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Autore: alga francoise14    18/04/2021    12 recensioni
Perché ogni anima, anche la più nobile, nasconde un lato oscuro...
Genere: Avventura, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Requiem
 
La bruma del primo mattino velava il Bois de Boulogne, indugiando bassa tra gli alberi e il sottobosco, quando una carrozza senza insegne si fermò in una radura circondata da betulle, il cui fusto chiaro e sottile quasi spariva nella nebbia. Augustin de Jarjayes, preceduto da suo figlio e seguito dal dottor Lassonne e da un gentiluomo smunto dall'aria compita, ne discese, col volto cupo e l'animo angustiato.  
Preso da mille pensieri e da quell'ansia che immancabilmente accompagna l'attesa di un giorno importante, aveva dormito poco e male, contrariamente a Jean, che invece, per quanto ne avrebbe avuto più motivi, appariva sereno e riposato, con lo sguardo tranquillo e il viso che non manifestava la minima tensione. Ancora una volta lo osservò cercando qualcosa che tradisse un minimo turbamento, un’emozione, ma nulla... Suo figlio era più che tranquillo: era indifferente, di quell’indifferenza che nasce dalla più completa sicurezza. Augustin si ripeté che non c'era nulla di strano in quell'atteggiamento, ma, inesorabili come una mannaia, ancora una volta, le parole di Girodelle si abbatterono sulle proprie rassicurazioni. Era dalla sera prima che non riusciva a smettere di pensarci, esattamente da quando aveva lasciato casa di Jean dopo essersi recato da lui per comunicargli i dettagli del duello stabiliti col secondo del Visconte. Al suo arrivo lo aveva trovato intento al tavolo da gioco con uno sconosciuto gentiluomo che gli era stato presentato come il cavaliere d’Arvieux. Il Generale, dopo essere stato messo al corrente che il Cavaliere era il testimone scelto da Jean per l’indomani[1], aveva fatto notare, non senza fastidio, che circostanze come quella che si accingeva ad affrontare richiedevano riposo e concentrazione, cose che poco si accordavano con una serata trascorsa al tavolo da gioco. Jean non gli aveva risposto subito, ma lo aveva fissato per un momento durante il quale al Generale era parso di scorgere nei suoi occhi un che di beffardo. Era stata tuttavia un’impressione fugace quanto un lampo, tanto che quando suo figlio, increspando le labbra in un sorriso affettuoso, aveva risposto che quell’unica partita estorta al suo recalcitrante ospite, era stata solo un mezzo per ingannare l’attesa, l’aveva già dimenticato.
"Figliolo, ho accolto il mandato che hai voluto darmi e formalizzato un duello a oltranza[2] così come mi hai chiesto. All’alba di domani il Bois de Boulogne vedrà il sorgere di un giorno che potrebbe vedere scorrere il tuo ultimo sangue, se non lo affronti con il dovuto rispetto” spiegò il Generale con tono grave.
 ”Non avete di che preoccuparvi” rispose Jean ora serio “Non sono uno sconsiderato né tantomeno uno sciocco. Tranquillizzatevi dunque, perché la mia non è incoscienza, ma piena e semplice consapevolezza di chi io veramente sia”.
Augustin lo aveva allora guardato perplesso, non capendo appieno cosa volesse intendere, al che Jean si era voltato per riempire due bicchieri di quel liquore che si faceva arrivare dalla sua terra d'origine e che tanto apprezzava, e porgendogliene uno aveva aggiunto con fierezza "Sono vostro figlio, e credo sinceramente che questo la dica già lunga. E tuttavia se non doveste ritenerlo un motivo sufficiente, sappiate che ho smesso da tempo di guardare in faccia la paura, preferendo vederla negli occhi di chi si mette sulla mia strada".
Quelle parole pronunciate con tanta convinzione, avevano riempito il Generale di orgoglio e gli erano parse una spiegazione più che sufficiente, ma quando sulla via di casa, vi era tornato col pensiero, si era reso conto che in un certo qual modo quel che Jean aveva detto non aveva senso. Abituato a incutere paura… Perché mai, si era chiesto. Seppure si fosse riferito ai giorni più turbolenti trascorsi sulla plancia della sua nave e al piglio duro che deve giustamente avere un capitano col proprio equipaggio, sarebbe stato più ovvio parlare di rispetto che di paura; tanto più considerando che era stato al comando di un mercantile e non di una nave da guerra. E come poteva poi essere tanto certo di battere un uomo d'arme qual era il colonnello Girodelle, se quella determinazione cui aveva alluso ricordandogli di essere suo figlio, non era stata sufficiente a fargli battere lui quando si erano affrontati, anche se per gioco o allenamento?
La risposta a quelle domande erano il nocciolo della sua preoccupazione sull'esito del duello e della sua perplessità sull'atteggiamento del figlio.
Egli sapeva bene che Jean era un'ottima lama, potente e veloce, del resto lo aveva constatato più volte nel corso dei loro incontri, durante i quali spesso aveva dovuto prestare la massima attenzione per non finire battuto. Tuttavia proprio in virtù di quei duelli, egli sapeva che Jean aveva pericolose pecche. Colmarle era stato, infatti, il motivo principale per cui dopo il loro primo incontro[3]  Jean gli aveva chiesto di potersi misurare ancora, così da riuscire a sanare le sue carenze grazie all'esercizio assiduo e ai consigli di un uomo considerato tra le migliori lame di Francia. Egli ovviamente aveva accolto con piacere quella richiesta, da allora si erano battuti svariate volte e lo stile e la precisione di Jean erano molto migliorati. Tuttavia quegli incontri ancora non avevano dato tutti i propri frutti: egli era ancora imbattuto e suo figlio finiva ancora immancabilmente per perdere il controllo.
Alla luce di tutto ciò era dunque quantomeno strana, se non incomprensibile, tanta sicurezza, specie in considerazione del fatto che Jean ben sapeva che il suo avversario nella spada aveva il proprio mestiere e che a una nota abilità, univa l'esperienza di una pratica costante.
Quindi come poteva... Era stato allora che le parole di Girodelle avevano iniziato a insinuarsi striscianti come serpi nei suoi pensieri.
Non avete la minima idea di chi sia davvero costui! Aprite gli occhi...
E se fosse stato vero?  Se davvero Jean fosse il manipolatore che Victor lo aveva accusato di essere?  Una parola in particolare, era stata per Jean il colmo della misura, una parola precisa, insolita, non casuale, una parola specifica: Filibustiere...
Possibile? E se fosse stato quello il motivo del suo atteggiamento e di quel suo cadere improvvisamente in fallo da una posizione di vantaggio durante i loro duelli? Più volte gli erano parse strane quelle brusche perdite di controllo che aveva attribuito all’avventatezza di suo figlio e non certo a una scaltra dissimulazione… Possibile che... che... No! No! Certo che no!
Eppure, suo malgrado non riusciva a smettere di pensarci.
Il seme del sospetto aveva ormai iniziato a vegetare e nonostante si sforzasse di contrastarlo, cresceva, e la sua ombra scura allungandosi faceva vacillare le sue certezze.
"Buongiorno, Signori" esordì in quel momento Jean raggiungendo Girodelle che, arrivato poco prima, lo attendeva impaziente, e rivolgendo il suo saluto, secondo l’uso, unicamente ai secondi[4].
“Buongiorno a voi” rispose allo stesso modo Victor.
Senza indugiare in convenevoli, i due secondi esaminarono rapidamente il terreno, stabilirono il campo di azione, tirarono a sorte i posti e confrontarono le armi per assicurarsi che le lame avessero l’identica lunghezza e il medesimo peso. Nel compiere queste operazioni il Generale avvertiva una strana sensazione di disagio, come se in quel che stava accadendo ci fosse qualcosa di sbagliato. Non era il duello in sé, anzi, egli era talmente convinto che per un uomo degno di questo nome non ci fosse modo migliore per aver soddisfazione nelle questioni d’onore, da ritenere addirittura lecito, per non dire doveroso, ignorare gli editti regi che avevano vietato questo genere di risoluzioni. Era piuttosto qualcosa legato a quella specifica situazione, qualcosa d’indefinito eppure profondo, che lo faceva sentire inspiegabilmente fuori posto o forse… dal lato sbagliato. Quel pensiero improvviso lo colpì come uno schiaffo: come poteva pensare una cosa del genere! Soffocando con stizza quell’idea assurda si avvicinò a Jean, che intanto si era sfilato la giacca e parlottava con il suo testimone.
“Siete pronto?" domandò porgendogli il guanto da cui pendeva una fettuccia che avrebbe dovuto legare all’elsa della spada, in modo da non restare disarmato in caso di urto[5].
Jean annuì. “Certo” rispose rivolgendo lo sguardo a Girodelle che poco più in là era intento nella medesima operazione “Sarà una cosa breve” aggiunse quindi a voce abbastanza alta perché il Visconte potesse sentirlo “Stamane non ho fatto colazione ed ho una certa premura di mettere qualcosa sotto i denti…”
“Jean vi prego!” esclamò il Generale urtato da quella presuntuosa spavalderia. “Sta per essere versato del sangue e merita rispetto, certe provocazioni sono fuori luogo” lo ammonì “e non dimenticate che quel sangue potrebbe essere il vostro…” sottolineò abbassando il tono, mentre finiva di legargli la spada al polso.
Tuttavia Jean sembrava non essere incline a sorbire ramanzine né tanto meno a prestare ascolto a moniti. “Ne dubito” rispose secco e con un certo fastidio “e comunque di sicuro ricorderete che mi è stato fatto notare che mi comporto come uno squalo, è dunque comprensibile che l’odore del sangue mi metta appetito...” concluse sarcastico rivolgendo al suo avversario uno sguardo tagliente quanto la lama che si apprestava a impugnare.
“Generale, perdete il vostro tempo a richiedere il rispetto delle regole dell’onore a chi dell’onore non ha neanche il concetto“ intervenne Victor “Quanto a voi Grammont, ogni parola che ho detto l’altra sera continuo a pensarla oggi e la ribadisco con ancor più forza in questo momento” aggiunse restituendo a Jean lo stesso sguardo “Bando alle chiacchiere, dunque, e preparatevi a tornare nell’abisso cui appartenete!”
Quasi strappando dalle mani del suo testimone la spada che questi attendeva di porgergli, Jean scartò il Generale e si portò innanzi a Girodelle. “Fatevi avanti” ringhiò con rabbia e i due avrebbero iniziato in quel momento stesso il loro scontro se il marchese de Tondou, secondo del Visconte, non si fosse frapposto tra loro.
“Conte di Grammont calmate il vostro impeto, un duello ha delle regole!” protestò vivacemente "Jarjayes, vi prego…”
“Sì, certo…” rispose il Generale facendosi appresso a Jean “Calmatevi, Signore” lo ammonì “tra non molto avrete la vostra soddisfazione, ma prima come da regola e come convenuto ripeterò a entrambi le regole e le condizioni stabilite, e vi impegnerete sul vostro onore a rispettarle”.
Jean sospirò, strinse la mascella e annuì. Entrambi i duellanti si portarono al centro del terreno di sfida, con la spada in pugno, ponendosi a pochi metri l’uno dall’altro. Mentre si fissavano negli occhi, nessuno dei due prestò molta attenzione alle parole che il Generale andava pronunciando, le regole del duello erano a entrambi note: non parare le stoccate con la mano sinistra, non afferrare il braccio o il corpo dell’avversario… tutte superficialità, in fondo, perché l’unica cosa che davvero contava era che uno dei due non ne sarebbe uscito vivo.
Quando ebbe finito di parlare il Generale si voltò verso Jean per l’ultimo degli assolvimenti di rito: scoprire il petto per mostrare, così come avrebbe fatto Girodelle, di non portate oggetti che potessero attutire il colpo di spada o spezzarne la punta.
Mentre le mani del padre gli aprivano la camicia, Jean sorrise a se stesso pensando quanta ipocrisia ci fosse in tutta quell’etichetta cerimoniale, costruita per edulcorare agli occhi della società civile la sostanza delle cose: ferire o uccidere un uomo per orgoglio o per vendetta. Come se trapassare il petto a qualcuno in un duello regolato fosse più gentile e onorato che l’infilzarlo in un corpo a corpo senza esclusione di colpi, che sciocchezza… Aveva ucciso abbastanza uomini da sapere che chi riceveva una lama nel cuore e si vedeva soccombere immerso nel proprio sangue, provava la stessa identica paura, lo stesso annichilimento che a infilzarlo fosse stato l’elegante fioretto di un gentiluomo o il brutale ferro di un pirata.
Con l’orgoglio di chi si sente migliore, mostrò dunque il petto nudo dove poco più in alto del cuore la sagoma di uno squalo tatuato con inchiostro nero, uscendo da un timone, spalancava le fauci verso l’osservatore. Non si rese conto di come gli occhi del Generale si spalancassero mentre fissava quell’immagine, avvertì solo le sue mani stringersi attorno ai lembi della propria camicia e un attimo dopo si ritrovò a terra spinto da suo padre, che lo fissava con i pugni serrati e lo sguardo carico di una rabbia che poche volte gli era capitato di vedere.
“Generale! Ma cosa…“ fu Victor a parlare mentre Jean, troppo sbalordito per proferir parola, tirandosi sui gomiti fissava suo padre a bocca aperta.
“Fatevi da parte Girodelle! Non con voi ma con me dovrà battersi questo tagliagole bugiardo!” inveì furibondo il Generale “Avevate ragione! Quest’uomo è un millantatore, ma ero troppo offuscato dalle sue menzogne per accorgermene…” continuò rivolgendosi a Victor con un tono che fondeva rabbia e amarezza, ma senza distogliere da Jean uno sguardo pieno di disgusto. Serrò le labbra e per un momento tacque, troppo scosso dal turbinio di emozioni che sentiva montargli dentro per proseguire, ma si fece forza e si obbligò a parlare, anche se gli faceva male, anche se le parole acuivano la sua collera, perché tutti dovevano conoscere la bruciante quanto inconsapevole rivelazione, che gli aveva appena fatto colui che aveva voluto chiamare figlio e che ora lo fissava come se fosse un pazzo. 
“Quel tatuaggio che ha sul petto… L’ho già visto in due diverse occasioni: la prima sulla mano di uno degli assassini da cui casualmente mi salvò quando ci incontrammo, la seconda poche settimane fa, sul braccio di un uomo del mio reggimento condannato all’impiccagione per furto e che durante il processo si è scoperto aver avuto dei trascorsi sulla nave del famigerato pirata Le Requin di cui, a quanto pare, quel particolare tatuaggio è il simbolo…” spiegò “E pensare che l’altra sera alla Lodge volevo parlarvene” aggiunse rivolgendosi a Jean mentre sentiva la rabbia trasformarsi in dolore “raccontarvi questa strana coincidenza di cui ero venuto a conoscenza, condividerla con voi, ma poi…” mentre pronunciava quelle ultime parole gli occhi del Generale si velarono di tristezza e sul suo viso tirato il furore sparì lasciando spazio ad un’espressione amara.  Aveva amato Jean dal momento in cui aveva sollevato gli occhi dalle lettere di Elodie per posarli su di lui, suo figlio… lo aveva amato come si ama un desiderio impossibile scivolato via col tempo e poi improvvisamente realizzato. Lo aveva amato al punto da metterlo innanzi ad Oscar, quella figlia che da sempre era stata il suo più grande orgoglio, che egli aveva voluto diversa da ogni altra, e che per assecondare il suo capriccio aveva dovuto lottare e soffrire. Una creatura ammirevole in cui ogni azione era dettata da una purezza d’intento e una nobiltà d’animo che molte volte finiva col portarla a scelte difficili, tormentate, ostiche per chi, come lui, quella purezza non la possedeva. E proprio su quella purezza, che legandosi all'amore la rendeva fragile, egli aveva spinto per piegarla, nel più bieco dei modi, ad accettare la sua volontà. Come aveva potuto pensare di annientarla per far spazio a quel perfetto sconosciuto, che se pure fosse stato veramente suo figlio e un uomo di valore, non sarebbe comunque valso la metà di Oscar…
Eppure… eppure l’aveva amato come un sogno fatto al mattino e tornato la sera…
Una risata prima sommessa, poi sempre più chiara ruppe il silenzio seguito alle parole del Generale, echeggiando alta e sonora nel bosco. Ancora a terra, seduto con le gambe divaricate e il busto poggiato sulle braccia tese, Jean aveva reclinato il capo all’indietro e rideva di gusto.
“Ecco dove si era cacciato Bertrand” disse infine rialzandosi e ripulendosi le braghe dal terriccio che gli si era attaccato addosso nella caduta. “Doveva essere proprio terrorizzato per pensare di arruolarsi, ma si può sapere che ti aveva fatto? ” domandò rivolgendosi a d’Arvieux.
 “Niente di che, Capitano… ma sapete com’è…" sorrise d’Arvieux sollevando le sopracciglia con aria sorniona "Un animo onesto ingiustamente accusato può finire coll’irritarsi più del normale…”   
Jean annuì. “Che vuoi farci amico mio…” replicò “Boriosi e idioti sono categorie che spesso parlano senza pesare, senza rendersi conto di quel che dicono. Il nostro povero Bertrand quasi certamente apparteneva alla seconda categoria” s’interruppe e puntò sul Generale uno sguardo carico d'odio e di disprezzo “mentre voi, padre, senza ombra di dubbio rientrate nella prima”.
“Non osare chiamarmi in quel modo…” ringhiò il Generale.
“Borioso o padre? Perché lo siete entrambi e l’uno non esclude l’altro” ribatté serafico “Comunque sia, padre, il vostro spirito di osservazione vi ha portato alle giuste conclusioni sul mio conto, come anche a voi Victor, sebbene non mi sia chiaro cosa esattamente, prima di adesso avevate capito…”
“Ogni cosa” fu la lapidaria e sprezzante risposta di Victor.
Jean sollevò le sopracciglia. “Ammetto di essere sorpreso, ma non sto a chiedervi come abbiate potuto sapere, immagino di non essere stato sufficientemente attento. Ad ogni modo entrambi avete ragione: sono un poco di buono, un fuorilegge, un filibustiere, per dirla con parole vostre. È vero, anzi verissimo, ma è pur vero che sono vostro figlio, padre. O credete che voi e la vostra progenie siate stati toccati dal Signore…”
"Oh no… No, non lo credo affatto” rispose con amarezza il Generale, quindi sospirò profondamente sollevando leggermente il viso al cielo, dove un'unica nuvola con i lembi resi splendenti dal sole chiaro del primo mattino, vagava placidamente. Chiuse gli occhi per un momento e quando tornò ad aprirli per posare nuovamente lo sguardo su Jean sembrava che tutta la rabbia che fino a quel momento lo aveva animato fosse sparita.
“Credo semplicemente che tu sia stato il giusto castigo che Dio mi ha mandato per i miei troppi errori" disse con tristezza" come Oscar invece è stata il segno della sua benevolenza. No… non credo di essere stato toccato dal Signore, o per lo meno non come intendi… "
Quelle parole e quello sguardo così mesto, rassegnato, ma improvvisamente sereno, furono per Jean il peggior colpo che potesse ricevere. Era pronto, anzi felice di affrontare l’odio di suo padre, il suo disprezzo, ma non la commiserazione, se ne sentì schiacciato. Strinse la mano attorno all’elsa della spada, trattenuta al polso dal cordino che poco prima, quello stesso uomo che lo compativa, gli aveva assicurato con orgoglio.  Al diavolo Girodelle e la sua inutile vita, era il sangue di suo padre che quella mattina avrebbe bagnato la sua lama, e poco importava che non avrebbe attuato la lenta vendetta che tanto a lungo aveva accarezzato, togliergli la vita sarebbe stato compiere la più antica delle giustizie, e se pure quell'atto avrebbe sancito definitivamente il suo ingresso all'inferno che lo attendeva, avrebbe almeno dato un senso a quello che già aveva attraversato.
"Non angustiatevi! " esclamò pertanto con tono tagliente "Vi aiuterò io a togliervi il dubbio, prendete la spada così che possa mandarvi a chiarire col diretto interessato… padre" aggiunse puntando la spada verso il Generale.
"Siete un essere spregevole Grammont!" sbottò Girodelle con tutto il suo disprezzo, frapponendosi fra i due con l'arma in pugno.
 "E voi ridicolo…" lo schernì Grammont senza degnarlo di uno sguardo.
"Fatevi da parte" lo ammonì d’Arvieux o chiunque diavolo fosse, portando la mano all’elsa, pronto ad ingaggiare.
"Mai!" ringhiò il Colonnello, mentre anche gli altri due gentiluomini del suo seguito si preparavano allo scontro.
"Victor! Ve ne prego…” La voce del Generale arrivò più come un ordine che una richiesta, ma non fu per questo che Victor obbedì. Il Generale lo aveva chiamato col suo nome, forse per la prima volta da quando si conoscevano, non con il rango né con il titolo: era la richiesta di un amico quella che gli aveva fatto e come tale non poteva rifiutarla. Quindi, pur pensando che Grammont non meritasse affatto di affidare ad un duello la sua sorte, ma dovesse semplicemente pendere da una forca, non poté fare a meno di rifiutarsi. A malincuore annuì stringendo la mascella e si fece da parte imitato dagli altri, in fondo era giusto che fosse il padre, ancor prima della Giustizia, a farsi carico del destino di quel figlio degenere.
Fissando Jean dritto negli occhi il Generale si sfilò la giacca e sfoderò la spada che come sempre portava al fianco; non ebbe il tempo di un respiro che il figlio gli fu contro. Fu un attacco fulmineo, preciso e potente, che niente aveva a che vedere con le scaramucce dei loro allenamenti e rivelava appieno le vere capacità di Jean.
Bloccò quel primo colpo e quelli a seguire, combinando un’abile serie di parate. Tuttavia, per quanto riuscisse a tenerlo a bada, fu comunque costretto ad arretrare senza poter trasformare. I movimenti di Jean erano agili, leggeri e precisi; alternava stoccate e affondi senza dargli spazio, ma l’esperienza consentì al Generale di trovare un’apertura e allora con un impercettibile quanto rapido movimento del polso insinuò la sua lama sotto quella di Jean, spezzandone il gioco senza però trasformare la risposta in un attacco. Ristabilito l’equilibrio riprese fiato, ma ben presto Jean veloce e instancabile tornò ad incalzarlo, tuttavia questa volta Augustin non si fece mettere alle strette, ma parò e contrattaccò respingendolo indietro. Concentrati l’uno contro l’altro i due uomini si studiavano, ma sebbene ugualmente attenti i loro occhi, tanto simili, avevano sguardi diversi che ne rispecchiavano appieno l’animo: freddo e determinato quello del figlio, ombroso e grave quello del padre.
Le lame tornarono a incrociarsi, ancora Jean fu all’attacco e ancora Augustin parò ogni singolo colpo deviando la spada ma senza cercare un vantaggio, benché, per provocarlo, Jean gli avesse appositamente offerto un’apertura.
“Adesso mi avete stufato, se non vi decidete a fare sul serio tanto peggio per voi” inveì allora Jean e con un affondo rapido e preciso puntò al viso del Generale, che si vide sfiorare la tempia ma ebbe la prontezza di arretrare e deviare il colpo, che scivolò ferendolo al braccio. Una macchia rossa si allargò sul tessuto lacerato, il Generale aggrottò la fronte, scosse la testa in un moto amaro e serrando la mascella si lanciò in offesa. Jean sorrise soddisfatto parando i colpi che ora il Generale portava avanti con enfasi destreggiandosi sapientemente tra affondi e finte. Lo scontro s’intensificò, un rivolo di sudore scese lungo la fronte di Jean mentre cercava un’apertura nella difesa del padre, ora inarrestabile nel suo ritmo. Con una serie di colpi veloci riuscì infine a procurarsi un varco. Strisciando il filo della sua lama su quella del Generale puntò dritto al suo petto; troppo tardi si accorse che la spada di Augustin era scivolata a un tocco dal cuore. Con angoscia capì di essere perduto. Spalancò gli occhi per la sorpresa quando non sentì la lama affondare: suo padre si era fermato un attimo prima di trafiggerlo… un ghigno beffardo gli affiorò sulle labbra.
“Stupido vecchio...” sussurrò e senza pietà gli piantò la spada all’altezza del cuore.
Augustin lasciò cadere la sua arma e si piegò sulle ginocchia, mentre Jean arretrando di un passo, con un movimento veloce estraeva la lama lasciandolo crollare.
Vedendo il Generale accasciarsi al suolo, Victor accorse al suo fianco seguito da Lassonne, che subito si adoperò attorno alla ferita cercando inutilmente di fermare il fiotto di sangue, mentre Jean, senza batter ciglio, guardava morire l’uomo che l’aveva messo al mondo, come già aveva fatto con colui di cui portava il nome.
Percependo la vita sfuggirgli, Augustin de Jarjayes chiese al dottore di smetterla di premere sulla ferita per risparmiarsi almeno quell’inutile dolore, non aveva paura, ma si sentiva stanco e immensamente triste. Volse lievemente il capo su un lato dove sapeva essere suo figlio, lo vide fissarlo e gli parve di scorgere qualcosa in fondo ai suoi occhi. Volle credere che fosse pena, non potendo immaginare che fosse solo curiosità. Jean lo guardava chiedendosi se anche lui prima di tirare le cuoia avrebbe rantolato come il suo patrigno, a parte questo ora come allora non provava nulla, o forse sì… qualcosa lo sentiva, un piacevole senso di sollievo…
Richiamato da d’Arvieux, che intanto aveva sguainato la spada, si pulì la lama sporca del sangue di suo padre sulla coscia, e volse la sua attenzione ai due uomini del seguito di Victor che gli si erano fatti dappresso con l’evidente intenzione di non lasciarli andare.
Non vide suo padre aggrapparsi con le ultime forze che gli erano rimaste alla camicia di Victor per chiedergli di lasciarli andare. Se lo avesse visto probabilmente ancora una volta avrebbe riso, pensando quanto sciocco fosse quel povero vecchio.
 
 
 
Lo svegliò il fragore del tuono. Aprì gli occhi, André, cercando di abituare lo sguardo alla pallida luce del nuovo giorno. Ancora frastornato, si tirò su con la schiena, rendendosi conto solo in quel momento che Oscar non dormiva al suo fianco. 
“Oscar?” la chiamò piano, voltandosi verso la finestra che, alla destra del letto, si affacciava sull’imponente Porta Cailhau[6].  Nel vederla in piedi, di spalle, una mano a toccare il vetro appannato, tirò un sospiro di sollievo, dandosi silenziosamente dello stupido per l’irrazionale inquietudine che lo aveva colto.
In realtà, non era la prima volta che quella sensazione irrompeva in lui, specie al risveglio, quando, ancora in bilico tra sogno e realtà, persino tra le braccia della sua donna faticava a ricordare di non essere più tra le tetre mura dell’Abbaye o nell’angusta stanza che gli era stata assegnata all’Hotel Dieu[7]. In quei momenti provava la medesima angoscia di quei giorni, lo stesso, identico terrore: vivere o finanche morire senza di lei.
Per un istante rimase a contemplarla, cercando di scacciare quei cupi pensieri che erano tornati a tormentarlo: non gli era mai sembrata così bella, la sua Oscar, con quella camicia un po’ troppo grande per lei, che lasciava scoperte le gambe flessuose e la pelle candida di una spalla... era quasi un raggio di luce, in quella mattina di maggio insolitamente buia e piovosa dopo la calura dei giorni passati[8].
 D’impulso scese dal letto e la raggiunse, avvolgendola da dietro con il calore del suo abbraccio.
“Che fai, adesso mi rubi i vestiti?” osservò con tono scherzoso, sfiorandole il collo con le labbra.
A quel contatto, Oscar sussultò.
“Perdonami, non volevo spaventarti… pensavo che mi avessi sentito” farfugliò dispiaciuto.
“Oh no, scusami tu… ero sovrappensiero” mormorò lei, voltandosi con un sorriso tirato.
“Va tutto bene?”
“Sì… certo”.
Il tono evasivo e lo sguardo assente con cui gli aveva risposto, tuttavia, non lo rassicurarono affatto.
“No, non è vero…” ribatté “Ti conosco, Oscar, c’è qualcosa che ti preoccupa. Se è per via dell’imbarco, vedrai che…”
“L’imbarco non c’entra” lo interruppe bruscamente la donna, scuotendo la testa “Anche se… non nego che mi sentirei più tranquilla se riuscissimo finalmente a trovarne uno accessibile per le nostre tasche…”
A quelle parole, André sospirò. Da giorni ormai non faceva che maledire il momento in cui le aveva proposto di dirigersi verso il più vicino porto de La Rochelle[9], raggiungibile in poco meno di un giorno da Poitiers, dove si erano fermati, anziché a Bordeaux come preventivato. Avrebbero così evitato ulteriori soste lungo la strada, guadagnando tempo e riducendo contemporaneamente il rischio di poter essere rintracciati. Tuttavia, non aveva fatto i conti con il suo vacillante stato di salute, e all’indomani del loro arrivo a La Rochelle, forse proprio per lo strapazzo di quell’interminabile giornata a cavallo sotto il sole, la febbre era tornata ad affliggerlo. Nel timore di una ricaduta Oscar si era rivolta a uno dei migliori medici della città, che aveva confermato le sue precarie condizioni e consigliato, per evitare una pericolosa ricaduta, un periodo di riposo assoluto. Rinviare la partenza, cercare un adeguato alloggio in città e pagare le cure necessarie, era stato dunque un obbligo che aveva intaccato non poco le loro finanze, costringendoli a ridimensionare i propri piani. Trovare un imbarco veloce a La Rochelle era infatti possibile solo se si era disposti a pagare una cifra ingente, diversamente i tempi di attesa si allungavano di molto.
Per questo motivo, non appena André era stato nuovamente in grado di viaggiare, erano tornati al progetto originario e si erano spostati a Bordeaux, nella speranza che un porto più grande offrisse loro maggiori opportunità di reperire velocemente e, soprattutto, a buon prezzo, un imbarco adatto alle loro mutate esigenze. La scelta era così ricaduta su navi mercantili di piccole dimensioni, meno richieste per quel tipo di viaggio e in più con il vantaggio di essere spesso sotto il comando di uomini più interessati alla moneta sonante che alla veridicità di salvacondotti che, per quanto ben contraffatti, avrebbero potuto dare adito a qualche sospetto in caso di un esame più attento.
Corse di quel tipo per le Antille o per il Canada, però, anche a Bordeaux erano vendute a peso d’oro e benché nessuno dei due volesse dirlo ad alta voce, ogni giorno che passava era un ulteriore vantaggio per gli sgherri che il Generale, molto probabilmente, aveva messo sulle loro tracce.
“Se solo non avessi proposto La Rochelle...” mormorò sovrappensiero André.
“Non sarebbe cambiato nulla” osservò Oscar “La tua salute era ancora troppo instabile, ti saresti ammalato comunque, anzi quasi sicuramente sarebbe accaduto durante il viaggio e allora…” la voce s’incrinò, non riusciva nemmeno a concepire un’eventualità tragica come quella a cui stava pensando “Se ti fosse capitato qualcosa durante la traversata, io…” scosse la testa come per cacciare quel pensiero “è stato meglio così…” concluse in un soffio, aggrottando la fronte.
A quelle parole, il volto di André si addolcì. Sovente, nelle ultime settimane, si era domandato come avesse mai potuto, in passato, dubitare dell’amore di Oscar al punto da mettere in discussione il loro legame, lasciandosi sopraffare dall’orgoglio, dalle sue misere frustrazioni, dalla sua assurda gelosia nei confronti di Victor. Dio solo sapeva quanto doveva averla fatta soffrire con le sue scelte, con la sua ottusa durezza… e quanto ancora stesse soffrendo, ritenendosi ingiustamente responsabile delle azioni di suo padre.
“Hai ragione, forse è stato meglio così…” convenne con dolcezza, mentre lei si limitava ad annuire senza guardarlo.
“Oscar… guardami” disse allora, sollevandole delicatamente il mento con la punta delle dita e fissando lo sguardo nel suo “Qualunque cosa fosse successa durante il viaggio, non avresti avuto colpe né tanto meno ne hai per le azioni di tuo padre.  È stato lui a imprigionarmi, non tu… e per motivazioni che vanno ben al di là del nostro legame”.
Oscar sospirò. “Sì, lo so… ma ciò non toglie che sia stato tu a pagare il prezzo più alto e che io non ho saputo impedirlo”.
“Hai fatto l’impossibile, non continuare a tormentarti! E comunque quello che è stato non può essere cambiato, compreso l’aver dilapidato metà delle nostre sostanze per farmi stare a riposo tra morbidi cuscini” chiosò ironico, staccandosi da lei e strappandole un sorriso. “Adesso però rispondimi, ti prego… è solo il passato ad affliggerti o c’è dell’altro?”
“Non è nulla d’importante, André…”
“Non si direbbe”.
Con un gesto nervoso, Oscar si ravviò un ricciolo ribelle dalla fronte e si scostò dalla finestra, avvicinandosi a un piccolo tavolo di legno tarlato su cui la proprietaria della locanda dove ora alloggiavano – un donnone corpulento e dai modi spicci – aveva lasciato una brocca d’acqua e un catino la sera prima. Senza dire una parola si sciacquò il viso e lo tamponò con un panno di cotone ruvido, sotto lo sguardo preoccupato di André.
“Oscar…” la incalzò.
Per tutta risposta, ella si spostò verso di lui e gli prese una mano, intrecciando le dita alle sue.
“Baciami, André” disse, rivolgendogli uno sguardo così intenso e magnetico che fece accantonare all’uomo ogni altro argomento.
Obbedì, André, posando le labbra su quelle ancora umide di lei… e in quel momento fu solo il sapore di Oscar, il suo profumo, il suo respiro.
Il bacio si fece più profondo, la mano, risalendo alla nuca di lei, affondò nell’oro dei suoi capelli… la attirò a sé. Quasi fu colto da un senso di vertigine nel sentire quel corpo morbido e caldo aderire al suo. E quando le braccia di Oscar gli furono al collo e una sua coscia si levò a cingergli il fianco, il respiro gli si spezzò. Gemette… e la dolcezza cedette il passo all’urgenza, il languore alla foga. La schiacciò contro il muro e si avventò su di lei, le mani febbrili a cercarne la pelle, la bocca a suggere con avidità, mentre le dita di Oscar impazienti scendevano a sciogliergli le brache e deboli lamenti si levavano dalle sue labbra. Non resistette oltre, André, a quel muto invito: le sollevò i fianchi e si spinse in lei, fino a perdere se stesso fra le sue braccia.
 
“Sarà il caso di vestirci… o per lo meno di tornare a letto”.
Erano scivolati a sedere sul pavimento, i corpi ancora allacciati e scossi, mentre la pioggia continuava a battere sui vetri, impetuosa come la passione che li aveva travolti fino a pochi istanti prima.
Oscar mugugnò qualcosa in segno di protesta.
“Sei gelata, ti prenderai un malanno!” ribadì perentorio André, sciogliendosi, seppur a malincuore, dal tepore del suo abbraccio.
Oscar rise. “Semmai sarà il contrario, non sono io ad esser reduce da una polmonite…” constatò “E solo per questo ti darò retta!” concesse alzandosi e sistemandosi la camicia che Andrè le aveva slacciato in cerca del suo seno.
Solo per questo?” ripeté divertito André inarcando un sopracciglio, mentre ancora seduto ai suoi piedi, con un’espressione sfrontata allungava una mano a sfiorare con la punta delle dita la coscia, laddove la pelle era più morbida e sensibile. “Ne sei proprio sicura?” le sussurrò suadente.
“Assolutamente sì!” lo sfidò lei ritraendosi e cercando di celare, dietro un’occhiataccia, il brivido di piacere che il suo tocco le aveva provocato “Anche perché, visto l’attuale stato delle nostre finanze, una nuova degenza la dovresti trascorrere in un sanatorio, il che, tra l’altro, mi farebbe sentire terribilmente in colpa…”
André la fissò per un momento, incassando la frecciata, quindi reclinò il capo all’indietro e scoppiò in una risata chiara, profonda e sincera, che le scaldò il cuore.  Rise a sua volta, Oscar, mentre lui attirandola a sé la circondava in un abbraccio.
Stringendola, Andrè pensò che troppo rare fossero le sue risate, che amava la sensazione che provava nel vederla ridere, che amava ogni cosa di quella donna unica e speciale che gli riempiva il cuore e i sensi ed ogni pensiero. Ancora col sorriso sulle labbra s’infilarono sotto le coperte ormai gelide.
“Vieni qua, ti scaldo io!” esclamò André, cingendole le spalle con un braccio, mentre Oscar si sistemava in quel nido accogliente e chiudeva gli occhi per assaporare la sensazione di tranquillità che gli dava sentire il battito del suo cuore.
Andrè le accarezzò la nuca e le baciò i capelli. Rimasero così per un po’, a bearsi l’uno dell’altra, finché lui non si accorse che Oscar aveva riaperto gli occhi e fissava persa un punto nel vuoto “Oscar… vuoi dirmi una buona volta cos’è che ti impensierisce?” mormorò allora con tono gentile ma fermo, mettendosi a sedere e puntando gli occhi nei suoi “E non negare di nuovo, ti prego…”
“Sono solo pensieri stupidi, André… nulla d’importante” tergiversò lei, distogliendo lo sguardo.
“Mi risulta difficile crederlo, vedendoti”.
“Ti assicuro che non è niente di cui tu debba preoccuparti”.
A quell’affermazione André tacque per un istante, soppesando le parole da usare: conosceva profondamente Oscar, forse più di quanto conoscesse se stesso e sapeva che dietro quell’ostinata reticenza gli stava nascondendo qualcosa, il blu inquieto dei suoi occhi non mentiva… non poteva lasciar cadere di nuovo la questione.
“Parlamene” disse pertanto, cercando di nuovo lo sguardo di lei “Parlamene comunque… parlamene anche se ritieni che sia qualcosa di stupido o di poco importante”.
Oscar sospirò. Aveva pronunciato quella richiesta senza enfasi, André, senza cambiare tono, ma con una fermezza e una determinazione che non potevano essere ignorate.
“E sia…” capitolò cupamente “Stanotte ho sognato mio padre”.
“Tuo padre?” ripeté perplesso André.
“Sì…” confermò la donna con un sussurro, tornando a raggomitolarsi contro di lui e posando la guancia sul suo petto “All’inizio ero nel mio ufficio, a Versailles, anche se non indossavo la mia solita uniforme ma una blu, simile a quella del tuo reggimento ” cominciò a raccontare “poi, all’improvviso, entrava un soldato con un messaggio... qualcuno aveva ferito mio padre nella sua carrozza ed io dovevo correre da lui. E ci sono andata André, ci sono andata cavalcando come una pazza… ma quando sono arrivata… era troppo tardi”.
Nel sentire la voce di lei tornare a incrinarsi, un velo di mestizia offuscò il viso di André.
“Oscar… mi dispiace” mormorò, stringendola ancora più a sé.
“E di che cosa? Di un sogno?” sorrise con amarezza lei.
“Non di un sogno, ma di quello che esprime” replicò André “Non importa quanto tu sia adirata con lui per quello che ha fatto, tuo padre resta comunque l’uomo che ti ha dato la vita, l’uomo che ti ha forgiato e reso la splendida donna che sei… non puoi cancellare con un colpo di spugna tutto questo o l’amore che provi nei suoi confronti”.
“Cosa c’entra…”
“C’entra, invece, perché io credo che tu stia soffrendo più di quanto sia disposta ad ammettere per la sua lontananza… a maggior ragione con la prospettiva di doverti separare per sempre da lui senza aver avuto modo di rappacificarvi”.
“Non è soltanto per questo…” sbottò irrequieta Oscar, stendendosi sulla schiena e fissando il soffitto “Vedi, nel sogno i servitori parlavano di un uomo misterioso, un bandito con una maschera che aveva trafitto mio padre. Io non so come riuscivo a trovarlo, André… iniziavo a inseguirlo a piedi per le strade di Parigi, fino ai vicoli più malfamati, e poi sui tetti, saltando da un palazzo all’altro, ma non riuscivo mai a raggiungerlo… poi, all’improvviso, si è fermato in un punto dove non potevo arrivare e si è voltato verso di me, scoppiando a ridere. Io gli urlavo di scendere e di combattere, di avere il coraggio di affrontarmi se era un uomo, ma lui continuava a ridere… finché non si è tolto la maschera e ho scoperto che era… mio fratello”.
“Jean?” domandò sorpreso André.
“Sì, proprio Jean… e… mi domando se questo voglia dire qualcosa”.
“Di certo che non ti fidi di lui, ma mi stupirei del contrario” rispose pragmatico André, voltandosi su un fianco e piegando un braccio sotto la testa per meglio guardarla“In fondo è spuntato dal nulla e poco conosciamo del suo passato, se non quanto riportato da lui stesso… eppure è innegabile che senza il suo aiuto non saremmo qui”.
Oscar sospirò e si mise a sedere, strofinandosi gli occhi con il palmo delle mani. “Sì, è vero,”disse poggiando la testa sulle ginocchia che si era portata al petto e voltandosi a guardarlo “è stato Jean a rendere possibile la tua liberazione… ma se avesse avuto un secondo fine?”  
 “E quale, di grazia? Se non ricordo male, mi hai raccontato che inizialmente si era rifiutato di intervenire, temendo di perdere il favore di vostro padre…” replicò André.
“Sì, però chi mi dice che la sua non sia stata tutta una finzione? O che magari ci abbia ripensato, proprio perché aveva più da guadagnare che da perdere dalla mia partenza?” s’infervorò lei, passandosi nervosamente una mano fra i capelli “Rifletti, André: mio padre avrebbe sempre potuto cambiare idea sulla faccenda dell’eredità… ma ora, con me lontana e fuori da ogni gioco, dopo che l’ho sfidato apertamente e sono fuggita con te…”
“Jean non avrebbe più alcun ostacolo ai suoi progetti” concluse per lei André “Tuttavia, sei davvero convinta che voglia questo? Essere l’erede di tuo padre? In fondo non ha bisogno del rango dei Jarjayes: il suo è un nome di tutto rispetto, il suo casato è antico e illustre, e sua moglie è nipote di un ex-Governatore, quanto alla fortuna… ebbene, certo i Grammont hanno perso la loro, ma lui ha saputo ricostruirla, almeno in parte, e per quanto non sia paragonabile a quella della tua famiglia…”
Oscar scosse la testa.
“Non lo so, non so più niente, André! A volte, quando faccio queste considerazioni, mi sento persino in colpa nei suoi confronti, se ripenso all’aiuto che ci ha dato! Eppure c’è una zona d’ombra in lui, qualcosa che mi sfugge… e questo non mi piace”.
“In effetti, nelle rare occasioni che ho avuto di imbattermi in lui e da quanto mi hai riferito, sembra una persona ambigua o per lo meno abile a nascondere ciò che davvero pensa dietro una maschera di apparente cortesia… ma da qui a ipotizzare che possa fare del male a tuo padre come hai sognato…”
“E se non fosse chi dice di essere?”
“Un dubbio legittimo ma improbabile. Siete due gocce d’acqua, Oscar, tanto che dopo aver saputo che eravate fratelli, mi sono stupito di non aver notato prima la somiglianza che c’è tra di voi. E poi tua madre ha indirettamente confermato il suo racconto: Elodie de Jarjayes era già incinta di tuo padre quando abbandonò palazzo Jarjayes e tu sei stata concepita poco dopo… tutto torna, in effetti, anche la manciata di mesi che vi separa”.
“Una manciata di mesi che ha segnato per sempre il mio destino e soprattutto quello di Jean. Da quanto ho capito, la sua non è stata una vita facile”.
“Nemmeno la tua, se è per questo”.
“Sì, ma non è la stessa cosa. E soprattutto mi chiedo se questo possa essere per lui motivo di… risentimento”.
A quelle parole, d’impulso André si tirò su a sedere e le prese le mani tra le sue.
“Oscar, ascoltami… “ mormorò con dolcezza “Capisco i tuoi dubbi e in buona parte li condivido, ma tuo padre non è uno sprovveduto e, soprattutto, se Jean avesse voluto fargli del male, avrebbe già agito di conseguenza. Un conto è provare del rancore nei suoi confronti, un conto trasformarsi in un assassino come nel tuo incubo. Lo hai detto tu stessa: ha più da guadagnare che da perdere con la tua fuga. Forse, più che al denaro mira a prendersi in società e soprattutto nel cuore di tuo padre il posto che ritiene suo di diritto…”
“Sì, probabilmente è così…” convenne Oscar “Ma vedi…”
S’interruppe, sentendo bussare alla porta.
“Monsieur Deproix, sono io, Marie! Aprite, devo consegnarvi una cosa!”
“È Madame Lescaut!” disse Oscar, posando i piedi nudi sul pavimento “Che cosa vorrà a quest’ora? Vado ad aprirle!”
“No, aspetta, non così!” la fermò André.
“E perché mai, di grazia?” fece disorientata lei.
“Perché hai deciso di chiamarti Xavier Deproix, invece di Amelie o Elenoire o che so… Danielle! Se mi avessi dato ascolto e scelto un’identità femminile, ora potresti anche aprire la porta con indosso solo la mia camicia suscitando tutt’al più un’occhiata scandalizzata, ma dal momento che sei Xavier Deproix, a meno che tu non voglia far saltare la nostra copertura o nella migliore delle ipotesi togliere a Madame ogni residuo dubbio sul fatto che siamo due depravati, è meglio che vada io…”
 “Guarda che se avessi scelto di prendere un’identità femminile, ti garantisco che avremmo dato molto più nell’occhio! Mi sarei sentita un pesce fuor d’acqua, non è il momento di essere ciò che non sono mai stata!”
“Va bene, adesso non è questo il problema!” ribatté André, alzando gli occhi al cielo mentre recuperava la giubba ai piedi del letto e la indossava sul petto nudo. Subito dopo, quindi, si avvicinò alla soglia e schiuse appena la porta per dare modo a Oscar di ricomporsi senza essere vista.
“Madame Lescaut, buongiorno!”esclamò con affettazione, sfoggiando il suo miglior sorriso.
“Oh, buongiorno monsieur La Ville… “ rispose la locandiera, lanciandogli un’occhiata perplessa “Cercavo monsieur Deproix… non c’è?”
“Mio cugino sta ancora dormendo… complice la bottiglia di buon vino che ci avete dato ieri sera a cena” replicò ammiccando André “Di qualsiasi cosa si tratti, dite pure a me”.
“Oh sì, certo…” borbottò la donna, tirando fuori un biglietto da una tasca della gonna “Hanno lasciato questo per lui”.
“Per Xavier?” fece stupito André.
“Sì, mi hanno fatto proprio il suo nome” rispose la donna cercando di sbirciare nella stanza oltre la spalla di André.
 “Allora grazie… non appena si sarà svegliato, sarà mia premura consegnarglielo”.
“Ecco… non saprei” obiettò la donna “L’uomo che mi ha consegnato questo biglietto si è raccomandato di recapitarlo a lui in persona”.
“Ma io sono suo cugino, non certo un estraneo!”
Madame Lescaut per un momento rimase in silenzio, soppesando il da farsi. “Oh, be’… forse avete ragione” convenne infine, porgendogli il biglietto “Allora dateglielo… e se volete far colazione, vi attendo di sotto. Ho preparato i croissant, so che voi parigini ne siete ghiotti…”.
“Oh sì ! È vero!” esclamò André con tono sognante “A Parigi non c’è uomo, donna o bambino che non li adori… Vi ringrazio, ma al momento sono ancora sazio da ieri sera… il vostro arrosto era davvero delizioso, madame, degno del compianto monsieur Vattel!” replicò affabile.
“Ne sono lieta” rispose la locandiera con un sorriso compiaciuto “ Allora i miei ossequi, signore” e si congedò accennando una goffa riverenza.
Sollevato, André richiuse la porta e si voltò verso Oscar, che nel frattempo si era alzata dal letto per infilarsi un paio di calzoni.
“Che cosa significa?” le domandò porgendole il biglietto.
Per tutta risposta, Oscar quasi glielo strappò dalle mani.
“Sì! Finalmente!” esclamò, non appena ebbe finito di leggere, con un entusiasmo che André non le vedeva da tempo “Non ci crederai, ma finalmente abbiamo un imbarco!”
“Davvero?” fece incredulo lui.
“È del quartiermastro della Misericordia, non so se ti ricordi… quel vascello che fa la spola tra Bordeaux e Saint Domingue”.
“Abbiamo parlato con così tante persone e visto altrettante navi, che il nome mi dice poco!” replicò André allargando le braccia.
“Forse perché non ci sei mai salito a bordo… eravamo arrivati qua da poco e ancora non ti eri rimesso completamente, per cui ero andata da sola. Però te ne avevo parlato” gli rammentò Oscar con un sorriso.
 “Non me lo ricordo proprio... Immagino tuttavia che tu abbia ricevuto un rifiuto in quell’occasione”.
“All’inizio sì: avevo parlato proprio con il quartiermastro e mi aveva detto che non sono soliti imbarcare passeggeri, salvo poi cambiare idea dopo essersi consultato con un altro uomo dell’equipaggio. Non che mi avesse dato molte speranze, ma mi aveva promesso di contattare il suo capitano e armatore, che da quanto ho capito, al momento è lontano da Bordeaux”.
“Bene! A quanto pare ha dato il suo assenso!”esclamo André felice “Ti ha scritto anche per quando è prevista la partenza?”
“In realtà no… ma mi ha dato appuntamento per le dodici sul pontile. Suppongo che sia per parlarne”
“Allora sarà il caso di finire di vestirci e andare, Oscar”.
A quelle parole, Oscar lo guardò come se fosse impazzito.
“Non credo proprio! Sarò io soltanto ad andare, André… Sta diluviando, non vorrai ammalarti di nuovo?”
“Oscar…”
“No, non se ne parla!” s’impuntò lei “Voglio che tu resti qui… “
André sospirò.
“Immagino che non abbia alcuna speranza che tu possa cambiare idea…”
“Nessuna” replicò la donna, gettandosi il mantello sulle spalle.
“E sia… “ sospirò “Vorrà dire che scenderò ad assaggiare i croissant di Madame Lescaut e te ne terrò uno da parte“ mormorò  chinandosi a lambirle la fronte con le labbra “Ma tu non metterci troppo”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] Il duello tra gentiluomini prevedeva la presenza di due padrini per parte cui spettava il compito di organizzare la sfida nel rispetto delle regole cavalleresche, scegliere il luogo adatto, regolarne le condizioni e condurla a termine. In particolare questi compiti spettavano al secondo accompagnatore, anche detto padrino, che in particolarissimi casi poteva anche sostituirsi al primo (ossia al duellante) nel combattimento.  Il testimone aveva invece compito di sola osservazione. Il padrino, visto la particolare importanza del suo ruolo doveva essere una persona di rango pari al primo e di eccellente reputazione. Al testimone e al secondo si aggiungeva infine il medico ("Codice italiano sul duello scritto dal professore di scherma cav. Luigi de Rosis", di Luigi De Rosis).
[2] Il Padrino poteva ricevere dal primo due tipi di mandato: il mandato libero, in cui l'offeso delegava il suo padrino a regolare il duello secondo le modalità che credeva e si impegnava ad attenersi a tutto ciò che questi decideva con il padrino dell’avversario, da un eventuale accomodamento alla scelta dell’arma, delle condizioni ecc.; il mandato speciale dove invece il padrino doveva attenersi a condizioni precise date dal primo ("Doveri del secondo nel duello"di Teodoro Pateras”).
[3] Capitolo VII - I lacci del destino
[4] Codice Cavalleresco italiano. Achille Angelini
[5] Codice italiano sul duello scritto dal professore di scherma cav. Luigi de Rosis
[6] Antica porta d’ingresso di Bordeaux, risalente al XV secolo e costruita a pochi passi dalla Garonna in stile gotico.
[7] Per chi non lo ricordasse, visti i nostri tempi biblici di aggiornamento: per volontà del Generale, André era stato imprigionato nell’Abbaye (come succede nell’anime ad Alain e i suoi compagni per non aver voluto obbedire agli ordini di Bouillé) e in un secondo momento, date le sue precarie condizioni di salute, era stato trasferito in un ospedale destinato ai soldati, ossia l’Hotel Dieu.
[8] Come riporta il testo “I più grandi eventi meteorologici nella storia”, di Paolo Corazzoni, la primavera del 1788 fu eccezionalmente calda e asciutta in gran parte dell’Europa, raggiungendo temperature di 32-34 gradi nel mese di maggio e giugno. La Francia fu duramente colpita dalla siccità, specie al sud; in alcune zone non piovve mai, in altre le scarse precipitazioni ebbero per lo più carattere temporalesco. Il risultato fu che il livello dei fiumi scese a tal punto da non garantire l’irrigazione dei campi né la loro navigabilità, pregiudicando il raccolto e gli scambi commerciali.
[9] La Rochelle, con gli altri porti situati lungo l’estuario della Gironda, tra cui soprattutto Bordeaux, era una delle teste di ponte della tratta Atlantica.
   
 
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