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Autore: Iander    16/04/2021    1 recensioni
Tony Stark. Un genio, miliardario, playboy, filantropo. E molto di più.
Pepper Potts. Assistente scrupolosa e impeccabile, poi amministratore delegato delle Stark Industries. E non solo.
La storia di un uomo che è diventato un eroe, di una donna dalla forza incrollabile, di un amore che ha affrontato ogni cosa e ne è uscito vincitore, nonostante tutto.
Dal capitolo 2: Armatura e computer, pezzi di ricambio e calcoli. Tutto perfettamente nella norma, non fosse per la persona che in quel momento occupava il divanetto dall’altra parte della stanza: Pepper sedeva placida con le gambe rannicchiate, un libro tra le mani e l’espressione assorta. Il fatto che stessero condividendo lo stesso spazio senza al contempo litigare, ridefinire accordi lavorativi o mettere i bastoni tra le ruote al cattivo di turno, ma solo per il piacere di trascorrere del tempo insieme, rendeva perfettamente l’idea di quanto la sua vita di recente fosse cambiata radicalmente.
[Raccolta; Pepperony; Tony&Peter]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Morgan Stark, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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From Dusk Till Dawn
 
 

A vannagio,
per avermi fatto scoprire un mondo meraviglioso
 
 

Capitolo 3
Upside Down


Contesto: The Avengers

 
“It feels sometimes this hills to steep
For a girl like me to climb,
But I must knock those thoughts right down
I’ll do it in my own time
 
I don’t care,
I’m halfway there,
On a road that leads me straight to who knows where?”


La scarpa pestò senza volerlo un frammento di vetro, che si frantumò in pezzi più piccoli. Pepper alzò velocemente il piede e abbassò lo sguardo sul pavimento: doveva fare attenzione o rischiava di farsi male sul serio; i mocassini che indossava non erano proprio adatti per l’ispezione che stava compiendo. Non che fosse facile, comunque: la Hall della Stark Tower era disseminata di cocci e detriti di ogni genere di materiale.

Lasciò vagare lo sguardo lungo l’ampia sala, provando inutilmente a quantificare i danni. Il lungo e raffinato bancone della reception, posto al centro della stanza, presentava una profonda apertura frastagliata nel mezzo, come se fosse stato colpito frontalmente da un enorme proiettile – inorganico, umano o alieno, non le era dato saperlo. Ironia della sorte, l’elegante logo delle Stark Industries si era salvato: impresso sulla sinistra del bancone, a poca distanza dal foro, mostrava solo qualche lieve bruciatura. I suoi occhi scivolarono a destra, sulla confortevole e moderna zona attesa che occupava un angolo della stanza: le poltrone color antracite che aveva scelto personalmente neanche un mese prima ora giacevano inerti a terra, sfondate e parzialmente distrutte.

Riprese a muoversi, il cuore stretto in una morsa al pensiero di tanta devastazione, e si imbatté nel coccio di un vaso; si abbassò sulle ginocchia e lo raccolse, maneggiandolo con cura per non tagliarsi: doveva trattarsi di uno dei due grandi vasi posti ai lati dell’ingresso. Il frammento tra le sue mani non aveva più il candore che lo caratterizzava, era bensì ricoperto di polvere e annerito in alcuni punti. Lo osservò per qualche istante, lo sguardo perso sulla superficie ammaccata, poi lo lasciò di nuovo cadere a terra e quello si ruppe in più pezzi. Non si stupì del suo gesto incurante: era troppo sfinita e amareggiata per preoccuparsi di qualcosa che non si poteva più salvare.

Si avvicinò a lenti passi a ciò che rimaneva delle imponenti vetrate: ne percorse con lo sguardo l’alto profilo lineare, osservò a lungo le crepe frastagliate che si aprivano in diversi punti sulla superficie levigata. Ne sfiorò una con un gesto distratto, poi incrociò le braccia sul petto e guardò fuori. All’esterno la desolazione era la stessa: l’asfalto era ricoperto di polvere e cumuli di macerie, gli edifici presentavano spaccature in più punti e diverse macchine giacevano squarciate ai lati della strada. I resti alieni erano già stati accuratamente prelevati e portati altrove; il risultato della loro distruzione, tuttavia, era ancora ben visibile. Pepper fece una smorfia di fronte a quel panorama disastrato, poi fissò un punto indefinito in lontananza e inspirò a fondo, dando finalmente sfogo ai pensieri che aveva trattenuto sino a quel momento.

Per quanto negli ultimi giorni avesse cercato ripetutamente di tranquillizzarsi e di darsi un tono, non poteva fare a meno di sentirsi angosciata per Tony e per quello che aveva fatto durante la Battaglia: aveva combattuto all’ultimo sangue contro alieni distruttori, creature terrificanti e senza scrupoli che avevano messo a ferro e fuoco la città seminando morte e devastazione, beffandosi degli sciocchi umani che tentavano con ogni mezzo di fermarli. Come se tutto questo non fosse sufficiente, Tony aveva ben pensato di prendere tra le mani un missile pronto ad esplodere e di trasportarlo attraverso il portale alieno con il serio rischio, oltre a rimanere coinvolto nella deflagrazione, di restare bloccato nello spazio, condannato a morte certa. Questo non era successo, d’accordo, ma la probabilità era stata molto alta e lei non poteva semplicemente fare finta di niente: era stato solo per un insperato colpo di fortuna, se era riuscito ad attraversare il whormhole proprio un attimo prima che si chiudesse. Se poi pensava a quando l’aveva visto precipitare in caduta libera dal cielo, inerte… poteva sentire ancora il cuore fermarsi per un istante e un dolore agghiacciante paralizzarle il corpo. Certe volte si chiedeva come Tony potesse essere così incosciente, come potesse lanciarsi in missioni suicide senza nemmeno riflettere, senza curarsi di chi lo attendeva a casa.

D’altro canto, comprendeva perfettamente che quelle considerazioni erano frutto di un ragionamento egoista: nonostante tutto, Tony era un supereroe e non aveva fatto niente di più e niente di meno di ciò che qualunque altro Avenger al suo posto avrebbe fatto. Pepper capiva che le sue azioni erano state inevitabili e assolutamente necessarie: la priorità era salvare New York e quante più vite possibili, e se per riuscirci una pedina doveva essere sacrificata beh, era una perdita più che accettabile per tutti. Non per lei, comunque: la vita di Tony valeva più di una città, di uno stato o di un continente intero. Scosse la testa con espressione infastidita, davanti a quegli avari pensieri: si era sempre considerata una persona altruista, dedita al prossimo e sensibile alle tematiche sociali, ma da quando Tony era diventato una parte fondamentale della sua vita, dando il via ad una relazione che si fortificava giorno dopo giorno, per lei niente aveva più importanza di saperlo al sicuro, sano e salvo. Era inevitabile, quando si amava qualcuno così intensamente.

Si rese conto che la Battaglia di New York era solo la punta dell’iceberg: altre ne sarebbero arrivate, quasi sicuramente più pericolose; l’universo era ancora un’incognita per loro, ma Pepper ora sapeva che minacce insidiose si nascondevano tra i suoi abissi e che, prima o poi, avrebbero trovato il modo di giungere fino a loro. Ed era certa che Tony non si sarebbe mai tirato indietro: avrebbe affrontato ogni ostilità con sguardo fiero e un’uscita delle sue adatta all’occasione. Ne era perfettamente consapevole ed era il caso che cominciasse ad abituarsi all’idea, se voleva davvero stare con lui. Del resto, quando aveva scelto di iniziare una relazione con Tony Stark, inevitabilmente l’aveva iniziata anche con Iron Man: scinderli era impossibile, l’unica opzione disponibile era accettare il pacchetto completo. Prendere o lasciare.

Un sospiro rassegnato le sfuggì dalle labbra socchiuse; Pepper abbassò il volto e appoggiò debolmente la fronte contro l’infisso della vetrata. Strinse gli occhi e si artigliò con forza le braccia, le dita che affondavano nella pelle tenera. Non era solo un dolore secco e angosciante quello che provava in quel momento per la sorte del suo compagno, no: il senso di colpa era altrettanto forte, al punto da chiuderle la gola in una morsa. Tony aveva scelto consapevolmente di compiere un’azione suicida, buttando all’aria ogni prudenza, ma lei non aveva risposto alla sua telefonata, perdendosi quelle che avrebbero potuto essere le sue ultime parole. Ciò era davvero imperdonabile: si lamentava tanto con Tony perché spesso e volentieri si mostrava incostante e non dava peso alle cose essenziali, e poi lei non si degnava nemmeno di tenere costantemente il cellulare a portata di mano in un momento così critico. Patetica. Sapeva che prima o poi sarebbe scesa a patti con quello sbaglio, con il tempo riusciva sempre a vedere le cose da un’altra prospettiva e con giudizi più miti, ma ora non ci riusciva. Si riteneva del tutto ingiustificabile. Certo, quando il cellulare aveva iniziato a squillare non si stava perdendo in frivolezze: il suo sguardo angosciato era puntato sull’edizione straordinaria del notiziario, il quale trasmetteva in diretta da New York, e in quelle immagini aveva cercato freneticamente qualche traccia di lui, sperando di vederlo prima o poi apparire per assicurarsi che stesse bene. Eppure lo aveva avuto a portata di uno squillo – una sua iniziativa, tra l’altro: inconsueto, rispetto al solito – e aveva sprecato la preziosa occasione di parlare con lui.

D’altro canto, Tony non aveva dato segno di essersela presa per questo e non l’aveva colpevolizzata in alcun modo: aveva semplicemente minimizzato con il suo solito tono gioviale e sostenuto di aver avuto tutto sotto controllo in ogni istante. A detta sua, con quella chiamata voleva solo dirle di prenotare per cena all’Eleven Madison Park [1]: il tempo di piazzare il missile, di darsi una sistemata e l’avrebbe raggiunta. Pepper non si era fatta ingannare nemmeno per un istante da quella finta allegria, ma non aveva insistito.

In tutta onestà, fino a quel momento non avevano davvero parlato di quanto successo. Saputo del disastro, aveva ordinato al pilota del jet di dirigersi comunque a New York, incurante delle sue proteste: la priorità era cercare di raggiungere Tony, per quanto possibile. Erano atterrati all’aeroporto proprio mentre la Battaglia si concludeva. Con non poche difficoltà era riuscita ad arrivare alla Stark Tower, immersa in un mare di polvere e distruzione, e a fatica si era fatta strada fino all’ampio salone da cui, neanche una settimana prima, aveva orgogliosamente illuminato la torre.

Lo aveva trovato lì, con un’escoriazione sulla fronte e l’armatura ammaccata in più punti, mentre scherzava con i suoi compagni di squadra e beveva un drink. L’incontenibile sollievo che aveva provato nel vederlo vivo aveva scacciato di colpo l’ansia e la paura che aveva patito fino a quel momento, lasciandole le gambe inferme e tremanti. Sentendo la porta aprirsi, Tony si era voltato verso di lei e aveva di riflesso spalancato le braccia per accoglierla, nel vederla corrergli incontro. Pepper si era informata singhiozzando delle sue condizioni, mentre tastava con frenesia il suo volto e ogni parte dell’armatura che riusciva a raggiungere. «Sto bene, calmati. È finita» le aveva detto, cercando di tranquillizzarla. Gli aveva chiesto scusa per non aver risposto al cellulare e lui aveva ribattuto con quell’assurda storiella del ristorante; le aveva poi presentato gli altri supereroi e lei era rimasta saldamente al suo fianco, un braccio a circondargli la schiena, come se non riuscisse ancora a credere che fosse davvero lì, sano e salvo.

Dopo aver consegnato Loki in custodia allo Shield, gli Avengers erano usciti a mangiare lo Shawarma in un locale nelle vicinanze e, sebbene avessero esteso l’invito anche a lei, Pepper aveva gentilmente declinato: aveva bisogno di starsene un po’ ferma, assaporando la ritrovata quiete, e li aveva guardati uscire assieme, stanchi e stralunati. Nei giorni successivi lei e Tony avevano preferito il silenzio, beandosi della reciproca presenza e amandosi senza sosta, con l’urgenza di sentirsi vivi. Poi Thor era tornato ad Asgard portando con sé Loki e il Tesseract, e Tony si era buttato a capofitto nei progetti di restauro della torre, animato a detta sua da brillanti propositi. Non sembrava esserci spazio per parole che entrambi faticavano a pronunciare, come se accennare di nuovo a tutto quell’orrore potesse in qualche modo vanificare gli sforzi compiuti per vincerlo. E se Tony, giorno dopo giorno, sembrava star meglio fisicamente e mentalmente, dando prova di aver superato lo scontro senza strascichi, lei al contrario scivolava nella direzione opposta, ansia e dolore e frustrazione che si rincorrevano nel suo petto senza darle tregua. Fino a quel momento aveva evitato di soffermarsi con dovizia sui suoi reali pensieri: complice il timore di ciò che avrebbe scoperto, non voleva che Tony vedesse il suo malessere interiore prima che lei avesse avuto modo di fare chiarezza e di elaborarlo; Pepper sapeva quanto quella Battaglia gli fosse costata e non voleva caricare le sue spalle di ulteriori pesi, senza essere sicura di riuscire a reggerli lei in primis.

Quel giorno aveva dunque lasciato Tony ai suoi progetti, affermando di voler dare un’occhiata di persona alle varie sezioni della torre e fare una stima dei danni. Lui l’aveva guardata inarcando un sopracciglio, osservando che altre persone erano preposte a questo; con un’alzata di spalle, lei aveva risposto con noncuranza che ogni buon capitano controlla che la sua nave sia a posto e si era diretta disinvolta all’ascensore: un’ottima scusa per allontanarsi e trovare una valvola di sfogo all’inquietudine che da giorni ribolliva nel suo petto.

Ed eccola lì, incurvata sotto il peso di emozioni contrastanti, finalmente libera di lasciarsi andare. Nel tempo che aveva trascorso davanti a quella vetrata non era riuscita a fare chissà quali strabilianti progressi, ma perlomeno aveva iniziato a sbrogliare la matassa di pensieri contundenti da cui era oppressa; era un compito delicato che avrebbe richiesto tempo e comprensione, ma pensava di essere riuscita a stabilire un punto di partenza e che fosse arrivato il momento di parlarne con Tony. Con un sospiro lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e raddrizzò il busto. Scrollò appena le spalle e la testa, recuperando il controllo, e si passò velocemente una mano sulla frangia, riordinandola distrattamente; poi si voltò e si diresse verso il centro della sala, guadagnando con calma la porta che l’avrebbe di nuovo condotta ai piani superiori.

Malgrado all’inizio avesse usato quel pretesto per esigenze personali, voleva davvero sincerarsi delle condizioni della torre per capire meglio quanti e quali tipi di intervento sarebbero occorsi; dopotutto, era pur sempre la sua creatura. Mentre saliva le scale che l’avrebbero condotta al primo livello – uffici commerciali – ripensò a quando aveva proposto a Tony di costruire l’edificio. Da sempre la sede principale delle Stark Industries si trovava a Long Beach[2]: luogo paradisiaco e indubbiamente di classe, la sua posizione più defilata rispetto alle grandi metropoli costituiva una risorsa preziosa quando si producevano armi e tecnologie militari, al riparo da occhi indiscreti. Ma poi Tony aveva deciso di chiudere con gli armamenti e quell’isolamento si era rivelato non più così necessario: come amministratore delegato, Pepper aveva pensato che avrebbe fatto comodo avere una sede più centrale, che potesse rilanciare l’azienda ed avvicinarla in maggior misura ai consumatori, possibilmente in un importante snodo economico. Quando ne aveva parlato con Tony, le era venuto spontaneo proporre New York City e, in particolare, Manhattan: si trattava di una zona strategica non solo per gli Stati Uniti, ma per il mondo intero. Lui aveva accolto con entusiasmo la sua proposta e insieme si erano lanciati nel progetto di una torre ecosostenibile, completata a tempi record.

La sua era stata una pensata davvero brillante; peccato che Loki ne avesse colto subito i benefici, il che aveva comportato una torre distrutta e una ristrutturazione da eseguire ancor prima dell’inaugurazione. Pepper non poté fare a meno di sospirare seccata, mentre percorreva i corridoi con ritrovato vigore: anni di lavoro, pianificazioni e aspettative buttati nell’arco di una giornata. Tony non ne aveva fatto un dramma: aveva commentato dicendo che quel disastro doveva evidentemente essere il risultato di un volere divino e che poteva trovare un’altra destinazione d’uso alla torre. Aveva iniziato a parlare di un quartier generale degli Avengers, con laboratori, palestre, sale riunioni e dormitori – rigorosamente separati – e si era lanciato a capofitto nel progetto. Ora si stava per l’appunto occupando di questo, molti piani più in su.

Pepper non aveva battuto ciglio di fronte alla sua idea, pressata da emozioni più urgenti. In quel momento, mentre passava da un ufficio all’altro, da un piano all’altro, pensò che tutto sommato la posizione più periferica di Long Beach non fosse così male e che potevano rimanere in quella sede ancora per un po’. Diede un’ultima occhiata alla disastrata sala riunioni del reparto tecnico e decise che la sua ispezione poteva anche concludersi. Si avviò lungo il corridoio diretta agli ascensori e rispose con un lieve sorriso al saluto di un operaio che veniva dalla direzione opposta, trasportando secchi di calcinacci: i lavori di recupero e di smaltimento delle macerie erano cominciati poco dopo la fine della Battaglia e ora stavano interessando proprio l’area in cui si trovava lei. Una volta terminata la rimozione dei detriti, sarebbe iniziata la vera e propria ricostruzione; per allora, Tony avrebbe sicuramente ultimato i disegni.

L’ascensore saliva dolcemente, dondolando appena. Pepper osservò i numeri dei piani susseguirsi sull’indicatore luminoso e si preparò mentalmente al confronto. Stava appunto pensando da dove iniziare, quando un trillo familiare le annunciò di essere giunta a destinazione e le porte scorrevoli si aprirono con un lieve cigolio. I suoi occhi vagarono lungo la sala deturpata in più punti e si soffermarono infine sull’oggetto dei suoi pensieri, il quale sostava di fronte al bancone, assorto, e le dava le spalle.

Tony si accorse del suo arrivo e si voltò verso di lei, lo sguardo soddisfatto fisso su un progetto che teneva tra le mani. «Oh eccoti, proprio te cercavo. Devi assolutamente vedere come ho reinventato il laboratorio! Bruce si divertirà un mond– che succede?» si interruppe, notando la sua aria sfinita. «L’ispezione è andata peggio del previsto? Hai trovato una nuova e terrificante forma aliena nell’ufficio di Happy?» aggiunse, tentando di sdrammatizzare.  

Pepper si avvicinò a lui e si lasciò cadere su uno sgabello di fortuna, sospirando. «No, ma la torre è un completo disastro. Gli unici uffici con danni più leggeri sono quelli amministrativi».

Tony le rivolse un sorrisino saputo. «Toh guarda, proprio la zona di tua competenza. Anche i Chitauri sapevano che la vera minaccia terrestre da non fare imbestialire sei tu» la punzecchiò. «Tornando a noi, ti stavo appunto parlando del laboratorio e…».

Pepper aveva alzato gli occhi al cielo con ironia alla sua battuta, ma subito dopo la sua espressione si era fatto di nuovo seria. Non poteva più rimandare. «Tony,» lo interruppe «dobbiamo parlare».

Lui si bloccò, aggrottando la fronte. «Ma stiamo parlando. O almeno, io stavo parlando, prima che tu te ne uscissi con un’ovvietà» puntualizzò, leggermente piccato.

Pepper non si fece impressionare. «Non in quel senso. Intendevo dire che dobbiamo parlare sul serio. Della Battaglia, del missile, di tutto quello che è successo. Sono passati giorni e ancora non abbiamo toccato l’argomento» replicò.

«Sei sicura di non voler prima sapere di più del mio progetto? Ho avuto un’idea davvero geniale, sai. Ben inteso, le mie idee sono sempre geniali, ma questa è veramente brillante…».

«No. Prima parliamo di quello che è successo» ribatté lei, ferma.

Tony fece spallucce, si appoggiò al bancone dietro di sé e vi posò sopra il disegno. «Va bene, come vuoi» acconsentì.

Pepper inspirò, fissandosi le mani giunte in grembo. Si prese qualche secondo per riordinare i pensieri, poi alzò il viso e gli rivolse uno sguardo intenso. «Questa Battaglia mi ha fatto molto preoccupare» esordì. «Non che le altre volte non lo fossi, ma ora è diverso. Alieni, nuove dimensioni... Siamo di fronte a qualcosa di troppo grande».

Tony annuì distrattamente, incrociando le braccia al petto. «Sì,» ammise «l’asticella si è alzata di molto, grazie alla diva con la fissa per i cubi».

Lei corrugò appena le sopracciglia, scrutandolo con più attenzione. «Che cosa hai intenzione di fare, adesso?» lo incalzò.

Lui si strinse nelle spalle. «Beh, ora è il momento di raccogliere i pezzi. Sicuramente dovremo riconsiderare un po’ tutto – la nostra organizzazione, il rapporto con lo Shield... Dobbiamo prepararci ad affrontare minacce ben più serie» proferì.

«E scommetto che tu agirai in prima linea» commentò Pepper, rivolgendogli un’occhiata rassegnata. Per quanto avesse cercato di mantenere un tono neutro, non era riuscita a nascondere una punta di amarezza.

Anche Tony se ne accorse: sollevò lo sguardo su di lei e la osservò per qualche istante prima di parlare. «Ѐ naturale» replicò infine. Poi la sua espressione si addolcì un poco e le sue labbra si incurvarono in un ghigno divertito. «Anche se non volessi, mi ritroverei Nick Fury sulla porta di casa in men che non si dica».

Pepper sbuffò una risatina mesta. Sapeva molto bene che nessuno poteva costringerlo a fare qualcosa che non voleva, lo aveva appurato in diverse occasioni nel corso dei dieci anni trascorsi al suo fianco, ma non lo disse.

Il silenzio calò sull’attico della Stark Tower. Entrambi si persero nelle proprie riflessioni, intenti ad analizzare i risvolti che la Battaglia di New York avrebbe comportato. Fu Pepper a romperlo, per affrontare un’altra questione che le stava a cuore. «Mi hai fatto prendere una paura terribile, quando hai attraversato quel portale con il missile» riprese, seria. «Ho davvero temuto il peggio. Per non parlare di quando sei precipitato in caduta libera. Ho creduto che…» la sua voce si incrinò sull’ultima sillaba. Deglutì, cercando di calmarsi.

«Lo so, non è stato un bel vedere» le concesse Tony, toccandosi la nuca a disagio. «Ma devi considerare che non stavo lavorando da solo. C’era un’intera squadra con me ed ero certo che sarebbero intervenuti se qualcosa fosse andato storto. È andata così, infatti» ragionò, gesticolando.

Pepper gli rivolse un’occhiata densa di biasimo e increspò le labbra in un sorriso sarcastico. «E se fossi rimasto bloccato al di là del portale? E se l’esplosione del missile ti avesse colpito e ucciso? Anche allora i tuoi amici sarebbero intervenuti?» lo rimbeccò.

Tony distolse lo sguardo dal suo. Strinse tra le mani i bordi del bancone, osservandosi la punta delle scarpe, e aggrottò le sopracciglia. «Mi dispiace, ok? Lo so che ho rischiato molto, ma dovevo farlo. Ero l’unico in grado di intervenire, l’unico che potesse intercettare quel missile e spingerlo oltre il portale prima che esplodesse. Non potevo tirarmi indietro» decretò, sollevando il viso e fissandola convinto.

Pepper scosse piano la testa con rassegnazione, sospirando. «Lo so» ammise «e so anche che non ho il diritto di chiederti di tirarti indietro. Non posso e… non voglio. So quanto tutto questo significhi per te».  Lo sapeva, se ne rendeva conto ogni giorno di più. E capiva che si trattava di una condizione che doveva imparare ad accettare, per quanto le costasse. Eppure, pensò, un compromesso si poteva trovare. «Però… magari potresti fare più attenzione, la prossima volta. Agire con più prudenza e tenerti possibilmente alla larga da gesti suicidi» suggerì, più conciliante.

«Ma certo» la rassicurò Tony, comprensivo. «Non per vantarmi, ma ho già in mente qualche modifica interessante da apportare all’armatura, a questo proposito. Ci sto lavorando. Mi piace fare l’eroe, mi rende molto affascinante, ma vorrei tenere al sicuro la mia pellaccia ancora per un bel po’» concluse, facendole un occhiolino [3].

Pepper annuì, confortata: evidentemente, non era così indifferente alla questione come le aveva fatto credere all’inizio. Il suo volto si distese un poco e lei lo osservò più a fondo, soffermandosi sulle leggere occhiaie che gli adombravano appena lo sguardo. «Tu stai bene? Seriamente? Hai affrontato una battaglia con effetti devastanti, hai combattuto contro nemici molto più pericolosi delle altre volte. Senza contare il missile… sei sicuro di sentirti bene?» indagò, apprensiva.

«Io sto benone» la rassicurò lui, mostrandosi del tutto a suo agio. «Quegli alieni surfisti da quattro soldi ci hanno fatto sudare parecchio, ma avevamo tutto sotto controllo. Io avevo tutto sotto controllo. Ci siamo mossi bene, tentando di contenere il più possibile l’area dello scontro». Puntò per qualche istante lo sguardo oltre le ampie finestre dell’attico, scrutando la città illuminata dal sole del mattino. Si accigliò appena, corrugando le sopracciglia. «Certo, New York ha subito diversi danni, ma le cose sarebbero potute andare molto peggio. Siamo stati fortunati» proferì. Poi inclinò la testa e il suo sguardo si fece più attento, sondando il suo. «Ma non è solo questo a preoccuparti, vero? C’è qualcos’altro che ti turba».

Pepper esitò, mordendosi un labbro. Il suo corpo si irrigidì, le mani strinsero nervose la stoffa della gonna; sentì la gola chiudersi, mentre spiacevoli pensieri tornavano ad assalirla come sale su una ferita aperta. Gli rivolse un sorriso triste. «Io… non posso fare a meno di sentirmi in colpa per la telefonata. So che mi hai detto di lasciar perdere» si affrettò ad aggiungere, impedendogli di ribattere, «ma non ci riesco. Potevano essere le tue ultime parole e io non sono nemmeno capace di tenere in mano un maledetto cellulare» sbuffò, sprezzante. «Tu avevi bisogno di me in quel momento e io non c’ero. Come posso ritenermi una …degna compagna, se non riesco nemmeno ad esserci quando l’uomo che amo sta andando in contro alla morte?».

«Tesoro, non è così. E poi ti ho detto che ti chiamavo per…».

«Oh, per favore!» lo zittì Pepper, fulminandolo lo sguardo. «Non ricominciare con la storiella del ristorante. Non puoi davvero pensare che io creda a quell’assurdità!» sbottò.

Tony alzò le mani, colpevole. «E va bene. Non è vero che ti ho chiamato per il ristorante, lo ammetto. Ma sono sincero quando dico che non ti devi tormentare» esordì. «In realtà, è stato JARVIS a suggerire di chiamarti e ho pensato che per una volta potevo anche sforzarmi un po’e… dirti qualcosa di carino» esitò, rivolgendole un’occhiata meditabonda. «Immaginavo che molto probabilmente non avresti risposto, so bene quanto ti dai da fare per questa azienda. Ma non importa, perché era come se fossi lì con me anche allora. Tu ci sei sempre, in ogni momento, e questo per me significa tutto». Si avvicinò a lei, le prese le mani tra le sue e la fece alzare delicatamente. Guardò i suoi occhi e cercò di trasmettervi tutto ciò che sentiva. «Non angustiarti per questo, ti prego. Non ce n’è bisogno» terminò, accarezzandole lo zigomo con una nocca e dandole un leggero buffetto.

Pepper sorrise sollevata, per poi gettargli le braccia al collo e stringerlo a sé. Sussurrò un tremulo “mi dispiace” mentre accostava la testa alla sua. Tony la strinse a sua volta, accarezzandole lieve la schiena con la mano destra. Restarono in silenzio per qualche istante, godendosi l’abbraccio, poi lui si scostò appena e posò le labbra sulle sue. Pepper ricambiò il bacio con trasporto, aggrappandosi alle sue spalle per sentirlo più vicino. Tony sorrise divertito, prima di approfondire il contatto e avvolgerle più saldamente la vita con le braccia. «Va meglio?» le chiese infine, un luccichio impertinente negli occhi.

Pepper annuì con dolcezza. «Direi di sì, grazie».

«Perfetto. Perché è ora che tu veda il mio grandioso progetto, rimarrai a bocca aperta!» annunciò ilare, prendendola per mano e trascinandola verso il bancone. Lei ridacchiò, felice, e si lasciò condurre. Prese posto alla sua sinistra mentre lui srotolava un disegno e cominciava a premere in vari punti. Diversi settori comparirono all’istante e Tony iniziò concitato ad illustrarle la loro funzione. Pepper si fece coinvolgere dal suo entusiasmo, osservando le grafiche in 3D dei nuovi locali e suggerendo qualche modifica da apportare qua e là.

Riuscì finalmente ad accantonare l’inquietudine e a sentirsi un poco più sollevata. Sapeva che quella situazione era solo temporanea e che ben presto nuove minacce sarebbero sorte, ma si sentiva fiduciosa: aveva un valido compagno su cui contare e avrebbero affrontato insieme tutto ciò che il futuro riservava, amandosi e sostenendosi a vicenda; questo, per il momento, le bastava. 

 

 
“I’ll tell you what
What I have found,
That I’m no fool
I’m just upside down
[…]
Sometimes life can taste so sweet
When you slow it down,
You start to see the world a little differently
When you turn it upside down”
 
Upside Down – Paloma Faith




Note:
[1] Si tratta del ristorante menzionato da Tony in Infinity War, mentre parla al telefono con Pepper, secondo l’adattamento italiano.

[2] Stando alle fatture delle spedizioni mostrate in Iron Man, la sede delle Stark Industries si trova a Long Beach, California.

[3] Ho immaginato che Tony, avendo seriamente rischiato di morire trasportando il missile oltre il portale, avesse già iniziato a pensare, nei giorni successivi alla Battaglia di New York, alla creazione di armature comandate a distanza. È qualcosa che poi svilupperà a fondo nei mesi seguenti e che troverà la sua concreta realizzazione in Iron Man 3, tuttavia ritengo credibile che il suo gesto estremo lo abbia portato a riflettere fin da subito su come tutelarsi meglio in futuro.




Ciao a tutti! Eccomi con il terzo capitolo: si svolge alla fine di The Avengers, più precisamente subito prima del finale in cui Tony e Pepper osservano i progetti della nuova torre nell’attico della Stark Tower: si tratta di un vero e proprio continuum spazio-temporale.
 
Il punto di vista è di Pepper: ho trovato molto interessante analizzare cosa abbia significato per lei la Battaglia di New York e soffermarmi in particolare sulla sua inquietudine per ciò che è successo a Tony. Ho inoltre affrontato la questione “telefonata”: penso che molti, vedendo la scena del film, si siano chiesti quali possano essere stati i pensieri di Pepper nel momento in cui si è accorta della chiamata persa; ho provato a dare una risposta. Il suo punto di vista mi ha permesso, infine, di restituire l’immagine di un Tony apparentemente tranquillo, che sembra “aver superato lo scontro senza strascichi”: in realtà, come ben sappiamo, non è così.

A partire da questo capitolo, le cose iniziano a farsi più difficili: comincia infatti a manifestarsi la componente angst. L’inquietudine è un aspetto ricorrente nel percorso di crescita individuale che Tony e, di riflesso, Pepper si ritrovano ad affrontare e che troverà ampio spazio in alcuni dei prossimi capitoli. Prometto di non abusarne.

Per quanto riguarda il contesto, ho provato ad immaginare come sia nata l’idea della Stark Tower, che Tony nel film definisce “la creatura di Pepper”; ho cercato inoltre di trovare un senso logico agli spostamenti che ci vengono mostrati nella successione dei film: da Malibu a New York per poi tornare di nuovo a Malibu. Ho impiegato davvero molto tempo a tentare di ricostruire il tutto in maniera coerente, spero che funzioni.

Una piccola precisazione sulla hall della Stark Tower, per la quale mi sono presa una licenza poetica: ho scelto di rappresentarla parzialmente disastrata e non del tutto intatta e immacolata così come ci viene mostrata in Endgame perché trovo davvero inverosimile che non presenti alcun danno, nemmeno un vetro rotto, tanto per dire: la Stark Tower è l’epicentro della Battaglia, l’origine stessa del portale alieno. In diverse riprese ci viene mostrata ammaccata in più punti su tutta la lunghezza, in Homecoming la Grand Central Station, che si trova immediatamente davanti alla torre, è addirittura quasi distrutta: l’interno non è altro che un cumulo di detriti. Ho quindi ricreato un ambiente più disastrato, specchio della devastazione interiore che i nostri protagonisti provano in questo momento, cercando di adattare la mia descrizione al luogo che ci viene mostrato in Endgame.

Grazie a chi seguirà, recensirà e leggerà la mia storia: se mi farete sapere cosa ne pensate, mi renderete molto felice!
 
Iander




 
  
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