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Autore: Striginae    16/04/2021    3 recensioni
[Het!FrUK: UK/Fem!Francia - AU!Human - AU!Belle Époque]
Al mondo esistevano due specie di uomini.
Alla prima tipologia appartenevano coloro che, non per particolari futuri meriti, erano nati sotto una buona stella, uomini favoriti dalla dea bendata e capaci di uscire vincenti da qualsiasi situazione, perfino la più avversa grazie alla sfacciata fortuna che mai li abbandonava.
La seconda categoria, al contrario, molto più ampia rispetto alla prima, comprendeva quegli infelici, iellati, che a dispetto di tutti i sacrifici e sforzi compiuti seguitavano ad essere baciati dalla cattiva sorte, loro unica fedele compagna di vita.
Forse per questioni di probabilità, forse per capriccio del destino, Arthur Kirkland faceva parte di quest’ultima fascia, di cui ormai poteva considerarsi socio onorario.

[Deathfic]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Bad Friends Trio, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nyotalia
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
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Atto II 


Ogni mattina, al Moulin Rouge, vi era un gran andirivieni.
Persa la scabrosa magia di cui si animava la notte, il cabaret non era molto diverso da un qualsiasi altro teatro. Svuotato dai peculiari habitués amanti di quel genere di intrattenimento rimanevano gli attori a riunirsi in piccoli gruppi per imparare i nuovi testi, l’orchestra a provare le proprie parti mentre il palco era occupato dalle ballerine di can-can che instancabili rappresentavano l’attrazione principale.

Le agili danzatrici volteggiavano sulla scena coordinate dalla maestra di danza, la prussiana Julchen, che con occhio critico le scrutava. Nella loro grazia, le ragazze erano impeccabili.
Come fossero un’unica entità tutte eseguivano gli stessi movimenti, mai un passo sbagliato né un ritardo.

Solo una di loro sembrava arrancare un po’ e faticare a seguire quella perfetta armonia.
All’ulteriore salto mancato, la ballerina si fermò e si mise discretamente da parte, portandosi una mano in petto per provare a controllare il fiatone che non le permetteva più di andare avanti.


«Qualcosa non va, Marianne?»
Chiese preoccupata Carmen, un’altra ballerina, incrociando lo sguardo con Julchen che confusa le osservava. Facendole cenno di non saperne molto di più, Carmen si accostò poi alla francese e le spostò una ciocca bionda dal viso, per poterla guardare negli occhi.

Marianne, un po’ ansante, le fece cenno di diniego.

«Non impensierirti per me, sto bene.»
Le rispose la francese mentre cercava di riprendere fiato.

«Ne sei certa?»

«Ho solo bisogno di sedermi un attimo.»
Ammise alla fine Marianne e Carmen annuì, offrendole un sostegno mentre la accompagnava dietro le quinte del teatro.

I loro passi rimbombarono sul pavimento in legno. Una volta nel corridoio, Marianne si accomodò dignitosamente su uno gabellino tondo dall’imbottitura rossa ormai scolorita.

«Non dovresti affaticarti così tanto, cariña
La riprese affettuosamente Carmen con un buffetto affettuoso sulla guancia. Marianne alzò gli occhi blu sull’amica, ostentando un sorrisetto fiducioso.

«Non sono affatto stanca. Mi gira solo un po’ la testa... mi succede sempre durante il cambio di stagione.»
Si giustificò Marianne, da sempre sensibile agli sbalzi repentini di temperatura e ai pollini nell’aria.

Carmen la esaminò con apprensione, non molto convinta della spiegazione fornitale.

«Ne sei sicura? Sai, mi sono accorta che da settimane ti sei eserciti molto più duramente del tuo solito... non vorrei che ti fossi affaticata troppo.»

Considerò Carmen che si inginocchiò all’altezza dello sgabello per poter osservare negli occhi l’amica.

Marianne volse lo sguardo altrove.

«Non posso negare che ciò che dici corrisponde al vero. Avevo soltanto intenzione di perfezionare qualche passo.»

L’altra ballerina continuò a studiarla.
Carmen, spagnola, non era mai stata una donna troppo sveglia ma, quando si trattava delle sue amiche, sapeva diventare incredibilmente perspicace.

«Non hai sempre sostenuto tu stessa di essere tra le più brave fra noi, sentendoti addirittura autorizzata a saltare le prove?»

«Potrei aver cambiato idea e aver sentito la necessità di impegnarmi un po’ di più!»

«Impegnarsi va bene, ma bisogna concedersi un po’ di riposo di tanto in tanto. Inoltre, tu sei così brava! Lo dice anche Julchen e sai quanto sia stretta di complimenti... a meno che non si tratti di lei. Sei la nostra celebrità qui, riusciresti a far innamorare chiunque con i tuoi passi e...»

Marianne tossicchiò agitata e Carmen si interruppe. Un pensiero improvviso le traversò la mente e in un attimo tutto le fu più chiaro.

«Oh, Marianne! Non sarà per l’inglese di cui mi parlasti? Il giovane che incontrammo al Jardin quasi un mese fa e a cui proponesti di assistere alla nostra esibizione?»

Disse in soffio la spagnola, un sorriso di realizzazione ad illuminarle il viso.

«Carmen!»

Proruppe Marianne, soffocando una risatina colpevole con il dorso della mano.

«Che vai a pensare! Non capisco cosa possa avere a che fare mister Kirkland con le scelte da me compiute.»

Si ridiede un contegno la francesina le cui guance ora rosate di vergogna spiccavano sul viso delicato, pallido fino a pochi momenti prima.

«Dunque è così... oh Marianne, confidati con me! Hai la mia parola, non dirò nulla ad anima viva!»

Dichiarò Carmen concitatamente intanto che prendeva le mani dell’amica nelle sue, per invogliare Marianne a dirle di più.

Marianne tentennò. Conosceva Carmen da svariati anni e il loro legame era equiparabile a quello di due sorelle. Non vi erano dubbi che di lei potesse fidarsi, inoltre... era desiderosa di aprire il suo animo appassionato ad un’amica.

Marianne abbassò la voce, stringendo a propria volte le mani dell’amica.
Le rivolse un sorrisino complice.

«Carmen, ti conosco da molto tempo e so che di te posso fidarmi come di una sorella, perciò ti dirò tutto.»

Carmen, che già pendeva dalle sue labbra, le fece cenno con il capo di narrarle quell’avvincente racconto.
Marianne riprese.

«Ho sperato così ardentemente che si presentasse allo spettacolo dopo il mio invito! Riconosco di essere stata molto sfacciata quella volta ma mi conosci, sai che mi piace stuzzicare, è un mio vizio innocente.»

Il suo non era altro che un gioco, che non celava alcuna malvagità.
Le piaceva importunare gli uomini con le sue domande impertinenti e le sue affermazioni insolenti. Sapeva come tener loro testa.
Era una piccola velleità e, di tanto in tanto, Marianne si divertiva a metterli in difficoltà. Con sua grande sorpresa, con il passare degli anni e accumulando esperienza aveva scoperto che a volte bastava la sua presenza per metterli in imbarazzo.

«A seguito di tutte le dure parole che gli avevo rivolto non potevo permettermi di sfigurare, ho dovuto aumentare le ore di danza per prepararmi al meglio! Sai, ho temuto sul serio che non si presentasse... sarebbe stato un vero peccato, tanta fatica per nulla. Tuttavia, i miei sforzi sono stati ripagati.»

Trionfò la francese al ricordo di Arthur che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.

«Dopo lo spettacolo ci siamo incontrati qui a teatro e abbiamo passeggiato un po’ per Montmartre. E avresti dovuto vedere il suo turbamento, Carmen! All’inizio non riusciva a guardarmi senza arrossire, era così in imbarazzo ed impacciato in ogni sua azione. Nondimeno, si è dimostrato molto cortese nei miei confronti e abbiamo avuto una piacevole conversazione. Infine mi ha scortata fino a casa e, oh, si è scusato così tante volte lungo il tragitto, sperava che non reputassi il suo comportamento sconveniente.»

Il pensiero di Marianne volò a quella notte, quando Arthur aveva insistito a lungo per non farla avventurare da sola in piena notte per le rischiose strade di Parigi. Marianne sorrise al ricordo, era stato un gesto davvero galante da parte dell’inglese e lei non aveva provato alcun tipo di disagio in sua compagnia.

«Spero così tanto di rivederlo...»

Confessò infine la francese, in un sussurro.
A seguito di quell’ultimo incontro non aveva avuto più modo di incontrare il londinese. Erano già trascorse due settimane e Marianne non poteva celare di essere moderatamente offesa per quella mancanza di interesse di Arthur nei suoi confronti.

Marianne percepì Carmen stringere un po’ più forte la sua mano, in segno d’affetto. La spagnola le sorrise e lei ricambiò.

«Sono certa che avrai presto la possibilità di vederlo nuovamente, devi solo pazientare. Sono così felice per te, sembra un giovane così dabbene e rispettoso!»

Sospirò Carmen, che da sempre aveva un debole per le storie d’amore.

«Spero che sia come sostieni.»

Disse Marianne in un soffio e la mente altrove.


«Nell’attesa potremmo riunirci alle altre, per quanto Julchen sia nostra amica, a quest’ora si chiederà dove siamo andate a finire. Per di più mi sento molto meglio, parlare con te mi fa sempre bene.»  

Propose infine la francese e si alzò, invitando l’amica ancora piegata sulle ginocchia a fare lo stesso.

«E lo stesso vale per me, querida. Adesso andiamo, ma tu vedi di non strafare... neanche per il tuo caro inglese!»

La ammonì ancora una volta Carmen e Marianne ridacchiò mentre si dirigevano insieme sul palco del teatro per riunirsi nuovamente alle altre ballerine.



 
* * *



Le prove al Moulin Rouge si interruppero per mezzodì, in modo tale da concedere alle danzatrici e agli altri lavoratori del teatro un breve riposo prima di riprendere le loro funzioni un’oretta più tardi, nel primo pomeriggio.


L’emicrania di Marianne non cessò di perseguitarla neanche per un momento. Se ne stava ancora lamentando quando per le quattro uscì dal teatro insieme a Julchen e Carmen. Quest’ultima, di tanto in tanto, scoccava qualche occhiata ansiosa alla francese che faceva finta di non essersene avveduta.
Marianne, sebbene percepisse la sua preoccupazione, non aveva voglia di tornare sull’argomento. Non voleva pesare sulle spalle dell’altra, soprattutto non per un malessere che non poteva essere altro che passeggero.

Nel frattempo, Julchen stava grandiosamente narrando alle altre due di un’accesa discussione avuta con il direttore d’orchestra del cabaret quando Carmen, all’improvviso, troncò il discorso facendolo virare in tutt’altra direzione.

«Oh, guarda che stavo arrivando alla parte migliore, quando lo mandavo a quel..!»

«Dios, Marianne! Guarda laggiù!»
Esclamò incredula, ignorando le proteste di Julchen.

Marianne fece vagare lo sguardo lungo la larga strada costeggiata da chiassose carrozze. Sull’altro lato della via, sul marciapiede di fronte il loro, vi era la familiare silhouette di Artuhr che, Marianne poteva vederlo chiaramente pure a quella distanza, con nervosismo spostava il peso da un piede all’altro.

«Dev’essere qui per incontrare te!»
Affermò Carmen con enfasi, emozionata come se quell’elettrizzante avvenimento stesse accadendo a lei.

«Dico a voi! Si può sapere cosa mi state nascondendo?»
Si intromise Julchen, la cui più grave sofferenza era per lei essere messa in disparte.

«Dopo ti spiegherò tutto.»

Le assicurò Marianne che poi si voltò con sgomento verso la spagnola.
Il mal di testa che poco prima la tormentava era ormai decaduto in secondo piano.

«Non mi aspettavo di trovarlo qui! Oh Cielo, come sto, ho i capelli in disordine? Qualcosa fuori posto? Se l’avessi saputo mi sarei vestita meglio di così!»
Esclamò la francese che in fretta si volse verso una vetrina di un negozietto, per osservare il suo riflesso e verificare che avesse tutto in ordine.

Julchen brontolò qualcosa e Carmen accanto a lei annuì, Marianne riuscì a scorgerlo attraverso il vetro in cui si stava ancora specchiando.

«Sei perfetta. Adesso vai, noi ci vediamo più tardi!»




«Mister Kirkland, che sorpresa! Siete qui per assicurarvi un tavolo per lo spettacolo di questa sera?»
Salutò Marianne, esibendo un sorriso sottile.

Arthur trasalì. Goffamente si sollevò il cappello, bofonchiando a propria volta un saluto.

«Non avrei mai immaginato di vedervi... vi siete forse perduto? O forse avete impiegato due settimane per ricordarvi come giungere qui?»
Si informò la francese e Arthur assottigliò lo sguardo. Marianne invece lo guardò quasi con superbia. Solo perché voleva vederlo, non significava che non gli portasse rancore per non aver più ricevuto sue notizie per due lunghe settimane.

Arthur si morse la lingua per non rispondere a tono, decisione che gli costò uno sforzo sovrumano considerando la sua vena polemica.
Tuttavia, non era lì per litigare.

«No, affatto. A dire il vero, sono venuto qui per voi, per...»

Il cuore di Marianne accelerò il battito.

«... per rendervi questo.»
Concluse Arthur, mostrando l’ombrellino che teneva in mano e di cui Marianne non si era minimamente accorta.

Di fatto, aveva del tutto rimosso di aver prestato il proprio ombrello all’inglese. Le sovvenne immediatamente in che occasione fosse avvenuto lo scambio: durante il loro primo incontro ai Giardini del Lussemburgo, quando Arthur aveva rischiato di infradiciarsi da capo a piedi poiché talmente assorto nei suoi pensieri da non rendersi conto delle condizioni meteorologiche avverse.
Nonostante stesse cercando di apparire offesa, a quel ricordo Marianne non riuscì a trattenere una lieve risata che chiaramente non sfuggì ad Arthur.

«Lo trovate divertente?»
Domandò l’inglese, un po’ burbero.

Marianne scosse il capo e mise da parte il risentimento.

«Un pochino. Ma non prendetela nel modo sbagliato, anzi, vi ringrazio per la vostra premura! Stavo solo ricordando il perché ve lo prestai,  non avevo mai visto nessuno non accorgersi di stare sotto la pioggia. È un atteggiamento un po’ particolare, ne converrete.»

Sorprendendo Marianne, questa volta fu Arthur ad allargare un sorrisetto sghembo.

«Be’... sono inglese! Non mi cruccio di certo per qualche goccia d’acqua.»

Marianne ridacchiò e con piacere notò che anche l’inglese sembrava più a suo agio.
La francese si sistemò una ciocca ribelle dietro l’orecchio, poi sollevò lo sguardo sul suo interlocutore.
 
«Ebbene, monsieur Arthur, come posso ripagarvi per la vostra gentilezza? Sono a vostro servizio.»
 

Certe proposte, però, non dovrebbero essere avanzate a cuor leggero e forse Marianne aveva commesso un errore di valutazione giacché le maniere riservate e un po' chiuse di Arthur le avevano dato l’idea di un uomo fin troppo rigido.
 
«Avete ragione, adesso siete in debito con me.»
Commentò Arthur e Marianne si sorprese, non si aspettava affatto che l’inglese volesse qualcosa in cambio da lei.
 
«Ditemi come risarcire il mio debito allora.»
Lo provocò sfarfallando le ciglia.
 
Osservò Arthur estrarre un orologio dalla tasca della giacca, poi le rivolse un sorrisino astuto.
 
«Se ora non avete altri impegni venite a prendere un tè con me, Marianne.»
 
Suo malgrado, le guance della francese si tinsero di una lieve sfumatura rosata.
Fortunatamente, Marianne riprese il controllo di se stessa e finse di valutare la proposta, sebbene non avesse niente altro da fare.
Infine, fece un lieve cenno d’assenso con il capo.
 
«E sia. Prevedibile da parte vostra, siete così inglese!»
 

 
* * *



L’atmosfera nel piccolo café in cui l’aveva invitata Arthur era accogliente.
L’illuminazione calda, il delizioso profumo dei pasticcini che si mescolava all’aroma di caffè e il vivace chiacchiericcio all'interno rendevano la saletta un luogo allegro e conviviale.
 
Marianne prese un piccolo sorso del suo tè bollente. Poggiò poi la tazzina di porcellana riccamente decorata sul piattino. Di solito, la francese prediligeva il caffè ma doveva riconoscere che il rilassante calore del tè era tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento.
 
La francese prese una lunga tirata di fumo attraverso il suo bocchino. Era uno degli oggetti più di moda lì a Parigi, che ogni donna del mondo dello spettacolo doveva avere. E Marianne, amante dei piccoli vizi, non poteva certo farne a meno. Inoltre, contribuiva a renderla più affascinante di quanto non fosse già naturalmente, a suo dire.
Tenendo l’accessorio tra le dita affusolate, gettò una rapida occhiata all'inglese, seduto di fronte a lei. Marianne dovette trattenere uno sbuffo divertito e indiscutibilmente poco elegante quando notò che Arthur teneva il mignolo sollevato mentre sorseggiava il suo tè.

Decisamente inglese.
 
Marianne seguì con lo sguardo i movimenti di lui, che con attenzione aveva appoggiato la tazzina al suo posto e si tamponò gli angoli delle labbra con un tovagliolino.
Avevano parlottato un po’ durante la strada ma da quando avevano portato loro le bevande, Arthur si era chiuso in un singolare mutismo. Sembrava così assorto nei propri pensieri che Marianne fu portata a chiedersi cosa potesse passargli per la testa.
Alla fine Arthur, assumendo l’espressione più snob che gli riuscisse, spezzò il silenzio e rispose involontariamente al quesito mai posto della francese.
 
«Non male. Ma non è niente in confronto al tè inglese che resta senza dubbio il migliore.»
 
Marianne strinse le labbra, raddrizzando la schiena.
 
«Non esiste "il tè inglese", lo importate esattamente come lo si importa in Francia. Magari quello che state bevendo fa parte della stessa partita che è giunta in Inghilterra.»
 
Ribatté lei con aria altezzosa e un filo di soddisfazione per aver tirato fuori un argomento così convincente.
 
«Non potete saperlo!»
Rimbrottò l’inglese, che non si sarebbe dato per vinto così facilmente.
 
«Neppure voi.»
Marianne gli scoccò un’occhiatina trionfante che l’inglese ricambiò con una spazientita.
 
Marianne inspirò ancora dalla sigaretta e accavallò le gambe sotto il tavolino rotondo.  
 
«Piuttosto ditemi un po', come procedono i vostri affari qui?»
Si interessò lei ed Arthur si incupì.
 
«Diciamo che sto cercando un impiego fisso. Fino ad ora ho avuto incarichi saltuari ma vorrei... come dire, trovare qualcosa di più stabile.»
 
Arthur tentennò.
 
«Avevo pensato di offrire lezioni di inglese ma non credo di avere la stoffa del maestro.»
Confessò lui, con un sospiro afflitto.
 
«Effettivamente non avete la pazienza necessaria.»
Convenne Marianne senza peli sulla lingua e a malincuore Arthur si rese conto di non poter obiettare.
 
«Sì be'... troverò qualcosa che mi si confà, presto o tardi.»
 
Marianne gli rivolse un’occhiatina. Vi era una cosa che da un po’ le ronzava per la testa, ma di cui non aveva ancora avuto modo di discutere con lui.

«Vi credevo uno scrittore.»
Gli disse con sincerità la francese che, da quando aveva ficcanasato negli scritti di lui al Jardin, non aveva più toccato la questione.
 
Arthur arrossì appena e spostò lo sguardo, un po’ imbarazzato.
 
«Quello è più un... come posso dire, un mio personale diletto. Voglio dire, mi piacerebbe farne una professione ma non so se mai ci riuscirò. Fino ad ora non ho avuto fortuna e non penso che ne avrò mai. Avete avuto modo di vederlo con i vostri occhi, c’è sempre qualcosa che manca in ciò che scrivo.»
 
Marianne lo ascoltò con interesse.
 
«Apprezzo che abbiate ascoltato le mie critiche, ma non dovreste farvi abbattere così. Vi ho detto che mancava sentimento, non è così? Adesso vi dico che dovreste avere un po’ più stima di voi stesso, dovete credere nei vostri progetti!»
 
Arthur fece un’espressione bizzarra, un misto di cauta gratitudine e penoso cruccio.

Marianne meditò sulla faccenda. Le sarebbe piaciuto aiutare Arthur, se solo ne avesse avuto la possibilità.

Ma in che modo?

La risposta che Marianne cercava non tardò ad arrivare e il suo viso si illuminò.
 
«Conosco la persona giusta per voi! Posso presentarvela, se volete.»
 
Arthur sbarrò gli occhi e schiuse le labbra, quanto mai sorpreso per le parole di Marianne.

«Sarebbe... splendido!»
 
«Tra tre settimane darà una festa, potrei presentarvelo per quell’occasione. Sappiate però che si tratta di un evento privato, vi servirà un invito.»
 
L’inglese si fece attento.

«Come faccio ad ottenerne uno?»

«Dovete essere amico dell’organizzatore della festa...»

A quelle parole, Arthur si rabbuiò.
Erano ben poche le sue amicizie lì a Parigi e comunque non gli avrebbero permesso di entrare in un salotto d’alta classe francese.
 
«Oppure –continuò Marianne– potreste partecipare in veste di accompagnatore. E si dà il caso che io sia tuttora sprovvista di qualcuno con cui andare.»
 
Arthur aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito dopo. Gli servì qualche istante per comprendere appieno le implicazioni di ciò che gli aveva appena detto la francese.
 
L’inglese si schiarì la gola e cercò di sconfiggere l’imbarazzo per ciò che stava per domandare.

«Allora che ne direste se... vi accompagnassi io?»

Marianne sorrise.
 
«Accetterei con molto piacere.»


 
* * *



Durante le settimane successive, Marianne ebbe modo di incontrare frequentemente Arthur.
Per la francese, parlare con lui era un’efficace distrazione che le restituiva il suo solito spirito brioso e frizzante che ultimamente sembrava mancarle.
La donna infatti non riusciva a spiegarsi il motivo della propria spossatezza. Era stata addirittura costretta a diminuire le ore di ballo, come le avevano consigliato Carmen e Julchen. In cuor suo, Marianne sperava che ciò non si ripercuotesse sulla qualità degli spettacoli, non se lo sarebbe mai perdonata. Non aveva alcuna intenzione di mollare, non a causa di un po’ d’allergia.

«Avete in mente qualcosa per una nuova opera?»
Chiese Marianne, scossa da un colpetto di tosse.
«Scusate, è solo un po’ d’allergia primaverile.»
Aggiunse sottovoce.

Arthur la osservò con un accenno di preoccupazione.

«Riguardatevi Marianne, è da settimane che questa tosse vi perseguita.»

Lei gli fece un gesto sbrigativo con la mano, non voleva assolutamente parlare ancora una volta della sua salute.

«Sto bene, ve lo assicuro. Ditemi invece della vostra opera! Quando inizierete a scriverla?»

Arthur si mordicchiò l’interno della guancia, indeciso.

«A dire il vero... ne ho già scritto la prima metà.»
Le disse lui, cercando di mascherare la sua soddisfazione.

Marianne gli lanciò un’occhiatina eloquente.

«E non avete detto niente! Quando me la farete leggere?»

A quelle parole Arthur sembrò avvampare. Spostò lo sguardo alla sua destra, verso la Senna che placidamente scorreva nel suo alveo.

«Non appena sarà finita. In verità volevo mostrarla al vostro conoscente... dato che sembra intendersene. Questa potrebbe essere la mia occasione!»

Esclamò Arthur, su di giri.

«E non volete sentire un parare da parte mia, prima?»
Lo provocò un po’ lei, fingendo offesa.

«Veramente... vorrei chiedervi un’altra cosa.»

Confessò Arthur.

Marianne trattenne il fiato.

«Sarebbe a dire?»

Arthur fece cenno di diniego.

«Ve lo confesserò quando sarà il momento!»

E inutili si rivelarono i tentavi di Marianne di scoprire di cosa si trattasse, fu costretta a cedere.

In vita sua, non aveva mai conosciuto qualcuno più caparbio di quell’inglese.  


 

* * *



Infine, la serata della festa arrivò.
Marianne aveva concordato con Arthur di incontrarsi sul vialetto di fronte casa e da lì salire su una carrozza e raggiungere il salotto in cui si sarebbe tenuto il ricevimento.

Marianne rabbrividì, nonostante fosse stretta nel suo elegante cappotto. Si era posizionata qualche metro più in là dal cancello di casa, sotto la luce di un lampione e da lì scrutava la via in attesa di veder spuntare Arthur, che sarebbe dovuto arrivare da un momento all’altro.
Accennò un sorriso quando dopo pochi minuti riconobbe l’inglese che si avvicinava a lei tutto trafelato.


«Perdonate il ritardo, spero che non steste aspettando da molto.»
Fu la prima cosa che le disse l’inglese quando le fu abbastanza vicino.

«Solo da qualche minuto.»
Lo rassicurò Marianne, che trovava sempre buffo il modo in cui Arthur si preoccupava per ogni più piccolo dettaglio.


«Come siete elegante questa sera.»
Notò la francese, complimentandosi con lui. Con il suo abito da sera nero e i capelli biondi pettinati all’indietro, Arthur dava l’impressione di essere un vero gentiluomo.

L’inglese ne sembrò timidamente lusingato. Orgoglioso com’era, non le avrebbe mai detto che lo smoking che indossava lo aveva noleggiato per l’occasione, non avendo la facoltà di permettersene uno.

«Vi ringrazio. Anche voi siete...»
Arthur esitò, come sempre frenato dal suo carattere introverso. Incrociò lo sguardo gentile di Marianne, ancora in attesa che lui dicesse qualcosa, e le parole questa volta uscirono spontanee.     
«... siete meravigliosa.»

Marianne sorrise, sinceramente felice per l’apprezzamento ricevuto.
Per qualche istante continuarono a guardarsi negli occhi in silenzio, ma fu infine Arthur a spezzare quel momento di quiete.

«Forse è il caso di avviarsi. La... umh, carrozza ci aspetta oltre questa via. E non è il caso di presentarsi in ritardo.»


Il tragitto in carrozza fu abbastanza veloce. Il mezzo li aveva portati quasi al centro di Parigi, nella parte bene della città le cui strade erano popolate da nobili e borghesi arricchiti. Persone di una certa fama e senza difficoltà economiche, che volendo, avrebbero potuto permettersi il lusso di smettere di lavorare e dedicarsi al dolce far niente.

Quando la carrozza arrivò a destinazione, Arthur smontò per primo per aiutare Marianne a scendere.
Si diressero insieme verso uno dei tanti sfarzosi cancelli e Marianne mostrò all’usciere il suo invito, che permise sia a lei che ad Arthur di varcare la soglia ed essere ammessi alla festa.

Marianne, ormai avvezza a questo genere di eventi, non fece caso ai camerieri a cui lasciarono i loro cappotti o allo sfarzo delle decorazioni e agli arredi quasi kitsch. Con sicurezza si aggirava nella sala, affiancata ovviamente da Arthur che, al contrario, sembrava un pesce fuor d’acqua. Sebbene l’inglese si stesse sforzando di apparire a proprio agio era chiaro che non si era mai ritrovato in una situazione del genere.

Marianne fece vagare lo sguardo. A qualche metro da loro avvistò Carmen e Julchen, invitate anche loro, che quando la videro insieme all’inglese non trattennero dei risolini divertiti e delle occhiatine ammiccanti. Marianne le salutò con un gesto della mano e tornò a scandagliare il salone, in cerca del suo obiettivo.
Fortunatamente lo individuò abbastanza in fretta. Fece quindi cenno ad Arthur di seguirla, così da presentargli il padrone di casa.

 
«Herr Edelstein, buonasera!»

«Buona sera a voi, mademoiselle Bonnefoy.»
Le rispose con educazione l’uomo, un giovane dall’aria raffinata e composta.

Marianne lo conosceva bene, da anni lavoravano nello stesso teatro e da altrettanto tempo partecipava alle feste che organizzava l’austriaco. Segretamente, le trovava di una noia spaventosa ma non le avrebbe perse per nessun motivo al mondo, dato che tutta l’alta società parigina si riuniva per quelle occasioni. Marianne non avrebbe mai voluto esserne esclusa, nonostante la piattezza di quegli incontri.   

«Lasciate che vi presenti il mio accompagnatore... Arthur questo è Herr Roderich Edelstain, il nostro insigne e stimato direttore d’orchestra, pianista e sceneggiatore.» 

Disse Marianne, esagerando volutamente con i complimenti. Roderich chinò il capo, mantenendo la sua aria austera.

«Herr Edelstein, questo è mister Kirkland.»

Continuò la francese con le presentazioni e i due uomini si strinsero la mano.

«Sapete, Arthur è un drammaturgo!»

Proclamò Marianne, attirando l’attenzione di Roderich e facendo insuperbire Arthur. Mai nessuno si era rivolto a lui con un tale epiteto, ma l’inglese vi avrebbe volentieri preso l’abitudine.  

«Pensate che ha pure composto un’opera! Certamente apprezzerebbe ricevere un parere professionale da parte vostra! Se magari poteste dedicargli qualche minuto del vostro tempo... sapete, bisogna subito dare un’occasione ai nuovi talenti, altrimenti rischiano di sfuggire tra le mani!»

Continuò imperterrita Marianne, dando fondo a tutte le sue doti di persuasione, senza badare alle parole imbarazzate dell’inglese.

«Potremmo parlarne davanti un bicchiere di champagne, se il signor Kirkland è d’accordo.»
Suggerì Roderich e Arthur non ebbe nulla da obiettare.

«È deciso allora! Grazie ancora Herr Edelstein, vi lascio dunque alla vostra discussione.»

Marianne fece un rapido occhiolino all’inglese, rivolgendogli un sorriso di incoraggiamento. Poi, come promesso, si allontanò per lasciare i due uomini alle loro chiacchiere lavorative.

Nell’attesa, Marianne si accomodò sul comodo sofà ed estrasse la sua sigaretta.
La accese.
Fumare era il suo modo di rilassarsi e chissà, forse la nicotina avrebbe scacciato quel senso di vertigini che ormai costantemente la accompagnava. Era stata ben attenta a non far trapelare nulla della sua pena, non voleva rovinare la serata ad Arthur, che finalmente aveva l’opportunità di realizzare il suo sogno e diventare autore di teatro.
Lo guardò da lontano parlare fitto fitto con Roderich e inspirò dalla sua sigaretta.
Era certa che sarebbe tornato con delle buone notizie.


«È andata bene!»
Annunciò Arthur dopo una mezzoretta abbondante, sedendosi accanto a Marianne.
Lei gli sorrise.

«Ne ero sicura! Ebbene, che vi ha detto?»

«Abbiamo parlato un po’ e sembra che l’idea gli sia piaciuta. Certo, c’è ancora molto da fare, l’arrangiamento musicale, qualche aggiustamento qua e là... ha voluto che gli lasciassi il manoscritto e mi ha dato appuntamento per lunedì prossimo per parlarne meglio.»
Le raccontò l’inglese che a stento riusciva a contenere il suo entusiasmo.

«Sembra un tipo molto serio.»
Considerò ancora e Marianne annuì con fare drammatico.

«È così. Si da tante arie da nobile ma non è altro che un gran pallone gonfiato, in tutta sincerità non l’ho mai sopportato.»

Arthur sbuffò per nascondere una risata.
Si alzò in piedi e, colto da un’improvvisa temerarietà, porse la mano alla francese.

«Propongo di... smetterla di parlare di lui. Mi concedi questo ballo, Marianne?»

Con un sorrisetto Marianne gli strinse la mano.

«Era ora che me lo chiedessi!»


Mano nella mano, i due si avviarono verso la sala da ballo, in cui trovarono Roderich al pianoforte che dava sfoggio delle sue capacità musicali.
Certamente il talento non manacava all'austriaco.

Marianne comunque, non aveva occhi per nessuno se non per Arthur, di fronte a sé. Poggiò la mano libera sulla spalla di Arthur e lui le cinse la vita, iniziando poco dopo a muoversi a ritmo di musica.

«Sai, volevo ringraziarti.»
Mormorò Arthur, mentre Marianne faceva una giravolta.

«Per cosa?»
Gli chiese lei, cercando di scacciare un improvviso capogiro.

«Per tutto, credo. Voglio dire... grazie a te, realizzare il sogno di una vita non sembra più così impossibile.»

Marianne però, non lo ascoltava più.
Si sentì improvvisamente debole, le gambe molli sembravano voler cedere da un momento all’altro. Marianne prese un profondo respiro ma non servì a molto. Ogni suo passo era pesante e quasi inciampò nei suoi stessi piedi.
Fu con malagrazia che si accasciò tra le braccia di Arthur che con forza la sorresse.

«Marianne! Stai bene?»
Chiese lui, stringendola tra le braccia per non farla cadere.

«Ho solo... bisogno di un po’ d’aria fresca.»
Riuscì a biasciare Marianne, a fiato corto.

«Ti accompagno fuori.»



Sul piccolo terrazzo, nessuno dei due proferì una parola. L’unico suono che spezzava il silenzio era la tosse implacabile di Marianne.
Arthur le si avvicinò per controllare come stesse, tuttavia lei fu più svelta e si allontanò.

«Marianne...»

«Sto bene, Arthur. Ho solo stretto troppo il bustino e mi è mancato per un secondo il fiato.»

Arthur scosse il capo ma Marianne, che gli dava le spalle, non se ne accorse.
Fu una sorpresa quindi sentire la giacca calda di Arthur posarsi sulle sue spalle. Si voltò di scatto, incrociando lo sguardo con lui.

«Fa freddo qui fuori.»
Spiegò semplicemente l'inglese.

Lei gli sorrise debolmente.

«Torna dentro, Arthur. Tra poco ti raggiungo.»

Arthur, che aveva capito abbastanza in fretta che Marianne avesse bisogno di spazio annuì e senza aggiungere altro, tornò all’interno della sala.

Solo quando si assicurò che Arthur fosse abbastanza lontano, Marianne abbassò lo sguardo sul candido fazzoletto di seta su cui spiccava una macchia cremisi.

Il suo sangue.



Note finali
Ho aggiornato! Era anche ora, direi. Mi dispiace per averci messo una vita, purtroppo è stato un periodaccio questo. Comunque, bando alle ciance e ciancio alle bande, ecco qui il secondo capitolo! 
Lo so, lo so. Nel capitolo precedente avevo detto che questo sarebbe stato l'ultimo... invece non lo è! Ho deciso di aggiungere un altro capitolo a questa storia, ho avuto come l'impressione che le cose andassero troppo velocemente, perciò ho preferito optare per questa soluzione. Dunque, cosa dire? E' stato divertente scrivere questo capitolo. Ne avevo cominciato la stesura mesi fa, ma il risultato finale non mi convinceva proprio, quindi ho riscritto tutto quanto da capo in meno di una settimana. Un piccolo record personale.
Parliamo un attimo di Arthur e Marianne. Li adoro, semplicemente. Non ho niente altro da dire, li trovo tenerissimi. Domandona: che cosa avrà mai da chiedere Arthur a Marianne? La risposta è abbastanza scontata, però ehi, questa storia non verte certo sui colpi di scena xD 
Comunque, ormai non prometto più un capitolo in tempi brevi, anche perché ho da aggiornare anche l'altra storia quindi mi sa che avrò bisogno di tempo xD 
Ad ogni modo, come sempre ringrazio di cuore chi è arrivato a leggere fino a qui, chi segue questa storia e, se vi va, fatemi sapere che ne pesante (così magari scleriamo insieme)!

Alla prossima! <3 
   
 
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