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Autore: Baudelaire    19/04/2021    2 recensioni
Rebecca Bonner sta per tornare ad Amtara, per il suo secondo anno.
Questa storia è la continuazione della mia precedente "La stella di Amtara".
Cuore di ghiaccio diCristina è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando Rebecca scese dal treno vide il signor Lansbury fermo sulla banchina ad attenderla.
“Le ragazze ti aspettano a casa.” – le disse, aiutandola con la valigia.
Rebecca aggrottò la fronte. “Ma non doveva essere una sorpresa?”
Ricordava molto bene che la signora Lansbury le aveva fatto promettere di non dire nulla alle figlie del suo arrivo.
L’uomo sospirò. “Già, doveva. Ma Barbara non ha fatto altro che fare domande per tutto il tempo. Alla fine ci ha preso per sfinimento e abbiamo dovuto dirglielo.”
Rebecca rise.
“A quella ragazza non si può nascondere proprio niente.” – borbottò il signor Lansbury.
“E come ha reagito?”
“Oh, non sta più nella pelle. Non vede l’ora di vederti. Dice che vi divertirete un mondo, anche senza la neve. Naturalmente anche Brenda è felicissima del tuo arrivo. Non se l’aspettavano, è stata davvero una bella sorpresa.”
“Signor Lansbury, io davvero non so come ringraziarvi per la vostra gentilezza e la vostra ospitalità.”
“Non dirlo nemmeno, mia cara. Per noi è un piacere.”
Rebecca avrebbe voluto esprimere meglio a parole quello che provava, ma temeva di metterlo in imbarazzo. Da quando lei e le gemelle avevano stretto amicizia, i loro genitori si erano comportati con lei come se fosse la loro terza figlia. Non le avevano mai fatto domande, l’avevano subito accolta con calore come se facesse parte della famiglia, l’avevano invitata a casa loro lo scorso Natale e ora l’avrebbero ospitata per le vacanze estive. Rebecca aveva il cuore colmo di gratitudine per quelle persone così semplici e generose.
La vita era stata molto buona con lei. Le aveva tolto i genitori, ma le aveva regalato una nuova famiglia.
Salirono in macchina e, lungo tutto il tragitto, Rebecca ammirò incantata il paesaggio. Era così diverso da Bunkie Beach! Attraversarono verdi pascoli e limpidi ruscelli e Rebecca abbassò il finestrino per respirare a pieni polmoni l’aria pulita di montagna.
“Non immaginavo fosse così bello, qui.”
“Beh, immagino sia un po’ diverso da Bunkie Beach.”
“Il mare mi piace, ma questo posto…. Questo posto ha qualcosa di magico.”
Il signor Lansbury annuì. Tenne lo sguardo fisso sulla strada. Non aveva bisogno di guardarla in faccia per capire quali sentimenti stesse provando in quel momento. Erano gli stessi che aveva provato lui quando aveva visto quel posto per la prima volta.
“Sai, è per questo che io e mia moglie abbiamo deciso di prendere una casa qui, molti anni fa. Non lo capisci fin quando non lo vivi. La montagna va vissuta, per essere compresa.”
Rebecca si voltò verso di lui. “Crede che tutti la capiscano?”
“No. Ma chi lo fa, se ne innamora per sempre.”
La strada cominciò ad inerpicarsi. Il signor Lansbury cambiò marcia e Rebecca ebbe la netta impressione che la vecchia auto faticasse parecchio su quella salita.
“Da come me ne ha parlato Barbara, deve amare molto questo posto.”
L’uomo sorrise. “Oh sì. E’ rimasta incantata fin dal primo momento. È stata lei ad insistere tanto per comprare una casa qui.”
“Per questo ci teneva tanto che venissi qui, lo scorso Natale.” – mormorò Rebecca. “Certo, con la neve dev’essere un incanto.”
“Lo vedrai anche con la neve. Abbiamo tutto il tempo.”
Rebecca non rispose.
Era davvero così? Quanto tempo restava a lei, Brenda e Barbara, prima che la loro vita cambiasse per sempre? Due anni. Ancora due maledetti anni, prima di essere assegnate ad un Protetto. Due anni ancora, per poter vedere la neve, prima di essere seppellita in una casa qualunque, in una famiglia qualunque, a proteggere un perfetto estraneo. A meno che…
A meno che non fosse riuscita a scovare Posimaar e ucciderlo, come aveva fatto con Cogitus. Se avesse ucciso il Demone, tutta quella storia sarebbe finita. Non ci sarebbero più stati ragazzi da proteggere, le Streghe Bianche sarebbero tornate libere, le Streghe Nere sarebbero scomparse una volta per tutte e tutto sarebbe tornato come prima. Lei sarebbe potuta tornare a Villa Bunkie Beach e avrebbe potuto vedere la neve ogni volta che voleva. Sarebbero tutte tornate alla loro vita di un tempo…. Rebecca non ricordava nemmeno più com’era vivere senza quell’inquietante spada di Damocle sulla testa. Da quando Banita le aveva parlato del Demone e delle Prescelte, tutti i suoi pensieri avevano cominciato a ruotare intorno a questo. Ogni fibra del suo essere, da allora, era volta ad un unico scopo: Amtara e i Protetti. La sua vita cancellata per sempre, i suoi sogni infranti, la speranza per il futuro morta e sepolta. Non sarebbe più esistita Rebecca Bonner, ma solo una Strega qualunque che avrebbe dovuto sacrificarsi nel nome del bene superiore.
Era tutto talmente ingiusto…
Quando ripensava a Bonnie Stage, Rebecca fremeva di rabbia. Era una ragazza giovane, proprio come lei, sicuramente piena di sogni, di aspettative per il futuro. Una giovane vita spezzata, per colpa di Posimaar.
Oh, sarebbe stato talmente facile, se solo sua madre le avesse dato un altro piccolo aiuto, proprio come aveva fatto con Cogitus l’anno prima. Era stata sua madre a far comparire il piccolo pugnale in argento che le aveva permesso di uccidere il licantropo Cogitus, sotto gli effetti di una terribile maledizione di Posimaar. Rebecca aveva scoperto, da sua madre, che quella maledizione poteva essere spezzata solo da un’arma d’argento.
Se solo Posimaar fosse stato un licantropo, sarebbe bastato trovare un’altra arma in argento per poterlo uccidere…
Rebecca sorrise di se stessa. Era quanto meno improbabile che Posimaar fosse un licantropo e che sarebbe bastato questo ad eliminarlo. Dopotutto, Cogitus era suo alleato e il Demone doveva ormai aver saputo come era riuscita ad ucciderlo. Sicuramente possedeva altre armi nascoste che lei non conosceva, altri misteriosi poteri che avrebbe scoperto solo nel momento in cui l’avrebbe affrontato. Chissà, c’era anche la possibilità che decidesse di servirsi di altre spie… Cogitus non sarebbe certo stato l’unico disposto a mettere da parte i suoi buoni sentimenti, se mai ne avesse avuti, per mettersi al servizio di un Demone senza scrupoli, in cambio di una lauta ricompensa.
Non sarebbe stato così facile trovarlo, ma era assai probabile che lui avrebbe trovato lei, presto o tardi. E allora cos’avrebbe fatto? Come si sarebbe battuta contro di lui? Quali armi avrebbe usato? Chissà, forse sua madre sarebbe corsa nuovamente in suo aiuto… ma se non l’avesse fatto? Rebecca sapeva che doveva farsi trovare pronta, ora che aveva la certezza che il Demone la stava cercando.
Era tutto nelle sue mani, nonostante quello che potesse pensare la Collins, la preside di Amtara. Era arrivata a proibirle di usare il suo Potere a scuola, pur di proteggerla. Ma Rebecca sapeva che nessuno avrebbe potuto farlo per sempre. Prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con la realtà e sapeva che lo scontro finale sarebbe stato tra lei e Posimaar. Uno dei due avrebbe dovuto sconfiggere l’altro, non c’era altra soluzione.
Se avesse vinto lei, il Mondo della Magia Bianca sarebbe risorto.
Se avesse vinto lui….. Rebecca preferiva non pensarci.
Finalmente giunsero di fronte ad una casetta in legno, proprio dove la strada finiva.
Il signor Lansbury parcheggiò l’auto di fronte all’ingresso e Rebecca vide Brenda, Barbara e la signora Lansbury uscire e venirle incontro.
Scese dall’auto e corse ad abbracciarle.
“Non posso credere che sei qui!” – esclamò Barbara raggiante.
“Doveva essere una sorpresa, in effetti.” – puntualizzò Rebecca ridendo.
“Lo sai che con lei le sorprese sono impossibili.” – aggiunse Brenda, sorridendo.
“Benvenuta, cara.” – le disse la signora Lansbury.
“Buongiorno, signora Lansbury.”
“Hai fatto buon viaggio?”
“Sì.”
“Hai mangiato?”
“No.”
“Vieni dentro, ti preparerò qualcosa.”
Le seguì dentro casa, mentre il signor Lansbury portava di sopra i suoi bagagli.
Si guardò intorno. L’arredamento era semplice ed essenziale e l’ambiente accogliente e caldo. Si sentì subito a suo agio. Era molto diverso dallo stile antico e forse un po’ pomposo di casa sua.
“Ti piace?” – le chiese Barbara, mentre sedevano al tavolo.
“Molto.”
“Non è niente di speciale.” – disse la signora Lansbury, mentre si apprestava a tagliare pane e prosciutto, dando loro le spalle. “Ma è confortevole. Ed è casa.”
“Mi creda signora Lansbury, questo posto è bellissimo. Sono appena arrivata e mi sono già innamorata della montagna. ” – rispose Rebecca.
La donna si voltò a guardarla per un istante e Rebecca fu lieta di vederla sorridere.
“Vuoi vedere la nostra camera?” – propose Brenda.
“Certo!”
Salirono al secondo piano, tramite una scala in legno che cigolò sotto i loro passi.
La camera da letto era piuttosto grande. C’erano due letti e una grande finestra, un armadio e una scrivania piena di libri. Il pavimento in legno scricchiolava un po’ sotto i loro piedi e a Rebecca quel rumore piaceva.
“Vieni, ti mostriamo la tua camera.” – le disse Brenda.
La camera di Rebecca era quella degli ospiti, molto più piccola della loro, con un armadio in noce, un letto e un divanetto rosso, con tre cuscini dello stesso colore e un grande orsacchiotto di peluche.
“Il pranzo è pronto!” – gridò la signora Lansbury, dal piano di sotto.
Quando scesero, Rebecca notò che era apparecchiato solo per uno. C’era pane, formaggio, prosciutto e dolcetti alla mela.
“Voi non mangiate?” – chiese Rebecca, perplessa.
“Abbiamo già mangiato.” – rispose Brenda.
“Oh, ma non doveva disturbarsi apposta per me!” – esclamò Rebecca, rivolta alla signora Lansbury.
“Non dire sciocchezze. Ho solo affettato un po’ di pane e prosciutto. Spero sia sufficiente. Ma se vuoi, posso cucinarti qualcosa di caldo…”
“Questo andrà benissimo.” – rispose Rebecca.
Mangiò di gusto e scoprì che l’aria di montagna metteva appetito. La temperatura era ben diversa da quella di Bunkie Beach e i dolci alla mela erano squisiti.
“A che quota siamo?” – domandò, addentando un pezzo di formaggio.
“Duemila metri.” – rispose Barbara.
“Di notte dormiamo col piumone.” – aggiunse Brenda.
“Dovrò farci l’abitudine, dopo il caldo di Bunkie Beach.” – disse Rebecca, sorridendo.
“Com’è andata con Elettra?” – le chiese Barbara.
Rebecca raccontò la settimana appena trascorsa, dall’uscita in barca, alle lunghe passeggiate, fino alle chiacchierate sul divano dopo cena.
“Siete andate anche al luna park?” – domandò Barbara, con finta ingenuità.
“Solo un giro veloce.” – rispose Rebecca, ben sapendo dove voleva andare a parare.
“Ti sarai divertita.”
“Spiritosa.”
Barbara sghignazzò.
Rebecca finì di mangiare e trascorse il pomeriggio a disfare i bagagli e chiacchierare con le gemelle.
Nei giorni seguenti, scoprì che l’aria di montagna, oltre a procurarle un vorace appetito, aveva la straordinaria capacità di metterla di buonumore. Avrebbe voluto che il tempo si fermasse e che quei giorni non finissero mai.
Esplorò i dintorni insieme a Brenda e Barbara, che l’accompagnarono in lunghe e faticose passeggiate ad alta quota. Rebecca, abituata alla placida e tranquilla vita di mare, faticava a reggere il ritmo e arrivava a sera stanchissima.
“Mi sembra che l’aria di montagna ti faccia bene.” – osservò una sera il signor Lansbury.
Nonostante Rebecca avesse cercato di proteggersi dalle scottature, il sole ad alta quota era impietoso e il suo viso aveva assunto un colorito rossastro che accentuava ancora di più le lentiggini intorno al naso.
“Sì, ma non mi sono mai sentita tanto stanca in vita mia.” – rispose, soffocando uno sbadiglio.
Il signor Lansbury rise. “Ci vuole tempo, ma ti ci abituerai.”
“Anche Brenda e Barbara erano sempre stanche i primi tempi.” – disse sua moglie. “Sai, la vita in città è molto diversa.”
“Comunque, domani andiamo sulla seggiovia.” – annunciò Barbara, raggiante.
Il cuore di Rebecca sprofondò. Doveva ancora riprendersi dalla faticosa camminata di quel giorno. Dubitava che l’indomani avrebbe avuto le forze di ripetere l’esperienza.
“Ehm.. davvero?”
“Certo. Sarà divertente.”
“Ci sarà da camminare anche lì?” – chiese Rebecca, preoccupata.
Brenda rise. “No, facciamo solo un picnic.”
Rebecca tirò un sospiro di sollievo.
“Sei davvero così stanca?” – le domandò Barbara.
“Un buon sonno mi rimetterà in sesto.” – rispose.
Le si chiudevano gli occhi dalla stanchezza. Era convinta che sarebbero state delle vacanze riposanti, e invece quasi aveva nostalgia della tranquilla vita di mare cui era abituata.
La signora Lansbury servì la cena in tavola. “Adesso mangiate. E poi, subito a nanna.”
 
Il mattino dopo fecero colazione di buon’ora. Rebecca era sempre stata convinta che niente potesse eguagliare la cucina degli Gnomi di Amtara, ma si sbagliava. La signora Lansbury aveva preparato pane fatto in casa con marmellata di amarene, formaggio fresco di capra, salumi e latte appena munto, oltre ad una macedonia di frutta fresca e frullato al lampone.
Oltre alla colazione, trovarono già pronti tre sacchetti contenenti il loro pranzo al sacco.
Partirono a piedi, con gli zaini in spalla, e camminarono fino alla seggiovia.
Rebecca non ci era mai salita e scoprì che era divertente osservare il paesaggio da lassù. Quando arrivarono, si avviarono per un sentiero un po’ ripido, che le avrebbe condotte fino ad un pascolo, dove avrebbero trascorso il resto della giornata.
“Ma non doveva essere riposante, oggi?” – domandò Rebecca, arrancando in salita, col fiato mozzo.
“Dai, manca poco e siamo arrivate.” – rispose Barbara.
Brenda la seguiva di buon passo.
Rebecca, rimasta un po’ indietro, si stupì nel constatare quanto fosse fuori allenamento. O forse erano le due amiche ad aver acquisito quel passo da montanare.
Quando arrivarono in cima, però, capì che ne era valsa la pena. Non aveva mai visto nulla del genere. Dovevano essere almeno a 2.500 metri di altitudine. Faceva così freddo, nonostante fosse una giornata di sole, che furono costrette a tirare fuori le giacche a vento dagli zaini.
Rebecca si coprì per bene e si sdraiò sul prato. Erano così in alto che le case sembravano minuscole e le strade s’intravedevano appena.
Tirava un vento gelido, ma a Rebecca non importava. Non avrebbe mai voluto andarsene da lì. Era, semplicemente, estasiata.
A casa sua non si era mai sentita così. C’era qualcosa, in quell’atmosfera magica, che la faceva sentire bene, come non lo era mai stata. Tutto assumeva una dimensione diversa e i cattivi pensieri si dissolvevano come neve al sole.
“Adesso capisco perché amate tanto questo posto.” – mormorò.
“E’ come essere in paradiso.” – disse Brenda, sedendo accanto a lei. “Da quassù verrebbe quasi da pensare che il male non possa esistere, vero?”
“Già. Solo che invece esiste, purtroppo.” – replicò Rebecca amara.
“Beh, possiamo sempre fare finta che non sia così. Almeno per oggi.”
“E magari anche domani.”- aggiunse Barbara, venendo a sedersi insieme a loro.
Restarono in silenzio per un po’, contemplando la natura.
Rebecca chiuse gli occhi e si concentrò sul suono del vento, cercando di sgomberare la mente. Era così facile non pensare, lassù…
Più tardi, tirarono fuori il pranzo e mangiarono i panini giganteschi che la signora Lansbury aveva preparato.
Intanto, cominciò ad arrivare altra gente e il suono delle loro voci spezzò l’incanto.
Rebecca osservò, divertita, un cane correre verso il laghetto poco distante da loro e bere avidamente. Il suo padrone lo raggiunse e sedette in riva al lago, godendosi il tepore del sole.
“E’ sempre così.” – disse Barbara, infastidita. “Nel pomeriggio comincia sempre ad arrivare un sacco di gente.”
Un bambino arrivò di corsa al laghetto e cominciò a giocare con il cane. La madre lo raggiunse e si fermò a scambiare qualche parola con il padrone.
Rebecca ripensò a sua madre. Non era passato giorno, da quando aveva visto il fantasma di Banita ad Amtara, in cui non avesse pensato a lei.
Non aveva ancora raccontato l’episodio a Brenda e Barbara, sia perché non ce n’era stato il tempo, sia perché ci aveva impiegato un po’ per metabolizzare l’esperienza. Non era qualcosa che accadeva tutti i giorni, ricevere la visita del fantasma di tua madre che si metteva a chiacchierare con te come nulla fosse.
Chiunque sarebbe rimasto scioccato da una cosa del genere. Ma Rebecca si era ripresa in fretta e ora era pronta per raccontare alle sue migliori amiche quello che era successo.
Dopo che ebbero mangiato, sdraiate sotto l’impietoso sole dell’alta montagna, si decise a parlare.
“Sentite, c’è una cosa di cui vorrei parlarvi.”
Le ragazze si voltarono a guardarla, colpite dal suo tono improvvisamente serio.
“Spara.” – disse Barbara.
“E’ da un po’ che volevo dirvelo, ma non c’è stata l’occasione, con l’inizio delle vacanze.”
Le gemelle la fissarono, in attesa.
“Dobbiamo preoccuparci?” – le chiese Barbara, un po’ allarmata dalla sua esitazione.
“Che hai combinato stavolta?” – aggiunse Brenda.
“Perché pensi sempre che io abbia combinato qualcosa?” – sbottò Rebecca, irritata.
Brenda si strinse nelle spalle. “Perché ormai ti conosco. Quando vuoi sai essere peggio di mia sorella. AHI!”
Brenda si massaggiò piano il punto in cui Barbara le aveva dato un pizzicotto.
“Si tratta forse di Posimaar?” – chiese Barbara.
Rebecca scosse la testa. “No, stavolta lui non c’entra. Si tratta di mia madre.”
 
 
Rebecca cominciò a raccontare di quando, l’ultimo giorno di scuola, rientrata in camera per prendere il beauty case dimenticato da Barbara, lo spirito di sua madre era comparso davanti ai suoi occhi e le aveva parlato.
“Sei proprio sicura che fosse lei?” – domandò Brenda, sbigottita.
Rebecca la fissò. “Credo di essere ancora in grado di distinguere l’aspetto e la voce di mia madre.” – rispose, un po’ offesa.
“Scusa, ma la cosa ha dell’incredibile. Non si è mai sentito di fantasmi che tornassero indietro per parlare con i vivi. Beh, a parte le fate di Amtara, ma ovviamente è un altro discorso..”
Il castello di Amtara era ancora popolato dai fantasmi delle fate che vi avevano abitato un tempo. La Collins aveva faticato parecchio per convincerle a mettere a disposizione la loro antica dimora per farne una scuola. Le fate non avevano gradito, ma avevano comunque accettato. Il risultato era stato una più o meno pacifica convivenza tra le Prescelte e gli spiriti delle fate le quali, perlopiù, ignoravano le Streghe e tutto quanto avesse a che fare con il loro mondo.
“Brenda, ti dico che era lei.” – ripeté Rebecca. “E mi ha anche detto una cosa che ha dell’incredibile.”
“Cioè?”
“Ricordi che ho ucciso Cogitus con un pugnale d’argento?”
Brenda annuì. “Certo, l’hai trovato per terra mentre lui stava cercando di uccidere Garou.”
“Credevo appartenesse a Cogitus, ma mi sbagliavo. E’ stata lei a mandarmi quel pugnale.”
“Che cosa!?” – esclamò Barbara, incredula.
“Dici davvero?” – disse Brenda.
“Sapeva che solo un’arma d’argento avrebbe potuto uccidere una creatura come quella. Mi ha detto che Cogitus era un licantropo perché era sotto l’effetto di una maledizione di Posimaar.”
“Per questo non si trasformava con la luna piena come Garou…” – disse Barbara, con un’espressione di genuino stupore sul viso.
“Esattamente. Solo un’arma d’argento avrebbe potuto ucciderlo. Lei lo sapeva, e mi ha mandato quel pugnale.”
Brenda era sconvolta. “Ed è tornata indietro per dirtelo?”
Rebecca annuì. “Voleva che lo sapessi. Voleva farmi sapere che in tutto questo tempo non mi ha mai abbandonato. Capite? E’ tutto merito suo se alla fine tutto è andato per il meglio.”
“Questo è straordinario.” – disse Barbara.
“E sai una cosa? Ne avevo bisogno. Voglio dire… non so spiegarlo ma… da quando le ho parlato mi sembra di sentirmi meno sola. Anche se è svanita nel nulla, anche se non ho nemmeno potuto abbracciarla. Rivederla mi ha fatto bene.”
Brenda la guardò, senza dire nulla. Era commossa dalle sue parole, oltre che incredula per quanto era successo. Non aveva mai sentito di fantasmi che tornassero dall’oltretomba per parlare con i loro cari, ma era chiaro che Banita aveva avuto delle ottime ragioni per farlo. Ed era stato un bene per Rebecca, a giudicare dalla felicità che traspariva dal suo volto.
“Però, chissà che spavento trovartela lì all’improvviso…” – disse Barbara. “Credo che se fosse successo a me mi sarebbe venuto un infarto!”
“In effetti mi è quasi preso un colpo. Avevo appena recuperato il tuo beauty case in bagno, mi sono girata e lei era lì, avvolta da una luce accecante. Mi sono avvicinata e poi, quando ho visto il suo volto, per poco non sono svenuta. Ci ho messo un po’ a realizzare che fosse lei, ma quando mi ha parlato non ho più avuto alcun dubbio.”
“Cosa ti ha detto?”
“Voleva che mi avvicinassi, ma non ne ho avuto il coraggio. Poi mi ha parlato, ma non è stata una conversazione molto lunga. Ha detto… ha detto che le era stato dato il permesso di tornare da me, ma solo in via eccezionale.”
Brenda aggrottò la fronte. “Che vuol dire, in via eccezionale?”
“Che di solito agli spiriti non è concesso tornare indietro. Ma lei deve aver insistito, perché doveva dirmi quelle cose, capisci?”
“L’hai… l’hai toccata?” – chiese Barbara.
“No. Avrei voluto, ma non sarebbe stato come quando era viva, no?”
“No, immagino di no.” – rispose Barbara, in un sussurro. Poi spalancò gli occhi. “Ma allora non hai parlato con la Collins!”
Barbara ricordava perfettamente che Rebecca aveva raccontato, al suo ritorno, di aver parlato a lungo con la preside, per giustificare la sua prolungata assenza.
“Ehm…no. Non sono scesa subito…. Voglio dire, avevo bisogno di riprendermi un attimo prima di tornare da voi.”
“Beh, questo è comprensibile.” – disse Barbara, ragionevole.
“Avrei voluto dirvelo, ma non era quello il momento giusto. Di certo non di fronte ai vostri genitori.”
Brenda annuì, comprensiva. “Cosa ti ha detto quando ti ha salutato?”
Rebecca alzò gli occhi su di lei. Avrebbe ricordato per sempre le parole di sua madre.
“Mi ha detto che è fiera di me, che sono stata coraggiosa e …. Di vivere la mia vita meravigliosa, perché lei veglierà sempre su di me.”
Non aggiunse altro. Ricordava di averla implorata di non andare, di essere scoppiata a piangere, di averla supplicata di restare con lei, ma non era qualcosa che desiderava condividere con loro. Il suo dolore era e sarebbe sempre stato soltanto suo. Per quanto l’amicizia potesse essere forte e solida, c’erano cose che andavano tenute per sé, e questa era una di quelle.
Brenda e Barbara non sapevano cosa significasse perdere i genitori e lei era felice di questo. Si augurava che lo scoprissero il più tardi possibile, perché lei conosceva bene il vuoto che la loro perdita avrebbe lasciato. Era come se qualcosa si spezzasse dentro di sé e, dopo, la vita non sarebbe mai più stata uguale.
Ma non esistevano parole per esprimere tutto quel dolore. Era qualcosa che bisognava provare personalmente e lei, intanto, avrebbe celato quel dolore dinanzi al mondo.
Brenda aveva abbassato lo sguardo, per nascondere il luccichio dei suoi occhi. Riteneva quella di Banita un’immensa prova d’amore verso sua figlia. Si era battuta per tornare dall’aldilà solo per poter parlare pochi minuti con lei, per spiegarle quello che aveva fatto per lei, per dirle che, anche se si sentiva sola, non lo era affatto. Capiva come dovesse sentirsi Rebecca in quel momento.
“L’hai raccontato ad Elettra?” – le chiese Barbara.
“No. Siete le uniche persone a saperlo. E resterete le uniche.”
Rebecca aveva stretto un buon rapporto con Elettra, ma non se l’era sentita di condividere con lei qualcosa di così personale. Per quanto affetto provasse per lei, solo con Brenda e Barbara aveva stretto un rapporto tale da permetterle di aprire loro il suo cuore.
 
Nel pomeriggio si alzò un forte vento e le gemelle, temendo che la seggiovia chiudesse in anticipo, decisero di rientrare prima del previsto.
Rebecca era d’accordo, perché il vento gelido le stava congelando la faccia. Era talmente abituata a vivere in un clima caldo durante tutto l’anno, che il suo corpo faceva molta fatica ad acclimatarsi in un ambiente così diverso.
Quella sera la signora Lansbury cucinò uno squisito brasato con polenta. Dopo cena, sedettero tutti intorno al camino a sorseggiare sherry, parlando della giornata appena trascorsa. Un’ora dopo, complice il calore del fuoco e l’alcol che le riscaldava le vene, a Rebecca si chiudevano gli occhi.
La signora Lansbury le spedì tutte e tre a dormire e nessuna di loro protestò.
Rebecca si addormentò non appena mise la testa sul cuscino e quella notte sognò il fantasma di Banita.
   
 
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