Anime & Manga > Bungou Stray Dogs
Segui la storia  |       
Autore: futacookies    13/04/2021    1 recensioni
{soukoku - post Dead Apple - non tiene conto degli avvenimenti della terza stagione dell'anime - happy ending}
Dopo aver quasi distrutto Yokohama nel suo scontro con Shibusawa, Chuuya Nakahara entra nella lista nera del governo: considerato un pericolo pubblico, ancor più poiché sottotenente della Port Mafia, va eliminato. Ango avverte Dazai nel tentativo di risparmiargli un’ennesima sofferenza. Si presentano a quest’ultimo due possibilità: lasciar morire il suo storico partner, oppure cercare di salvarlo; deciso a volerne evitare la morte, Dazai prova quindi a spingerlo ad unirsi all’Agenzia dei Detective Armati, dove non sarebbe più visto come una minaccia. Tuttavia convincere uno dei fedelissimi di Mori a voltargli le spalle è più difficile del previsto, e per strappargli la promessa di abbandonare la Port Mafia saranno necessarie misure drastiche.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ango Sakaguchi, Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note: siamo, finalmente, alla fine. Non so perché ho aspettato tanto per postare, visto che alla fine ho aggiunto solo poche righe qui e lì, ma probabilmente il pensiero che il finale non rendesse giustizia a quella che considero una delle migliori fic che io abbia scritto mi ha bloccato un po'. Ci sono, nonostante il finale, ancora parecchi fili narrativi lasciati in sospeso, che spero di riprendere in singole one shot in un futuro prossimo (spero). Potrebbe esserci un po' di ooc sparso, ma dovrei essere riuscita ad usarlo con moderazione (onestamente, l'unica caratterizzazione di cui sono soddisfatta al 100% è stata quella di Ranpo, cosa che non mi aspettavo affatto!).
Ringrazio di cuore tutti i lettori di questa storia, e mi auguro che questo finale non vi lasci delusi!
Fede






 

Capitolo 3

 




«Onestamente», iniziò Dazai, lasciandosi pigramente cadere sulla poltrona di fronte alla scrivania di Ango, «perché l’hai fatto?»

Ango, che spaventosamente non era cambiato di una virgola nei due anni in cui era stato via, si sistemò gli occhiali e poi poggiò il mento sulle mani giunte. Aveva uno sguardo indecifrabile ‒ Dazai cercò di non sembrare impaziente, o infastidito, ma più ci pensava, meno riusciva a raccapezzarsi su tutta quella storia. E più non riusciva a raccapezzarsici e più diventava evidente che l’unica soluzione disponibile era quella che meno gli piaceva.

Era stato manipolato.

E gli toccava pure ammettere che era stato manipolato grandiosamente, perché il sospetto non gli era venuto che negli ultimi mesi ‒ era stato manipolato perché era convinto di  non poterlo essere, perché pensava di essere più furbo di Ango e aveva ignorato il più che mai importante particolare che anche lui, come ogni altro essere umano, aveva delle debolezze e quelle stesse debolezze erano state sottilmente usate contro di lui.

Quando gli aveva rivelato per la prima volta del suo piano di salvare Chuuya portandolo all’Agenzia, Ranpo-san aveva suggerito che sarebbe potuto essere necessario forzare la mano di Chuuya e che per farlo gli sarebbe servito l’aiuto di Ango. Quando Dazai si era finalmente arreso all’idea che una conversione mistica non gli avrebbe risparmiato l’umiliazione del chiedere un favore, era stato costretto a rivolgersi ad Ango e sperare che accettasse di inscenare la sua morte ‒ non era stato piacevole, trovarsi su quella stessa poltrona e sentirsi giudicato per le sue azioni e i suoi fallimenti.

Ango ‒ che nella mente di Dazai era mosso dal rimpianto e dall’antica amicizia che li aveva legati ‒ aveva ovviamente accettato, proponendogli, in cambio della sceneggiata che avrebbe allestito, un lavoro sotto copertura. 

Niente di troppo complicato, gli aveva promesso, doveva solo infiltrarsi in un circolo criminale che stava indirettamente minacciando Yokohama e smantellarlo dall’interno ‒ ed era stato relativamente facile, davvero, ma negli ultimi mesi non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che quell’ultima proposta fosse il vero motivo che aveva spinto Ango a rivelargli della minaccia che incombeva sul capo di Chuuya, se mai fosse stata una minaccia realmente esistente e non una verosimilissima frottola, o, peggio, un diretto ordine di Ango.

«Alla fine abbiamo ottenuto quello che volevamo entrambi, no, Dazai-kun?», commentò asciutto, evitando il suo sguardo. «Il governo si è sbarazzato di un pericolo per la città e tu del senso di colpa per aver lasciato Chuuya alla Port Mafia anni fa.»

«Non mi sono mai sentito in colpa per-», protestò, ma si interruppe di fronte all’evidenza che il rimorso per essersene semplicemente andato non gli aveva dato tregua da quando si era unito all’Agenzia. Si imbronciò ‒ l’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era che Ango si offrisse di mettere una pezza sui suoi problemi.

«Ma», cominciò Ango e Dazai si tirò immediatamente a sedere dritto, «se proprio lo vuoi sapere», aggiunse, giocherellando con il tappo della sua penna, «un ordine di cattura per Nakahara-kun c’era davvero.», sospirò. 

Le spalle di Dazai si rilassarono di botto ‒ quindi, sì, era stato ingannato, ma non completamente. C’era ancora dell’orgoglio da difendere.

«Tuttavia», continuò, ignorando il disordinato tumulto che stava animando il suo interlocutore, «non negherò di aver avuto un’influenza non indifferente nell’emanazione di quel mandato.»

Dazai sbuffò. Era stato completamente ingannato.

«Su, su.», lo esortò Ango, vedendolo la sua espressione contrariata. «Hai fatto qualcosa di buono per gli altri, alla fine.», commentò, alzandosi dalla sedia e prendendo posto accanto a lui. Dazai si ritrasse istintivamente. «Non ti fa sentire meglio?»

Dazai si incupì. Ango non poteva sapere che, negli suoi ultimi istanti di vita, Odasaku gli aveva detto che nulla sarebbe riuscito a riempire il vuoto che sentiva ‒ ma che se proprio nulla avrebbe fatto la differenza, allora era meglio fare qualcosa di buono. Ma cosa aveva fatto di buono, precisamente? Aveva strappato Chuuya al suo habitat naturale nell’egocentrica certezza che sarebbe stato meglio all’Agenzia e si era convinto che lo stava facendo soltanto per proteggerlo da una minaccia praticamente inesistente. Aveva inscenato la sua drammatica morte per strappargli una promessa che altrimenti non gli avrebbe mai concesso e aveva lasciato tutte le persone che gli volevano bene nell’orribile convinzione che lui fosse morto quando in realtà era in perfette condizioni. 

Cosa c’era di buono, in tutto questo?

Ango, che fino a un certo punto doveva essere stato in grado di seguire il percorso dei suoi pensieri, decise che forse era il caso di cambiare argomento.

«Cosa farai adesso, Dazai-kun?»

Dazai si alzò di scatto, improvvisamente infervorato.

Cosa avrebbe fatto? Se si fosse semplicemente presentato alle porte dell’Agenzia, lo avrebbero riaccolto? Li avrebbe trovati tutti sani e salvi e meravigliosamente fastidiosi come li aveva lasciati? Ci sarebbe stato Chuuya, seduto a quella che un tempo era stata la sua, inutilizzata, scrivania? Quel pensiero fu straordinariamente dolce ‒ se avesse pensato possibile correre immediatamente lì senza incorrere nell’ira dei suoi colleghi, probabilmente lo avrebbe fatto.

Ango si alzò a sua volta, porgendogli una cartellina.

«Prima che tu decida di saltare all’azione, magari vuoi dare uno sguardo a questa.»

Il suo tono era fastidiosamente paternalistico. Non aveva bisogno del supporto di Ango. Non aveva bisogno che tirasse i fili immaginari della sua sporca coscienza per costringerlo a trascinare Chuuya all’Agenzia. Non aveva bisogno che si comportasse come se gli avesse appena fatto un favore, come se adesso fossero pari ‒ come se Ango fosse finalmente riuscito a riperare l’impronunciabile torto di avergli portato via Odasaku.

«Noi non saremo mai pari.», specificò Dazai con durezza, voltandosi e raggiungendo a grandi passi l’uscita.

Riuscì a malapena a sentire la voce malinconica con cui Ango disse: «No, suppongo di no.»

 

******

 

«Guarda guarda chi ha riportato la marea!», esclamò Ranpo-san, pescando una manciata di patatine dalla busta. Oltre lui, stravaccato dietro la sua scrivania, come se fossero passate solo poche ore invece che due anni, nell’ufficio non c’era nessuno.

«E dove sono», Dazai fece una pausa, indicando le scrivanie vuote, «i nostri stimati colleghi?»

Ranpo sbuffo, divertito.

«La verità? L’Agenzia è stata chiusa più di un anno fa e io torno qui ogni giorno in caso ti decidessi di farti vivo.»

Dazai assottigliò lo sguardo.

«Non è vero.»

«No!», esclamò Ranpo, riempiendosi di nuovo la bocca. «Se fosse stato così ti avrei fatto trovare un biglietto. Forse.»

«Ah.», commentò Dazai, appoggiandosi a una sedia per attutire il colpo.

«Sono tutti fuori per i giri di pattuglia. Non c’è nessun mistero da risolvere, niente di divertente da fare. Di’, Dazai, hai qualche indovinello divertente per me?»

Dazai diede un colpetto di tosse. Si sedette sulla scrivania di Kunikida, sperando che ancora fosse la sua scrivania, e cercò di stropicciare quanti più documenti possibili.

«Come faccio ad annunciare che sono vivo senza che mi ammazzino?»

«Questo non è un indovinello. Ma potrebbe essere comunque divertente.», si tirò su a sedere e inforcò gli occhiali. «Vediamo un po’: Atsushi-kun potrebbe svenire per lo shock, e poi probabilmente piangerà tutte le sue lacrime ‒ come al tuo- be’- non funerale ‒, Akiko mi rinfaccerà che aveva ragione a nutrire seri dubbi sulla tua mancanza di battito mentre ti facevo portare via dalla scientifica. Il Presidente ti farà le congratulazioni per non essere morto e a Kunikida-kun partirà un embolo. Chuuya-kun-»

Fu interrotto dallo squillo del telefono.

«Ecco, potresti iniziare a rispondere al telefono. Sai che sorpresa!», sbuffò, alzandosi e trascinandosi verso la cornetta. «Davvero, il fatto che non abbiamo lasciato nessuno qui, nemmeno per rispondere al telefono- Sì? Pronto? Sì, Atsushi-kun. Non è ancora rientrato nessuno. Sì, quando tornano li avviserò. Se me lo ricordo. Sì, va bene! Va bene! Guarda che non è necessario riportare sempre, mica sono Kunik- Pronto? Atsushi-kun?»

Ranpo si girò verso di lui, sbattendo violentemente la cornetta.

«Davvero, questi giovani d’oggi, fanno sempre tutto il contrario di quello vorresti!», sbottò, tornando a sedersi. 

Dazai annuì supportivo. 

«E quindi?», chiese, nel tentativo di recuperare la conversazione, ma Ranpo-san già non lo ascoltava più. Era ritornato alla sua scrivania e aveva frugato tra i cassetti finché non aveva trovato carta e penna e aveva scarabocchiato qualcosa in tutta fretta.

«Quindi», gli rispose, allungandogli quello che scoprì essere un indirizzo, «se vuoi fare una grande entrata in scena, di suggerisco di andare lì. In fretta.»

Dazai guardò esterrefatto prima il biglietto, poi Ranpo-san, che adesso non sembrava più avere l’aria di urgenza mantenuta fino a pochi attima prima ed era completamente assorto dal tentativo di recuperare una biglia di vetro da una bottiglia di ramune. Guardò un’ultima volta l’indirizzo, poi lo appallottolò e se lo infilò in tasca, lanciandosi in strada per fermare il primo taxi disponibile.

 

******

 

«Merda, Kunikida, ma quanti sono?», domandò Chuuya, staccando parte del suolo per lanciarlo contro le centinaia di figure che si ammassavano sul porto.

«Non lo so!», sbottò in risposta, masticando un’imprecazione sottovoce. «Poeta Doppo! Teaser!»

Teaser. Pff. Così non sarebbero andati da nessuna parte. All’Agenzia erano davvero troppo teneri. La cosa peggiore era che per quanti uomini Chuuya sembrava mettere al tappeto ‒ ed erano davvero tantissimi, considerando il suo raggio d’azione e la sua rapidità ‒ c’era sempre qualcuno pronto ad avanzare e sparare. Se solo non fosse stato certo che le invasioni zombie fossero qualcosa di assolutamente irreale adesso crederebbe che una minaccia del genere si stia abbattendo su di loro. 

«Dobbiamo trovare l’originale. Altrimenti sarà inutile.»

Chuuya grugnì. Trovare l’originale. Tra centinaia di cloni. Splendido.

Il Presidente aveva affidato a lui e Kunikida il compito di indagare contro un folle che millantava di poter soffocare l’intera Yokohama. Quando avevano capito come ‒ attraverso lo sfrenata duplicazione del suo corpo, che in una decina di minuti sarebbe riuscito praticamente a sotterrare la città, erano rimasti inorriditi.

«Quindi? Che si fa? Non possiamo continuare ad eliminarli finché non si stancano?»

Kunikida emise un verso di stizza. Adesso le copie avevano occupato tutto il molo e stavano straripando, alcune cadendo in acqua, altre occupando le stradine collegate. 

«Non ha senso.», rifletté Kunikida. «Dobbiamo eliminare l’originale.», ribadì.

«Ottimo!», esclamò, sarcastico. «E dove pensi che potremmo trovarlo?»

Kunikida sbuffò, ma non fece altri commenti. La situazione era già abbastanza difficile senza che si desse al sarcasmo. Sapeva che presto sarebbero arrivati rinforzi, ma non poteva fare a meno di pensare che neanche un esercito intero sarebbe riuscito a compiere l’ecatombe necessaria e trovarne l’autore ‒ e considerando che grazie alla sua abilità lui già valeva quanto un esercito, be’, la situazione sembrava mettersi male.

«Per quanto ne sappiamo potrebbe dall’altra parte della città. Potrebbe anche non essere a Yokohama ‒ se tutte le sue copie hanno la sua stessa abilità, basterebbe che una soltanto ci abbia attirati qui e abbia iniziato a moltiplicarsi.»

«Stai dicendo che siamo caduti in una trappola?»

«Non sto dicendo che siamo caduti in una trappola.», specificò Kunikida, irritato al solo pensiero. «Sto dicendo che potrebbe essere una possibilità.»

Chuuya approfittò della breve pausa offerta da un’altra granata stordente per pensare. Atsushi e Kyouka sarebbero stati lì tra poco, e allora che avrebbero fatto? Certo, la loro forza d’urto era sicuramente maggiore di quella di Kunikida, ma seppure tutti i membri dell’Agenzia si fossero materializzati lì, dubitava che avrebbero fatto la differenza. 

E probabilmente era una trappola.

«Io dico», annunciò, pronto a trascinarsi dietro Kunikida, «che dovremmo andarcene.»

Kunikida soppesò la sua proposta. Chuuya si affacciò dal container dietro il quale si erano nascosti per dare un’occhiata ‒ ormai c’erano così tante copie che gli sembrava impossibile che non fossero già morti soffocati dai corpi. Stava per voltarsi verso di lui per sollecitare una fuga più rapida, quando con la coda dell’occhio vide una figura che si muoveva verso il faro.

«Kunikida!», esclamò, trascinandolo per la manica della camicia. «Ce l’ho! L’originale, credo.»

Kunikida si affacciò immediatamente e videro una figura sottile e nervosa che si allontanava con calma dal pandemonio che aveva creato, dove i suoi duplicati aumentavano esponenzialmente a velocità allarmante.

«Dovremmo tornare all’Agenzia, riorganizzare le forze e poi muoverci per attaccare.», spiegò Kunikida, ma Chuuya a stento si tratteneva dal lanciarsi verso il faro.

«Ho un’idea.», gli propose. «Ma non ti piacerà.»

Kunikida alzò gli occhi al cielo. 

«Se stai per dire che vuoi usare Corruzione-»

«Abbiamo ancora uno dei proiettili con il sangue di Dazai, no?», obiettò Chuuya, che già aveva iniziato a togliersi i guanti e riporre accuratamente giacca e cappello.

«Ma è all’Agenzia!», sbottò Kunikida.

«Be’, allora vai a prenderlo. Se non facciamo qualcosa adesso per quando avremo riorganizzato le forze non ci sarà più una città da difendere.», lo spicciò.

Attese, per qualche istante, che Kunikida continuasse con le sue proteste. Intanto però le copie aveva già attirato l’attenzione dei passanti, che osservano incuriositi l’incessante duplicarsi ‒ avevano rinunciato ad attaccarli per dedicarsi unicamente a quello. Seppure Kunikida avesse delle rimostranze etiche non era quello il momento di preoccuparsene. 

Respirò a fondo. Erano passati almeno due anni da quando aveva dovuto usare la forma più autentica del suo potere ‒ e, a differenza delle altre volte, non aveva la certezza che si sarebbe risvegliato.

«Oh, garanti dell’oscura disgrazia, non risvegliatemi.»

 

******

 

L’autista non riuscì a portare Dazai fino a destinazione. A un certo puntò inchiodo, sbottò spazientito qualcosa su una strada chiusa per motivo sconosciuti e Dazai non perse neanche un istante ad ascoltarlo: scese in tutta fretta e realizzò che tutto il perimetro del porto era controllato dal governo. Nessuno entrava o usciva senza permesso. E tecnicamente lui non risultava più nell’albo dei membri dell’Agenzia, per cui non poteva far valere la sua autorità in alcun modo.

Con la coda dell’occhio vide un lampo vermiglio e dovette trattenere un’imprecazione: non potevano essere stati così stupidi o disperati da aver permesso a Chuuya di usare Corruzione. Doveva raggiungere Chuuya. Doveva raggiungere Chuuya e salvare lui e tutti i presenti da se stesso.

Approfittò di un gruppo di giornalisti che stava a tutti i costi tentando di aggirare la sicurezza per infilarsi in un vicoletto laterale. Quando arrivò al molo ‒ o meglio, a quel che ne restava ‒ emise un gemito impaziente. Da quanto tempo Chuuya stava portando avanti questa distruzione? Quanto tempo aveva per raggiungerlo e fermarlo?

Corse verso il faro, dove poteva quasi distinguere la sagoma di Chuuya e i gravitoni che stava lanciando. Si scanzò di lato e rotolò, evitando per un pelo di essere colpito. Si rialzò, corse per qualche metro con la testa bassa e il fiato corto e poi si trovò di fronte Atsushi, Kunikida e Kyouka che lo fissavano, pallidi in volto, come se avessero appena visto un fantasma.

Avrebbe dovuto dire qualcosa. 

Qualcosa che fosse una flebile spiegazione, delle scuse, qualunque cosa. Invece restò muto, respirando affannato, ricambiando il loro silenzio sgomento, terrorizzato dall’idea di spezzare la tensione che si stava creando ma allo stesso tempo incapace di sopportarla.

«Io-», iniziò, sollevando appena il braccio.

Atsushi si aggrappò al braccio Kunikida, incapace di rispondere.

«Vai! Lo uccideranno!», strillò Kyouka, che si era ripresa molto più rapidamente degli altri due, indicando Chuuya. 

Dazai annuì, superandoli a fatica e addentrandosi nel campo minato alle loro spalle. Chiunque avesse dovuto combattere Chuuya non aveva lasciato alcuna traccia di sé, completamente risucchiato dai suoi buchi neri ‒ Dazai non era nemmeno sicuro di poter contare sulla forza della sua abilità per poter sopravvivere.

Per riuscire a toccarlo, rifletté, avrebbe prima dovuto farsi vedere da Chuuya e costringerlo ad abbassarsi al suolo. Aveva bisogno di qualcosa per attirare la sua attenzione- qualcosa- qualunque cosa- afferrò un sasso, si assicurò di aver preso una buona mira e lanciò. Dazai non aveva mai avuto una buona mira, e infatti mancò Chuuya di qualche metro, ma lui, che seppure fosse stato colpito di certo non avrebbe avvertito alcun dolore, si fiondò sul molo, appena in tempo per evitare i proiettili dei cecchini del governo. 

Dazai fu sbalzato indietro dall’impatto, ma buttò una mano alla cieca nel tentativo di toccarlo e quella che si aspettava potesse essere una gentile carezza si tramutò in un schiaffo involontario. Chuuya si sgonfiò come un palloncino, cadendo pesantemente al suolo, senza dire una parola ‒ se fosse arrivato troppo tardi, non se lo sarebbe mai perdonato.

«Riposa, Chuuya.», mormorò, accarezzandogli piano i capelli. «Hai già sofferto abbastanza.»

 

******

 

Quando Chuuya aprì gli occhi e vide il candido soffitto dell'infermeria, credette per un istante di essere morto. Poi sentì una mano sudaticcia e familiare stretta nella sua, ed ebbe la certezza che quella non poteva essere l’Agenzia. 

«Sono morto?», mugugnò. «Kunikida ha sbagliato la mira?»

Dazai rise ‒ non l’aveva mai sentito dire, non così sinceramente, nemmeno quando era stato in cattività all’Agenzia.

«Kunikida non ha sbagliato mira-»

«Quindi non sono morto?»

«-perché non ha sparato il colpo.»

«Dazai, maladetto, così mi confondi. Sei un’altra allucinazione?», chiese, pur già consapevole della risposta.

Ovviamente era un’altra allucinazione, come ce n’erano state per mesi, dopo la sua morte, come talvolta si presentavano negli incubi in cui non riusciva a salvarlo. 

«Un’allucinazione, eh? Interessante.», commentò Dazai, chinandosi verso di lui.

Chuuya arricciò il naso. L’odore della pella di Dazai gli diede quasi la nausea. Quella non era- le sue allucinazioni non erano mai così- non avevano l’odore di Dazai. Un tremito gli scosse tutto il corpo. Quella non era un’allucinazione. Ma non poteva nemmeno essere Dazai. Dazai era morto. Eppure era lì, davanti a lui, ricoperto di bende, con un ghigno assolutamente compiaciuto e il suo odore inconfondibile. Era lì- era vivo.

«Devo vomitare.», annunciò, tirandosi a sedere.

Dazai lo sostenne mentre si alzava e Chuuya si abbandonò per un istante tra le sue braccia.

«Torno dopo più di due anni in cui credi sia morto e la prima cosa che mi dici è che devi vomitare. Dovresti smetterla di essere così romantico.», suggerì, alzandosi per prendergli un bicchiere d’acqua ‒ Chuuya bevette avidamente: di fronte all’ipotesi che quello fosse davvero Dazai e non uno scherzo della sua mente prigioniera del lutto, gli si era seccata la gola.

«Quindi ti sei finto morto?», gli chiese, restituendogli il bicchiere.

«Sì.», gli rispose, secco.

Non aveva abbassato lo sguardo, ma cercava in ogni modo di evitare i suoi occhi. 

«E adesso sei tornato?»

«Già.»

«’fanculo, Dazai. Avrei preferito fossi un’altra allucinazione.»

Chuuya gli diede le spalle e si tirò le coperte fin sul naso. Era arrabbiato con lui? Certo, naturalmente. Era furioso. Ma allo stesso tempo quasi non riusciva credere al miracolo che si compiva di fronte ai suoi occhi. C’erano stati molti dubbi, sulla morte di Dazai, e c’era una pista piena di buchi che non portava ad alcun colpevole. Non importava quanto tutti all’Agenzia si fossero impegnati per giorni, settimane e poi mesi, non erano riusciti in alcun modo a venire a capo del mistero. E adesso scopriva, per suo immenso sollievo, che non c’era nessun mistero perché Dazai non era mai morto.

«Chuuya-»

«Perché lo hai fatto?», sbraitò, voltandosi per guardarlo.

«Avevo i miei motivi.» 

I suoi motivi. Certo, lui aveva i suoi motivi. Che cazzo gliene fregava dei suoi motivi? Aveva trascorso la maggior parte degli ultimi due anni perdendo tempo, sonno e lacrime che peraltro Dazai non si era mai nemmeno minimamente meritato, e adesso non poteva avere nemmeno una spiegazione. Nemmeno delle scuse. Perché lui aveva i suoi motivi.

«Chi sapeva?», domandò, accusatorio.

Dazai non poteva aver fatto tutto da solo. Anche l’ultima volta che era scomparso dalla circolazione si vociferava che non avesse fatto da solo – perché poteva essere bravo, sì, poteva essere furbo, poteva essere uno dei più temuti dotati di abilità di Yokohama, ma di certo se si fosse dovuto occupare di tutto da solo avrebbe fatto qualche errore, ci sarebbe stata una pista che solo Chuuya avrebbe potuto seguire, perché lo conosceva meglio degli e a volte credeva di conoscerlo anche meglio di quanto non conoscesse se stesso. 

Dazai esitò, prima di rispondere.

«Allora?», insistette, alzando la voce.

«Ango. E Ranpo-san.», si arrese, sebbene fosse evidente che avrebbe preferito non parlarne.

«Per caso pianifichi di morire di nuovo?», lo accusò, sulla difensiva. 

Era davvero una domanda stupida, se ne rendeva conto. Non c’era un vero motivo per cui avrebbe dovuto farlo. Ma Dazai già gli era scivolato tra le dita due volte, in passato, e per una volta avrebbe soltanto voluto una rassicurazione. La promessa che non se ne sarebbe andato, che quando avesse riaperto gli occhi lo avrebbe di nuovo trovato lì. La certezza che non l’avrebbe perso di nuovo.

«No.», rispose precipitosamente. Poi, con voce quasi titubante, chiese: «Posso restare?»

«Forse.»

Chuuya si rigirò verso il muro prima di rispondere: l’ultima cosa di cui aveva bisogno era permettere a Dazai di leggerli in faccia quanto in realtà non desiderasse altro che restasse con lui. E prenderlo a pugni, certo, ma soprattutto che restasse lì, a vegliare su di lui mentre dormiva. Era così stanco.

«Io ti amavo, sai? Ti amavo davvero tanto.», rivelò, mentre scivolava nel sonno. «Non c’era bisogno di farmi soffrire così.»

 

******

 

Nel suo sonno agitato, tra un incubo e il successivo, Dazai era sempre lì – Chuuya si era svegliato più e più volte, a volte con ancora impresse negli occhi immagini di sangue, morte, vuoto che risucchiava tutto per non lasciare più niente intorno a lui e poi il suo sguardo terrorizzato si posava su Dazai, che stava leggendo il suo stupido libro sul suicidio come se non ci fosse nessun altro posto al mondo dove avrebbe voluto essere, e allora Chuuya si rilassava abbastanza da arrendersi ad altri dieci minuti di un sonno che sapeva sarebbe stato tutt’altro che ristoratore.

 

******

 

«Quindi non sei un’allucinazione?», chiese di nuovo, quando riuscì finalmente a restare.

«No.», confermo, quasi scocciato, schioccandogli un paio di dita in fronte.

Quindi era davvero Dazai. Davvero Dazai tornato per restare. Dazai che non sembrava intenzionato ad andarsene – Dazai che era rimasto chi sa per quanto tempo su una scomoda sedia di plastica perché lui aveva desiderato che non lo lasciasse solo.

Era forse arrivato il momento di vivere la possibilità che non si erano mai concessi, che era stata loro strappata ‒ dalla morte, avrebbe voluto dire, se non che in realtà l’aveva distrutta Dazai e i suoi stupidi motivi che già sapeva non gli avrebbe mai rivelato.

Eppure adesso Dazai era lì, incollato alla sedia affianco al suo lettino, e l’aveva svegliato dai suoi incubi peggiori, gli aveva medicato personalmente le ferite, accertandosi che non si sentisse più solo o abbandonato. Dazai era lì per rimediare ai suoi errori e in fondo era tutto quello che Chuuya desiderava – che si prendesse cura di lui.

«Ti prego, dimmi che hai portato dell’alcol.»

«Solo del sakè di seconda marca.», gli rispose prontamente Dazai, indicando con mento una bottiglia sulla scrivania della dottoressa.

Chuuya si concesse un piccolo sorriso. Il sake di Dazai aveva sempre fatto schifo, ma per una volta se lo sarebbe fatto andar bene.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bungou Stray Dogs / Vai alla pagina dell'autore: futacookies