- Lascia perdere Shu, sono ubriachi e non sanno quello che dicono, andiamo via-
- Qualcuno deve insegnargli un po’ di educazione, non ci si rivolge così a una donna-
- Lo so e ti adoro per questo ma ti prego, lascia perdere. Vuoi davvero azzuffarti con dei ragazzini ubriachi durante il nostro appuntamento? Tu sei meglio di così. Per favore Shu…- lo supplicò.
 
Sospirò profondamente e annuì, passandole un braccio intorno alle spalle e attirandola a sé. Anche lei gli cinse la vita con un braccio e appoggiò la testa sopra la sua spalla. Restando abbracciati così ripresero la loro passeggiata, lasciandosi indietro gli schiamazzi di quei poveracci.
 
- Grazie Shu-
- Per cosa?-
- Per avermi difesa e soprattutto per non averli presi a pugni-
- Ora capisci cosa intendevo quando ti dicevo che certi abiti possono attirare l’attenzione delle persone sbagliate? Pensa se fossi stata sola, di sicuro non avrebbero mantenuto le distanze. In giro c’è gente poco raccomandabile-
- Ma io ho la mia guardia del corpo personale, per questo mi vesto così solo in sua presenza-
 
Terminarono la loro passeggiata senza ulteriori imprevisti e ritornarono indietro sui loro passi, ormai pronti a tornare alla macchina. Era ormai notte inoltrata e il buio aveva reso le luci della città ancora più brillanti. Si fermò nel punto in cui l’atmosfera gli sembrava più suggestiva, a metà fra le aiuole fiorite e la visuale di Manhattan che si specchiava sull’acqua illuminata dalla luna. Era arrivato il momento che attendeva da tutta la serata.
 
- Perché ti sei fermato?- gli chiese Jodie.
- Non ti sembra che il panorama in questo punto sia perfetto?-
- Ad essere sincera non ho trovato un solo punto dove l’atmosfera non fosse bellissima, ma effettivamente qui è davvero perfetta-
 
Soddisfatto di quella risposta, si mise una mano nella tasca destra dei pantaloni e ne estrasse una piccola scatolina bianca con un fiocchetto nero sopra. Chiunque l’avesse vista avrebbe capito al primo sguardo che si trattava di una confezione proveniente da una gioielleria e infatti Jodie spalancò gli occhi e aprì la bocca incredula, fissando prima lui e poi la scatolina cercando di trovare parole che non venivano. Sorrise fiero e soddisfatto che tutto fosse andato come nei suoi piani.
 
- Tieni, questo è per te- le allungò la scatolina.
- Shu…io…- farfugliò, prendendo timorosamente il regalo con le mani quasi tremanti.
 
La osservò mentre sollevava il coperchio e rivelava il contenuto: un braccialetto con la catenella sottile e un ciondolo a forma di stella a otto punte, quattro delle quali erano leggermente più lunghe delle altre, composta da piccoli zirconi incastonati l’uno vicino all’altro. Jodie ci passò un dito sopra, come per accarezzarlo, guardandolo estasiata.
 
- È meraviglioso Shu, non dovevi…- lo guardò con gli occhi lucidi, come se stesse per piangere ma dalla gioia.
- L’ho visto quando sono andato a prendere il portafoto e mi ha ricordato te. Lì per lì non l’ho preso, non sapendo come sarebbe finita fra noi, ma poi viste le circostanze sono tornato e l’ho comprato. Ho pensato fosse simbolico, per via della pioggia di comete che abbiamo guardato insieme. Inoltre il tuo cognome mi ha sempre ricordato le stelle. Forse anche tu sei un po’ come Manhattan: riesci a risplendere anche nel buio e chiunque ti guardi non può non restarne affascinato-
- Shu…- riuscì solo a dire, mentre una lacrima sfuggiva al suo controllo.
 
Stringendo forte la scatolina, gli si gettò con le braccia al collo e si mise a piangere silenziosamente, con la faccia nascosta nell’incavo del suo collo. Sentiva il suo seno prosperoso premuto contro il suo petto e la cosa sarebbe stata molto più piacevole se non avesse dovuto fare i conti con quel pianto. Di certo quella reazione non l’aveva prevista.
 
- Perché piangi adesso?-
- Scusami, è che sono così felice…- parlò fra le lacrime, soffocando le parole nel suo collo.
- Se sei felice allora sorridi, non pensi di averne versate anche troppe delle lacrime? Così mi fai sentire in colpa- le accarezzò dolcemente la testa.
- Hai ragione- annuì, sollevando la testa e cercando di cancellare con una mano le tracce di lacrime rimaste sul viso.
 
Le prese la scatolina dall’altra mano ed estrasse il braccialetto, sollevandole il polso e allacciandoglielo. Jodie lo guardò sorridendo, muovendolo per far brillare gli zirconi alle luci artificiali che li circondavano. Era consapevole che un braccialetto o un portafoto non potevano cancellare il male che le aveva fatto, ma vederla così felice lo faceva risentire riscattato dai suoi peccati in qualche modo.
 
- Grazie Shu, è un regalo stupendo e anche quello che hai detto su di me lo è- gli rivolse un meraviglioso sorriso.
 
Si avvicinarono contemporaneamente l’uno all’altra e si scambiarono l’ennesimo bacio appassionato di quella serata, ma che durò molto più a lungo degli altri. Rimasero a baciarsi stretti l’uno all’altra, avvolti dal luccichio della città e dal profumo quasi impercettibile dei fiori dormienti, fino a quando non recuperarono la cognizione del tempo.
Camminando abbracciati ritornarono fino alla macchina e la riaccompagnò a casa.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Non mi ritengo per niente brava a descrivere momenti romantici e dolci, quindi spero che questo capitolo non sia una schifezza come penso. Purtroppo mi riesce facile scrivere di drammi e psicanalizzare i personaggi ma fatico a tirare fuori il lato romantico (forse non ce l’ho nemmeno).
Spero che abbiate notato un parallelismo che ho voluto fare di proposito: sia in questo capitolo che in quello in cui Jodie è uscita la prima volta con Clay (il numero 27) ho descritto il momento in cui deve scegliere cosa mettersi per l’appuntamento, ma mentre in quello con Clay ha scelto velocemente i vestiti senza pensarci troppo, in questo ci ha messo secoli perché voleva che fosse tutto perfetto ;)
Qualche curiosità sul capitolo:
- La Ice Cream Factory esiste davvero, cercatela su Google. Anche i due gusti di gelato che ho descritto sono realmente venduti lì.
- Anche il quartiere di Brooklyn Heights esiste, così come la Brooklyn Heights Promenade. In generale tutto ciò che ho descritto nell’ambientazione esiste realmente, magari la mia descrizione non sarà precisissima perché purtroppo non sono mai stata di persona in questi luoghi, ma ho cercato di fare più ricerche possibili per scrivere questo capitolo.
- New York è chiamata anche “La città che non dorme mai”, ecco perché ho usato quella citazione.
   
 
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