Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Per_Aspera_Ad_Astra    09/04/2021    3 recensioni
Sono passati esattamente dieci anni dall'ultima battaglia nella città de Il Cairo. Niente sembra minare la tranquillità della famiglia Joestar. Niente fino ad ora.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dio Brando, Enrico Pucci, Giorno Giovanna, Josuke Higashikata, Jotaro Kujo
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Chapter two

Uguali




 
Erano passati già due giorni e di quel Higashikata nessuna traccia.
Seduto in modo composto con la schiena dritta, le spalle ben aperte ed entrambe le mani poggiate sul tavolino fresco di pietra, il biologo marino aveva cercato di non far caso ad alcuni commenti sussurrati e seguiti da fastidiosi risolini sommessi pronunciati da ragazze sedute ad un tavolo non troppo lontano dal proprio; cercò in qualche modo di concentrarsi sul quaderno ad anelli aperto sotto il proprio naso dove, annotato, poteva leggere solo poche informazioni sul luogo: alcuni monumenti particolari, abitazioni famose come quella di un rinomato magaka di cui il nome gli fuggiva sempre, ma niente che potesse essere rilevante alla ricerca.
Una settimana e ancora si trovava in alto mare. A pensarci quasi gli venne da ridere.
L’indice ed il medio della destra facevano ballare la biro nera producendo dei piccoli colpi macchiando leggermente il foglio ancora del tutto bianco mentre, gli occhi, chiari ed illuminati da un sole forse troppo timido per la stagione, puntati sul fumo quasi scomparso dalla tazza di ceramica accanto al quaderno aperto.
Quel tè verde non poteva essere paragonato alla minuziosità dei movimenti delle mani di Holy.
Chissà come l’avrebbe presa. Jotaro sospirò seccato al pensiero.
Rumorosa, chiacchierona ed ingenua com’era avrebbe alzato le spalle con quel suo solito fare e architettando uno dei suoi migliori sorrisi, avrebbe aperto le braccia al nuovo arrivato. Avrebbe preparato la sua migliore miscela di tè servendolo in quel piccolo, odioso, servizio di porcellana dalle leggere sfumature rosa candido permettendosi di preparare anche dei biscotti qualora il commensale non gradisse il retrogusto amaro; si sarebbe concessa il privilegio di accomodarsi vicino a lui parlando sguaiatamente, muovendo senza freno le dita lunghe e laccate da uno smalto di un orribile color ciclamino, delle vicende che fino a quel momento aveva perso. Poi lo avrebbe abbracciato. In quell’abbraccio caldo, dolce da fermare il tempo e farlo poi ripartire con un delicato bacio sulla guancia.
Quella donna. Quella stupida, sempliciotta, sciocca e tremendamente vittima donna. Quella che aveva abbassato il capo all’ennesima litigata coprendo le lacrime silenziose sul viso nel momento in cui il figlio varcava la soglia per capire cosa fosse successo; quella che avrebbe dato la vita per il marito lontano e impegnato in lavori che ancora oggi non riusciva a spiegarsi; quella che dopo l’ennesimo rifiuto del figlio non aveva esitato un attimo nell’accoglierlo nuovamente a casa e consolarlo dopo una delusione d’amore.
Quella donna.
Le labbra carnose del ventisettenne lasciarono sfuggire un sorriso impercettibile camuffato da un sospiro sarcastico provocato dal un suono nasale alla sola vista del cerchietto dorato sull’anulare sinistro.
Tale padre tale figlio.
Al solo pensiero un brivido gelido gli percorse la colonna vertebrale bruciando al contatto con il cervelletto, destandolo dalle immagini che si erano palesate durante quella lunga presa di coscienza facendolo, in qualche modo, distrarre dalla situazione creatasi sulla via ciottolata davanti al café.
Un ragazzo, sui quindici forse sedici, coperto dalla divisa scolastica di un color blu notte tendente al nero, ciondolava sulla staffa corrimano argentea con la cartella di cuoio sotto braccio mentre parlottava con fare altezzoso con altri ragazzi vestiti come lui. Beh, non proprio come lui data la particolarità delle spille dorate che decoravano l’apertura della divisa.
In realtà sembrava una scena come un’altra: ragazzi che parlano, una parola tira l’altra forse detta in malo modo, forse su qualcosa particolarmente delicata che i toni tesero ad alzarsi, le divise strattonarsi e i lividi colorare il viso. Quante volte lui era stato protagonista di scene del genere? Forse anche troppe.
Ma quella volta sembrò diverso.
Il ragazzo ciondolante sulla sbarra, disinteressato dal chiacchiericcio, si alzò dalla barra corrimano, si portò entrambe le mani in tasca, si voltò verso una ragazza poco più bassa di lui e da un sorriso estremamente luminoso. Fecero qualche passo tali da rimanere ancora nel raggio visivo dell’uomo seduto tra i tavolini poco affollati del café francese, lo stesso che al momento dell’accaduto scattò in piedi cosi velocemente da far cadere a terra con un suono sordo la sedia di vimini intrecciato.
I due adolescenti, animati da un interessante discorso, si erano leggermente esposti verso le strisce pedonali in procinto di attraversarle quando, sfrecciando alla sinistra dei due, un’automobile scura prese a suonare il clacson non riuscendo a frenare in tempo evitando, quindi, l’impatto. Accadde in una frazione di secondo impossibili da captare ad occhio umano eccetto quelli di Star Platinum: un’aura violacea comparve alle spalle di quel giovane dallo strano abbigliamento producendo una figura umanoide che afferrò la giovane ad un passo dallo scontro riportandola sul marciapiede. Non furono i gesti, l’evocazione dello Stand a preoccupare l’occhio vigile del biologo, quanto due caratteristiche peculiari dello Stand stesso: un elmo, forse un casco che copriva interamente il viso dalla forma appuntita rendendogli lo sguardo tagliente e quattro enormi tubi metallici facenti da propulsori dietro la schiena.
No, non era possibile.
Nella frazione di secondo in cui l’immagine venne ricollegata ad un ricordo tramite il movimento tra le sinapsi, Jotaro sentì una sensazione simile ad un pugno in pieno stomaco che lo portarono a boccheggiare; le gambe lunghe e toniche non riuscirono a reggerne più il peso lasciandolo cadere sulle ginocchia.
No, ripeté in testa.


 
 
Con ancora le ginocchia a terra, le mani strette tra i ciottoli scuri, l’ossigeno parve riprendere piede tra i polmoni. Un respiro ampio dilatò le pareti spugnose allargando le costole facendosi spazio tra cuore e stomaco.
Avrebbe dovuto smettere di fumare o non sarebbe più riuscito a regolarizzare il respiro.
Alzandosi da terra e pulendosi le spalle del lungo cappotto bianco si accorse di non essere più circondato da tavolini di pietra, sediole di vimini ed il vociare fastidioso di ragazzi appena usciti da scuola. Dov’era finito il tè verde? Il quaderno ad anelli? Il cameriere dalla falsa aria bonaria? Il ragazzo con lo Stand uguale...
Gli occhi azzurro cielo si alzarono con lentezza, quasi non volesse realmente costatare di non essere più tra le vie timidamente soleggiate di Morioh immerse nella tardiva estate ma di essere tornato nella buia, oscura e uggiosa città de Il Cairo. Tutto era fermo. Le persone che spaventate guardavano nella sua direzione; le automobili distrutte all’incrocio davanti a lui, persino il movimento del fumo sembrava immobile davanti al naso dell’uomo.
«One second has passed» pronunciò una voce più simile ad un ruggito di un leone echeggiare nella propria testa.
Non era solo il paesaggio ad essere immobile. Era anche lui ad essere bloccato.
No. Non è possibile. È il millenovecentonovantotto.
«Two seconds has passed» quella stessa voce ringhiò, ma niente davanti gli occhi di Jotaro parve palesarsi se non quell’ombra umanoide dorata.
Avrebbe voluto urlare. Strapparsi i vestiti e correre a perdifiato. Era ripiombato di nuovo in quel loop senza fine.
Non era vero. Niente di quello che vedeva davanti agli occhi era vero.
Prima che la voce intorno a lui potesse scandire altre parole, la voce femminile della dottoressa Melfi diede l’impressione di sovrastarla.
«Mi chiamo Kujo Jotaro. Ho ventisette anni. Ho conseguito la laurea in biologia marina presso la Kaiyodai. Sono sposato. Ho una figlia di nome Jolyne di sei anni..»




«Presto! Presto! Chiamate i soccorsi!» il grido della cameriera riuscì a toccare decibel altissimi procurando nell’uomo accasciato accanto alla sedia in vimini riversa a terra, una leggera smorfia del viso.
Aveva funzionato.
«Sto— sto bene» aveva cercato di dire mentre si rimetteva in piedi, certo ora, di essere nella città di Morio-cho e che fosse il mese di settembre del millenovecentonovantotto.
Deglutì sonoramente inumidendosi le labbra carnose e dalla graziosa forma a cuore con la punta della lingua sperando, in cuor suo, che il colorito del viso non facesse trasparire come realmente si sentiva. Volendo pulirsi la spallina del lungo cappotto alzò la mano destra costretta, però, da una presa: qualcuno aveva creduto che fosse meglio sostenerlo ancora per un po’. Gentili in quella cittadina.
Si sporse verso lo sconosciuto benefattore quando nuovamente la sensazione di vuoto accolse pienamente il proprio corpo. Lui, il ragazzo vestito da scolaro con enormi spille dorate, gli si trovava accanto con un sorriso gentile stampato sul viso.
Poteva sentire la presa forte delle dita sul braccio contratto, il profumo di dopobarba schiaffeggiargli il viso e gli occhi preoccupati scalfirlo come un diamante.
«Non mi toccare.» sentenziò lapidario il biologo scansandosi malamente dalla presa sicura del giovane, sbigottito dalla reazione dell’uomo alto quasi due metri.
Afferrò tutto quello che riuscì a ricordare infilandoli frettolosamente nella tracolla di cuoio e, scavalcando le occhiatacce severe e le preoccupate dei clienti del cafè, riuscì a sparire dietro l’angolo lontano da occhi indiscreti.
Solo quando poté sentirsi al sicuro si lasciò scivolare contro il muro prendendo il capo tra le mani scoprendolo dal cappello.
L’aveva trovato.
Higashikata Josuke, figlio di Joseph Joestar possedeva uno Stand.
Possedeva lo Stand.






ANGOLO CHIACCHIERE
Hello everyone!
Simo finalmente arrivati al secondo capitolo! Finalmente un po' più di movimento. 
Da come ho cercato di descrivere, Jotaro ( cosi come credo tutti i Crusaders -vivi-) subisce costantemente ripercussioni dal famoso viaggio del 1987, e sarà parte importantissima della storia. Cosa c'è di meglio di un bella cucchiaiata ti ANGST?
Spero di poter mantenere questa costanza nella pubblicazione ( due volte alla settimana, i giorni possono variare) perché la storia deve iniziare a carburare. Ho cercato di far tesoro, quanto possibile, di tutti i consigli che sono assolutamentissimamente  bene accetti.
Come sempre vi ringrazio qualora volesse lasciare qualsivoglia tipo di commento.


P.s: si, la dottoressa Melfi è proprio la famosa psicologa dei Soprano. Mi andava una sorta di crossover :D

Bacini.
SpeedMary
  
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