I
secondi che precedono l’arrivo
di Nairobi in salone, sono vissuti da Tokyo con estrema ansia; questo
perché conosce
bene la Jimenez e sa che la questione “figli”
è stato, da sempre, il suo tallone
d’Achille.
“Cosa
le diciamo?” – sussurra l’undicenne
alla zia, riconoscendo la voce della mamma che,
dall’ingresso, chiama la
famiglia.
In
quel momento, la Oliveira
adagia il piccolo Sebastìan addormentato tra le braccia
esili di Alba, e si
prepara psicologicamente all’incontro con l’amica.
La
gitana, dal canto suo,
immagina di trovare il marito seduto sulla poltrona, con la tv accesa
sul
solito canale sportivo, mentre i bambini giocano sul tappeto.
Però
la scena a cui assiste, non
appena raggiunge il salotto, è
totalmente diversa.
È
stupita di vedere Selene ancora
lì, dato l’orario di cena. Però
sorvola, considerando quell’occasione come l’unica
per poter scambiare quattro chiacchiere tra donne.
“Ehi,
come è andata la visita?” –
domanda la Oliveira, chiedendo del controllo medico della sua migliore
amica.
“Pff!”
– sbuffa Nairobi – “Due
ore d’attesa per dirmi che è tutto ok e che per
fortuna non sono incinta!” –
commenta, dopo essersi preoccupata di un ritardo del ciclo.
“Per
fortuna?” – ripete, stupita,
Tokyo, abituata ad ascoltare i discorsi della gitana su quanto
è bello lo stato
di gravidanza.
“Già,
ammetto che tre piccole
pesti mi bastano” – ridacchia Agata, volgendo lo
sguardo ad Alba, per scherzare
della questione.
Però
è l’espressione di sua
figlia a insospettirla, costringendola a cambiare tono.
“Che
succede, amore mio?”
“Ehm…”
– l’undicenne è scossa e
di fronte alle domande della madre inizia a sudare freddo –
“Io… mamma… ecco…”
– spaventata dalla reazione del suo stesso corpo, la bambina
lamenta
improvvisamente delle forti palpitazioni e dolori al petto.
“Sei
pallida come un lenzuolo.
Non ti senti bene?” – si allarma la Jimenez,
controllando la temperatura corporea della bambina,
ponendo una sua mano
sulla fronte di lei.
“Nairo…
ecco…c’è una cosa che
dovrei dirti…” – intanto la compagna di
Rio cerca di rivelarle l’accaduto.
“Non
ora Tokyo, piuttosto…prendi
Sebastìan e portalo a letto, così faccio stendere
Alba sul divano” – con fare
rapido e deciso, come è solita organizzare la sua vita, la
donna di Bogotà
sistema al meglio la sua primogenita, alzandole le gambe, temendo un
improvviso
calo di pressione e uno svenimento.
Terrorizzata
da quanto sta
accadendo, e quello che da lì a pochi minuti sarebbe potuto
succedere alla sua
compagna di squadra, Selene si dirige verso la stanza dei gemelli,
coricando il
piccolino come ordinatole. Lo libera degli abiti e lo veste con un
comodo
pigiama blu; con dolcezza gli rimbocca le coperte e lo bacia
teneramente sul
capo. Solo allora l’occhio le cade sul letto vuoto di Ginevra
e il senso di
colpa si trasforma in lacrime che gli solcano il viso.
“se
solo fossimo stati attenti,
cazzo!” – rimprovera se stessa per la distrazione,
poi aggiunge, decisa –
“Smuoveremo mari e monti per riportarti
qui…!”
Pronuncia
quelle parole fissando,
determinata, la foto incorniciata alla parete che ritrae il primo
compleanno
dei piccolini di casa. Guardandola, molti flash le tornano alla mente,
legati
all’arrivo dei gemelli nelle vite di tutti. Quello che fa
crollare emotivamente
Tokyo è un flash, rimasto indelebile tra i suoi ricordi,
vissuto in un
pomeriggio invernale di quasi otto anni prima.
“Incinta?
Dici sul serio?”
“Si,
Tokyo e sono preoccupata! Se questa gravidanza dovesse andare male come
l’altra?”
“Non
spaventarti amica mia, il piccolo verrà alla luce sano come
un pesce. La vita ti
ha dato un’altra possibilità per allargare la
famiglia!”
“Ehm…in
realtà le possibilità sono due!”
– confessa la Jimenez, emozionata.
“Cosa?
In che senso?”
“Sono
due gemelli e nasceranno a dicembre”
Tra
lo stupore e l’euforia del momento, Tokyo le manifesta la sua
commozione - “Nairobi,
penso che con il loro arrivo regalerai a tutti noi e a
Bogotà in primis, il più
bel Natale degli ultimi anni”
“Il
loro arrivo cancellerà i mesi di tristezza e dispiacere
dovuti alla perdita del
nostro secondo bambino”
“Il
tempo cura le ferite e offre gioie come questa, che non ti saresti
aspettata”
“Hai
ragione, amica mia! E sai, ho deciso già che avranno anche
loro i nomi di due
città!”
“Così
come hai fatto con Alba?”
“Esatto,
e ho pensato al nome Sebastìan ,come la città
basca di San Sebastìan..”
“E
per una bambina?” – domanda curiosa Tokyo.
“Se
ti dicessi che si trova in Svizzera?”
Quel
flashback ricorda alla
Oliveira quanto il tempo sia volato e quanto Nairobi avesse temuto per
quella
gravidanza, giunta a distanza di un anno da un aborto.
Sapere
che la peggiore paura
della sua migliore amica, ovvero quella di perdere l’ennesimo
figlio, stava per
realizzarsi, affligge Selene che, approfittando del momento di
solitudine,
piange e sfoga la
sua sofferenza.
Ed
è proprio allora, in
quell’attimo di fragilità, che la voce di Nairobi
la pietrifica.
La
gitana è alle sue spalle e le
chiede – “Perché piangi? Si
può sapere che cazzo sta succedendo?”
Con
il cuore in mille pezzi,
Tokyo si volta verso di lei mostrandole la tragedia che è
appena accaduta.
Le
indica il letto vuoto e a
fatica pronunciare parole
che mai
nessuno nella vita, neppure l’essere più crudele
al mondo, meriterebbe di
ascoltare.
“Ginevra
è scomparsa da ore!”
“Che?”
– esclama Nairobi, cadendo
vertiginosamente vittima di uno stato di shock.
“Li
abbiamo persi di vista due
minuti, te lo giuro. Sono usciti di casa e si sono nascosti. Poi lei
è… ecco…
insomma… la troveremo, te lo giuro”
La
gitana fissa il viso di Selene
cercando di metabolizzare quanto appena udito. Le gambe le tremano, le
sente
indebolirsi improvvisamente, mentre avverte una fitta dolorante
paragonabile a
quella provata in seguito allo sparo subito nella Banca di Spagna anni
addietro.
Gli
occhi si coprono di un velo
di tristezza tale da impedire persino alle lacrime di scendere.
Senza
aggiungere nulla, né
emettere un grido di rabbia, né un pianto di liberazione,
Nairobi lascia la
stanza di Sebastìan e corre via.
Tokyo
la segue in tutta casa,
cercando di esserle d’aiuto, di farle da spalla su cui
sfogarsi. Eppure Agata
in quei minuti non mostra lucidità. Cammina, confusamente,
tra i corridoi,
scruta ogni dannato angolo di quell’abitazione che, mai come
in quel momento,
le pare odiosamente enorme.
“Fermati,
ti prego. Non è qui,
abbiamo controllo ovunque”
Niente
da fare! La Jimenez non
ascolta, ha spento le sue emozioni e vaga senza controllo, preda di un
secondo “proiettile”
che ha colpito il suo cuore e che viaggia ora senza meta, distruggendo
le sue
più solide emozioni.
Tokyo
singhiozza mentre la
osserva agitarsi, con le mani nei capelli, mentre parla a se stessa
come una
folle – “Ginevra, vieni fuori. Non farmi
arrabbiare”
Comincia
solo allora ad urlare a gran
voce il nome di sua figlia, convinta di averla a pochi passi da
sé.
Alba,
ripresasi dall’attacco di
panico proprio grazie alle precedenti cure materne, raggiunge la zia
all’ingresso, lì dove Nairobi manifesta ogni forma
di delirio possibile.
Solo
allora le due consanguinee
si trovano faccia a faccia, guardandosi e specchiandosi l’una
negli occhi
dell’altra.
L’undicenne
è spaventata dalla
persona che ha di fronte e che sembra aver cancellato ogni espressione
solita
della gitana.
“Mammina,
per favore, ascoltaci…non
è qui! Non sappiamo dove sia…ma non è
qui….”
La reazione di Nairobi non tarda ad arrivare.
Alza
gli occhi al cielo,
respirando profondamente, come a voler trattenere dei sentimenti
così forti e
intensi che le impediscono di ragionare. Poi inizia a ridere, una
risata
nervosa, a tratti inquietante, mentre le lacrime le scavano il viso.
“Alora
vado a cercarla” – dopo
quei minuti interminabili di silenzio e di irrazionalità, la
Jimenez si dirige
verso la porta d’uscita.
Le
basta percorrere pochi metri
per imbattersi in Bogotà, seguito a sua volta da Rio.
Moglie
e marito si osservano,
nessuno dei due ha la forza di proferire parola. L’ex
saldatore fissa la sua
compagna, trattenendo il pianto nel rivedere in lei l’esatta
copia di Ginevra:
gli stessi occhi grandi scuri, i capelli nero corvino, la carnagione
olivastra…
una somiglianza evidente anche con Axel. Ed è proprio questa
similarità tra fratello
e sorella ad essere da sempre la gioia e la condanna per Agata Jimenez.
E’
sempre stata felice di poter ritrovare in Ginny alcuni tratti del suo
primo
figlio, ormai ventenne, lontano chissà dove. Però
nei momenti di nostalgia,
guardarla in volto le ricordava il dolore dalla distanza da Axel e la
sua
impossibilità di riabbracciarlo.
Bogotà
avanza verso di lei a
braccia aperte, pronto a stringerla a sé. Avverte proprio il
bisogno di
sentirla vicina, di respirare il suo profumo, di ricevere dalle sue
labbra il
calore familiare, specialmente di condividere un momento
così difficile
insieme.
Purtroppo
Bogotá non ottiene
dalla moglie la risposta attesa. La donna carica di rabbia, di dolore,
di
frustrazione, lo schiva, ignorando il contatto fisico, riprendendo il
cammino
da sola.
Così
l’uomo, assieme a Tokyo e Rio,
osserva la gitana allontanarsi, sentendosi impotente e sconfitto da una
vita
bastarda che non dà pace a nessuno, tantomeno ad una mamma,
da sempre roccia
inscalfibile, costretta a portare alla luce le sue più
profonde fragilità…fragilità
correlate al legame speciale con i suoi figli.
E
così Agata percorre in
solitudine l’intero quartiere, illuminata dalle luci dei
lampioni di quel
quartiere, nella città australiana di Melbourne, che le ha
donato stabilità e
gioia per quasi dodici anni e che improvvisamente si è
trasformato nel suo più
grande incubo.