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Autore: Emeerery    21/04/2021    0 recensioni
"Se avesse dovuto stilare una lista dei peggiori criminali affrontati nel corso della sua carriera, Clorofilìa avrebbe scelto quello ad occhi chiusi. Diamine, anche la volta che aveva retto l’edificio pericolante sembrava una piccolezza al confronto!"
Genere: Azione, Comico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 La mano le afferrò il gomito sinistro. Avvantaggiati sul nemico, le ripeteva sempre il capo, se è veloce, non permettergli di correre.
 Istintivamente ordinò al legno di inglobarla. Si voltò di scatto, mentre un’imprecazione soffocata arrivava alle sue orecchie, il pugno destro all’altezza del viso. Impattò duro contro il vambrace metallico di Steam e le dita le inviarono le proprie rimostranze. Ignorò anche quelle.
 Sentiva la mano dell’altro stringere sempre di più il gomito, cercando di farle mollare la presa. Gli ridusse lo spazio di manovra e gli ricoprì il braccio. Non sarebbe scappato facilmente.
 Stava caricando un secondo pugno, cercando un’apertura in cui piazzarlo, quando il suo avversario si lasciò sfuggire una risata di gola. Sempre contraffatta, ma Iris poteva quasi giurare fosse divertita più che sarcastica o nervosa.
 “Queste ‘manette’ sembrano più resistenti di quelle regolamentari” le disse, continuando a sghignazzare.
 Abbassarono contemporaneamente il braccio libero e si squadrarono per un lungo momento. Almeno, la ragazza prese a fissarlo, stupefatta, prima di rendersi conto che il suo volto doveva mostrare un’eccessiva sorpresa. Ricompose lo sguardo in un atteggiamento di calma fierezza, per niente aiutata dalla voce del principale che continuava a gridarle di non concedere vantaggi agli avversari.
 L’uomo d’altro canto aveva il volto coperto dal suo strano elmo, una piastra scura ne celava gli occhi, ma dovette rimanere soddisfatto dall’esame perché allentò la stretta sul gomito.
 “Ah, forse non ci crederai” riprese, “ma sono qui per fare una chiacchierata e vedere se è possibile collaborare.”
 Aprì la mano sinistra (quella libera da impedimenti legnosi) in un gesto che voleva essere pacifico, una proposta di tregua. La destra era ancora a contatto con la pelle, per la morsa del legno più che per reale volontà. Iris riassorbì la protezione della mano destra, come ad accettare la sospensione delle ostilità, ma non lo lasciò andare.
 “Non mi piacciono gli intrusi, è per questo che chiudo a doppia mandata” buttò lì, non sapendo bene come replicare. A scuola non le avevano mai insegnato a ragionare con i delinquenti, solamente a neutralizzarli in attesa della polizia.
 “Mi dispiace, ma avevo il sospetto che non mi avresti fatto entrare se te lo avessi chiesto gentilmente.”
 Chissà perché? si chiese l’eroina, guardandolo storto.
 “Piuttosto,” disse, recuperando il tono di voce più professionale su cui poteva fare affidamento a quell’ora, “puoi spiegarmi perché non dovrei chiamare la polizia all’istante?”
 “Ti è morto il cellulare, l’hai detto tu” constatò l’uomo.
 “Una vita fa, ne ho comprato un altro.”
 “Perché non vorresti essere costretta a procurartene un terzo in così poco tempo?” suggerì lui.  Portò la mano sotto al mento e ricominciò a parlare:
 “Così dovrebbe andare meglio” la voce non era più alterata, anche se comunque le giungeva filtrata dalla maschera. Poté riconoscere un timbro profondo, caldo. Mai sentito prima.
 “Prendiamo per buona l’obiezione” riprese la ragazza, “posso sempre trascinarti fino alla stazione più vicina. Ce n’è una a pochi isolati da qui.”
 “Mmh” l’altro sembrò considerare seriamente le sue parole. “Non mi farei portare via facilmente. Secondo me sarebbe più pratico se ti raccontassi perché ti sto importunando.”
 “Immagino che tu non voglia un autografo” borbottò la ragazza. Stabilì con sé stessa di provare l’approccio urbano senza però staccargli gli occhi di dosso, ma del legno poteva farne anche a meno (la posizione in cui li aveva bloccati non era l’ideale per mantenere a lungo una conversazione), quindi lo riassorbì. Steam dovette prenderla come una parziale resa perché alzò entrambe le mani, i palmi rivolti a lei, a confermare le proprie intenzioni.
 “Accomodati” lo schernì Iris, facendogli strada nel locale. Era una stanza piuttosto grande e manifestamente disadorna. La maggior parte dell’arredamento (cucina, tavolo, sedie, armadio e libreria) si trovava alla loro destra. Accanto al frigorifero si apriva la porta del bagno. Il lato sinistro (quasi metà dell’appartamento) era spoglio, e lei lo utilizzava per allenarsi e dormire. Accanto all’ingresso, di fronte a lei, scarpiera e cassettiera. Per terra, risultato della sua reazione al rumore, un marasma di penne, matite, fogli sfusi ed altro materiale non meglio identificabile.
 Accese la luce e sistemò due sedie una di fronte all’altra. Si accomodò dando le spalle al tavolo, ingombro per metà di un diorama[1]. Senza quasi accorgersene, iniziò a lavorare al progetto con i rami.
 “Allora, sentiamo” esordì, “per cosa necessiti la mia collaborazione?”
 “Non mi chiedi che ci facevo in quella villa?”
 Iris atteggiò il viso in una smorfia infastidita.
 “Me lo dirai quando vorrai, che te lo domandi o meno” constatò pianamente. L’uomo parve apprezzare la risposta, si sistemò più comodamente sulla sedia e mosse la testa, come per esaminare l’ambiente. Poi riportò l’attenzione sull’eroina.
 “Sai chi è Shissō[2] Hisa?” le chiese.
 Sul momento il nome non le ricordò niente di specifico, anche se aveva la sensazione di doverlo conoscere. Sapeva di averlo archiviato da qualche parte, ma nell’elenco di colleghi o compagni di studi non risultava.
 Steam non perse tempo ad attendere una risposta. Rovistò un momento nella cintura, che in teoria non avrebbe potuto contenere niente ma da cui tirò fuori una fototessera, e gliela porse. “Adesso?”
 Iris prese in mano il quadratino di carta e lo studiò. Era una foto da annuario scolastico di una ragazzina delle medie, forse quattordicenne. Magra, graziosa, capelli neri corti, occhi vivaci, zigomi pronunciati. Restituì la foto scuotendo la testa.
“È stata rapita quasi un mese fa, abitava in questo quartiere.”
 “Oh, sì, adesso che mi ci fai pensare… Ma la polizia non aveva stabilito se ne fosse andata volontariamente?” gli fece notare Iris. L’uomo alzò le spalle in un gesto noncurante.
 “Vero, non per niente ho impiegato così tanto a trovarla” puntualizzò. “Quello che ti chiedo e di aiutarmi a riportarla dai suoi genitori.”
 L’eroina tornò a muovere il capo. “Forse dovresti darmi qualche antefatto. E in effetti sarebbe utile anche spiegarmi la faccenda della villa” si arrese. “Ti va un caffè? Ho il sospetto che sarà una lunga esposizione” aggiunse, lasciando perdere il plastico e dandosi da fare per approntare la moka col solo ausilio dei rami. Se ce la poteva fare la mattina appena sveglia, nulla le impediva di provarci anche in quello stato.
 “Volentieri” le rispose Steam, “ma in verità le spiegazioni sono piuttosto scarne. Senza scendere nei particolari, ho scoperto che la ragazza è stata rapita per sfruttare il suo quirk, un’unicità di mutazione a livello molecolare” espose, come se quello fosse il suo principale campo d’interesse. Il che poteva anche essere, per quel che ne sapeva l’eroina.
 “Ok, questo è il prequel. Immagino che tu fossi alla villa perché è lì che si trova Hisa, giusto?” chiese Gaggiolo dopo un attimo di riflessione.
 Steam annuì lentamente.
 “Esatto. I suoi sequestratori, l’uomo e la donna dell’altra sera, sono dei piccoli delinquenti, dediti principalmente a truffe e raggiri. Col rapimento della ragazza contano di fare il salto di qualità” tacque un attimo. “Portare agli agenti le mie informazioni non servirebbe a niente, non posso provarle, quindi ho cercato di agire per conto mio” sventolò pigramente una mano in aria. “Hai visto come è andata a finire” Tornò a poggiarsi allo schienale, come se potesse vantarne diritto di proprietà.
 “Già, ti abbiamo costretto a ritirarti” affermò Iris, con un moto di orgoglio malcelato.
 “All’incirca” le concesse Steam, sporgendosi nuovamente verso di lei. “Ammetto che avrei avuto dei problemi ad affrontarvi tutti insieme, ma converrai che sono riuscito a sfuggirvi da sotto il naso… e i rami” soggiunse indicando le appendici della ragazza che, dopo aver provveduto alla caffettiera, avevano ripreso il lavoro sul diorama. Ad Iris sembrò di dover ingoiare un limone intero, buccia esclusa.
 “Ma come…?” riuscì a pronunciare a stento, prima di venire interrotta dall’altro.
 “Non è importante, quello che conta adesso è salvare la ragazza” tagliò corto l’uomo. Il suo atteggiamento rivelava intemperanza, non più la rilassata mollezza della sua breve spiegazione. Non era intenzionato a scendere in particolari, Iris lo percepiva chiaramente. Si sarebbe chiuso a riccio ogni qualvolta avesse provato ad affrontare l’argomento.
 In quel momento suonarono al citofono, causandole un principio d’infarto. Se l’altro ne era sorpreso non lo diede a vedere, per conto suo la ragazza non aveva idea di chi potesse desiderare disturbare un’eroina ad un orario così improbabile. Rispose, aspettandosi il silenzio all’altro capo, sicuramente lo scherzo di qualche ubriaco di passaggio, ma la voce che la interrogò le comunicò di appartenere ad un poliziotto, che erano stati segnalati rumori sospetti provenire dal palazzo e che, con il collega, volevano sapere se potevano essere d’aiuto. Riuscì a convincerli di aver rovesciato la libreria solo dopo molta insistenza, quando ormai il caffè era pronto. Lo servì in fretta (molto zuccherato per lei, amaro per il suo inatteso ospite) e, con la tazzina in mano rimase in piedi, a rielaborare le sparute informazioni che l’altro le aveva fornito.
 L’uomo non sembrava nutrire animosità nei suoi confronti, almeno per il momento, e l’istinto le diceva che se avesse voluto intortarla l’avrebbe subissata di dettagli sulle indagini svolte. Quella sua reticenza per lei significava solo una cosa: Steam capiva che non avrebbe approvato il modo in cui era venuto a conoscenza di certi elementi, probabilmente perché li aveva estorti con la violenza. Rabbrividì impercettibilmente. L’aveva visto in azione, ‘violento’ era un termine anche troppo pacato per descriverlo. Ma anche ‘sincero’ poteva adattarsi all’immagine che si stava formando del vigilante.
 Nel frattempo l’altro si era tolto il casco, rivelando però un’ulteriore maschera in stoffa che lasciava scoperti solo occhi e bocca. I primi erano grandi, scuri, dalla forma insolita per un orientale. Le labbra erano larghe e piene, ma pallide. Alzò la tazzina ed assaggiò il caffè, storcendo il volto di riflesso mentre il liquido incontrava la lingua. Ops, si disse Iris, mentre anche lei portava la tazza alla bocca. Ma dovette dargli credito di stoicismo quando lo vide ingollare il resto della bevanda in un sorso. Indossò nuovamente quel suo strano copricapo.
 “Quello che ti propongo” le disse d’un tratto, “è prenderti il merito per il ritrovamento della ragazza mentre, ahimè, ti lasci sfuggire un pericolosissimo ladro d’appartamento.”
 “Credi davvero che accetterei una proposta simile dal primo che irrompe nel mio ufficio?” gli chiese Iris sarcastica.
 Steam si strinse nelle spalle.
 “Non mi dirai che il loro atteggiamento ti ha convinto?” argomentò infine.
 La ragazza distolse lo sguardo dal suo interlocutore mentre rifletteva. In effetti il comportamento di quelle persone non le aveva lasciato una buona impressione: la sicurezza con cui avevano concluso che l’aggressore fosse un delinquente comune, il reciso rifiuto di contattare la polizia per sporgere denuncia e la fretta di allontanare gli eroi. Ci aveva ripensato spesso in quei giorni e non ne trovava spiegazione. E all’improvviso arrivava il suddetto delinquente a mostrargli una delle possibili soluzioni al rebus, di certo quella che calzava meglio. In più doveva anche considerare l’istinto.
 Se c’era una cosa che il capo apprezzava in lei era proprio la sensibilità estrema che le permetteva di cogliere al volo segnali ed indizi di una situazione. Sfumature, accenti, gradazioni, tutte le variazioni emotive venivano filtrate ed esaminate. Il principale, in questo, si affidava totalmente a lei.
 L’istinto in quel momento le diceva che Steam era sincero, genuinamente preoccupato per la quattordicenne, intenzionato a salvarla, convinto della colpevolezza della coppia. Non era solo l’intonazione della voce, ma anche il suo atteggiamento fisico, il modo in cui incrociava le braccia, stringeva le mani intorno ai gomiti, manteneva le spalle tese. Pronto all’azione, l’apparente rilassatezza era un modo per cercare di mascherare l’ansia, e l’ansia era tutta per la ragazza rapita.
 Quando si rese conto che l’obiezione principale al tutto era la rapidità con cui l’uomo era sfuggito alla cattura, capì di averne fatto una questione personale. L’orgoglio pretendeva ascolto ma la ragione sedò la contesa interna.
 “Esattamente, come pensavi di agire?”
 
 
 

[1]  Plastico, rappresentazione in scala di un paesaggio o simili.
[2]  ‘Scomparsa’, sempre secondo google translate. Continuo a non fidarmi, ma…
   
 
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