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Autore: Gatto1967    16/04/2021    2 recensioni
Oggi vi presento una nuova fan fiction scritta in collaborazione con Tamerice
Nella storia originale, nulla o ben poco viene narrato del periodo che Albert trascorre in Africa, è una storia tutta da scoprire e da raccontare, e abbiamo provato a riempire quei giorni, a modo nostro e in base alla rispettiva fantasia, alternandoci nel percorso di scrittura.
L'amico misterioso (Storie dall'Africa) non è la solita fan fiction con protagonisti Candy e Terence, per cui non aspettatevi di trovarli tra queste pagine, questa è principalmente una storia di amicizia e di gratitudine, ma se vi piacciono le storie con un pizzico di romanticismo, un po' di avventura e di azione, e magari anche qualche losco intrigo, allora seguiteci, poiché capitolo dopo capitolo, vi porteremo a fare un emozionante viaggio nell'Africa coloniale, sotto il sole cocente nella piana di Giza tra le piramidi, nella sconfinata savana tra leoni ed elefanti, in giro per il Cairo, e naturalmente a contatto con la popolazione locale immersa nelle piccole e grandi difficoltà di ogni giorno.
Buona lettura da Gatto1967 e Tamerice
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: William Albert Andrew
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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John Smith si crogiolava inutilmente su una sedia a dondolo sotto la veranda della sua casa. Ormai da diversi giorni non seguiva più gli affari della sua fattoria, e i suoi lavoranti e servitori egiziani non si davano certo pena per lui.
Non aveva mai trattato bene chi lavorava per lui, soprattutto gli africani, e adesso loro se ne fregavano di lui e della sua proprietà: che andasse pure tutto alla malora!
Molti se ne erano già andati, e altri avrebbero mollato tutto di lì a poco, cercando miglior fortuna da qualche altra parte.
Cercò l’ennesimo sorso di whisky scozzese nella bottiglia ormai vuota che teneva stancamente in mano, e constatato che la bottiglia non conteneva più nemmeno un goccio del suo costosissimo veleno che ormai circolava tutto nelle sue vene, la scagliò rabbiosamente lontano da sé, mandandola a infrangersi sul corrimano della scala che scendeva dalla veranda fino al terreno.
In casa teneva altre bottiglie del suo liquore preferito, ma non ce la faceva nemmeno ad alzarsi. In realtà non aveva nemmeno voglia di bere, quel whisky ormai lo disgustava. Il suo unico pensiero era stordirsi, dimenticare, annullarsi, ma più sprofondava nell’alcool, più i ricordi sembravano imprimersi a fuoco nella sua anima, o in quello che ne rimaneva.
John in gioventù era stato un ragazzo turbolento e irrequieto, al punto di essere costretto a lasciare la sua Inghilterra per alcuni guai con la giustizia. In Africa aveva conosciuto Jane Brown, figlia di un possidente e l’aveva sposata.
Il matrimonio aveva smussato il suo carattere spigoloso, e lui sembrò persino diventare gentile e comprensivo, ma poi quando sua moglie morì dando alla luce la piccola Elisabeth, tutto era cambiato. John tornò ad essere un uomo rissoso e collerico che trattava malissimo le persone, soprattutto gli africani.
Solo con Elisabeth ritrovava, almeno in parte, quel lato umano che Jane era stata capace di tirargli fuori, ma per tutti, inglesi e africani, John Smith divenne un uomo da evitare come la peste.
Era anche entrato in affari sporchi, contrabbando, illeciti fiscali e amministrativi, traffico di schiavi, quasi a voler tirare fuori il peggio che potesse.

-Elisabeth…- mormorò con un filo di voce
-Elisabeth…-
E nella sua mente rivide quel che era veramente accaduto qualche tempo prima…

La piccola Elisabeth era divorata dalla febbre già da qualche giorno, ma adesso era cresciuta a dismisura.
John si era recato all’ambulatorio del dottor Stevenson pretendendo subito una visita a domicilio, ma il dottor Stevenson aveva altri pazienti da visitare, e seppure lo stesso dottore avesse assicurato che si sarebbe recato quanto prima alla fattoria, era scoppiata una rissa con Amir e Stevenson. Odiava quel posto, odiava chi vi lavorava e chi vi si rivolgeva. Il fatto che bianchi e africani fossero trattati alla pari lo irritava e aveva deciso di curare lui sua figlia piuttosto che portarla in quell’ambulatorio.
Poi Stevenson si era presentato alla fattoria, e non aveva certo fatto segreto della gravità delle condizioni di Elisabeth. Se solo quell'idiota di Smith l'avesse portata subito alla condotta invece di pretendere stupidi trattamenti preferenziali!
Una notte John si decise a imbacuccarla in una coperta e a portarla all’ambulatorio in piena notte, mentre i suoi servitori dormivano tutti.
Ma prima ancora di caricarla sul carro, la piccola aveva smesso di respirare.
Lui l’aveva chiamata a gran voce, più e più volte, ma ormai era tutto inutile.

-Elisabeth…- continuava a farfugliare l’uomo.
Qualcuno gli si avvicinò senza che lui nemmeno se ne accorgesse tanto era ubriaco.
-Dov’è Elisabeth?- gli chiese questo qualcuno.
-Elisabeth… ha la febbre…-
Albert sobbalzò: nei vaneggiamenti dell’ubriaco davanti a lui si nascondevano la verità su quella bambina e la salvezza di Amir.
-Elisabeth ha la febbre John?-
Albert scandiva lentamente le parole cercando di mantenere la calma.
-Sì… ha la febbre…-
-Portiamola… all’ambulatorio…-
Albert cercava le parole giuste per non urtare la sensibilità di quell’uomo e cercare di capire cosa era veramente successo, anche se cominciava a intuirlo.
-No… l’ambulatorio no…-
-Perché no John? Il dottor Stevenson la curerà.-
-Sì… certo… la febbre si è alzata…-
Albert cominciò a piangere, ormai aveva capito tutto.
-Elisabeth… non mi lasciare Elisabeth…-
John ripeteva le stesse parole che aveva gridato quella stessa orribile notte.
-Dov’è Elisabeth John? Dov’è?-
-La veranda… la seppellirò sotto la veranda… non dirò a nessuno com’è morta… accuserò quell’egiziano… Amir…-
Senza perdere altro tempo Albert scese le scale e guardò sotto la veranda. La terra era smossa rispetto a quella circostante, come se qualcuno avesse scavato una buca.

Dopo una mezz’ora Albert aveva già scavato per mezzo metro in profondità, e la vanga prelevata dal magazzino di Smith toccò qualcosa, un corpo solido. Era il corpo della piccola Elisabeth, avvolto in una coperta di lana.

Poche ore dopo Smith veniva portato via da alcuni poliziotti, e la povera piccola Elisabeth veniva riconosciuta dai servitori della casa. Quella notte alcuni di loro si erano svegliati alle grida di Smith, ma l’uomo li aveva respinti in malo modo facendoli rientrare in casa.
Testimoniarono che la piccola aveva avuto la febbre già da qualche giorno prima della sua scomparsa, circostanza che Smith li aveva obbligati a tacere.
Anche la morte della sua bambina fu solo un’occasione di sfogare il suo odio contro tutto e tutti.

Qualche giorno dopo Albert e Mary prelevarono Zaira dalla casa di suore in cui abitava insieme ad altri orfani, e la portarono ad una Stazione di Polizia. Lì le venne chiesto se riconoscesse un uomo, e lei non ebbe dubbi: quell’uomo, il signor John Smith, era in combutta coi trafficanti di schiavi che l’avevano condotta fino a lì, così lontano dal suo paese.



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