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Autore: Plume de cristal    17/05/2005    2 recensioni
Callisto, una bambina speciale, solitaria, dalle doti assai particolari. Un giorno succede un tragico incidente che cambierà il suo modo di vivere, catapultandola dalla povertà della sua umile casa nei salotti dell'alta borghesia, tra le braccia di un uomo crudele che l'insegnerà la sottile arte della magia nera. La sua sarà la voce narrante che attraverso tristi vicende ci racconterà i più oscuri e sanguinari segreti dei maghi purosangue. Non è un gioco. Dietro a quel telo di nobiltà c'è un mondo dove topo mangia topo. E potrebbe essere solo l'inizio. Buona lettura.
Genere: Dark, Drammatico, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Draco Malfoy, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Nuovo personaggio, Rodolphus Lestrange, Severus Piton
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Un evento estremamente sfortunato

                       Un evento estremamente sfortunato

 

 

 

C

 

 

 

’era una volta una ragazza che viveva in un piccolo villaggio, il suo nome era Callisto.

Era una ragazzina dall’aspetto strano, pallida ed esile, con lunghi capelli neri che le cadevano simmetricamente su entrambi i lati della testa. Aveva il viso ovale, la fronte alta, ma il mento stretto, le labbra sottili e il naso perfettamente dritto, se non un tantino troppo lungo sulla gobba.

Erano tuttavia gli occhi a dominare i suoi lineamenti, enormi occhi scuri di un viola sconvolgente, attraverso i quali osservava il mondo con un’intensità cupa e inquietante.

Viveva in un villaggio chiamato Gabbiano, nel profondo cuore delle paludi nere.

Un nome alquanto bizzarro, dal momento che nessuno degli abitanti del villaggio aveva mai visto un gabbiano e tanto meno il mare. Sempre che non si considerasse il vecchio Bram, che forse aveva viaggiato per tutto il regno e visto moltissime cose, che uno gli credesse o meno.

Il villaggio era costruito su palafitte. Una moltitudine di piattaforme di legno collegate tra loro si allungavano sopra un lago oscuro e soffocato dalle alghe, ondeggiante tra enormi alberi di sughero e secche erbose che affioravano dall’acqua grigio-marroncina.

 A volte le secche venivano inghiottite dall’acqua, quando questa si alzava fino a raggiungere quasi il livello delle case; a volte invece il lago si abbassava così tanto che era possibile scorgere le sagome scure degli esseri che vi nuotavano in attesa di agguantare sprovveduti.

Qui nelle paludi nere la vita era precaria: l’unico terreno veramente solido era quello che ci costruiva con le proprie mani.

Callisto abitava in una capanna rotonda vicino alla sponda del lago, dove una fitta fila di alberi dalla corteccia cornea correva proprio vicino all’acqua. Divideva la capanna con la zia.

Avevano una piattaforma tutta per loro: attorno al muro della capanna correva una passerella circolare fatta di tavole traballanti e una balaustra di rami storti.

La loro piattaforma era collegata a quella vicina da un ponticello a corde con un buco là dove una delle assicelle era marcita. Callisto si ricordava si ricordava di averlo sempre sorpassato con un saltello sin da quando era una mocciosa che aveva appena imparato a stare in piedi sulle estremità posteriori.

Fino a qualche tempo fa si sedeva sempre sul bordo di quel buco per starsene con le gambe a penzoloni. Sua zia le aveva detto di non farlo, ma Callisto era sempre stata una bambina testarda e aveva sempre ignorato i suoi consigli.

Poi un giorno il lago si era gonfiato in maniera straordinaria, e lei stava con i piedi a penzoloni quando un pesce capra dall’acqua.

Aveva scorto la sua gigantesca ombra cornuta un istante prima che guizzasse fuori dalle tenebre, con la bocca spalancata come un abisso e trascinandosi dietro una barba di viticci. Riuscì a tirarsi su appena le fauci velenose si serrarono, proprio dove prima c’erano le sue gambette.

Il pesce era abbastanza grande sbranargliele in un sol boccone. Quella volta Callisto aveva imparato la lezione.

Sua zia, Chryseis, lo diceva sempre che Callisto non seguiva non seguiva mai i consigli degli altri e che faceva sempre il contrario di ciò che le veniva detto.

Per una volta Callisto prese in considerazione di fare esattamente l’opposto e di seguire i consigli di sua zia alla lettera, ma alla fine decise che avrebbe fatto soltanto confusione e quindi lasciò perdere.

«In te c’è un pizzico del Vecchio Sangue, Callisto» Bram le aveva detto una volta. «Di quel tempo in cui gli uomini e le donne erano forti e governavano il Regno. »

«Che n’è stato di loro? » aveva chiesto seduta come sempre sul tappeto davanti al fuoco,  mentre il vecchio, sulla poltrona in vimini sgangherata, pipava dal narghilè posato vicino a lui sul pavimento.

«Si sono rammolliti» rispose Bram. «La vita era felice, il Regno era in pace. Ma all’uomo non piace essere in pace. Va contro la sua natura. Così le persone presero a bisticciare tra loro e dai bisticci nacquero dei veri e propri conflitti, e un conflitto è una cosa semplice da iniziare, ma altrettanto difficile da fermare. Allora scoppiò la Guerra dei Molti Fronti, e quando fu finita l’Uomo ormai era diviso e debole. Si rifugiò nelle paludi e in mezzo ai monti, voltando le spalle ai suoi simili. Ora le antiche città sono vuote e in rovina, infestate dal fantasma del passato proprio come noi. » aspirò dal suo narghilè e soffiò fuori una boccata di fumo aromatico, che si mise a svolazzare nella corrente del fuoco, dissipandosi poi lungo il soffitto di paglia.

Callisto sapeva tutto sulla Guerra dei Molti Fronti –o almeno ne conosceva le leggende, perché chi poteva sapere cosa era realtà e cosa era finzione?- tuttavia le piaceva ascoltare i racconti del vecchio.

Bram era considerato una persona stravagante, molto più di quanto lo fosse lei. Comunque lui se ne stava per conto suo, spesso rimaneva assente per lunghi periodi, e quando tornava aveva sempre nuove storie da raccontare.

Magari sotto altri aspetti era del tutto inoffensivo, ma per i genitori del villaggio il solo fatto che fosse un giramondo era sufficiente per voler tenere i figli alla larga da lui. Non poteva venire di buono dal mondo esterno.

Là fuori ci vivevano fate, demoni e folletti, e cose senza nome. Non erano pochi al villaggio a mormorare che anche nel vecchio c’era qualcosa di fatato.

Essere così arzillo alla sua età poteva significare soltanto che guai.

«Ma tu, ragazza mia» sibilò infine « tu hai un po’ di quello spirito antico, proprio come me. La vita qui non ti soddisferà. Tu vedi quello al di là di quello che ti sta davanti agli occhi.

«A volte vorrei poter essere soltanto…felice. Felice con quello che ho» confessò Callisto. «Come le altre ragazze della mia età.»

«Ah! » tuonò con un guizzo della mano rugosa e avvizzita il vecchio. «Non confondere l’accontentarsi con l’essere felici, Callisto. inoltre» disse fissando il fuoco con un espressione improvvisamente distante «alcuni di noi sono nati nel posto giusto, mentre altri se lo devono andare a cercare. »

 

 

Callisto aveva trascorso tutto il giorno vagando per le paludi più fitte che circondavano lago su cui si ergeva Gabbiano, alla ricerca di funghi e radici con il suo falcetto arrugginito, servivano a sua zia per preparare infusi ed impiastri per guarire dalle febbri della palude ad altre malattie.

Chryseis era un po’ come una dottoressa, e la sua arte alchemica era quella di saper trattare piante, sia quelle buone sia quelle velenose, per trarne dalle loro anime fibrose potenti farmaci che erano somministrati ai malati; per questo veniva molto spesso interpellata se qualcuno nel villaggio aveva preso la febbre della laguna o la polmonite palustre. Callisto venerava questa sua attività, e a volte, quando lei acconsentiva, la starla a guardare in religioso silenzio, mentre tritava con un pestello di vetro Artemisia e Belladonna dentro una ciotola di legno, o faceva fermentare strani intrugli su alambicchi esposti al calore di una fiammella bluastra.

Osservava con ammirazione le enormi polle di vetro posate sopra il tavolo del suo laboratorio, collegate tra loro con sottili corridoi di vetro, attraverso i quali arcobaleni di sostanze si fondevano l’una con l’altra, in armonia di colori e luci del nord, fino a formare il cuore stesso della vita o della morte, racchiusi in una sottile prigione di vetro.

Con fare lento e indolente passò davanti a un paio di bambini che si stavano arrampicando su un albero come scimmiette per raggiungere i rami dove appendere una gabbia per gli spiriti. Chiacchieravano tra loro mentre fissavano quella sfera fatta di stanghette di legno, che nel cuore custodiva una candela. La candela era infilata in un bulbo di vetro colorato, e quando l’accesero emanò un morbido bagliore rosa purpureo.

Callisto gettò un’occhiata un po’ più in alto e notò il fianco muscoloso di un serpente delle tenebre che se ne stava tranquillamente acciambellato su un ramo ad osservare senza molto interesse quei bocconcini prelibati sotto di lui.

Per i serpenti delle tenebre era ormai troppo tardi per cenare e di questo quei due avrebbero sicuramente ringraziato il cielo, se solo avessero saputo che stava lì. Soltanto un paio d’ore prima, il tenue tepore del sole avrebbe risvegliato il metabolismo del serpente, che li avrebbe morsi entrambi e si sarebbe avvolto attorno ai loro corpi paralizzati per spappolargli le ossa. Callisto si chiese quante altre volte ancora la morte li avrebbe soltanto sfiorati prima di afferrarli per sempre.

Invidiava i ragazzi della sua età nella cittadina, che riuscivano a dimenticare le preoccupazioni nell’allegria di una festa, che non aspiravano a nient’altro che a un buon marito o una bella moglie e a tirar su bambini per perpetuare se stessi.

Lei non riusciva a pensarla così. Non riusciva a passare sopra il fatto che uno su cinque di loro moriva di polmonite palustre entro il trentesimo anno, e che un neonato su due nasceva morto, o che ogni anno ragazzini sparivano inghiottiti nella palude, senza mai far più ritorno a casa.

I vecchi del villaggio erano afflitti e tormentati dall’asprezza della vita, ma nessuno alzava un dito per fare qualcosa.

Sembrava che la gente fosse più felice se accettava il proprio destino. Ma lei non si rassegnava. Sposare un giovanotto del villaggio, sistemarsi e sprecare tutta la vita a sfornare bambini e sacrificarsi per loro? Piuttosto si sarebbe gettata da sola in mezzo ai pesci capra. Almeno quella sarebbe stata una morte veloce, in confronto a quella lunga e lenta che si prospettava a Gabbiano.

Non aveva voglia di tornare a casa, né di partecipare alla festa, così decise di allungarsi nel suo giro di raccolta.

Poco dopo era ferma sulla riva della laguna palustre nel fitto interno della palude nera, lontana dal villaggio e dalla civiltà. I rumori della festa e le urla dei bambini si erano assopiti, soffocati dalla vegetazione rigogliosa, uccelli e altri animali indefiniti trillavano tra le foglie verdi e lucide.

Attorno a lei c’erano solo grandi e neri alberi ricurvi, che allungavano le loro chiome piangenti verso l’acqua scura e melmosa, coperto da una patina verdognola.

Lanciava piccoli sassi neri e lisci con la mano destra e guardandoli saltare una due, tre volte sul pelo dell’acqua, coperta da una nebbiolina eterea, in un gioco di cerchi concentrici che a partire dal centro si allargavano.

Le libellule, piccole equilibriste dell’aria, si libravano tra i giunchi, le cicale e i grilli frinivano tra l’erba ricoperta da gocce di rugiada.

In lontananza, tra le lontane chiome più lontane, poté scorgere un’imponente colonna di fumo grigio, che si alzava lenta contro il cielo.

Forse avevano preparato un enorme falò per la festa.

È strano come le cose possono accadere così in fretta, senza che tu possa fermarle, un attimo prima ti senti il padrone del mondo, tutto sembra bello come un meraviglioso dipinto ad acrilici, dove il sole splende alto nel cielo, gli uccellini cinguettano beati e la natura sboccia in tutta la sua bellezza; però basta un attimo, un filo spostato nella trama del destino perché il mondo ti crolla addosso, e ti rendi conto che la vita non è il bianco delle favole, popolato da principi, principesse e fatine buone, ma il mondo è grande, spaventoso, e ha zanne affilate che possono morderti in qualsiasi momento.

Il fato non andò leggero con lei, e la sfortuna arrivò puntuale, come la trista Signora in persona, anche se questo non era coperto da un mantello nero, né aveva una falce, e di certo non era tutto fuorché uno scheletro.

All’improvviso, come comparsa per magia, un’ombra nera, grossa e distorta fece capolino dalla nebbia, tagliandola come un coltello taglia il burro, arrancando malamente tra l’erba alta, forse diretta verso di lei.

Callisto sentì una scossa di paura, anche se da tempo aveva smesso di credere ai mostri sotto il letto e ai fantasmi per dedicarsi a cose più concrete, sentì che c’era qualcosa di cattivo nell’aria immobile, come in quieta attesa che succedesse qualcosa. Strinse più forte il ciottolo caldo e liscio che teneva nel palmo della mano, desiderosa di tirarglielo addosso e metterlo in fuga, ma quando riconobbe la figura, su felice di non averlo fatto, perché altri non era che il Ministro della Magia Cornelius Caramell in persona.

Lui era un amico di sua zia, e una volta si era fermato con sua moglie a cena a casa loro. Callisto se lo ricordava, perché era raffreddato, e ogni cinque minuti doveva alzarsi per soffiarsi il naso.

Quello che le piaceva di sua zia era che la trattava come un’adulta, e la faceva partecipare ad impegnativi discorsi su politica, corruzioni, ciò che un giorno avrebbe potuto servirle.

Caramell quando la vide le sorrise cordiale, toccando la tesa della bombetta verde acido in segno di saluto. Il suo faccione era rosso e lucido, come un sole spalmato di grasso. «Buondì Callisto, bella giornata oggi, vero?» disse allegramente in tono vano, guardandosi attorno come se quello che lo circondava fosse un bellissimo paesaggio di campagna, invece di una palude, con un prato d’erba alta e una piccola spiaggia fangosa, lambita da acqua fetida e salmastra. «Eh sì, a mio parere non c’è niente di meglio che una bella passeggiata per smaltire un po’ di ciccia» si diede qualche colpetto al grasso ventre.

«C’è qualcosa che non va signor ministro?» chiese secca Callisto inarcando appena un sottile sopracciglio, e fissandolo con quegli strani e intensi occhi.

La sensazione sgradevole aumentò, fino a diventare pesante come un macigno rotolato dentro il suo petto. Una vocina pestifera, che lei tanta odiava e che rappresentava la sua parte pragmatica le sussurrò malignamente all’orecchio: “Ma certo che c’è qualcosa che non va, altrimenti perché mai un pezzo grosso come il Ministro della Magia in persona dovrebbe scomodarsi tanto per vedere una mocciosa come te?”

«Zitta» pensò Callisto. «Zitta, stai zitta».

Ebbe un terribile cedimento al cuore e fu inghiottita da una voragine di presentimenti.

Caramell le lanciò uno sguardo tra l’impietosito e l’imbarazzato, si tolse rapidamente il cappello, che appoggiò al petto rigirandolo nervosamente tra le tozze dita.

Fece un sospiro, cercando le parole giuste per annunciarle quella terribile notizia. «Callisto…» incominciò, chinando la testa lucida per guardarsi le scarpe incrostate di fango. «Mi duole tantissimo informarti, che per evento estremamente sfortunato, tua zia è perita  in un incendio, che ha anche distrutto la tua casa, mi dispiace.»

Se avete mai perso qualcuno, allora capite come ella si sentì in quel momento, altrimenti non potete neanche lontanamente immaginare il dolore sordo che provò.

È una cosa curiosa la morte di una persona cara. È come salire le scale al buio per andare in camera di letto e credere che ci sia ancora uno scalino, il tuo piede cade nel vuoto, e c’è un nauseante momento di tetra sorpresa.

«Hanno cercato di fare il possibile per salvarla, ma è stato tutto inutile…» stava spiegando il ministro, continuando a tormentare la bombetta.

Callisto non stava ascoltando. Sembrava che il mondo di fosse rimpicciolito, e fosse diventato grande quanto il sasso liscio che teneva nel palmo della mano tremante. Tutti i suoni erano attutiti, persino la voce ronzante di Caramell, che si proclama in una lunga spiegazione dei fatti.

Callisto riusciva solo a sentire il lento sciabordio del sangue spargersi in tutto il corpo e il ritmo cadenzato del proprio respiro.

Una mano inguantata del Ministro si posò sulla sua spalla, lei, però la scostò bruscamente, facendo poi un passo in avanti.

«Sai cosa significa perito? » le chiese gentilmente Caramell.

«Certo che lo so!» rispose stizzita la ragazzina, ripensando alle tante cose apprese durante quei sei anni della sua esistenza, e ai libri che doveva ancora aprire. Non sarebbe mai più riuscita a leggerli.

Avvertì una forte fitta al petto. Piccole,  salate gocce di rugiada fecero capolino dagli angoli degli occhi, ma lei le cacciò subito via, cercando di mantenere un po’ di quel contegno che le era rimasto.

«Era una bravissima donna, mancherà a tutti noi» dichiarò Caramell solennemente, ma questo però non fece sentire meglio Callisto. Si vedeva che avrebbe pagato oro per non essere stato colui che le aveva dato la notizia, ma di questo non si poteva fargliene una colpa, dopotutto non è facile spiegare ad una bambina che solo da poco si era affacciata la vita la morte.

 

Era entrata con piccoli passi esitanti, la prudenza dei bambini, quando vogliono qualcosa.

Appoggiata ad una valigia si era messa a fissare la zia dondolando un piede su e giù.

Fuori era novembre, e il vento invernale aveva fatto gelare i boschi.

«È vero che parti?»

«Sì, Callisto».

«Allora resto a dormire con te».

Chryseis le aveva detto va bene, e lei era corsa a prendere il pigiama e il suo libro dal titolo la vita delle piante, poi le era venuta accanto nel letto: minuscola, indifesa, contenta. Fra qualche mese avrebbe compiuto i cinque anni. Tenendola stretta stretta, Chryseis si era messa a leggerle il libro, d’un tratto le aveva puntato gli occhi negli occhi e posto quella domanda.

«La vita che cos’è?»

Chryseis non era brava con i bambini, non sapeva adattarsi al loro linguaggio, alle loro curiosità. Le aveva dato una risposta sciocca, lasciandola insoddisfatta.

«La vita è il tempo che passa fra il momento in cui si nasce e si muore».

«Tutto qui?»

«Ma sì Callisto. Basta».

«E la morte che cos’è?».

«La morte è quando si finisce e non ci siamo più».

«Come quando viene l’inverno e un albero secca?»

«Più o meno».

«Però un albero non finisce, no? Viene la primavera e allora lui rinasce, no?»

«Per gli uomini non è così, Callisto. Quando un uomo muore è per sempre e non rinasce più».

«Anche una donna? Anche un bambino?»

«Anche una donna, anche un bambino».

«Non è giusto!»

«Lo so. Dormi».

«Io dormo ma non ci credo alle cose che dici. Io credo che quando uno muore fa come gli alberi che d’inverno seccano ma poi viene la primavera e loro rinascono, sicché la vita deve essere un’altra cosa».

« È anche un’altra cosa. E se dormi te la racconterò».

«Quando?»

«Domani, Callisto.»

L’indomani era partita per un lungo viaggio, forse per cercare una risposta alla sua domanda.

 

 

Un vento gelido soffiò facendo ondeggiare le canne, che produssero un suono come d’ossa sbatacchiate tra loro.

Calò un imbarazzante silenzio, durante il quale la ragazzina e l’uomo guardarono entrambi verso la spumeggiante striscia dell’orizzonte, senza un solo pensiero in testa, se non un terribile presagio futuro.

«Bene» disse infine il Ministro, continuando a torturare il cappello. «Bene, bene, bene» ripeté, come se una volta sola non gli bastasse.

La bambina tirò su con il naso, asciugandosi gli occhi appannati con una manica del vestito.

«Su, su, andiamo» disse apprensivo Caramell, circondandole le spalle con un braccio «Andrà tutto bene, vedrai. Ti abbiamo anche già trovato una nuova casa e una famiglia che scommetto sarà felicissima di ospitarti. Li conosco, e so che sono delle brave persone, hanno anche un figlio della tua età molto gentile e educato. Sono sicura che ti sentirai a tuo agio con loro».

Callisto alzò la testa verso di lui. Strano, prima a poco tempo prima, desiderava andarsene da Gabbiano, ma adesso l’idea di lasciare il villaggio dove aveva trascorso un po’ della sua infanzia le spezzava il cuore.

Sapeva che gli altri cittadini non l’avrebbero accolta bene nelle loro case, al di fuori di Bram, ma lui era troppo vecchio per potersi occupare di una bambina.

«E chi sarebbero?» chiese.

«I Malfoy.» Rispose Caramell raggiante.

 

*

 

L’ indomani, alle prime luci dell’alba, partì. Non fu un addio tragico, e nemmeno tanto doloroso. Nessuno la venne a salutare, a parte il vecchio Bram, che la strinse le braccia per un infinito istante.

«Buona fortuna» le sussurrò.

Le non disse niente. Raggiunse la carrozza nera con le tendine abbassate e dalle verdi lanterne accese che l’aspettava appena ai confini di Gabbiano, trainata da due possenti Thestral sbavanti, trattenuti a fatica dal piccolo cocchiere seduto in cassetta, coperto da un pastrano dieci volte più grande di lui dal collo alto come quello di un becchino e che portava, ben calcato in testa, un cappello a cilindro che gli nascondeva completamente il volto e lasciava fuori solo un pezzo del suo naso appuntito.

Ormai non aveva più senso che lei rimanesse ancora a Gabbiano, soprattutto perché ora non aveva un tetto sopra la testa. La sua capanna era completamente distrutta, e al suo posto c’era un cumulo di cenere e la carcassa bruciata di un’antica presenza.

Nessuno conosceva la vera causa dell’incendio, e benché fossero state svolte le più accurate indagini, si scoprì solo che era stato appiccato da una grande distanza, e in pochi attimi, la casa fu divorata dalle fiamme.

Fu catalogato come un incidente, forse accaduto, mentre Chryseis cercava di scoprire qualche nuova formula, ma Callisto sentiva che c’era qualcosa che stonava, una stecca acuta che rovinava l’opera di quella storia. Conosceva sua zia, e sapeva che metteva molta cura nel maneggiare i suoi fragili oggetti, e la delicatezza con cui li riponeva negli scaffali era come una danza fatta in punta di dita.

Inspiegabili, come l’origine delle fiamme, altri misteri si schiusero davanti agli occhi di Callisto. Ogni famiglia ha i suoi segreti, porte lasciate chiuse, ma ora lei si rendeva conto che la più piccola scoperta, scatenava nella sua testa un vortice di domande.

Domande, che ora temeva non avrebbero trovato risposte.

Così divenne un’orfana.

La carrozza partì, con uno schiocco possente, e ben presto, il villaggio Gabbiano fu un solo ricordo dietro la scia della sua vita.

 

 

C’era un certo albero che cresceva nelle paludi chiamato la pianta dell’ernia, le cui foglie erano rinomate per la loro proprietà elastica. Quando era più piccola, Callisto era riuscita a trovarne un po’, con un chiodo aveva fissato un’estremità alle assi di una piattaforma e di era messa a tirarla per vedere quando lontano sarebbe riuscita ad arrivare.

Era affascinata da come la foglia si assottigliava diventando sempre più lunga e alla fine, quando ormai l’aveva tirata troppo lontano, si spezzò facendola ruzzolare a terra.

Non c’era paragone più adatto alla sensazione che le era cresciuta dentro durante il pomeriggio. Nel giro di un’ora, con il suo passo veloce e traballante, la carrozza del Ministro l’aveva portata così lontana da casa come non lo era mai stata, e prima che scendesse la sera il mondo le era diventato del tutto ignoto.

Sentì che il suo legame con Gabbiano era come quella foglia della pianta dell’ernia, diventava sempre più sottile e sempre più teso, nel tentativo di riportarla indietro quanto più si allontanava.

Callisto pensò che non avrebbe mai rivisto il caro e vecchio Bran, il cantastorie, o persino gli altri abitanti del villaggio. Nel profondo dell’animo si rese conto di essere assolutamente, completamente sola.

La sua casa era ormai alle spalle, e nel cuore sentì un improvviso, terribile dolore, uno struggimento che non avrebbe mai pensato di poter provare.

Poi, quando cadde il crepuscolo, il legame si spezzò.

Il dolore e l’afflizione vennero a meno, trasformandosi in eccitazione.

Con la presa di coscienza che non c’era alcuna possibilità di ritorno, arrivò anche la consapevolezza che l’unica strada era andare avanti.

Alla fine arrivarono.

Era una dimora immensa, e si stagliava scura contro la notte, e in quella notte flagellata dalla tempesta, sembrava avere un aspetto truce.

 La pioggia spazzava i picchi circostanti e tra la coperta di nubi nere, di tanto in tanto serpeggiava il silenzioso di lampi, prima che un tuono si rovesciasse sul paesaggio e fuggisse poi lontano.

Il maniero era l’unico segno di vita in quel posto desolato. Se ne stava accovacciato imponente e solitario, disteso sopra la vetta di un monte, un tremito di torrette e merlature, balaustre, guglie e torri, tutto scolpito nella pietra. Era stato costruito su un terreno irregolare e quindi era irregolare anche nella forma. Seguiva i contorni della roccia crudele e nuda che gli aveva donato un aspetto così sbilenco,  tanto che l’ala volta a ponente si adagiava molto più in basso rispetto al corpo centrale  del castello.

“benvenuta a casa” pensò Callisto.

 

  
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