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Autore: arashinosora5927    17/04/2021    2 recensioni
Io prima di te, o più nel dettaglio il passato di Gokudera dalla nascita con particolare focus sul giorno in cui abbandona il castello, passando per il canon di Bakudan Bambino, esplorando i cinque anni che ha trascorso a vivere per strada prima che incontrasse Tsuna.
[accenni5927] [59 centric]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Bianchi, Hayato Gokudera, Tsunayoshi Sawada
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Hayato era abituato a stare attorno a Shamal, ciò nonostante quella sera quando bussò alla porta della sua stanza, che era di fatto un piccolo appartamento con tanto di spazio per tutto l'occorrente per svolgere la sua professione, si sentì in difficoltà.

Una parte di lui voleva sapere di più su Lavinia, un'altra aveva paura di chiedere.

Shamal aprì la porta, lo invitò a entrare, fece finta di non vedere gli occhi lucidi solo per non metterlo a disagio.

"Ci spariamo un film?" chiese cercando di alleggerire l'atmosfera.

"No, voglio che mi insegni a sparare, alle persone" rispose Hayato cupo.

Shamal diventò di ghiaccio guardò il bambino come se fosse impazzito e poi lo prese per le spalle.

"Da dove esce questa richiesta?" disse indispettito senza perdere all'apparenza il suo atteggiamento spavaldo perché Hayato sapeva come giocare con i punti deboli suo malgrado.

"Voglio diventare un assassino, uno di quelli indipendenti, proprio come te. Alfonso vuole che io prenda in mano la famiglia alla sua morte. Mai desiderato così tanto che qualcuno fosse immortale..." spiegò Hayato.

Shamal sospirò, si massaggiò la testa, rilassò le spalle.

"Va bene, posso insegnarti a sparare. Le pistole sono superate, ma non esiste assassino degno del titolo che non abbia una buona mira."

Hayato sorrise, pensava che da quella risposta sarebbe derivata una gioia immensa quindi non si spiegava davvero perché continuasse a sentirsi come se lo avessero svuotato e lui non fosse che un guscio. Poi si rese conto che stava ritardando un momento inevitabile in cui avrebbe chiesto ciò che voleva sapere nonostante temesse di scoppiare in lacrime solo per aver domandato.

"Alfonso ha detto che tu... che insomma... che tu... tu... conoscevi... La-Lavinia..." disse, come previsto il suo tono si incrinò fino a spezzarsi. Hayato strizzò gli occhi, strinse i pugni e lasciò andare le lacrime.

"Ah sì, certo. Eravamo vicini di casa quando avevo più o meno la tua età" rispose Shamal senza mostrare la minima emozione.

"Voglio... voglio che mi dici tutto ciò che sai su di lei. Lei... lei è... lei era... la mia amica...non le ho potuto dire addio e mi manca moltissimo..."

Shamal accennò un sorriso amaro lasciò che Hayato si sfogasse facendogli nascondere il viso contro il suo petto.

"Ti racconterò tutto ciò che vorrai sapere su Lavinia" disse.

Così attraverso le parole di Shamal Hayato la vide rinascere. Non riuscì a reperire molte informazioni sensibili se non alcune appena accennate come il fatto che fosse di origini giapponesi. Per il resto si parlò del suo colore preferito, il bianco, del cibo che amava di più al mondo, le trofie al pesto, di quando aveva iniziato a studiare pianoforte, tre anni, del fatto che era gravemente malata dall'età di quindici e il cielo le aveva già concesso più vita di quanta non promettesse di portarle via.

Dopo quella sera Hayato percepì una nuova connessione con Lavinia, una molto più forte che andava ben oltre l'affetto e l'intesa musicale.

"Se ne è andata senza soffrire almeno?" fu la sua ultima domanda, convenne con se stesso che onde evitare di mettere sale sulla ferita non avrebbe mai più parlato di Lavinia finché i punti di sutura non si fossero riassorbiti rimettendo insieme i pezzi del suo cuore.

"Non lo so, Hayato" mormorò Shamal.

"Non ho capito la dinamica dell'incidente, ma una cosa posso garantirtela: pochi giorni prima del tuo terzo compleanno ci siamo visti e lei mi ha detto che non è mai stata così felice in tutta la sua vita come lo era al tuo fianco."

Hayato sentì le lacrime graffiargli il viso, il cuore pesante improvvisamente si era rimesso insieme, sorrise senza opporre resistenza all'emozione.

"Si sentiva come me..." sussurrò a se stesso come se stesse confidando un segreto.


Hayato era arrivato per miracolo a compiere sette anni senza mai aver davvero assistito a una sparatoria, mai a un combattimento. Ne aveva solo sentito parlare, le aveva viste nei film e sapeva che succedevano molto vicino a lui, ma non vi aveva mai assistito.

Durante una di quelle maledettissime serate vide per la prima volta qualcuno sparare e poi divenne un insieme confuso di proiettili che rimbalzavano a destra e a manca.

Alfonso gli si parò davanti lo nascose dietro il suo mantello e con un sorriso, in totale contraddizione col fatto che non si rivolgevano la parola da due settimane, gli sussurrò cosa fare per portarsi in salvo.

In quel momento assistette a qualcosa di inimmaginabile: Bianca, vestita con una canotta aderente verde militare e dei jeans a vita bassa che lasciavano intravedere l'ombelico, si lanciò all'attacco dei uomini che avevano impugnato pistole e mitragliatrici.

Alfonso urlò e cercò di fermarla, non riuscì a muoversi preso completamente alla sprovvista.

Bianca aveva da poco iniziato il suo allenamento con un famoso nome nel mondo della mafia, un nome che Hayato non si era premurato di appuntarsi e che di certo non si sarebbe ricordato in un momento simile.

Osservò sua sorella far roteare per aria della pasta per pizza dal colore violaceo, lo vide diventare talmente sottile da essere più affilata di un bisturi. Respinse il conato di vomito che era nato a quella vista e osservò il movimento rotatorio squarciare uno dei preziosi quadri appesi al muro.

"Poison cooking" urlò Bianca e lanciò quella pasta per pizza contro un gruppo di uomini che in un attimo cessarono di parlare. Preparò immediatamente un'altra porzione e stavolta la utilizzò come se fosse una smerigliatrice. Di quei mafiosi rimanevano solo pezzi di carne staccati tra loro con abbondante sangue che cercava di ricollegarli.

Bianca non aveva fatto tutto da sola, gli uomini più fidati di Alfonso si erano subito messi all'opera, ma tutti concordavano nell'affermare che Bianca aveva fatto la differenza.

Alfonso si congratulò, cerco di evitare di guardare troppo la carneficina che c'era stata. Hayato si era istintivamente rifuggiato sotto il pianoforte credendo che lo avrebbe protetto, il mantello di Alfonso aveva coperto in parte la sua visuale fino a quel momento.

Hayato dovette mettersi una mano sulla bocca per non vomitare all'istante davanti a quell'atroce spettacolo e si domandò perché sua sorella a soli dieci anni invece sfilasse tra i pezzi di carne con un portamento regale, imperturbabile.

"Padre, avete visto?! Li ho uccisi tutti, li ho uccisi subito!" esultò Bianca come se stesse parlando di aver comprato la bambola più bella nel negozio.

"Sei tagliata per questo mondo, Alessandra" convenne Alfonso stringendole la mano.

Hayato guardò la scena inorridito, i membri della sua famiglia avevano qualche rotella mancante, non c'era altra spiegazione.

"Padre, ho scoperto che ho il potere di avvelenare qualsiasi cosa io cucini. Non è grandioso?" proseguì Bianca confermando ciò che Hayato aveva iniziato a pensare da un po'.

"Grandioso, tesoro. Sei l'orgoglio della famiglia."

Bianca spiegò poi che lei poteva mangiare ciò che cucinava e che lo trovava delizioso, inoltre raccontò di essere convinta che quando cucinava con amore il veleno non aveva effetto e il cibo era del tutto normale.

"Con un potere simile il mondo intero tremerà solo a sentire il mio nome" disse Bianca fieramente.

Nessuno osò opporsi e tutti i presenti si inginocchiarono riconoscendo la superiorità della bambina.

Hayato era confuso, rientrando nella sua stanza si domandava se non si fosse perso qualche particolare per strada tipo che essere un assassino significava veramente uccidere le persone.

Non gli piaceva l'idea, almeno non così. Era vero che Bianca li aveva protetti da una minaccia, ma che bisogno c'era di sbudellarli? Hayato dovette di nuovo coprire la bocca per scacciare il senso di rigetto al solo pensiero.


Qualche mese più tardi Hayato spense nuovamente le candeline e gli parve di non essere mai stato più stanco. Era tutto confuso attorno a lui e anche dentro.

Bianca diventava più pericolosa ogni giorno che passava mentre Hayato si interrogava su come diventare un assassino senza uccidere le persone. Non aveva senso, ma gli sembrava sbagliato.

Divenne chiaro che in quel mondo era solo una gara a chi uccide prima l'altro quando venne a sapere che alcuni uomini di suo padre erano stati messi fuori combattimento da una famiglia nemica di cui ovviamente non gli era dato sapere il nome perché come al solito non gli dicevano mai un cazzo.

Una nota positiva però c'era: Shamal aveva iniziato ad allenarlo offrendosi come suo mentore. Nel giro di un anno gli aveva insegnato a sparare, a picchiare, a riconoscere tutti i veleni conosciuti alla sola presenza nell'aria e a piegare la carta per fare degli aereoplanini. Su quest'ultimo punto Hayato doveva ammettere di sentirsi confuso, ma, un po' come aveva visto in Karate Kid, sperava in un risvolto emozionante.

Hayato era affacciato all'ampio balcone della sua stanza, teneva tra le mani tre origamk di un aeroplano, Shamal al suo fianco aveva lo sguardo perso verso l'orizzonte.

"Hey, Dottor Shamal" mugolò.

"Questi giochetti per bambini sono noiosi" sbuffò, appoggiò ambo le braccia sul davanzale in marmo e si inserì il mento nascondendo così la bocca alla visuale.

Ci aveva pensato a lungo e alla fine era giunto alla conclusione che l'unico modo per uccidere le persone senza provare sensi di colpa era proprio quello di Shamal.

"Insegnami la tecnica del Trident Mosquito" insistette.

Shamal sospirò, si appoggiò a propria volta con la schiena al parapetto.

"Santo cielo, che ragazzino problematico. Prima copi il mio taglio di capelli e adesso mi vuoi fregare anche la tecnica per uccidere" disse.

Hayato annuì senza vergogna e stava per ribattere quando vide Shamal estrarre da chissà dove tre candelotti di dinamite.

"Sarebbe meglio se usassi queste" disse fieramente.

Hayato sobbalzò, studiò per un istante gli oggetti tra le mani di Shamal.

"Bombe?" domandò perplesso, saltò seduto sul bordo del parapetto e fece dondolare le gambe dal lato del pavimento.

"Il nemico scapperà prima ancora che io possa accenderle. Sono troppo lente!" protestò.

Shamal scosse la testa, guardò verso il cielo come se stesse ricercando qualcosa.

"Cristo, i bambini proprio non capiscono quanto virile possa essere un attacco di supporto a medio raggio. Ora ti faccio vedere quanto sono lente..." disse sottolineando in maniera ironica l'ultima parola.

Hayato lo guardò incuriosito, ma anche spaesato. Cosa poteva esserci di tanto figo in un'arma simile?

"Lancia quegli aeroplanini, dai a ognuno una direzione diversa. Li colpirò tutti insieme prima che tu possa vederli prendere la traiettoria data" disse Shamal, il suo tono era carico di convinzione.

Tra le varie materie che aveva studiato Hayato c'era anche la fisica e questo lo portò a tramutare l'espressione spaesata in una scettica e carica di fastidio.

"È impossibile" stabilì.

Shamal si voltò verso il davanzale, osservò per un istante la campagna dei Bianchi che si estendeva per troppi ettari e poi rivolse lo sguardo ad Hayato.

"Guardami" disse prima di fare un occhiolino.

Hayato la prese come una sfida, mise un piede sul parapetto per darsi più slancio e fece del suo meglio perché fossero tutti lontani e in posizioni diametralmente opposte.

Shamal sorrise, mosse una mano davanti alla propria faccia e in un attimo Hayato sentì tre esplosioni alternate da frazioni di secondo di silenzio.

Guardò verso il basso e vide che gli aeroplani erano stati carbonizzati, i suoi occhi brillarono intensamente e la speranza risvegliò il suo cuore riempiendolo nuovamente.

"P-Pazzesco..." mormorò cercando di mantenersi la mandibola.

"Non sottovalutare le armi che permettono attacchi a distanza, Hayato. Sono perfette quando non vuoi sporcarti le mani. Puoi programmarle come trappole e andartene prima di poter sentire le urla del tuo nemico. Moriranno senza sapere che cosa li ha colpiti."

Hayato sorrise come non aveva mai fatto prima, il suo cuore batteva così forte, ma non per sofferenza, non per paura, per quell'entusiasmo che era morto tempo addietro.

"Come hai fatto? Insegnami!" disse Hayato saltellandogli intorno, per un attimo sentì davvero di essere solo un bambino di sette anni.

"Non posso insegnartelo, in questo mondo sopravvive solo chi trova da sé le risposte, ma per il momento posso spiegarti come funzionano gli attacchi a distanza" disse Shamal con un sorriso fiero.


Nonostante Hayato avesse manifestato altre intenzioni Alfonso insistette perché iniziasse la sua formazione da boss quindi gli vennero date nozioni giuridiche e approfondimenti circa il codice della mafia.

Ogni informazione reperita la usò a suo vantaggio per diventare più simile a quell'assassino che vedeva nei propri sogni e le sera nelle costellazioni, guardando il cielo stellato, così luminoso a differenza della sua vita.

Un giorno decise di sperimentare lanciando la dinamite contro i figli delle balie che giocavano in giardino. Sentì l'esplosione e si fece una grossa risata finché alle sue orecchie non arrivarono dei lamenti disperati.

Con orrore vide Andrea a terra e andò immediatamente a soccorrerlo. Quello fu il momento in cui si rese conto davvero che la dinamite non era come quei piccoli petardi che aveva imparato a costruire e che poteva fare veramente male.

"Perdonami, perdonami. Era uno scherzo, volevo solo giocare" mormorò con le lacrime agli occhi, aiutò Andrea ad alzarsi mentre le mani gli tremavano.

Pensare che aveva scelto dei candelotti piccolissimi, proprio per evitare che succedessero cose come quelle eppure Andrea, il figlio di Diana aveva perso due dita alla mano destra.

Hayato strappò un pezzo della sua camicia e lo usò come fascia per fermare l'emorragia e chiamò disperatamente aiuto mentre gli altri bambini assistevano inorriditi.

Diana si precipitò lì dove aveva sentito le voci dei suoi due bambini e quasi perse i sensi davanti a quella scena. Andrea era talmente sotto shock da non riuscire a dire una sola parola.

L'ambulanza arrivò solo mezz'ora dopo.

I bambini parlarono forte e chiaro, dicendogli le peggiori cattiverie lo accusarono di aver provato a uccidere Andrea.

Diana dovette chiederlo a sera tardi quando rientrò dall'ospedale con la consapevolezza che suo figlio non avrebbe mai più potuto scrivere normalmente con quella mano.

"Hayato, sei davvero stato tu?"

E Hayato dovette ammetterlo e rompere con l'unica persona che per lui c'era sempre stata.

"È stato un incidente, volevo solo giocare" cercò di spiegare disperatamente, ma Diana era ormai irraggiungibile.

Hayato cadde sulle ginocchia e la guardò mentre usciva per sempre dalla sua vita, strinse la testa tra le mani e si odiò per essere stato così stupido.


Gli fu affidata una nuova balia, Elisa, una delle più giovani al castello ed ex di Shamal, non che contasse qualcosa visto che il dottore cambiava fidanzata come cambiava le mutande. Hayato aveva scoperto di essere stato preso per il culo alla grande solo quando facendo due calcoli era arrivato alla conclusione che Shamal non potesse avere più di 62 sorelle.

Elisa era molto dolce, forse anche troppo, eccessivamente fisica per un bambino abituato alla negazione affettiva.

Gli ci volle quasi un anno intero per abituarsi a quella nuova dinamica nella sua vita anche perché Elisa a differenza di Diana gli dava sempre ragione, cosa che onestamente Hayato non sopportava.

Si odiava, era furioso e questo lo spinse a chiedere a Daniele di accompagnarlo in città a comprare dei giocattoli nuovi.

Approfittando dell'istante in cui Daniele si era distratto per parlare con la cassiera del negozio Hayato uscì e si perse per i vicoli. Era alla ricerca di qualche stronzo da fare saltare in aria, qualcuno con cui vendicare ciò che aveva fatto ad Andrea.

Trovò pane per i suoi denti davanti a una baby-gang radunata sotto un porticato. I ragazzini poco più grandi di lui lo attaccarono immediatamente solo per averlo visto nel loro territorio. Uno di loro gli sputò in faccia chiamandolo "damerino" cosa che fece scattare Hayato.

Ovviamente aveva portato la dinamite con sé e non perse un solo istante a lanciarla. La sua mira faceva ancora pena per questo colpì solo uno del gruppo, gli altri gli diedero addosso e non lo conciarono per le feste solo perché Shamal gli aveva insegnato a difendersi e dare dei ganci ben assestati.

Uscì dolorante e pieno di lividi ripercorrendo la strada all'indietro, Daniele pregò tutti i santi conosciuti quando lo vide tornare affinché Alfonso non lo decapitasse.

Hayato fu portato in ospedale, clinica privata ovviamente. La prognosi: un braccio rotto che sarebbe guarito grazie a un mese di assoluto riposo.

Un'infermiera molto gentile gli mise il gesso e una fasciatura morbida che girava dietro le spalle per mantenere il braccio in posizione.

Hayato rientrò alla villa trionfale e fieramente si presentò da Shamal il quale stava seduto su uno dei divanetti rossi del salottino secondario a leggere il giornale.

"Dottor Shamal!" disse spavaldo.

"Guarda come mi sono ridotto? Figo, vero?"

Shamal storse il naso, abbassò il giornale stava per parlare, ma venne interrotto.

"Sono corso verso di loro con le bombe e se la sono fatta addosso."

Shamal sgranò gli occhi, non voleva credere alle sue orecchie.

"E quella roba?" domandò mostrandosi impassibile rivolgendo lo sguardo al gesso.

"Ah questa? È una valorosa ferita di guerra."

Shamal si alzò con un gesto secco, mosse una mano come se volesse scacciare una mosca fastidiosa e si allontanò senza nemmeno rivolgergli uno sguardo.

"Mi dimetto dalla posizione di tuo mentore. Non posso insegnare niente a uno che ragiona in questo modo" disse.

"Shamal?" domandò Hayato confuso, poi urlò il suo nome, poi lo sussurrò soltanto come se fosse una preghiera.

Guardò Shamal finché non divenne un puntino indistinguibile esattamente come neanche un mese prima aveva fatto con Diana.

Non aveva neanche più la forza di piangere, i suoi occhi ritraevano solo lo stupore e la delusione.

Doveva abituarsi perché era solo al mondo e non ci sarebbe mai stato nessuno per lui. Forse era nato sotto la stella sbagliata o forse semplicemente apparteneva a un altro pianeta per questo nessuno sembrava mai capirlo pienamente.

Le persone non duravano molto nella sua vita, così era stato con Lavinia, poi con Bianca, con Diana e infine anche Shamal lo abbandonava, perché Hayato ne era sicuro non sarebbe mai più tornato
   
 
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