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Autore: MaxB    21/04/2021    3 recensioni
Questa è una storia che ho iniziato a scrivere dopo aver finito di leggere il secondo volume, quando ancora doveva uscire il terzo.
La considero una prosecuzione della storia originale come se il terzo libro non esistesse, e narra quindi delle vicende familiari che si sono succedute dopo la fine de Gli scomparsi di Chiardiluna, con leggere modifiche alla trama.
Sostanzialmente, Thorn e Ofelia saranno alle prese con la vita quotidiana da coppia sposata, cercando di capirsi, vivere insieme e prendere confidenza l'uno con l'altra.
E con un inaspettato desiderio di Ofelia...
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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TERRIBILE. IMPERDONABILE. Passato quasi un mese, che vergogna.
Chiedo perdono, imploro.
Cercherò di postare più in fretta. Non di scrivere, perché bene o male tempo per quello ce l'ho, un po' qui e un po' lì, è proprio il postare che mi crea problemi :(
Grazie a tutti per la pazienza, davvero♥


Capitolo 30

I giorni passarono in fretta, e in neanche due settimane Serena imparò a pronunciare la r, nonostante fosse una r tutta personale. Era una via di mezzo tra quella di Thorn, dura e scricchiolante come il ghiaccio, quella "normale" di Anima e quella arrotolata e sensuale di Berenilde. Il risultato era una dolcissima r moscia che aveva fatto ridere i suoi cuginetti per diverse ore dopo che Serena era riuscita a pronunciare la prima. Le risate non l’avevano minimamente scomposta, e lei aveva continuato imperterrita a pronunciare la sua nobile r con una certa soddisfazione. Balder invece, portato in giro da tutti, aveva imparato persino a correre e Ofelia faticava non poco a stargli dietro.
Ogni giornata era piena di attività, così tanto che Ofelia dovette ricredersi sulla semantica della parola vacanza. In famiglia, nella stagione calda, erano soliti affittare un grande appartamento più vicino alle montagne, per godersi aria fresca e natura. Ofelia riusciva sempre a svicolare dalle richieste di unirsi a qualche gruppetto per delle energiche camminate, preferendo starsene comoda in casa con un libro od occupata in qualche esplorazione in solitaria. Almeno riusciva a riposarsi, visto che la madre allentava la morsa del controllo e non verificava ogni due secondi cosa la figlia stesse facendo e se lo stesse facendo bene.
Invece in casa, tra i figli vivaci e pieni di rinnovata energia grazie alle nuove amicizie con i cuginetti di tutti i gradi e la scoperta stessa di altri bambini, con i quali al Polo non avevano alcuna occasione di incontrarsi e giocare, a malapena riusciva a dormire. Soprattutto perché Serena pretendeva di dormire con lei fintanto che il papà non c’era, e Balder, seppur piccolo, aveva già capito come funzionavano le cose e imitava la sorella in tutto. Ofelia dormiva quindi con i due bambini, ma tra la paura che Balder cadesse dal letto e il sonno talvolta agitato di Serena, si ritrovava lividi in parti del corpo del tutto inspiegate.
Riusciva a trarre una boccata di respiro solo quando faceva visitare il museo ai figli. La loro curiosità e il loro desiderio di apprendere erano particolarmente inusitati in confronto alle abitudini degli altri bambini della loro età, che preferivano giocare all’aria aperta e sporcarsi tutti. Serena partecipava con pacatezza e riserbo ai giochi più scalmanati, mantenendo la compostezza al punto di attirarsi le lodi e i complimenti sia di Berenilde che di Agata, che la consideravano una piccola e raffinata dama di corte. Ad Ofelia quella descrizione non garbava molto, riconosceva nella figlia l’atteggiamento schivo, un po’ solitario e timido che aveva avuto anche lei da piccola, e solo il prozio riusciva a comprenderla per bene.
In ogni caso, le gite al museo erano le preferite dei piccoli, e quando il prozio gentilmente si offriva di mostrare loro qualcosa di speciale e riservato, concedendo del tempo da sola ad Ofelia, lei si rimboccava subito le mani e controllava i registri. Voleva assicurarsi che le mani che avevano preso in carico il museo dopo di lei fossero state accurate, ma talvolta trovava incongruenze ed errori grossolani di disattenzione o, peggio, negligenza e indolenza che le facevano salire il sangue alla testa. O il grigio alle lenti.
Per lei quei registri erano come i libri contabili di Thorn: le bastava uno sguardo poco approfondito per scovare subito sbavature e imprecisioni. Capì che il prozio apprezzava il suo lavoro di verifica e aggiustamento quando cominciò a sottrarle i bambini sempre più spesso. Suo malgrado, Ofelia dovette riconoscere che qualche ora di pace e isolamento le faceva bene, e che oltretutto il lavoro le mancava. Non vedeva l’ora che Renard iniziasse ad insegnare a Balder e Serena, così sarebbe potuta andare mezza giornata al suo studio e riprendere le letture.
Agata e Berenilde, che sembravano più sorelle di Agata e Ofelia, si comprendevano come poche. Inutile dire che alla madama aristocratica del Polo facevano più piacere del lecito le adulazioni di quella graziosa e prolifica donna provinciale, che trovava simpatica oltre che piena di fascino, buon gusto e maniere impeccabili. Ofelia avrebbe voluto raccontarle quanti dispetti le aveva fatto Agata, come tenerla per i piedi quando lei cercava di scappare in qualche specchio, o costringerla ad andare dal parrucchiere, nasconderle i vestiti a sua detta più vetusti e insignificanti, trascinarla a qualche evento mondano in cui Ofelia finiva sempre per fare la terza incomoda, ma era sicura che Berenilde avrebbe apprezzato quei tentativi di Agata di trasformarla in una vera donna di mondo. La verità era che quelle due insieme la spaventavano a morte.
Ed ebbe conferma dei suoi timori quando un pomeriggio irruppero in casa, facendo volare di mano ad Ofelia il libro che stava leggendo e svegliando Balder che, addormentatosi da poco, stava schiacciando un pisolino sulle gambe della mamma. Si era seduta da appena dieci minuti e già la quiete era terminata. Il libro finito a qualche passo di distanza cominciò a voltare da solo le pagine, agitato e imbufalito.
- Sorellina, abbiamo una sorpresa MOZ-ZA-FIA-TO! Non sai quanto vorrei aver pensato prima a questa trovata, ma Berenilde è così GE-NIA-LE che l’idea non poteva che provenire da lei!
Berenilde appariva compiaciuta ma al tempo stesso al di sopra dei fatti mentre si sventagliava con eleganza. Per lei, il clima tiepido di Anima era quasi tropicale.
- Suvvia, Agata, l’idea è stata soprattutto di vostra zia. Roseline ha fatto il commento giusto al momento giusto.
Alle spalle delle due donne, oscurata dalla loro presenza preminente, la zia lanciò ad Ofelia uno sguardo di scuse, che poco le si addiceva. I denti cavallini erano ben serrati, lo si intuiva dalla mascella rigida, e gli occhi esprimevano contrarietà.
- Io non ho avuto alcuna idea, non me ne prendo la responsabilità e non voglio averci nulla a che fare. È più ridicola di un asciugamano da bagno usato come sella!
Agata fece per ribattere, ma la zia la prevenne: - Non citarmi l’episodio del prozio Albert, era matto come un cavallo lui!
Berenilde non si soffermò nemmeno sulla questione, poco propensa a voler approfondire un episodio di bucolica vita vissuta di un prozio mandriano di qualcuno.
- Mia cara Ofelia, con la vostra adorabile sorella si stava disquisendo la possibilità di…
- …comprarti un vestito da sposa! – esclamò Agata, muovendosi come un bambino iperattivo.
Tom aveva decisamente, e fortunatamente, il carattere di Charles.
- Che? – esclamò Ofelia, con la voce di nuovo sommessa e recalcitrante come quando era ancora la fidanzata di Thorn.
- Vedete, mia cara – riprese il discorso Berenilde, - stavamo parlando di matrimoni, raccontandoci amenamente in che modo si sono svolti i nostri, e Roseline ha giustappunto commentato che la vostra cerimonia è stata di gran lunga la più inusuale e anticonvenzionale di tutte.
- Sorellina, ti sei sposata in pri-gio-ne! Con un braccio rotto e un vestito più che ordinario, del tutto fuori moda. Niente fiori, niente buffet, niente pubblico.
Ofelia aveva gli occhi spalancati dal terrore dietro le lenti, che pure si erano tinte di blu. Balder non piangeva nemmeno per il brusco risveglio, guardava la zia incantato, come sempre. Agata gli piaceva, in qualche modo, ma Ofelia aveva più il presentimento che fosse attratto dai suoi abiti sgargianti e dai nastrini svolazzanti. Li osservava come un gatto con un gomitolo di lana. Non a caso Salame le si attaccava ai vestiti più volte al giorno.
- Quindi, andiamo a comprare un vestito da sposa come si deve! Accoglierai Thorn in pompa magna, faremo un minuscolo ricevimento per celebrare sia il suo arrivo che il vostro matrimonio, anche se in ritardo, e sarà tutto per-fet-to! Io penserò ai fiori e agli inviti.
- Che idea meravigliosa Agata! E voi, madama eccelsa, avete sempre delle idee così argute, si vede che siete proprio su tutt’altro livello rispetto a noi! – si aggiunse al coro Sophie, che ovviamente aveva sentito tutto da qualunque camera fosse.
Anima non giovava allo spirito indipendentistico di Ofelia, alla sua volontà. Di nuovo si trovava preda dei capricci altrui, di organizzazioni che la riguardavano ma in cui non veniva coinvolta. Avrebbe voluto dire che trovava ridicola l’idea e, sebbene il suo matrimonio fosse stato tutto fuorché pianificato e consueto, le era piaciuto, perché lei e Thorn erano stati così vicini in quel momento… e lui le aveva confessato di amarla. Erano malmessi, doloranti, scarmigliati e disordinati, ma era stata una cerimonia intima, vera. Inoltre, Thorn odiava essere al centro dell’attenzione, odiava le feste, i ricevimenti, qualsiasi intrattenimento che coinvolgesse più di cinque persone, e odiava le sorprese. Non dava alcuna importanza a vestiti o manifestazioni d’affetto in pubblico. Da parte sua, anche lei odiava attirare gli sguardi, odiava i vestiti e gli eventi sfarzosi, il dover parlare. Aveva difficoltà anche in quel momento, di fronte alla prospettiva di dire di no alla sua famiglia, di dire loro che non sarebbe stato in alcun modo di loro gradimento una festa di matrimonio a posteriori.
E che sia lei che Thorn avrebbero odiato tutto. Ad Ofelia non piacevano le emozioni negative, ma quell’idiosincrasia nei confronti di celebrazioni e messe in mostra era particolarmente acuta.
Mentre sua sorella, la zia di suo marito, sua madre e sua zia, che cercava di remar loro contro, discutevano, Ofelia si alzò dal divano cercando di non attirare troppo l’attenzione e si avvicinò allo specchio a muro del salotto. Lo avevano posizionato lì proprio per permetterle di usarlo come porta d’ingresso tra il museo e casa, anche se sua madre era stata contraria all’inizio, perché una buona camminata favoriva la socializzazione con i parenti vicini di casa. Ottimo motivo, per Ofelia, per usare solo e unicamente lo specchio.
Dopo essersi assicurata che Balder fosse al sicuro sul divano, e dopo aver lanciato un’occhiata a Serena, che giocava a pochi passi con Vittoria e Tom, persi nel loro mondo, Ofelia immerse una mano nello specchio. Non sarebbe andata molto lontana, anzi, per nulla. Si sarebbe solo recata in camera sua. Nessuno avrebbe pensato di cercarla lì, era ridicolo usare lo specchio solo per non fare le scale. Ma l’idea di depistarli e ottenere un po’ di silenzio era troppo allettante.
Serena alzò in quel momento gli occhi su di lei, sgranandoli. Erano rare le volte in cui l’aveva vista fare uso del suo potere.
- Mamma? – la chiamò, facendo l’unica cosa che Ofelia sperava non accadesse: attirò l’attenzione su di lei.
- Vieni qui subito signorinella, dove pensi di scappare?! – esclamò sua madre, paonazza come quando Ofelia era più piccola e subiva una lavata di capo per aver involontariamente arrecato danno a qualcuno con la sua goffaggine.
- Oh – sospirò Berenilde, - ho sempre cercato di farle notare che usare gli specchi come via di fuga non è degno di una signora del suo rango.
La sciarpa si agitò vedendo la madre di Ofelia incedere verso di loro. Sorda ai richiami, Ofelia si tuffò con sollievo nello specchio.
Appena mise un piede sul tappeto di camera sua tirò un sospiro di beatitudine. Le voci concitate delle donne al piano di sotto le arrivavano ovattate, decisamente mento fastidiose. Si sarebbe nascosta sotto il naso di tutti per un po’, in attesa che le acque si calmassero.
Solo quando si voltò si rese conto di non essere sola: Serena, con gli occhi ancora sgranati, le tirava un lembo della gonna.
 
I progetti di tranquillità di Ofelia svanirono come fumo. Si inginocchiò di fronte alla figlia, in parte spaventata e in parte confusa.
Aprì la bocca per farle una domanda, ma si rese conto di non sapere quale. La bambina si era aggrappata a lei durante l’attraversamento, finendo risucchiata a sua volta? Era possibile una cosa simile? Oppure aveva ella stessa il dono di Attraversaspecchi? Come poteva spiegarle le implicazioni di quel potere in modo che lei capisse?
Si schiarì la voce, un po’ come faceva Thorn quando era in imbarazzo. – Serena, hai attraversato uno specchio.
La bambina annuì solennemente, confermando.
- Il papà ti aveva già detto che ogni persona ha un potere familiare, che gli permette di fare cose speciali, no?
Serena annuì nuovamente.
- Al Polo, l’arca del papà, le persone ne hanno solo uno. Ma il papà è speciale e…
- … ne ha due, la memoria degli Storiografi e gli artigli dei Draghi – la interruppe Serena, citando per filo e per segno ciò che Thorn e Ofelia le avevano insegnato, qualche mese addietro. - Tu, mamma, hai il potere della lettura, hai l’animismo e sei un’Attraversaspecchi. Su Anima siete tutti paenti quindi i doni si sono mischiati, le persone ne hanno più di uno e sono legati agli oggetti, mentre al Polo sono legati alla mente, perché Fauk – continuò, perdendo qualche r che ogni tanto le sfuggiva, - che è il papà di Vittoria, è il signore della mente. Il papà e la mamma di papà, che sono i miei nonni ma sono morti, avevano due poteri divessi e quindi papà ha due poteri. Io ho la memoria di papà e l’animismo come te, ma potrei anche…
- …sviluppare con il tempo altri poteri che si manifesteranno quando sarai più grande – concluse Ofelia, che si sentiva una madre un po’ inutile. Era un po’ scombussolante avere una figlia che si ricordava ogni singola parola pronunciata dai genitori. Sì, non si sarebbe mai dimenticata un insegnamento o una sgridata, ma avrebbe anche potuto ritorcere contro di loro le loro stesse parole. Orgogliosa di lei, però, Ofelia era fiera della figlia così intelligente.
- Ora sono più grande? Sono un’Attraversaspecchi?
- Non lo so, Serena – rispose sinceramente Ofelia. – È un potere che si mostra con l’adolescenza, e spesso dura poco perché quando non si è più in grado di essere onesti con se stessi lo si perde, ma…
- Cosa significa essere onesti con se stessi?
Ofelia si impose di ricordare che Serena doveva ancora compiere cinque anni. Le sembrava di parlare con una pari, a volte.
- Significa che sai chi sei. Sai cosa ti piace, cosa non ti piace, cosa vuoi e cosa non vuoi, di cosa hai paura e sai anche quali errori hai commesso. E li accetti, li capisci.
Serena parve rifletterci. – Io ho fatto errori, mamma?
Ofelia trattenne un sorriso. – No, non hai fatto nessun errore. Ecco perché quando si è piccoli è più facile attraversare gli specchi, affrontare se stessi. Ma tu sei davvero troppo, troppo piccola, per riuscirci.
Serena era ancora leggermente spaesata. – Ho fatto qualcosa di male?
Ofelia la strinse in un abbraccio, desiderando immensamente che Thorn fosse lì con lei. – No, tesoro. Vuol dire che sei ancora più speciale di quanto immaginavamo. Riproviamoci, va bene?
Serena annuì, sollevata e compiaciuta, nonostante il tentativo di nasconderlo.
- Io ora vado al museo dal prozio, va bene? Tu conta fino a cinque e seguimi, d’accordo?
- Come faccio mamma? Ho paùa!
- Non ti succederà nulla di male. Hai presente lo specchio enorme che c’è all’entrata del museo? Specchiati qui, e poi immagina di comparire in quello specchio lì, va bene? Io sarò già sul posto ad attenderti.
- Va bene, mamma.
Ofelia le scoccò un bacio sulla guancia prima di lasciarla, alzarsi e immergersi con un braccio nello specchio. – Visto? Il mio braccio è già dentro il museo.
- Ma è staccato?
- No, è ancora attaccato – rispose Ofelia, estraendolo per mostrarglielo, integro. – Lo specchio è una porta aperta. Il tuo corpo entra in un’altra stanza, l’unica differenza è che con gli specchi non vedi la camera in cui stai arrivando, ma il tuo riflesso mentre ci entri.
Serena non pareva molto convinta, eppure non si tirò indietro, forse timorosa di deludere la mamma.
- Ci vediamo tra cinque secondi.
Dentro al museo, comparsa così all’improvviso che una famigliola rubiconda sobbalzò alla sua vista, guardandola con sorpresa, Ofelia attese cinque secondi. Poi dieci. Infine mezzo minuto. Concesse a Serena un minuto intero prima di infilare la testa nello specchio, la sciarpa che si agitava convulsamente per l’ansia verso la figlioletta.
Serena la fissò con gli occhi grandi come piattini da tè. Le si velarono di lacrime.
- Mamma, sei senza testa! – piagnucolò, spaventata.
Ofelia riattraversò interamente lo specchio, ripiombando nella camera. – Va tutto bene, non fa male. Non ci sei riuscita?
 Serena scosse la testa, abbracciando stretto il collo della mamma quando questa la prese in braccio. – Avevo paùa.
- Non piangere Serena, non piangere. Non è successo nulla, non serve che ci riprovi.
- Mi canti la canzone dei numeri come fa papà?
Ofelia si bloccò, smettendo di cullarla. Inciampò sull’orlo del tappeto, o forse sui suoi stessi piedi, e cadde sul letto con Serena addosso, che rise.
- Papà canta?
- No! – esclamò Serena ridendo, già dimentica dell’ansia di pochi istanti prima. L’idea che Thorn cantasse era bizzarra persino agli occhi della bimba. – Però tu puoi cantarla.
- Ma non so come fa la canzone.
Serena si strinse nelle piccole spalle, cosa che fece aggrottare le sopracciglia di Ofelia. Quel gesto era tremendamente simile a quello di Thorn. La bambina cominciò a raccontarle la filastrocca che Thorn le mormorava, che Ofelia scoprì essere nient’altro che l’elenco dei numeri primi, dall’uno al tre al cinque, sette, undici, tredici, diciassette, diciannove, ventitré, ventinove, trentuno… al centonove Ofelia la bloccò.
- Capito mamma? Dimmela tu.
Ofelia dubitava di poter andare oltre il numero tredici. Il dodici era un numero primo?
- Ma io non la so!
Serena si accigliò, e se avesse avuto gli occhi argentati come quelli di Thorn Ofelia avrebbe saputo com’era stato da bambino, in versione femminile. La somiglianza la coglieva sempre alla sprovvista. E sì che aveva fatto fatica lei per metterla al mondo!
- Mamma, te l’ho appena detta!
- Non ho la memoria tua e di papà. Anche se me la ripetessi cento volte non riuscirei ad impararla.
Serena la guardò stupita. – Cento volte sono tante, mamma!
- Sono tantissime. Ma io non ho il potere tuo e di papà, vedi?
- Quindi tu non ricordi nulla?
- Ricordo tante cose, ma non tutto, e non subito.
Serena parve rifletterci.
- Ricordi quando papà ha detto che su Plombol gli animali più comuni sono gli alpaca, che sono come dei lama ma con una massa corporea più…?
- No – la interruppe Ofelia, che sentiva già il mal di testa premerle ai lati delle tempie. Tra il trambusto al piano di sotto e la trattazione di geografia… - Ricordo quando lo ha detto, ma non nei dettagli cosa ha detto.
- Oh. E quando…?
- Ascolta, Serena, aspettami qui. Vado dal prozio a vedere se mi sa dire qualcosa circa il tuo attraversamento di specchi, va bene?
Serena aggrottò di nuovo la fronte. Ofelia sentì una fitta intensa di nostalgia.
- Ma mamma, poi non ti ricorderai più cosa dice il prozio! Devo venire anche io.
Ofelia ridacchiò nonostante la mancanza di fiducia della figlia. – Questa volta mi ricorderò, vedrai. Non tutto, ma in termini generali sì.
- Papà dice che i dettagli sono sempre importanti. Non si possono tenere solo due ciffe decimalsi se il calcolo ne include sette.
Ofelia rabbrividì al pensiero di cosa sarebbe potuta diventare Serena. – Si dice ‘cifre decimali’, tesoro. E quello che mi dirà il prozio non riguarda i numeri, quindi stai tranquilla.
Serena parve rassicurata da quel commento, e lasciò andare Ofelia con la promessa che le avrebbe raccontato tutto al ritorno.
- I dettagli mamma! I decimali! – le urlò prima che Ofelia si tuffasse nello specchio, ridendo in faccia a una coppia che le lanciò un’occhiataccia.
Si diresse a passo spedito verso il prozio.
 
Il prozio fu molto incisivo e lapidario nel darle informazioni, chiaro segno del suo pessimo umore, nonostante ciò che era successo a Serena lo avesse incuriosito.
Ofelia non gli chiese come mai fosse così stizzito, non era una buona idea con il prozio. Avrebbe parlato quando fosse stato il momento, o non avrebbe parlato affatto. Ma intuì che il suo livore era in parte specchio del suo quando lo sentì borbottare: - Vestirla come una bomboniera, bah! Non è nemmeno la Festa dei Ghingheri, e quell'orso di suo marito non si accorgerà di nulla! Ridicolo... robe da donne... pf, bah.
Il prozio continuò a sbuffare come una locomotiva a motore e a raschiarsi la gola come un gatto per tutto il tempo che Ofelia passò lì, prendendosela anche con lei che stava ostacolando l'esercizio delle sue funzioni. Si chiese se il prozio in qualche modo la ritenesse responsabile della bislacca idea delle parenti per il solo fatto di essere la moglie di Thorn.
In ogni caso, il vecchio archivista si dimostrò molto sorpreso dal racconto di Ofelia, anche se lo nascose meglio che poté. Quando si diventa anziani si tende a diventare suscettibili su tutto, e il prozio godeva nel mantenere la facciata di burbero custode di museo e uomo indignato e offeso anche senza motivo. Ofelia ormai non ci faceva nemmeno più caso.
Il prozio spulciò velocemente ma consapevolmente tre grandi registri: uno sul loro ramo familiare, un compendio di tutte le registrazioni di poter familiari degli ultimi centocinquant'anni e uno su alcune bizzarre manifestazioni di potere.
Ofelia avrebbe voluto dare una mano, ma quando il prozio infilava i baffi in un volume d'archivio era impossibile anche solo attirare la sua attenzione. Inoltre erano manoscritti molto vecchi, andavano maneggiati con cura e solo lui ne era autorizzato. Ofelia avrebbe solo fatto danni toccandone le vecchie pagine, infatti il prozio non le aveva mai permesso di farlo, nonostante la fiducia che nutriva nei suoi confronti. Lei stessa, per quanto attenta, non avrebbe mai voluto sfogliarli. Facevano parte di quei manuali contenuti nella camera fredda dell'archivio, insieme al Libro di Artemide, e alcuni li maneggiava, con molta, molta cautela, ma li maneggiava. Quelli non troppo importanti e fragili, però, come quelli che aveva in mano il prozio.
Stava utilizzando una lente d'ingrandimento luminosa che faceva un pochino i capricci, illuminandosi a intermittenza o spostandosi impercettibilmente facendo perdere il segno al prozio. Il suo occhio destro appariva enorme al di là della lente, e Ofelia avrebbe voluto che Balder e Serena fossero lì a vederlo, per farli ridere un po'.
- Niente di utile - si pronunciò il prozio dopo un'attesa che ad Ofelia parve infinita. - E non toccare gli espositori, sai che sono orgogliosi.
Ofelia ritrasse la mano guantata come una bambina birichina colta in flagrante. Il prozio non la stava nemmeno guardando. Si chiese se anche lei un giorno sarebbe arrivata a conoscere così bene i suoi bambini da anticiparne e intuirne le mosse.
- Qui parla solo, nel compendio delle bizzarrie, del caso di un bambino, un nostro parente di vecchissima data a giudicare dal registro delle genealogie, un cugino di... - il prozio contò a bassa voce, talmente a lungo che Ofelia si meravigliò di come ancora potessero tenere il conto di quante persone fossero nate e di chi fossero parenti, data la grande fertilità degli animisti. - ...ottavo grado da parte del prozio Umberto, il fratello di tuo nonno e mio.
Il prozio si fermò, in attesa di una sua reazione.
Ofelia si sistemò gli occhiali e accarezzò la sciarpa, che si era calmata e, vecchia com'era, le pendeva mollemente dalla spalla.
- Quindi?
- Oh, sì, giusto - riprese il prozio, che si era scordato il motivo della ricerca.
Comprensibile, visto quanto aveva scartabellato. Lei avrebbe perso il filo del ragionamento da un pezzo. Ofelia si rese conto che Thorn sarebbe stato benissimo in quel ruolo. Un archivio vivente, avrebbe ricordato a menadito ogni singolo ramo familiare discendente direttamente da Artemide, dall'albore della prima nascita, con una sola occhiata a quei registri. Forse a lui la veste di animista sarebbe stata meglio di quanto a lei stesse quella di moglie di un Drago. Al contempo, però, Thorn era troppo insofferente e noncurante delle buone maniere per vivere a contatto con vicini che erano anche parenti e si fermavano a scambiarsi salamelecchi ogni volta che si incrociavano. Se lo immaginava ad uscire solo di notte, quando era certo che non avrebbe trovato nessuno in giro. Oppure avrebbe vissuto direttamente negli archivi.
Il pensiero le fece sorgere spontaneo un sorriso che il prozio non notò. Insieme ad una fitta di nostalgia.
- Dunque - bofonchiò, leggendo attentamente. - Qui dice che questo bambino era un prodigio dell'attraversamento degli specchi. Ha iniziato alla giovane età di sei anni, molto prima della pubertà, e riusciva a coprire enormi distanze. Poi, quando è diventato adolescente e ha cominciato a diventare un tronfio e borioso esibizionista orgoglioso e saccente, non è più stato in grado di attraversare un accidenti di nulla. Ah, ben gli sta!
Ofelia dubitava che il registro riportasse tutta quella sfilza di insulti gratuiti ad un povero vanesio, ma non commentò la passione che il prozio profuse nel criticarlo.
- Quindi c'è già stato qualche caso di dimostrazione di attraversamento di specchi precoce?
- Sì, figliola, c'è stato. Ma mi hai detto anche che ora Serena non riesce ad arrivare qui, no?
- Esatto. Non so se magari lei sia riuscita ad attraversare sulla mia scia. Mi teneva per la gonna, è mia figlia, magari lo specchio l'ha lasciata passare per questo motivo.
Il prozio si lisciò i baffi, meditabondo. - Non credo sia possibile. L'attraversamento di specchi permette il passaggio di oggetti a contatto con l'attraversatore, ma non di persone. Ciò che dici non è del tutto errato, ma non ci sono prove che ne attestino la veridicità.
- E se provassimo a rifarlo? Potrei tornare in camera e poi attraversare nuovamente fino a qui facendola tenere alla mia gonna.
- Sarebbe l'unico modo per capire come mai è riuscita ad attraversare. In ogni caso, se fosse una precoce manifestazione del suo potere, non ci sarebbe da sorprendersi, visto che tu, sua madre, sei in grado di farlo nonostante la tua età.
Ofelia ripensò a suo padre, che da giovane era stato un Attraversaspecchi come lei, ma con il raggiungimento dell'età adulta e i conti fatti con se stesso, non era più stato in grado di usufruire di quel dono. Ofelia non voleva che succedesse anche a lei. Non solo perché attraversare gli specchi era comodo, o perché era una parte di lei, ma anche perché avrebbe significato non riuscire più ad essere onesta con se stessa. Essere cambiata senza rendersene conto, essere diventata qualcun altro, un'estranea.
Bisognava essere trasparenti e profondamente consapevoli di chi si era, per potersi riflettere dentro la propria immagine.
- Va bene, zio. Ora torno in camera mia, qualche minuto e sarò di ritorno.
Lo zio grugnì un assenso. - Torna all'ingresso principale, qui non ci sono specchi.
Ofelia annuì e ripercorse i corridoi fino allo specchio da cui era arrivata, con l'intenzione di tornare a casa. Quando emerse, però, si chiese con perplessità se non avesse sbagliato camera. Aveva lasciato la sua vuota, con solo Serena dentro. Invece quella stanza sembrava diventata il ritrovo delle signore benvestite dagli abiti gonfi e i visi accigliati.
Sua madre l'acchiappò per il polso prima che potesse tornare da dov'era venuta, con o senza Serena.
- Tua figlia ha sceso le scale piangendo, impaurita, terrorizzata, inconsolabile e disperata, sostenendo che uno specchio ti aveva mangiata. Come puoi lasciare in apprensione una creaturina simile? Sei una figlia sciagurata, anche da sposata e da madre continui a dirmi grattacapi!!
Ofelia si ritrasse di fronte a quegli strilli melodrammatici, socchiudendo gli occhi come a voler tenere fuori dalla sua vista la madre.
La zia Roseline, Agata, Berenilde e Vittoria erano tutte lì, schiacciate nella sua camera d'infanzia, a guardarla trucemente. Serena le si avvicinò... serenamente, come voleva il suo nome, e un sguardo veloce al suo visino ancora infantilmente morbido confermò ad Ofelia che sua figlia era tutto fuorché preoccupata. Dubitava persino che avesse pianto.
- Cosa ti salta in mente, di prendere e andare via così solo perché vogliamo, per una volta, farti apparire graziosa, femminile e... e...
Sophie si era incartata con le sue stesse parole, tanto era l'ardore con cui le pronunciava. Ofelia pensò che avrebbe dovuto recitare nei teatri disseminati per Anima. Sarebbe stata un'ottima attrice.
- E scin-til-lan-te, mamma! - le diede manforte Agata.
Se c'era una cosa che Ofelia non voleva essere, era scintillante.
Così fece una cosa che mai avrebbe pensato di fare, che trovava meschina e per cui si ripromise di farsi perdonare appena possibile. Dirottò l'attenzione su qualcun altro.
- Serena ha attraversato lo specchio prima.
- Cosa?! - esclamarono tutte le donne nella stanza, esclusa Vittoria.
Serena si rifugiò dietro la gonna della madre, e Ofelia si sentì ancora più in colpa. Se avesse pianto in quel momento, non l'avrebbe biasimata.
Si chiese quanti giorni mancassero al rientro a casa.
Al Polo.
 
Passarono quasi tutto il pomeriggio a fare esperimenti su Serena. A Sophie non era mai interessato granché dell’abilità di Ofelia di attraversare gli specchi, anzi, l’aveva sempre considerata una scocciatura viste le volte in cui la figlia le piombava sotto il naso senza avviso o si dava alla fuga senza possibilità di rincorrerla. Invece Serena non era sua figlia, era sua nipote, e non avrebbe esitato a vantarsi con tutto il vicinato delle capacità precoci e strabilianti della piccola.
- Su, tesoro della nonna, entra nello specchio.
Serena la guardava terrorizzata, in braccio alla mamma, mentre Sophie le si avvinava con uno sguardo che voleva essere elettrizzato ma era solo inquietante. Renard, poco distante, teneva in braccio un Balder prossimo alle lacrime perché pensava che stessero torturando la sorella.
Lui, Gaela e Archibald erano rientrati in casa da poco, solo per assistere a un dramma animista in pieno svolgimento.
- Mamma, non pensate che abbia tentato abbastanza? – le mormorò a bassa voce Ofelia, proteggendo la figlia dalle braccia morbide della nonna.
Sophie si stizzì. Sì, avevano davvero tentato abbastanza, prima provando a far attraversare Ofelia con Serena tra le braccia, poi con la bambina attaccata alla gonna, poi da sola, ma ogni volta lo specchio la respingeva. Ofelia si trovava a metà tra i due specchi, da una parte tenendo in braccio Serena, dall’altra parte con un piede al museo e un prozio che la guardava accigliato.
- Non serve a nulla, vengo a casa per cercare di far rinsavire quella testarda di mia nipote. Non c’è dubbio che tu abbia preso il tuo carattere da tua madre, figliola – aveva borbottato prima di andarsene.
Finalmente, proprio mentre Sophie stava per spingere, letteralmente, Ofelia e Serena nello specchio, il campanello suonò. La voce burbera del prozio risuonò in tutta la casa, facendo tirare un sospiro di sollievo sia ad Ofelia che a Renard.
Quest’ultimo si avvicinò alle due signore con Balder ancora in braccio, che allungò le braccia per essere afferrato dalla mamma. Ofelia mise per terra Serena e fece cambio con suo fratello.
- Siete molto animati, voi animisti.
Ofelia, gli occhiali storti sul naso, non si prese nemmeno la briga di rispondere.
- Scusate se vi abbandono, ma un litigio tra il pacato e saggio signor prozio e vostra madre proprio non me lo voglio perdere.
Ofelia sorrise, chiudendo la porta alle spalle della fiumana di gente che stava abbandonando camera sua. Renard lo diceva ogni volta che c’era qualche scaramuccia, quindi molto, molto spesso.
Dopo qualche minuto, quando Ofelia si sedette a letto con i figli dopo aver cambiato Balder, un pacato bussare alla porta la rimise sull’attenti.
- Sono io – bofonchiò il prozio.
Ofelia si sgonfiò come una cornamusa. – Venite pure, zio.
Il prozio si avvicinò borbottando come un caminetto durante la Festa della Bruciatura delle Immondizie Organiche. Una delle feste più odiate, a dire il vero, perché i caminetti si infuriavano talmente tanto per lo sfruttamento a cui venivano sottoposti che lanciavano fumo e schizzi umidicci di residui biologici per tutti i salotti. Non a caso il giorno successivo era la Festa degli Attrezzi da Pulizia.
Renard aveva passato un'intera cena a chiedere quante feste ci fossero lì, a cosa servissero e come si partecipasse. Ofelia non aveva avuto il tempo di dirgli che non servivano proprio a nulla, perché la maggior parte della sua famiglia le adorava e vi prendeva parte attivamente, sicché lei le aveva sempre subite tutte come una tortura.
- Tutto questo baccano per nulla. Fossero tutti silenziosi come te si vivrebbe molto meglio.
Ofelia gli sorrise con gratitudine. Stava per ribattere, quando il prozio l'anticipò, come leggendole nel pensiero: - Però se fossero tutti maldestri come te, il mio lavoro non sarebbe curare il museo, ma aggiustare gli oggetti rotti. Tutto il giorno, tutti i giorni. E non basterei nemmeno io da solo.
Ofelia continuò a sorridergli. Nel tono burbero e freddo del prozio c'era un affetto innegabile, che veniva raramente espresso a parole. Ma a chi servivano vuote parole quando i gesti lasciavano trasparire molto di più?
Sotto quell'aspetto, il prozio e Thorn erano uguali. E forse era per quello che Ofelia provava un amore smisurato per entrambi.
Fraintendendo il suo silenzio riflessivo, il prozio sospirò, dando un buffetto sulla guancia di Serena. - Non preoccuparti, bambina. Non c'è nulla che non vada in te. Sono sicuro che con il tempo scopriremo se sei o meno un'Attraversaspecchi. O quale stranezza ha scatenato tua madre oggi, visto che attorno a lei accadono sempre cose strane.
Serena sorrise, timida di fronte al quel vecchio pro-prozio che la intimoriva, ma era in realtà sempre gentile. Annuì con decisione, e l'ansia per quel pomeriggio in cui era stata sotto lo sguardo attento di tutti i familiari sparì. Ofelia conosceva bene quella sensazione, perché era la stessa da cui veniva pervasa quando raccontava al prozio le sue preoccupazioni. Ed era la stessa che da qualche anno provava con Thorn, sempre disponibile a tirare fuori una soluzione prima ancora che Ofelia aprisse bocca. Senza mai rimproverarla se rompeva o combinava qualcosa.
Ofelia sorrise leggermente e depositò un bacio sulla testa della figlia. Balder allungò le braccia, lamentandosi, per avere un po' di attenzione a sua volta.
- Bene, vi lascio alle vostre... faccende. Ci vediamo domani al museo?
Ofelia lanciò uno sguardo a Serena, lasciando a lei la scelta. La bambina annuì, regalando un altro sorriso al prozio. Che ricambiò sotto i baffi.
- Allora vado, ci vediamo a cena. E attenta a tua mamma, figliola, che non combini nulla di irreparabile.
Serena ridacchiò, e Ofelia guardò il prozio chiudersi la porta alle spalle con il petto attanagliato dalla nostalgia. Una profonda, lacerante e inspiegabile nostalgia.
- Sei triste, mamma? - le domandò Serena.
Ofelia scosse la testa, cercando di riscuotersi. - Mi manca papà - ammise.
Era vero, pensò, ma era anche riduttivo. Le ultime parole che le aveva rivolto lo zio erano le stesse che Thorn le aveva già detto o le avrebbe detto se fosso stato lì. E le mancava, le mancava davvero tanto. Suo marito, solo al Polo, più solo di quanto fosse mai stato visto che non aveva accanto nemmeno un parente o un rivale, come Archibald.
- Manca poco a rivederlo - aggiunse poi, più per consolare se stessa che i figli. - Mancano solo nove giorni.
Serena annuì e contò in punta di dita i giorni che mancavano. Il calcolo fu giusto a parole, ma con le dita indicò otto giorni, quattro su una mano e quattro sull'altra. Con tanto di dita storte.
Balder la imitò, per poi applaudirsi da solo, e mentre Ofelia rideva Serena gli aggiustò le dita, mettendogliele come le sue. Cioè ancora sbagliate.
- Se il papà fosse qui vi correggerebbe subito, quindi io non vi dirò nulla, lascerò a lui l'onore di insegnarvi.
Serena aggrottò la fronte come lui, gettando sale su una ferita aperta.
- Mancano solo nove giorni, possiamo farcela. Torniamo giù dalla nonna?
Serena impallidì, cosa che fece ridere Ofelia. Ancora una volta, capiva benissimo la situazione.
- Potrai giocare con Vittoria, Tom e le gemelle, però, e le altre cuginette.
Serena parve accettare, seppur con riluttanza, e scese dal letto.
Non lo avrebbe mai ammesso apertamente, con nessuno, ma era grata a Berenilde per aver scelto proprio lei e alle Decane per aver accettato quella proposta. Le loro motivazioni potevano anche essere bieche ed egoistiche, ma avevano permesso a lei di vivere una vita che nemmeno pensava di volere. Non sapeva cosa ci fosse dietro di preciso, ma sembrava tutto magistralmente orchestrato, come se qualcuno ci avesse messo lo zampino e avesse guidato i fili degli avvenimenti per farli accadere al momento giusto.
Così scese al piano di sotto, armandosi di pazienza. Quando vide Hector, suo papà, il prozio e Renard si rilassò. Con loro al suo fianco poteva sopportare i giorni che le restavano dall’arrivo di Thorn.
  
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