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Autore: arashinosora5927    15/04/2021    2 recensioni
Io prima di te, o più nel dettaglio il passato di Gokudera dalla nascita con particolare focus sul giorno in cui abbandona il castello, passando per il canon di Bakudan Bambino, esplorando i cinque anni che ha trascorso a vivere per strada prima che incontrasse Tsuna.
[accenni5927] [59 centric]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Bianchi, Hayato Gokudera, Tsunayoshi Sawada
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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I suoi ricordi erano tutti nitidissimi come se fossero eventi accaduti il giorno prima, andando a ritroso si era reso conto di poter richiamare lucidamente alla mente anche il momento in cui aveva camminato sui piedini per la prima volta.

Era successo una mattina di dicembre in prossimità del periodo natalizio. Hayato era seduto nel grande salone, aveva una zona a lui completamente dedicata creata da un puzzle in gomma che gli impedisse di farsi male qualora fosse caduto. Era rimasto da solo per un motivo non meglio identificato del fatto che le sue numerose balie erano impegnate e stava giocando con un orsacchiotto di peluche, fingeva che fosse suo amico e avesse un'anima a cui parlare.

Improvvisamente il cielo si oscurò, divenne così cupo che Hayato sentì il bisogno di accendere la luce per dare nuovamente luminosità alla stanza e vederci qualcosa. Memore della planimetria della stanza cominciò a gattonare spedito verso l'interruttore. Raggiunto il muro dove questo si trovava si rese conto che proprio non era alla sua portata. Allora decise, spinto dal bisogno di placare quel senso di inquietudine che lo accompagnava nel buio, di estendersi perché era l'unico modo in cui potesse cliccare il tasto. Si sollevò a fatica sulle sue gambe, spingendo con le piante dei piedi contro il tappeto, le mani al muro usate per tenersi in equilibrio. Scoprì che era molto più facile del previsto, ma anche all'impiedi non era comunque abbastanza alto per raggiungere l'interruttore.

Amareggiato si allontanò senza rendersi conto che non si era rimesso a gattonare, ma che stava bensì camminando e senza grosse difficoltà.

Solo quando venne Diana, che in brodo di giuggiole si congratulò, si rese conto che ciò che aveva fatto era speciale, non comune tanto per cambiare. Aveva meno di sei mesi.

Doveva ammetterlo, persino la sua memoria, che sembrava avere un archivio per ogni argomento, presentava dei buchi di trama nella sua vita. Non ricordava il giorno della sua nascita e salvo alcuni avvenimenti molto impressi ricordava il suo primo e il suo secondo anno di vita a malapena.

Il periodo che andava invece da metà del suo secondo anno di vita fino a che non aveva compiuto tre anni invece lo ricordava davvero perfettamente, avrebbe potuto scrivere un libro in materia forse perché in qualche modo era stato il momento più bello.

Ricordava con chiarezza ampie sale eleganti, uno stuolo di persone giunte solo per lui, per conoscerlo, il tappeto rosso che aveva percorso prima di arrivare a sedersi su quello che era un enorme trono. La corona in testa gli fu apposta da suo padre e i presenti esultarono, uno a uno si alzarono e gli resero omaggio. Era il suo secondo compleanno e ricevette così tanti giochi da non sapere dove metterli.

Il punto non erano i giochi, lo sfarzo, la fama, ma era il modo in cui quegli uomini e quelle donne lo guardavano, con rispetto, con quello che Hayato aveva scambiato per affetto, con dolcezza. Pensare di essere amato da così tante persone che giuravano di dare la vita pur di proteggerlo lo faceva sentire davvero bene e fortunato.

A quell'età aveva già imparato a leggere, lo aveva fatto con i libri per bambini che gli leggeva Teresa e presto aveva deciso di inventare le sue storie. In quegli anni ricordava che i ruoli si erano invertiti, le sue balie ascoltavano quelle storie fino ad addormentarsi e Hayato rimaneva sveglio a guardare le stelle dalla piccola finestra sul soffitto della sua camera.

Questo non era niente perché anche se era molto piccolo era già stato autorizzato a uscire e continuamente si faceva accompagnare dagli uomini di suo padre nei negozi di giocattoli. Non faceva in tempo a dire di volere una cosa che immediatamente tutti si mettevano al suo servizio e gliene portavano almeno dieci tipologie differenti.

"Va bene così, signorino Hayato?"

"Preferite diversamente?"

"Potrete mai perdonarmi per il mio errore?"

Tra le mura di villa Bianchi Hayato si sentiva davvero il re del mondo.

I suoi giochi preferiti erano quelli che gli permettevano di viaggiare con la fantasia, le macchinine, i dinosauri, ma soprattutto le bambole di Bianca.

Le aveva scoperte un giorno sgattaiolando fuori dalla sua stanza per raggiungere quella della sorella, l'aveva trovata impegnata in un'importante conversazione tra se stessa mentre tra le mani aveva una Barbie e un Ken i quali si giuravano amore eterno.

"Posso giocare con te?" ricordava di aver domandato.

Gli occhi di Bianca si erano illuminati e la bimba aveva sorriso intensamente.

"Hayato!" aveva detto con entusiasmo coinvolgendolo in un abbraccio spaccaossa.

"Certo che puoi giocare con me. Chi vuoi essere?" aveva domandato prendendo una ventina di bambole da un baule dopo aver sciolto l'abbraccio.

Hayato si era un po' sistemato la spalla sinistra che quasi non sentiva più e dopo aver realizzato che era ancora tutto intero rispose.

"Che differenza c'è?" disse.

Bianca sorrise, prese l'unica Barbie con i capelli castani e gliela diede.

"Ognuno ha una personalità diversa, lei è Tamara, è innamorata del principe che però ha una relazione con Sara, il mio personaggio. Dobbiamo vestirle per il ballo così Tamara avrà una possibilità di fare colpo sul principe Alfonso se sarà abbastanza bella."

Hayato ascoltò attentamente quella spiegazione poi si mise seduto accanto alla sorella e iniziò a frugare tra i mille vestiti che erano sparsi un po' ovunque. Erano abiti di sartoria in formato mignon, completi di ogni singolo dettaglio, scelse dopo una lunga riflessione un tessuto rosso sovrastato da una parte argento velata e brillantinata, la gonna ampia e le maniche a sbuffo.

"Sara ha le ore contate, il principe è mio!" disse entrando nel personaggio.

Ricordava spesso di lui e sua sorella maggiore nella camera di Bianca a inventare storie che ben presto avevano preso tutte la stessa trama. Amore, tradimenti, lotte all'ultimo sangue per aggiudicarsi un uomo, si era un po' stancato di tutto questo.

"Ma davvero a te piacerebbe fare questo? Farti bella solo nella speranza che un uomo ricco ti sposi?" chiese.

Bianca abbracciò il vestito che teneva tra le mani sognante e annuì.

"È questo il mio destino e lui sarà bellissimo e mi amerà, non ci sarà donna che potrà portarmelo via, nessuna potrà competere con me oppure lo ucciderò."

Hayato ricordava di avere riso davanti a quelle parole, ma al contempo sentiva un crescente senso di disagio. Era davvero questa l'aspirazione di sua sorella?

"E io dovrei fare lo stesso?" chiese.

"Ma no, sciocchino. Tu sei maschio e erediterai la famiglia. Sei tu il principe in questa storia. Sposerai la tua bella principessa e avrai tanti bei bambini con lei e questi bambini poi erediteranno a loro volta la famiglia."

Hayato guardò verso il basso e poi attorno a sé confuso.

"Ma è obbligatorio?" chiese spaventato.

"Non lo so, penso di sì" rispose Bianca.

"E se invece facessi qualcosa di diverso? Non so tipo viaggiare per il mondo e leggere tanti libri, scoprire se esistono davvero i mostri e documentarli?"

Bianca rise, gli accarezzò delicatamente il viso.

"Hai così tanta fantasia, Hayato."

Da quella conversazione le loro storie si erano ampliate, Sara non era più solo una principessa, ma era anche un'assassina e suo malgrado aveva ucciso Tamara avvelenandola accidentalmente. Hayato aveva vaga coscienza del fatto che la sua famiglia fosse esperta in veleni, ma non la trovava una cosa strana. C'erano esperti di tutto al mondo, no?

Un'altra cosa che ricordava nitidamente era il modo in cui suo padre gli si rivolgeva, sempre carico di affetto, sempre come se stesse guardando la cosa più importante al mondo.
Lo elogiava continuamente, lo abbracciava e gli chiedeva di passare del tempo insieme, raramente, ma quei momenti erano i preferiti di Hayato.

Sulla piccola poltrona nel suo studio giocava con dei pupazzetti a forma di dinosauro e li faceva combattere tra loro facendo tutti i suoni per rendere la scena più realistica e sentirsici catapultato.

Dalla piccola radio sulla scrivania proveniva una melodia, poche note, ma ben posizionate.

"Padre, che strumento è?" domandò Hayato abbandonando completamente il suo gioco come se fosse stato rapito da quei suoni.

Alfonso si avvicinò a suo figlio si sedette sul pavimento perché fossero alla stessa altezza.

"Questo è un pianoforte, Hayato. Ti piace?" chiese.

Hayato annuì emettendo un verso convinto, poi iniziò a riprodurre la melodia emulando gli stessi suoni. Aveva una voce angelica, così delicata e soave.

"Hayato, ti piacerebbe imparare a suonare?" domandò Alfonso.

Hayato rispose di sì istintivamente, ciò che ne seguì fu l'ingresso di un grande pianoforte a coda di colore nero il quale fu consegnato qualche giorno dopo e Hayato accompagnò il tragitto dall'ingresso principale fino a una sala dedicata.

Si sentiva così piccolo davanti a quell'imponente oggetto, ciò nonostante appena prese posto sullo sgabello quel senso di impotenza si annullò.

Non gli era mai sembrato di essere più in alto, le gambine dondolavano nel vuoto. Le braccia erano talmente corte che le manine a stento toccavano i tasti, la schiena ricurva per poterli almeno raggiungere.

Il piccolo suono che lo strumento fece al contatto gli fece battere il cuore, sentì una potenza immensa che lo pervadeva.

"Ecco cosa voglio fare, voglio suonare, non sposarmi e avere dei figli" sussurrò a se stesso, attorno a lui c'erano molte persone, ma gli sembrava che esistessero solo lui e il suo strumento.

Si perse completamente in uno spazio dove c'era posto solo per la sua creatività e per quel rapporto così speciale, lo fece al punto tale che quando riaprì gli occhi non c'era più nessuno vicino a lui. Non era una solitudine sofferta era pace interiore.

Saltò giù dallo sgabello con il sorriso sulle labbra e fiero andò a comunicare la decisione che aveva preso a suo padre.

"Ti servirà qualcuno che te lo insegni allora" disse Alfonso accogliendo la notizia.

Uno dei ricordi più vividi però erano gli occhi chiari di una signora, dolci come quelli di Diana, ma più accoglienti degli stessi.

Quelli erano sempre presenti, a ogni età, ne aveva memoria costante come se quella signora fosse sempre stata un membro integrante nella sua vita.

Non era una serva, doveva essere un'amica di famiglia o qualcosa del genere. Suo padre la vedeva raramente, ma quando la invitava nel suo ufficio si abbracciavano e non solo. Hayato li ricordava ridere, scherzare, farsi coccole tenere.

Era stata solo questo fino a quel momento, una persona gentile che di tanto in tanto veniva a fare visita, invece un giorno divenne la sua insegnante di piano.

Lo prese alla sprovvista mentre stava provando un pezzo, aveva trovato dei vecchi spartiti nella sala della musica.

"Questo è un fa diesis" disse facendolo sussultare, prese la sua manina nella propria e la posizionò sul terzo tasto nero.

Hayato sussultò, nessuno era autorizzato a entrare quando stava provando nella sala della musica a porte chiuse.

"Mh?" domandò, si voltò verso la voce gentile che gli aveva parlato e riconobbe l'amica di famiglia, le rivolse uno sguardo interrogativo.

"Ti piace il piano?" gli domandò questa.

"Lo amo!" ribatté Hayato senza nemmeno fermarsi a pensare.

La donna mise la sua manina tra le sue belle mani curate e accarezzò il dorso.

"Capisco. Hai delle mani delicate. Queste sono mani meravigliose per suonare il piano."

Hayato ancora teneva le dita dell'altra mano sui tasti quando si ritrovò ad annuire, i suoi occhi rilucerono.

L'affetto, la tenerezza che esprimevano gli occhi della donna non l'aveva mai riscontrata in nessuno, nessuno gli aveva mai saputo trasmettere amore così bene.

"Continua a suonare il piano, continua a esercitarti..." mormorò la giovane.

Sorrise e Hayato si specchiò nel suo volto rispondendo allo stesso modo. Il calore che si propagava da quel contatto lo stava facendo sentire più al sicuro di quanto non avesse fatto una squadra per la sua protezione.

Ci fu una pausa di silenzio, Hayato non smise di sorridere spensierato e pieno di quel sentimento nuovo e tanto prezioso, poi la giovane parlò nuovamente.

"Non dimenticare mai quanto sia buono il tuo cuore" disse enigmaticamente.

Hayato giurò di non farlo e la giovane prese posto al suo fianco sullo sgabello. Guidò le sue dita sui tasti, lasciò che le proprie mani danzassero, in breve tempo prese vita una sinfonia di suoni creati da un unico strumento che però dava l'impressione di ascoltare un'orchestra.

"Pazzesco, sorellona!" esclamò Hayato quando questa sfiorò l'ultima nota, batté le mani emozionato, il battito cardiaco era leggermente accelerato.

"Insegnami, voglio diventare anche io bravo quanto te" disse con entusiasmo propositivo.

"Chiedi al tuo papà se per lui va bene e diventerai molto più bravo di me, Hayato."

Come un qualunque bambino viziato e capriccioso che si rispetti Hayato iniziò a ripetere continuamente a suo padre di autorizzare quella donna a divenire ufficialmente la sua insegnante di piano. Non ci furono santi, neanche supplicandolo in ginocchio riuscì a smuoverlo.

"Possiamo permetterci musicisti acclamati" aveva detto più volte suo padre.

"Ma io voglio lei, voglio solo lei. Non me ne frega un cazzo nemmeno di Mozart in persona. Voglio che la tua amica sia la mia insegnante."

Il cinque che gli si stampò in faccia non lo poteva dimenticare, si massaggiò una guancia lasciando andare qualche lacrima silenziosa.

"Hayato, linguaggio. Chi te le insegna queste parole, eh? È forse così che ti parla Diana? Ricordati mocciosetto, che finché sei sotto questo tetto comando io e la mia risposta è no, Lavinia non può essere la tua insegnante e ti pregherei di non parlarne a nessuno. Discussione chiusa."

Hayato era scosso, ma trovò ugualmente il modo di ribattere.

"L'unico a essere volgare qui in mezzo siete proprio voi, padre" disse girando i tacchi prima di correre nella propria stanza a piangere premendo il viso contro il cuscino perché stava singhiozzando davvero tanto e non voleva che lo sentissero.

Lavinia, sì, aveva un nome quella donna, ma gli era stato proibito di usarlo, lei stessa non aveva mai chiesto di essere chiamata diversamente dal modo in cui Hayato l'aveva affettuosamente soprannominata.

Dopo quel momento ci furono più e più volte durante le quali Hayato suonò in compagnia di Lavinia, qualche volta si univa anche suo padre ed era così tenero da ricordare a stento la figura autoritaria con cui si interfacciava di solito.

Nonostante il grande Ennio Morricone in persona fosse venuto alla sua villa per insegnargli a suonare Hayato vedeva solo Lavinia come sua insegnante e solo in sua presenza dava il meglio di sé.

"Non puoi venire più spesso? A breve sarà il mio compleanno e sì, ci sono tutti i membri della famiglia che mi festeggiano, ma senza te non sarebbe lo stesso" disse vedendo la giovane allontanarsi dopo aver passato l'intera giornata insieme.

"Purtroppo non posso, Hayato non mi è permesso" rispose Lavinia.

"Perché no? È il volere di mio padre? Non è un bravo amico, gli amici non proibiscono di partecipare al compleanno dei figli...credo..." disse consapevole del fatto che per affermare quanto aveva detto si stava rifacendo a delle fiabe lette su libricini illustrati con personaggi dalle fattezze animali umanizzati.

"È complicato, piccolo, ma ti prometto che finché avrò vita verrò a trovarti ogni qualvolta mi sarà possibile."

Hayato sorrise si avvicinò alla donna, la quale si chinò per guardarlo negli occhi e stare alla stessa altezza.

"Lo prometti?" mormorò.

Lavinia prese il mignolino di Hayato, lo strinse con il proprio.

"Giuro che se menti ti farò ingoiare mille aghi e ti spezzerò il dito" disse in una lingua dai suoni sconosciuti al piccolo Hayato.

"Eeeh?!" infatti chiese questo confuso.

"Lo giuro solennemente, è questo che ho detto" spiegò Lavinia.

Hayato la accompagnò alla porta e sorrise profondamente.
Non sapeva bene cosa fosse un amico, ma credeva che fosse qualcosa di molto simile a ciò che sentiva per Lavinia.

Contro ogni pronostico il 9 settembre del 1996 dopo una festa incredibile in cui Hayato aveva solo finto di essere felice suo padre lo aveva richiamato nella stanza della musica e accovacciandosi davanti a lui gli aveva preso entrambe le manine.

"Ho una sorpresa per te, ometto" gli aveva detto.

"Tra cinque giorni Lavinia verrà a farti visita. Potrete stare insieme tutto il giorno. Ora me lo fai un sorriso?"

Raramente era successo così raramente da poter contare sulle dita di una sola mano, ma in quel momento Hayato aveva abbracciato forte suo padre urlando "sei il migliore!".

In quel momento realizzò davvero che le cose materiali potevano letteralmente essere eclissate dal potere dei sentimenti. La macchinina figa, tutti gli audiolibri del mondo, ogni singolo giocattolo ricevuto non valeva un solo sorriso di Lavinia.

Nacque in Hayato la convinzione che Lavinia sarebbe venuta a trovarlo più spesso e gli avrebbe sorriso ancora se si fosse dedicato anima e corpo al pianoforte. Credeva che suo padre non gli permettesse di vederla più spesso perché Hayato poteva sentirsi in difficoltà davanti al suo talento e pensava che raggiungendo un livello simile suo padre le avrebbe consentito di rimanere magari anche a cena o perché no anche a dormire.

"Che stai facendo?"

Era il tanto atteso 14 settembre del '96 quando Bianca entrò nella sala della musica, la porta era rimasta aperta e la musica si sentiva anche nel corridoio.

"Sto suonando, voglio farlo per lei. Oggi mi viene a trovare!" rispose Hayato.

"Mentre l'aspetti posso rimanere qui ad ascoltarti?" domandò Bianca.

"No, sorella. È una melodia che ho composto per lei e voglio sia la prima ad ascoltarla. Magari in serata giochiamo insieme con le bambole, che ne pensi? Tanto Lavinia non resta mai la sera."

Bianca annuì, uscì dalla stanza dopo essersi scusata con un inchino. Hayato la rincorse, il suo viso allegro si era trasformato in puro terrore dopo aver realizzato che aveva pronunciato quel nome innominabile.

"Bianca! Lavinia è solo un'amica di papà però io non posso chiamarla per nome, papà mi ammazza se lo scopre. Puoi fare finta che non ti abbia detto niente?"

Bianca sorrise, assunse un'espressione furba e lo infastidì con premendo ripetutamente su un braccino col proprio indice.

"Va bene, ma stasera sarà Sara a sposare Alfonso."

Hayato congiunse le mani, tirò un sospiro di sollievo.

"Grazie" esalò riprendendo a respirare normalmente.

Tornato nella sala della musica riprese a praticare e attese con ansia l'arrivo di Lavinia.
La sala divenne rossa all'improvviso, il sole tramontando era filtrato con la sua luce attraverso le ampie finestre e aveva tinto le mura.

"È in ritardo" disse Hayato tra sé e sé, le dita gli facevano male per quanto aveva suonato.

Un brivido inteso lo attraversò da parte a parte quando gli sembrò che il cielo fosse fatto di sangue.

"Ormai è sera, non verrà più..."
   
 
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