Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: lone_wolf_08    17/04/2021    1 recensioni
Una New York distopica divisa a metà: una zona ricca e una povera. Due realtà opposte destinate ad incontrarsi come due rette perpendicolari.
Una barriera tra due mondi completamente diversi. Due cuori che battono all'unisono.
Storie d'amore ed amicizia in stile Steampunk.
(Stony)
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, James ’Bucky’ Barnes, James ’Rhodey’ Rhodes/War Machine, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo III


POV: Città Bassa



Finalmente, la sirena che segnava la fine della giornata di lavoro, suonò. Steve uscì dalla fabbrica ritirando la paga e si diresse alla bottega di Wilson.

“Ecco il tuo pane Steve” lo accolse sulla soglia l’amico Sam.

Sam era un simpatico bambino di colore, più piccolo del biondo di tre anni. Aveva gli occhi ridenti e lo sguardo vivace. Sempre allegro e con la battuta pronta, stravedeva per Rogers.

“Ehi Sam!” Steve era contento di rivederlo dopo. Era un pò che non uscivano, un pò a causa del malessere del minore e un pò per il lavoro, che occupava gran parte delle loro giornate. “Passata la febbre?”,

“Sto benissimo. Quando andiamo a giocare io, te e Bucky?”.

Steve si accigliò “A Buck hanno cambiato gli orari, ora fa i turni di notte ed è impegnato quando noi saremmo liberi”.

Il sorriso di Sam si spense “Oh…”.

Steve gli diede una pacca sulla spalla “Però noi due possiamo uscire no? Magari anche con Clint, sempre che non abbia spettacoli da dare”.

Sam si riaccese “Certo! Domani quando finisco le consegne! Il ritrovo qua fuori dalla bottega di mio padre. Scusa, ora devo correre a portare in giro altro pane. Mi chiamano, ciao ciao a domani!” disse correndo in bottega, col suo caratteristico entusiasmo.

Steve infilò il cartoccio del pane nello zainetto e si incamminò verso casa pensando al migliore amico. Si chiese quando avrebbe potuto vederlo di nuovo. Non si poteva transigere sugli orari che i datori di lavoro assegnavano. Probabilmente non si sarebbero visti finché non sarebbero sopraggiunti altri ordini a colmare le loro speranze. Prese un sasso da terra e lo lanciò con rabbia contro il muro di una casa abbandonata. Steve sentiva le narici impregnate di rabbia, una nube sulla sua testa che aleggiava avvelenandogli i pensieri. Non era giusto. Niente di ciò che accadeva in quel posto era giusto. Si chiese cosa avesse fatto di male per nascere lì.

Continuò a vagare nei meandri delle sue domande, camminando a testa bassa e calcando la polvere che il vento secco di stagione gli mandava negli occhi accecandolo. Poco gli importava, tanto era preso dai suoi tormenti interni. Ad un tratto si accorse di aver sbagliato strada, i pensieri l’avevano portato in un vicolo mai visto prima. Si guardò attorno. Il muro alto, sormontato da fili elettrici, gli fece dedurre di trovarsi sul confine con la Città Alta. Quello era il “separatore di mondi”. Da una parte la vita perfetta che sognava per lui e i suoi cari, dall’altra quella che poteva permettersi.

Passo malinconicamente la mano su quella superficie inscalfibile e nel mentre fantasticò su quale sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto se fosse riuscito a passare dall’altra parte. Sicuramente sarebbe andato a quel negozio di biciclette e ne avrebbe presa una per sé e una per Buck. Interruppe i suoi pensieri quando la sua mano tastò un dislivello nel muro. Osservò con attenzione e scopri trattarsi di un crepo, sottile ma alto quanto lui. Finora non aveva mai visto brecce di alcun tipo su quella superficie infernale ed era arrivato a pensare che non si potesse minimamente frantumare. Un sacco di domande gli affollarono la testa. Che qualcuno stesse cercando di scappare? Da quanto era lì quel crepo? Chi mai era stato a farlo?

La sirena di fine lavoro degli adulti informò Steve che erano ormai le sette di sera e che sua madre stava tornando a casa.

Corse con il sacchetto del pane nello zaino ma poco prima di arrivare a destinazione sentì la voce di sua madre e quella di un’altra donna. Il ragazzino si bloccò dov’era, raramente vedeva sua madre socializzare al ritorno dal turno. Sapeva che il più delle volte era talmente stanca che persino parlare con lui a cena era faticoso, eppure Sarah non rinunciava mai a scambiare quattro chiacchiere col figlio che tanto amava. Steve non si fece vedere per paura di rovinare la conversazione e per lasciare a sua madre i suoi spazi. “Sarah non puoi continuare così, ti stai consumando lentamente”. Riconobbe la voce di Winifred, la madre di Bucky. Era la migliore amica di sua madre, e lavorava con lei alla fabbrica di tessuti. Ma di che stavano parlando? Steve affilò l’udito, cercando di eliminare tutti gli altri suoni attorno a lui e concentrandosi sulle voci delle due donne.

“Win, non preoccuparti sono ancora capace di badare a me e a Steve”.

La pausa seguente fece pensare al ragazzo che Winifred stesse parlando con le espressioni del viso, ma lui non poteva sporgersi dal vicolo o l’avrebbero visto.

“Lui lo sa?”.

“Certo che no Win, come potrei dirgli una cosa simile? Non è che un bambino”.

Steve strinse i pugni. Lui non era affatto un bambino, ma capì che sua madre lo disse con amore e non con cattiveria, perciò li rilassò subito dopo.

“Ti prego Sarah, lascia che ti aiuti. Per me non sarà affatto un problema ospitarvi a casa nostra, ora che George è in guerra avremmo anche più posto da permetterci due persone in più. In più, credo che i ragazzi ne sarebbero entusiasti”.

“Ma le regole...”,

“Oh, fanculo le regole!” Winifred la interruppe con enfasi. “Ascolta, promettimi almeno che penserai a questa offerta… Se non vuoi farlo per te almeno fallo per me, voglio passare con la mia migliore amica più tempo che posso”.

Le ultime parole avevano un tono tremante e Steve capì che la donna stava per piangere.

Poi sentì di nuovo sua madre “Te lo prometto”.

Steve immaginò si stessero abbracciando e poco dopo le sentì salutarsi.

La voce di Winifred era ormai lontana quando la senti dire “A domani cara”.

Aspettò che sua madre salisse nell’appartamento per non destare sospetti e nel frattempo pensò a quanto aveva sentito. Sua madre gli stava nascondendo qualcosa, e non aveva intenzione di dirglielo perché lo riteneva troppo piccolo. Le avrebbe fatto capire che era cresciuto, che sapeva reggere cose da adulti e che di qualunque cosa si trattasse lui le sarebbe rimasto a fianco, come aveva sempre fatto. Non sopportava che portasse un peso così grande senza poterlo condividere; di certo le avrebbe reso il tutto più leggero.

La cena fu più silenziosa del solito. Steve aveva lo sguardo fisso nel piatto e pensava a come avrebbe potuto tirare fuori la questione. Sarah si accorse che qualcosa non andava “Che succede Steve?”.

Steve, che era sempre stato un bambino sincero, non seppe mentire o nascondere le preoccupazioni, nemmeno le domande che lo tormentavano. “Potrei farti la stessa domanda, mamma”.

Sarah lo guardò, fingendo di non capire. Cominciò a sparecchiare facendo finta di niente “Di che stai parlando tesoro?”.

“Non fingere ti prego, ti ho sentito parlare con Winifred”.

Sarah, con le spalle voltate, poggiò il piatto vuoto nel lavabo, chinando il capo.

Steve mutò il tono da accusatorio a preoccupato “Non escludermi da ciò che ti succede solo perché mi ritieni troppo piccolo per sopportarlo. Sono cresciuto anche troppo e so reggere certe cose”.

Sarah si girò, aveva gli occhi rossi. “Dici così perché non sai di che si tratta”.

Steve non la vedeva così da quando con loro c’era ancora Robert, e cominciò a preoccuparsi seriamente. Una morsa cominciò a stringergli il petto quando la sua mente pensò che forse l’uomo potesse essere, in qualche modo, tornato nelle loro vite.

“Mettimi alla prova” disse sicuro, alzandosi dalla sedia con fierezza.

Sarah lo guardò e vide il coraggio e la risolutezza di uomo, chiusi in un corpo gracile di un bambino di quasi undici anni. Si inginocchiò di fronte al biondo, stringendogli le spalle con le mani e, guardandolo dritto negli occhi, disse quelle tre parole. Tre parole che Steve, ancora non sapeva, l’avrebbero tormentato per anni. “Tesoro… Ho un tumore”.

Steve non sapeva cosa fosse un tumore, non aveva ancora sentito quella parola, eppure non gli serviva capire cos’era per comprendere che si trattava di una cosa orribile. Non rispose, era rimasto spiazzato dallo sguardo di sua madre. Aveva capito, aveva letto la morte nei suoi occhi e non serviva chiederle di specificare. Tenne fisso lo sguardo tanto da sembrare paralizzato. Lo era. Era paralizzato, terrorizzato. Il cuore gli pompava a mille e il fiato gli mancava. Sarah lo strinse in un abbraccio soffocante e cominciò a piangere.

Steve si scosse e l’abbracciò di rimando. “Tu guarirai, te lo prometto. Ci penserò io a tutto, tu devi riposare”.

Le parole del bambino non fecero che aumentare il pianto della donna. Dopo qualche minuto, si staccarono e Sarah si asciugò le lacrime.

“Ora penserai a quanto sia debole, io piango e tu mi consoli...”.

“Non pensarlo nemmeno, e non pensare che ti lascerò lavorare tutto il giorno come fai ora”.

La donna gli sorrise amorevole e gli accarezzò una guancia “Come sei cresciuto Steven caro”.

***

Quella notte Steve non dormì, né pianse, né soffocò le grida nel cuscino. Fissò immobile le travi di legno del soffitto, mangiate dal tempo. La mente vuota, piena solo delle scarse parole ricolme di significato che aveva scambiato qualche ore prima con sua madre. Non provava nulla, solo un terribile silenzio interiore. Era come se il suo cuore si fosse fermato. Non l’avrebbe mai ritenuto possibile se ci avesse pensato durante quelle corse forsennate con Bucky. Com’era possibile che non sentisse nulla? Si chiese se fosse normale, se fosse umano. La morte lo era sicuramente. Era ciò che di più vero e imparziale esisteva a quel mondo, e stava per segnare la sua vita e quella di sua madre. Una voce dentro di lui lo prese a schiaffi. No, non l’avrebbe permesso. Sua madre avrebbe vissuto e sarebbe morta di vecchiaia, nella Città Alta, era così che Steve si era sempre immaginato il futuro. Forse proprio per questo non si stava disperando, non credeva che quel male potesse abbattersi sulla sua famiglia e rovinarla. Il suo animo non era pronto per essere sconfitto, avrebbe lottato fino alla fine. Non si era ancora arreso, e non l’avrebbe mai fatto.




Nota dell'autrice:


Hello there!
Non mi sono dilungata troppo nell’aspetto introspettivo di Steve perché ci sarebbe stato da scrivere davvero tanto, troppo. A volte in queste situazioni non sapresti scrivere nulla, tanto ti senti vuoto dentro. Ok dai saltando questa mia riflessione spero che la storia stia continuando a piacervi😊
Nel caso fatemelo sapere nei commenti!

Alla prossima!

Kia

   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: lone_wolf_08