Quella
sera l’afa estiva aveva lasciato il posto ad una fresca
brezza, insolita e
piacevole, che trasportava con sé i profumi e gli odori
della città: delle
locande che aprivano ai primi avventori, delle piccole botteghe intente
a
sfornare gli ultimi melon-pan, o dei konbini, da cui uscivano frotte di
bambini
festanti, le mani strette intorno agli stecchi di tanti ghiaccioli
colorati.
I
furin ondeggiavano in quel vento pacato,
portando con sé quel sapore di un’estate di
provincia che Yachi aveva quasi
dimenticato, dopo solo pochi mesi passati a Tokyo.
Si
richiuse la porta dell’appartamento alle
spalle, affrettandosi giù per le scale, correndo fino a
raggiungere la fermata
dell’autobus sotto casa, su cui riuscì a salire
per un pelo.
Erano
passati solo pochi mesi dalla cerimonia
del diploma, dalla sua vecchia vita a Miyagi, dal suo ultimo giorno
alla
Karasuno.
Eppure
sentiva che quel poco lasso di tempo che
l’aveva vista trasferirsi nella capitale e iniziare la sua
parentesi come
studentessa universitaria, avesse portato con sé una
consapevolezza e un
distacco che le aveva fatto bene, aiutandola a prendere le distanze da
un
capitolo che era convinta di aver chiuso, di essersi lasciata alle
spalle.
Poi
era arrivata l’estate, le settimane di
vacanze prima del nuovo semestre, insieme alle chiamate insistenti di
sua madre
che le chiedeva di raggiungerla per qualche giorno.
Giorni
che erano volati in fretta e sarebbero
anche passati quasi inosservati se alla vigilia del ritorno alla sua
nuova vita
nella metropoli non avesse ricevuto quel messaggio, poche semplici
parole che
erano state in grado di scombussolarla.
Era
di Shimizu-san, la sua adorata senpai: si
erano tenute in contatto negli ultimi anni, e qualche volta si erano
anche
viste per un caffè e una chiacchierata, ripromettendosi
sempre di mantenere
viva la loro amicizia.
Ma
il tempo è capace di cancellare volti e
promesse con la stessa forza e indolenza.
E
Yachi era convinta che una volta lasciato il
suo ruolo di manager avrebbe pian piano perso di vista anche i contatti
con
coloro che per tanto tempo erano stati il suo mondo, la sua
quotidianità.
Era
colpa sua che era sempre la solita
pessimista, debole preda delle sue paranoie.
Ma
il destino le era venuto incontro, portando
scompiglio in quelle sue fantasie, offrendole un’occasione
che non si sarebbe
mai aspettata.
Una
riunione in memoria dei vecchi tempi, un
giro di bevute per festeggiare gli ultimi diplomati della vecchia
formazione
della squadra.
Era
questo l’invito nascosto nel messaggio di
Shimizu, poche semplici parole che fecero provare a Hitoka
l’ebbrezza di poter
riportare in vita quelle atmosfere di cui già sentiva la
mancanza.
Scese
dall’autobus, guardandosi attorno: il
locale di okomiyaki indicato da Kiyoko si trovava a pochi passi dalla
fermata.
Sollevò
la tenda noren mentre le voci dei suoi
vecchi compagni le arrivarono prima ovattate, poi sempre più
vicine, mescolate
al suono di una risata sguaiata che riconobbe subito essere quella di
Tanaka.
“Yachi-san!”
la salutarono Sugawara e Yamaguchi,
sorridendole festanti
“Yacchan!”
anche Asahi si voltò per darle il
benvenuto
Riconobbe
poi i sorrisi e i volti di Ennoshita,
Tsukishima, Narita e infine anche quello di Shimizu, che le fece cenno
di
sedersi accanto a lei.
“Oh,
finalmente! Ce ne hai messo... Hinata!”
La
voce di Nishinoya la fece voltare, facendola
così trovare faccia a faccia con colui che più di
tutti aveva avuto voglia di
rivedere quella sera.
Il
viso di Shoyo, a pochi centimetri dal suo,
nel riconoscerla si sciolse subito in quello stesso sorriso che lei gli
aveva
visto tante, troppe, volte illuminargli il volto, facendola sussultare.
*
Hitoka
si voltò un’ultima volta per salutare il
gruppo riunito fuori dal locale, sorridendo, imprimendo nella sua
memoria
quell’istantanea, insieme alle risate e alle voci che le
avrebbero fatto
compagnia quando la nostalgia di casa si sarebbe fatta viva
prepotentemente,
una volta tornata a Tokyo.
Guardò
l’ora distrattamente, consapevole che era
piuttosto tardi.
Tutta
colpa, o merito, di Tanaka, che quella
sera ne aveva approfittato per annunciare a tutti il tanto atteso e
sudato
fidanzamento con Shimizu-san: tra il tripudio di felicitazioni e
brindisi, a
cui si erano mescolate anche le vivaci proteste di Sugawara e
Nishinoya, il
tempo si era come sospeso, dando loro l’illusione che quella
serata non dovesse
finire mai.
Come
pensava l’ultimo autobus era ormai passato
da un pezzo, non le restava che chiamare sua madre, sperando di
trovarla ancora
sveglia.
“Hai
bisogno di un passaggio?”
La
voce di Hinata la fece sussultare per la
seconda volta in poche ore, obbligandola a voltarsi.
“Sono
in bici ma posso darti uno strappo!”
“S-sicuro
di farcela?”
Cercò
di inghiottire quello strano nervosismo, e
di sostenere il suo sguardo.
“Non
ti preoccupare, salta su!” le rispose,
indicandole con un cenno il sellino consumato
La
brezza di quella sera di fine Agosto si era
fatta sempre più frizzante, accarezzando le guance e le
cosce nude di Yachi
mentre scivolavano tra i vicoli deserti e silenziosi di Miyagi.
Shoyo
inchiodò di scatto, obbligandola ad
ancorarsi ai suoi fianchi e a chiudere per qualche secondo gli occhi,
prima di
riaprirli e di accorgersi del gatto arancione che aveva tagliato loro
la
strada.
Sorrise,
sentendo la tensione allentarsi, e
appoggiando la fronte alla schiena tesa del ragazzo di fronte a lei.
We
started getting close
(…)
So we'd leave and drive around until you had to drop
me off at home
Swear that was yesterday
But in two weeks I'd be moving South
And you'd be moving to a town that I had never heard
of
I wish we had more time, why did I ever wanna grow up?
“Ti
ringrazio…”
Hitoka
scandì quelle parole cercando di prendere
tempo, stringendo in mano le chiavi di casa, chiedendosi
perché non volesse
ancora salutarlo.
Anche
Shoyo sembrava titubante, aveva appoggiato
la bici a terra e ora la fissava sovrappensiero, come se stesse
cercando le
parole giuste per risponderle.
“Yachi-san,
posso rivelarti una cosa?”
Lei
alzò finalmente lo sguardo da terra,
incrociando quello di Hinata, incandescente in quella buia notte senza
luna,
capace di abbagliarla ancora con la stessa forza del primo giorno in
cui lo
aveva incontrato, quel pomeriggio di tre anni fa.
Annuì
impercettibilmente, senza staccare gli
occhi da quell’espressione tesa e decisa.
E
così le raccontò tutto: del Brasile e del suo
desiderio di avventurarsi nel mondo del beach volley, di come volesse
continuare a percorrere quella strada che gli avrebbe permesso di
diventare più
forte, di maturare non solo come giocatore ma anche come persona, e
della
fiducia che riponeva in quel viaggio, che ancora non aveva avuto il
coraggio di
confessare a nessuno.
“Sei
la prima a cui lo dico... bè se escludiamo
Natsu e i miei genitori ovviamente, però… questa
sera proprio non ce l’ho fatta
a raccontarlo agli altri, non volevo rubare l’attenzione
dall’annuncio di
Tanaka e Shimizu-senpai… chi se lo aspettava eh?”
“Già…”
Yachi
stava ancora metabolizzando tutto,
comprese le implicazioni che quella scelta portava con sé.
Non l’aveva
spiazzata la prospettiva di vederlo andare oltreoceano, in fondo si
aspettava
grandi cose da lui.
No,
a spaventarla era stata la velocità con cui
tutto si stavano muovendo e concretizzando.
Le
sembrava fossero passati soltanto pochi
giorni dall’ultima volta in cui aveva varcato
l’ingresso della palestra del
club, lasciandosi alle spalle tre anni di ricordi indelebili, memorie
dolciamare in cui a volte amava perdersi, e che non riusciva ancora a
lasciare
andare del tutto.
*
L’ultima
campanella era suonata da un pezzo,
i corridoi si erano svuotati delle risate e delle chiacchiere degli
studenti,
alcuni dei quali avevano dovuto dire addio a quelle aule e agli anni
spensierati e intensi che vi avevano trascorso, correndo in direzione
del
destino che li aspettava oltre il diploma.
Yachi
strinse a sé il registro del club di
pallavolo un’ultima volta, prima di deporlo nello scaffale
più in alto, accanto
ai documenti degli anni scorsi, chiudendo così un capitolo
della sua vita in
cui per la prima volta era riuscita a sentirsi protagonista e non
più solo
comparsa.
Si
richiuse la porta dello sgabuzzino alle
spalle, avvicinandosi al campo, sentendo il parquet tirato a lucido
scricchiolare sotto i suoi passi incerti.
Pensava
di essere rimasta da sola a chiudere
la palestra ma poi lo vide, una piccola chiazza arancione intenta a
palleggiare
oltre la rete ancora tesa.
Si
trattenne dal disturbarlo, conscia che
forse quella sarebbe stata l’ultima volta in cui sarebbe
stati così vicini,
compagni e amici, parte della stessa squadra.
Non
era ancora pronta a mettere la parola
fine su tutto, su di lui.
C’erano
tante cose che sentiva ancora
ribollire dentro di lei, parole che bruciavano sulla sua lingua,
pensieri che
la tormentavano, portandola a dubitare di quello stesso coraggio che
sentiva di
aver accumulato negli anni.
Anni
che l’avevano vista crescere, dandole la
possibilità di prendere sempre più le distanze
dalla ragazzina insicura e
tremante, spaventata dal mondo e anche dalla sua stessa ombra, incapace
di
prendere una decisione o di fare un passo avanti.
Pensava
davvero di essere cambiata ma per
alcuni versi era rimasta ancora la stessa ragazza che Shoyo aveva preso
per
mano e trascinato a forza in quell’universo che era stato la
sua casa fino a
quel momento.
Gli
doveva molto, lo sapeva.
Come
sapeva che erano tante le cose per cui
voleva ringraziarlo, e non solo come manager o amica.
Ma
non le era mai piaciuto rischiare, saltare
nel vuoto e nell’ignoto, come invece lui sapeva fare.
E
l’idea di poterlo perdere, di rovinare il
loro rapporto, era un prezzo che sentiva di non voler pagare.
No,
avrebbe ingoiato ancora una volta quei
sentimenti, indossando quella maschera gentile sotto cui si era sempre
nascosta.
Sotto
un sorriso da codarda da cui non
riusciva più a separarsi.
*
Hinata
si voltò un’ultima volta a salutare
Hitoka, fino a che la vide scomparire dietro la porta a vetri del
complesso di
appartamenti.
Rimase
ancora qualche minuto ad assaporare la
frescura inaspettata, quell’alito di vento che gli
sfiorò le gote calde,
donandogli quella lucidità di cui aveva disperatamente
bisogno.
Non
ce l’aveva fatta neanche stavolta a essere
del tutto sincero con lei.
Parlarle
del futuro che lo attendeva era stato
facile, anzi liberatorio, una boccata d’aria che gli aveva
dato prova della
fiducia che riponeva nel percorso che aveva deciso di intraprendere.
Ma
sarebbe stato disonesto definirsi coraggioso
per la scelta che aveva deciso di compiere.
Soprattutto
se quella scelta implicava scappare
da questioni irrisolte, dubbi del passato che non mancavano di tornare
a
tormentarlo ogni volta che abbassava la guardia.
*
You
said you'll see me when we are
Home for the summer
We won't have to work so we're gonna
Do whatever the hell we wanna
'Cause we know that one day we'll be
Gone from each other
La
palestra era vuota, se ne erano andati tutti.
Erano
rimasti solo lui e Yachi a chiudere
l’edificio, per l’ultima volta.
Sapeva
che quella sarebbe stata l’ultima
occasione a sua disposizione per parlarle, per esprimerle a parole
quanto lei
fosse importante per lui, quanto il suo supporto lo avesse aiutato in
quei tre
anni assieme, fuori e dentro al campo, e quanto l’idea di
doverne fare a meno
lo spaventasse.
Non
voleva ancora dire addio a quel sorriso,
a quella gentilezza pacata e sincera, alla preoccupazione e
all’interesse che
imprimeva in ogni cosa che faceva, all’emozione esagerata che
spesso non
riusciva a nascondere, e che traboccava da quegli occhi così
limpidi e caldi.
Ma
presto il destino avrebbe deciso per lui,
disegnando strade e scenari sempre più vicini e concreti.
Sarebbe
andata a studiare a Tokyo, e lui era
sicuro che la città col tempo l’avrebbe
inghiottita, senza restituirgliela più.
Sarebbe
cresciuta lontana dai suoi occhi,
avrebbe scoperto cose nuove e incontrato altre persone, si sarebbe
appassionata
a qualcos’altro, avrebbe pianto e avrebbe riso fino alle
lacrime per qualcosa
che lui non avrebbe mai conosciuto.
Non
poteva fare niente per fermare quella
ruota, ormai già in moto.
E
anche lui presto avrebbe preso la sua
strada, anche se ancora non sapeva quanto lontano lo avrebbe portato.
Certo,
poteva ancora fare qualcosa, mettersi
a nudo e aprirle del tutto il suo cuore, ma ne valeva la pena?
Lui,
che aveva sempre disprezzato la paura,
senza lasciarsi mai imbrigliare dai dubbi e dai tentennamenti, ne aveva
finalmente scoperto il sapore.
Era
il retrogusto amaro che aveva sentito
quando per la prima volta si era accorto dello sguardo di Yamaguchi
posato su
Yachi.
Lo
stesso che provava ora e che lo obbligava
a mettere da parte ancora una volta quei sentimenti, a nasconderli in
un
cassetto della sua memoria fino a dimenticarsene, ingoiando quelle
parole che
bruciavano come braci incandescenti, destinate a spegnersi una volta
per tutte.
*
We'd
wait till after dark
2:00 a.m., we're laying on the ground, in my backyard
I told you I'd be waiting there the night that I get back
I hope you don't forget about that
Lo
schermò del telefono si illuminò nel buio della
stanza, facendola voltare e
allungare verso il comodino.
Ti
aspetto a Rio l’estate prossima! –
Hinata
Sorrise,
perdendosi per un momento
nell’illusione che quella frase evocava.
Ma
quel sogno a occhi aperti non durò che
qualche istante, giusto il tempo di premere sui tasti la sua risposta,
per poi
schiacciare invio.
Certo,
non mancherò! – Yachi
Sapevano
benissimo quanto si stessero prendendo
in giro, quanto suonassero false quelle parole, bugie su bugie pur di
nascondere la verità che opprimeva entrambi.
Ma
volevano continuare a portare avanti
quell’illusione.
Perché
forse si sarebbero visti davvero l’estate
prossima, o quella dopo ancora.
E
quel forse era tutto
ciò di
cui avevano bisogno, l’ultimo barlume di speranza rimasto a
cui potersi
aggrappare per affrontare il domani che attendeva entrambi.
We'll
have lives in two different suburbs
We'll have families with
different lovers
But for now, I know I'll
see you when we are
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