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Autore: Obiter    11/04/2021    2 recensioni
Prendete Sherlock BBC e tutti i suoi personaggi, diminuite drasticamente la loro età anagrafica e metteteli tutti nella London High School durante il loro ultimo anno. (No, aspettate, non dileguatevi. Non è una storia di adolescenti, non sul serio. Okay, tecnicamente lo è, ma il narratore sarà il nostro maturo, disilluso e geniale Sherlock. Sarà forse un po' più insicuro, un po' più impacciato, un po' più con gli ormoni in subbuglio... Ma sarà sempre lui).
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, De-Aging | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ieri notte avevo appuntamento con Jim, stesso posto stessa ora.

L’amica di Caramel, un’altra prostituta transessuale, era in possesso delle ultime riserve di quest’ultima e ha comunicato a Moriarty che aveva fretta di sbarazzarsene perché gli sbirri le erano alle calcagna ed era pertanto disposta a vendercele allo stesso prezzo. Questa è stata una buona notizia, significava che ero ancora coperto per un altro mesetto, dopo di che dovrò seriamente iniziare a cercarmi un altro pusher…

Ma un problema alla volta.

Alle tre e trenta del mattino ero già dentro casa, col bottino bianco e due simpatiche siringhe piene nella tasca interna del Belstaff. La tipa ci ha regalato anche dell’oppio condensato, immagino che fosse scaduto o qualcosa del genere. Dato che non voglio morire non lo assumerò, voglio piuttosto provare a sintetizzare il laudano, un narcotico che si ottiene appunto con la macerazione dell’oppio in una soluzione idroalcolica (vino, banalmente). Ci sarà da divertirsi. 

Dopo sono andato a letto ma malgrado la stanchezza generale non riuscivo a prendere sonno. Avevo incamerato gelo e adrenalina, e poi la mia mente non era affatto stanca, tutt’altro. Galoppava imbizzarrita sotto le mie palpebre chiuse. Pensavo al laudano, a quando era stato scoperto e alle sue possibili trasformazioni. Mi provocava insofferenza e frustrazione essere costretto ad aspettare per sintetizzarlo, volevo farlo subito, seduta stante, solo che erano quasi le quattro di mattina e la sveglia sarebbe suonata alle sei.

Mi ero coricato perché avevo bisogno di dormire, dovevo dormire, dormire era la cosa giusta da fare in quel momento. Ho resistito circa otto minuiti. Furono otto minuti di lotta estenuante contro me stesso, ma come diceva uno spiritoso irlandese: "il modo migliore per resistere alle tentazioni, è cedere". E perciò mi sono alzato con un balzo di soddisfazione e ho cominciato a smanettare con le mie provette. Fanculo il sonno, fanculo tutto.

Alle cinque e quarantasei avevo finito. Sono tornato a letto, la sveglia è suonata alle sei. Ho fatto finta di sbadigliare e stiracchiarmi (faccio lo scemo solo quando sono da solo) e sono sceso, fresco come una rosa di maggio.

Mycroft era già in piedi davanti al pc. Da qualche giorno ha deciso che vuole diventare un azionista, vuole provare a investire dei soldi in azioni, obbligazioni, ETF e quant’altro. Personalmente, non credo esista qualcosa di più soporifero e palloso. Contento lui, vedremo se in futuro diventerà ricco oppure no.

Ho mangiato, mi sono reso presentabile e sono uscito.

Oggi la giornata si prospettava piatta e tranquilla, nelle prime due ore avevo filosofia, poi informatica e poi qualcos’altro che non avevo voglia di visualizzare.

Appena sono entrato nel tetro edificio, Molly mi ha sventolato la mano, si era messa un ombretto viola che faceva a pugni col suo incarnato. L’ho salutata di rimando con un po' di esitazione…

Poi è arrivato Moriarty, che mi ha anticipato che dopo a pranzo mi presenterà la soluzione per i nostri approvvigionamenti futuri.

Ero troppo spento e impigrito per rifletterci sopra o preoccuparmi, gli ho semplicemente fatto un cenno di assenso. Cosa mai poteva andare storto? Avevo subito pensato a un’altra prostituta, o magari al famoso amico del cugino della fidanzata del vicino di casa che spaccia nel tempo libero…

Non potevo immaginare, nemmeno vagamente sospettare, che la soluzione sarebbe stata Irene Adler.

Ora.
Tralasciando lo stupore genuino che provai nel sapere che anche lei si drogava, se l’avessi saputo non mi sarei nemmeno presentato. Mi sembra di avere già detto che non voglio avere niente a che fare con lei. E quando dico niente, intendo niente: non voglio vederla, non voglio parlarle, non voglio incontrarla e non vorrei nemmeno conoscerla. È una persona torbida, astuta e doppiogiochista, che cela la sua mediocrità morale dietro il suo aspetto esteriore. Aspetto esteriore che è oggettivamente gradevole. No, gradevole è un ridicolo eufemismo, diciamo pure che è bellissima e che sa perfettamente come mettersi in risalto. Non la vedi certo in giro con l’ombretto viola e il maglione con la giraffa che si mette Molly… Però, a parte questo e a parte una sorprendente intelligenza, lei è orribile. Davvero orribile, orripilante, un mostro proprio, e io non voglio avere niente a che fare con lei.

Chiamasi tattica di auto convinzione. Dicono che al cuor non si comanda, beh, non se ti chiami Sherlock Holmes. 

Sono irremovibile sul punto. Ho deciso che lei e le sue malie non mi fanno alcun effetto e così è. Perché basta un attimo per farsi stregare, noi uomini siamo dei recettori talmente banali da sfiorare il ridicolo, ma l’importante è rendersene conto. Per poter superare i propri limiti è necessario conoscerli e io conosco molto bene i miei.

Quindi.

C’è questa sirena bellissima, talmente bella che fa sospirare anche le pietre, ma portatrice di un animo crudele, machiavellico e derisorio, bramoso di incantare le sue vittime per poterle trascinare sott’acqua e annegare senza pietà. Basta solo guardarla nel viso per vedere il veleno fuoriuscire dai suoi grandi occhi celesti. Come difendersi allora di fronte a un mostro marino così pericoloso? La risposta è elementare: bisogna disarmarlo. E per disarmarlo occorre ignorarlo, dimostrarsi impassibili e gelidi di fronte al suo canto. E infatti anche lei adesso ha iniziato a ignorarmi con sottile e garbato disprezzo. E quando non lo fa, il suo sguardo è inclemente e penetrante. Sento spesso la lama dei suoi occhi sdegnati pungermi le spalle, è offesa perché non le dedico nemmeno uno sguardo, nemmeno un saluto.

Ma non ha in odio solo me, credo che detesti tutti gli uomini in generale, anzi ne sono oltremodo convinto. Sorride solo alle donne e questa sua misandria è forse l’unica cosa di lei che sono riuscito a dedurre. Ma non mi sento di condannarla per questo, se ci odia avrà le sue ragioni. Chissà quante molestie di strada, catcalling o complimenti non richiesti è costretta a subire ogni santo giorno. Hanno perfino fischiato a me una volta, non oso immaginare a lei.

Solo che i miei coetanei non si rendono conto del suo plateale disgusto e si lasciano imbrogliare come degli imbecilli. Non capiscono che lei li usa e li schernisce nell’arco della stessa mattinata.

Personalmente sto ben attento a tenere le distanze e a non rivolgerle la parola. Ho già fatto due pessime figure con lei in passato, non mi sembra il caso di aggiungerne una terza.

Ripensarci mi fa venire voglia di abbandonare l’isola. Mi ha traumatizzato, ha offeso la mia intelligenza.

Per farla breve e per non scadere nel melodramma, è riuscita a battermi in una partita a scacchi.

Sì, mi ha stracciato. Io l’avevo stupidamente sottovalutata e lei mi ha quasi fatto scacco matto al re con la sua regina in meno dieci minuti. Ha attuato una complicata difesa siciliana per poi chiudermi in una trappola priva di vie d’uscita, io non ho potuto fare altro che ritirarmi per evitare una bruciante disfatta.

Fu in quel momento che realizzai che lei in realtà era un genio e che io non potevo fare altro che stimarla, ed è esattamente quello che faccio e che cerco di non fare con tutto me stesso. E non è vero che non la guardo, mi compiaccio della sua bellezza, dei suoi profumi e della sua grazia di nascosto, da lontano. Sono come un pirata che ammira la bella sirena col cannocchiale, ma che grida improperi e carica i cannoni non appena se la ritrova davanti.

Ecco, la mia situazione è pateticamente questa.

Il secondo episodio è perfino peggio del primo, certamente più imbarazzante. Non ho alcuna intenzione di ricordarlo. Anzi, sto lavorando sodo per dimenticarlo e sto cercando di contrastare quella minuscola parte di me che lo vuole conservare e non collabora. Una parte davvero infinitesimale, che rappresenta la sfera emotiva, illogica e irrazionale del mio sé pensante. Essa esiste, è schiacciata sotto diversi quintali di calcoli, di nozioni e di principi, ma c’è, permane pur senza possedere alcun margine di manovra. Non le permetto di prendere il controllo o di influenzarmi, quello mai. L’ho perfettamente imbrigliata, decido io cosa, quando e a chi pensare. A volte è difficile perché certi pensieri sono sempre in agguato col coltello tra i denti, ma io sto diventando sempre più bravo nel schermarli e nel bandirli. Arriverò al punto in cui mi sarò completamente dimenticato sia di Adler che di Sebastian, sarà come se non fossero mai nati, li avrò del tutto rimossi. Chissà quante altre persone ho già rimosso che non ricordo.

Certamente, finché sono qui e li ho di fronte quasi tutti i giorni, non mi resta che convivere con le loro ombre e fare di tutto per evitarle, e questo mio carattere scostante mi è d’aiuto.

Mi rallegra il fatto di essere tra i pochi a non sbavare ai suoi pedi, e mi rallegra anche vedere come non lo stia facendo nemmeno John Watson. Lui sembra molto più interessato alla sua amica Kate, ma ho come l’impressione che prima o poi passerà anche da Adler. Deve essere un donnaiolo incallito, uno di quelli che hanno quel modo di fare simpatico che piace tanto alle ragazze. Il mio perfetto contrario, tanto per riassumere

Ma prima dell’ora con John, c’è stata la pausa pranzo con Jim, che si è dimostrata quanto meno…

Insolita.

Come ogni pomeriggio mi sono diretto in mensa, il menù quel giorno prevedeva un secondo a scelta tra paillard ai ferri, pollo arrosto, patate al forno o fagiolini lessati. Poi c’erano i primi dal consueto aspetto viscido. 

Riempii quindi il mio vassoio (riso in bianco e patate) e mi appropinquai in quello che ormai era diventato un tavolo riservato per due persone, ovvero me e Jim.

Ma nel suddetto tavolo quel giorno c’era un intruso, una losca figura con i capelli piastrati e le gambe accavallate come quelle Sharon Stone in Basic Instinct.

Sgranai gli occhi e rimasi un attimo impalato in piedi a contemplare l’insolita situazione.

Irene Adler era seduta nel mio posto di fronte a Moriarty, e stava conversando con lui come se niente fosse. 

Mi guardai intorno, non capivo cosa stesse succedendo. Lei non si era mai seduta con noi, nessuno si era mai seduto con noi. E certamente loro due non si stavano frequentando e non erano amici. Mi sedetti comunque con loro, quello dopotutto era il mio tavolo da più di due anni, era una questione di principio. E poi non volevo che Adler pensasse di avere suscitato chissà quali timori in me. Mi sedetti rigidamente e i due si interruppero. Jim mi sorrise, Adler raddrizzò subito le spalle e mi puntò gli occhi addosso. Io iniziai a mangiare come se niente fosse. Se nel piatto ci fossero stati dei ciottoli o degli scarafaggi, li avrei mangiati comunque. 

“Sicuro che possiamo fidarci di lui?” esclamò Adler a Jim. Io mi voltai appena verso di lei, il suo profumo mi violentò il naso.

“Affiderei a Sherlock la tua stessa vita” le ha risposto Moriarty, insensato come solo lui sa essere. 

“Che cosa sta succedendo?” gli chiesi allora io, ma ovviamente non fu lui a rispondermi.

“A quanto pare abbiamo più cose comune di quello che sembra, Sherlock”.

Tono equivoco, sibillino. L’ho guardata male, sarebbe stato troppo immaturo e codardo da parte mia ignorarla, e poi mi sono di nuovo rivolto verso Jim.

“Perché lei è qui?” insistetti verso di lui.

“Perché non lo chiedi direttamente a me?” continuò lei, mi stava fissando “Puoi anche parlarmi, sai. Ti assicuro che non mordo, non la maggior parte delle volte, almeno”.

“Io sì, invece. Chiedilo a Mycroft” le ho risposto a tono, senza motivo.  Lei mi ha accennato un sorriso e mi ha rubato una patata dal piatto.

“Anche io mordo” ha aggiunto Moriarty "A pagamento però”

Bene, mi ero seduto da due minuti e la situazione stava già degenerando. 

“Perché lei è qui?” ho quindi chiesto a quel pazzo da manicomio.

“Ma perché non lo chiedi a me? Cos’è, timidezza?” ha insistito Adler, beffarda “Sei tanto timido, vero? Ma che tenera questa cosa”

Credo di essere arrossito. La odio. Ecco perché la odio. “Non è timidezza, semplicemente non voglio parlare con te” le ho scandito duro come il ghiaccio. Se mi incartavo era la volta buona che andavo a casa a bere del veleno. 

“Perché non vuoi parlare con me?”

“Ma basta!” intervenne Moriarty e io per un istante (un instante) provai della riconoscenza nei suoi confronti “Rassegnati, Irene, tanto non te lo dà! Sherlock non lo dà a nessuno, basta!”.

Io sgranai gli occhi, se possibile il mio già esasperato disagio crebbe ancora di più, sfiorò l’iperuranio platonico. Ovviamente il trauma non mi diede la forza di rispondere, ma Adler come al solito non si scompose di una virgola.

“Ma quanto sei deficiente” gli disse invece con nonchalance e la sua voce morire.

“Posso dartelo io se vuoi”

“Bene” dissi, il classico “bene” di nervoso congedo che si dice quando si vuole chiudere un discorso “Vi saluto. Mi è passato l’appetito”. 

Feci per alzarmi, avevo resistito anche troppo. Ma Jim mi afferrò per un braccio e mi rimise a sedere, dimostrando una forza inquietante che non credevo possedesse.

“Dai sexy, si scherza, non fare il noioso” mi ordinò, irrequieto.

“Diglielo e basta, è chiaro che vuole andarsene” lo incalzò Adler e io la guardai, duramente.

“Dirmi cosa?” le chiesi, rivolgendole la parola forse per la prima volta nella mia vita. Anche lei ne parve stupita “Dirti che da oggi mi aggrego anche io alle vostre passeggiate serali”

Sgranai gli occhi.

La droga. Fulminai subito Moriarty con lo sguardo, il mio cuore perse un battito. Adler sapeva, eravamo fottuti.

“Avevamo concordato di non parlarne con nessuno!” gli sibilai tra i denti.

Jim ridacchiò, Adler appoggiò una mano sulla mia.

“Non ti agitare, Aspi. Puoi fidarti di me”

Allontanai subito la mano e la guardai stupito e offeso e imbarazzato. Ma forse dalla mia espressione non era emerso niente di tutto ciò. Mi rivolsi nuovamente a Jim.

“Risolvi subito questo problema” sentenziai, gelido.

“Pronto?” mi incalzò Adler “Hai sentito cosa ho detto?”

…Ma tanto già sapevo che avrei dovuto risolverlo da solo. Sono sempre io che risolvo i problemi. Guardai Moriarty, che stava masticando la cannuccia della Coca Cola Zero come un ruminante. Mi sorrise con la cannuccia verde tra i denti e aprì le braccia come un prete.

“Mi ringrazierai, Sherly” mi predisse “Questa birichina conosce un sacco di gente. Le sue riserve sono migliori delle nostre”

La domanda in quel momento mi sorse spontanea: come ho potuto non accorgermi che anche lei fa uso di droghe? Pensai subito alle anfetamine, o comunque a qualcosa di analogo per dimagrire, ammazzarsi di sport e svegliarsi all’alba. In ogni caso qualcosa per assecondare la sua straripante vanità.

“E perché lei è qui se ha già i suoi fornitori?” domandai rigorosamente a Moriarty.

Perché” mi rispose Adler, sentivo il suo sguardo irritato che mi pungeva come uno spillo “Ho avuto un diverbio con uno di loro e non posso più andarci personalmente”

Di nuovo, sentii le mie sopracciglia contrarsi. Come fa a essere ancora viva dopo “un diverbio” con degli spacciatori?

“Quindi lei ci dà i nomi e noi in cambio le facciamo da corrieri?” conclusi sempre rivolto a Jim, incredulo.

“Te l’avevo detto che era intelligente” confermò indirettamente lui, rivolgendosi ad Adler. Io ero semplicemente scioccato.

“Con tutto il rispetto, è una totale follia” esclamai a bassa voce “Una condotta del genere configura un reato, razza di imbecilli patentati che non siete altro”

E per l’appunto non sarebbe più mero consumo di sostanze stupefacenti (che non è perseguibile penalmente), ma detenzione ai fini di spaccio. La norma recita all’incirca così: “Chiunque… cede, distribuisce, procura, invia, passa, spedisce o consegna ad altri per qualunque scopo… sostanze stupefacenti o psicotrope, è punito con la reclusione da sei a vent’anni e con la multa da 26.000 a 260.000 £”. E francamente rischiare sei anni di galera per le pillole dimagranti di Adler anche no, grazie.

“E chi se ne frega se configura un reato” mi rispose Moriarty con una faccia di bronzo impressionante “Ti pare che potrebbero beccarci? Loro, quel branco di idioti, che beccano noi due? Dai, Sherlock, non farmi ridere”

Sì, era improbabile. Anche Arsenio Lupin in confronto a me e Moriarty farebbe la figura del fesso, ma non era quello il punto. Il punto era che commettevamo un reato, ovvero una condotta antigiuridica penalmente sanzionata dalle forze dello stato e solo per questo dovevamo esimerci dal commetterla. Stop.

“E comunque io sarei dietro l’angolo ad aspettarvi” aggiunse Adler, rivolta verso di me “Per voi si tratterebbe solo di attraversare la strada”

“È un reato” ripetei io, glaciale.

“Sherlock, illuminami. Esiste forse qualcosa di divertente in questo mondo che non configura un reato?” mi domandò Moriarty, il suo sguardo era fisso “Dimmi, ora e in sincerità, qualcosa di non noioso che non sia un reato. Avanti”.

Io rimasi stupito da quella domanda. C’erano tantissime cose divertenti e non illegali da fare, investigare ad esempio (in effetti io in quel momento lo stavo facendo illegalmente, quindi non era un esempio calzante). La musica, la meravigliosa musica (possibilmente non con un violino alle tre del mattino, altrimenti i vicini chiamano i vigili…).

“Il tè” dissi, contento della mia trovata. Il tè era legale e inoffensivo. Certo, se uno lo compra al mercato nero da dei venditori abusivi che lo hanno rubato a loro volta, si potrebbe rischiare perfino una condanna per ricettazione, o per incauto acquisto, se l’avvocato è bravo. Ma a parte questo…

“Il sesso” rilanciò Adler, riportandomi violentemente sulla Terra.

“Eh, ma solo da etero e da sposati però” puntualizzò Moriarty “Altrimenti chi la sente santa romana chiesa?”

“Non sarebbe comunque un reato” dissi io rivolto verso di lui, come sempre questi argomenti erano scomodi “Il sesso fuori dal matrimonio è talvolta considerato un peccato veniale, e come tale può essere perdonato se si dimostra la costanza di almeno uno dei tre… Dei tre requisiti” mi interruppi imbarazzato, mi stavano fissando.

“Quindi tutto confermato?” mi domandò Jim “Ci vediamo stasera?”

“Per me va bene” continuò Adler.

“Per me invece no” ho detto con tono che non ammetteva repliche, scattando in piedi “È fuori discussione”.

“Ma perché?” ha esclamato lei, alzandosi come me “Si può sapere qual è il tuo problema?”

E allora l’ho aggredita verbalmente e le ho spiegato il mio problema, citando testualmente anche l’articolo della legge. E poi sono stato tagliente. Ho anche aggiunto che: “Se mai dovessi finire in galera, non sarà certo per fare un favore a un’arpia che ha finito le sue pasticche dimagranti, se permetti”.

E detto questo me ne sono andato con le spalle dritte e non le ho dato il tempo di rispondermi. Ho sentito solo un fischio ironico di Moriarty alle mie spalle.

 

Dopo trenta minuti comunque iniziava il corso avanzato di scienze. Io entrai ma Adler non si presentò in entrambe le ore.

Non ho potuto fare a meno di pensare che si fosse offesa per quello che le avevo detto, ma ragionandoci meglio mi parve un’assurdità. Lei era perfettamente conscia della sua esimia bellezza e io come al solito mi stavo dando troppa importanza. Se pensava di potermi trattare da cavalier servente si sbagliava di grosso. E se si era offesa, era peggio per lei.

L’assenza di Adler fu comunque squisitamente sopperita da John Watson, proprio come avevo previsto. Quanto adoro essere infallibile.

Costui si presentò in aula giusto tre minuti prima dell’inizio della lezione, e ha trascorso questi tre minuti a chiacchierare e a flirtare con una certa Janine in seconda fila. Ma che scopone, non ha requie. Non so perché ma la cosa mi fece sorridere. 

Subito dopo però realizzai con entusiasmo che doveva obbligatoriamente sedersi accanto a me, visto che il posto alla mia sinistra era come sempre l’unico libero in tutta l’aula. E infatti lui guardò subito verso la mia postazione e mi si avvicinò. Povero John Watson, invece di finire vicino a una bella ragazza gli ero toccato io… Mi dispiacque per lui, ma tolsi comunque lo zaino dalla sedia, lui mi sorrise.

“Grazie” mi ha accennato affabilmente e poi si è seduto con la grazia di un Golden Retriever, facendo grattare la sedia sul pavimento “Comunque non so se ci siamo mai davvero presentati. Io sono John, piacere”

Sapevo perfettamente che si chiamava John. Hamish invece era il suo secondo nome, sua sorella si chiamava Harriet.

“Sherlock, molto lieto” gli ho risposto da persona normale, stringendogli la mano.

Gli ho fatto i raggi nel momento stesso in cui si è voltato. Ha un aspetto molto sobrio, con un fisico asciutto e gli addominali scolpiti per le ragazze, ma non è un vanitoso, tutt’altro. Alla mattina si veste con gli occhi ancora impastati dal sonno (si è messo il calzino sinistro al contrario) e tiene i capelli molto corti per non doverli pettinare. Anche i vestiti che indossa sono comodi, sobri. Deve essere un dormiglione, uno di quelli che se non suona la sveglia va di lungo fino a mezzogiorno, ma ha l’aria affidabile, puntuale. Non è un virtuoso (non canta, non suona, non balla e non disegna) e non è nemmeno uno da videogiochi o da giochi di ruolo. Si colloca incredibilmente nel giusto mezzo di ogni cosa. Lo vedo bene sia in biblioteca a studiare che in osteria a ubriacarsi.

“Allora che si dice? Come è il corso? La prof?”

Voleva fare conversazione, dopotutto lui era una persona normale. Dovevo dargli una risposta generica, una frase fatta, qualcosa che non lo facesse scappare via a gambe levate.

“Non male” ho risposto in modo molto generico. Non potevo certo dirgli che la professoressa Wilson era un’ignorantona digiuna da qualsiasi argomento che non fossero quelle tre o quattro nozioni che conosce a memoria e che ripete ormai da trent’anni a dei ragazzini semi analfabeti che piuttosto che ascoltarla si mettono le dita nel naso, giocano ad Angry Birds e scrivono cavolate nel diario. E non potevo nemmeno dirgli che non può essere licenziata dato che va a letto con il preside, per cui potrebbe pure insegnarci a disegnare una o con un bicchiere che avrebbe comunque una cattedra alla London High e verrebbe comunque pagata da noi patetici contribuenti, perché è così che va la società. 

John Watson mi ha guardato con gli occhi ben aperti, sembrava impressionato. E in quel momento io mi resi conto con angoscia che avevo detto tutto ad alta voce. Stavo per scusarmi ma lui mi ha preceduto con un sorriso.

“Wow” ha sogghignato “Okay. Sei stato molto esauriente, devo dire”.

“Sì, troppo forse” gli ho risposto imbarazzato.

“No, è stato fantastico” mi ha replicato tranquillamente “Mi piacciono le persone schiette, che dicono le cose come stanno. Lo apprezzo”.

Io l’ho guardato stupito, non me l’aspettavo. Inutile dire che io apprezzo le persone che apprezzano le persone schiette. Mi ha detto che aveva un professore molto simile a questa nella sua vecchia scuola, io gli ho chiesto se il professore fosse di filosofia e lui mi ha risposto di sì.

“Come fai a saperlo?”

“Ho tirato a indovinare” ho mentito, non tiro mai a indovinare. Dopo è entrata la prof e con lei anche gli altri studenti ritardatari, tra cui Moriarty. Appena mi ha visto seduto con John, si è bloccato e lo ha guardato come se volesse ucciderlo. Quest’ultimo comunque era troppo impegnato a fissare l’orologio per accorgersi delle ire di un potenziale serial killer psicopatico.

“Oggi non ne ho voglia. Non ho dormito niente ieri” ha sussurrato, altra cosa che avevamo in comune, solo che io ero andato a comprare della droga, lui si era portato a letto qualcuno “Speriamo passi in fretta”

“L’ora è iniziata da trenta secondi” gli ho fatto notare, ma questo lo ha fatto sorridere.

“Appunto. Ti va una partita ad Angry Birds?”

Ammetto che mi ha strappato un sorriso. 

Non abbiamo giocato ad Angry Birds perché io non sempre mi portavo a scuola il cellulare (e in ogni caso non avevo proprio scaricato la App) però abbiamo parlato un po’ ed è stato interessante. John mi ha chiesto se avessi intenzione di studiare medicina all’università, probabilmente perché impressionato dalle mie conoscenze sulle malattie infettive, e io gli ho risposto di no. Lui invece ha continuato dicendo che gli sarebbe piaciuto, ma che era spaventato dalla ingente mole di studio richiesta. Io gli ho consigliato di provarci comunque, perché ha tutta l’aria di essere una persona seria e perseverante. Lui mi ha sorriso e ringraziato, ma credo proprio che abbia l'esercito per la testa.

Durante la seconda ora è rimasto sbalordito dalle mie conoscenze sulla chimica, mia materia preferita, al che gli ho risposto che forse sarà la disciplina che approfondirò all’università.

“Vuoi fare il ricercatore?” mi ha domandato a bassa voce. 

“No, non sono un teorico. Voglio avere delle conoscenze utili da usare in altri campi”

“Tipo quali?” ha insistito, curioso. Mi ha sempre dato un po' di imbarazzo parlare del mio amore per le indagini investigative, perché può essere facilmente frainteso per il gusto dell’orrido o della cronaca nera, ma non è stato questo il caso. John Watson ha sbarrato gli occhi e mi ha ascoltato per tutta l’ora, dimostrando un interesse talmente genuino e lusinghiero che mi ha scaldato il cuore.

Gli ho spiegato l’utilità basilare della chimica rispetto alla conduzione delle indagini, il parallelismo tra il funzionamento stesso della chimica e il ragionamento analitico deduttivo, e sembrava talmente interessato che la professoressa a fine ora mi ha chiamato alla cattedra. Temevo mi volesse rimproverare per non avere prestato attenzione alla sua lezione, ma invece mi ha solo chiesto di cosa avessimo parlato di così interessante da distogliermi dalla materia. Gli ho risposto con qualche reticenza (nessun “adulto” deve sapere del mio amore per l’investigazione), e lei mi ha lasciato andare.

John Watson mi stava simpatico e non avevo pensato ad Adler nemmeno per un secondo.

 


 

 

 

 

 

Note dell'autore

Povera Irene…
Grazie come sempre per le recensioni e le letture! Chiedo scusa se rispondo un po' tardi.
Una cosa che non ho precisato è che qui siamo all'inizio dell'anno (ho scritto nel cap. II "aprile", ma è stato un mio svarione. Suppongo perché siamo in aprile...) e poi il tutto è ambientato più o meno ai giorni nostri, o a quelli di Sherlock BBC, comunque periodo in cui c'era già una avanzata tecnologia.
A presto,
Obi.

   
 
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