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Autore: Loda    28/08/2009    1 recensioni
Cherise a soli diciotto anni non crede nell'amore. Elena è appesa a un filo e sotto di lei c'è la depressione. Mattia è sessualmente confuso. Luca è innamorato della sorella. Andrea nasconde un mare di guai sotto l'apparente perfezione. Sono alcuni dei ragazzi che cercano di fare una sola cosa: vivere, ognuno con la propria storia in primo piano. Situazioni familiari disastrose, altre troppo perfette. Intrecci, preoccupazioni, scelte difficili, colpi di scena. L'amore in tutte le sue sfaccettature per un racconto reale che è solo un'altra storia, ma è la nostra storia.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Insoddisfazione
Mentre serviva un mocciosetto che aveva avuto la pretesa di chiederle di togliere tutte le olive da un trancio di pizza, Cherise avvistò da lontano quella specie di animale chiamata comunemente maraglio, per le ragazzine under 14 figo, e che lei preferiva chiamare proto-scimmia.
Certo, la cultura maraglia si era parecchio diffusa a Bologna negli ultimi tempi e in giro c’erano parecchi esemplari, ma quello che si stava avvicinando era lui. Come non riconoscere quel passo strascicato, quel profumo da cane bagnato, quelle mutande fucsia e quei capelli metà ingellati e metà piastrati?
“Caruso sei tu!” fece l’essere.
Le ragazzine al tavolo che non mancavano mai presero a ridacchiare.
“Castellani” ringhiò Cherise.
Marco Castellani era un suo compagno di classe. Stop, finita lì. Non aveva altri motivi per cui conoscerlo.
“Bella!esultò il ragazzo, come se fossero amiconi, una volta avvicinatosi al bancone.
“Bella” rispose con scarso entusiasmo Cherise.
“Che roba, lavori qui Ceriz?”.
“Cherise”.
“Eh?”. Marco aveva un’aria da stupido, che nascondeva dietro a occhiali da sole più grandi del suo cervello.
“Si pronuncia Cherise il mio nome”.
“Ti cambia la vita?”.
Effettivamente no. Cosa le importava di come la chiamava Castellani?
“Mi offri un cappuccino?”.
“Te lo farei pagare il doppio”.
“Che palle, a che serve allora un’amica che sta al bar?”.
Cherise si mise all’opera col cappuccino. “Serve a romperle le palle”.
“Ah è così? Io ti rompo?”.
“Anche i timpani. Ti sei fatto che urli così?”.
Polleg, sono solo le undici”.
Tutti stavano seguendo la scena con interesse, in prima fila le ragazzine ridacchianti. Era chiaro il motivo per cui le proto-scimmie dovessero parlare con una tonalità più alta rispetto al resto del mondo. Ciò che non capiva Marco, era che per le persone che non appartenessero alla categoria dei bimbiminchia o dei minorati mentali tutto ciò appariva piuttosto stupido. Persino un truzzo come lui l’avrebbe trovato stupido. Perché, ed è la cosa più triste, i truzzi si disprezzano tra loro.
“Due euro” disse Cherise mettendo il cappuccino sul tavolo.
Marco mise una moneta sul bancone. “Ti trovo bene, Ceriz”.
“Io ti trovo come sempre, Marco”.
Il ragazzo rise. Una risata stupida. “Non pretendo di superare me stesso”. Una frase degna di lui.
Cherise lo squadrò meglio. La frangia accuratamente piastrata, il resto dei capelli sparato in aria, la schiena ricurva proprio come quella di una scimmia, il viso più scuro del solito.
“Hai aumentato la dose di fondotinta?”.
“Ti sembro più focoso eh?”. No, era semplicemente arancione. Marco si passò la lingua sulle labbra. Molto sexy certo, se non avesse avuto i baffi di latte.
“Colerà tutto”.
Gnucca, non ho il fondotinta. Ho fatto una lampada”.
“Farsi le lampade è geniale a fine giugno. Perché andare al mare?”.
Marco finì di bere il cappuccino. “Sono sensibile al sole”.
“Lo vedo. Siamo al chiuso e hai gli occhiali da sole”.
Cherise poteva vedersi riflessa negli occhiali a specchio dell’idiota.
“Ora sei tu che rompi, Ceriz”.
“Ne sono lieta. Così te ne vai magari”.
Marco si voltò. Dietro di lui purtroppo non c’era nessuno.
“Se dopo questa mi dici che ti rompo…”.
“Cosa?”. Non è che Cherise avesse molta voglia di ascoltarlo. Perché cavolo non c’erano altri clienti quella mattina? Era un complotto.
“Ti va di venire al Baraonda sabato sera?”.
Baraonda. Truzzolandia e scimmie a go-go. Un circo.
“Che palle” fu la reazione della ragazza.
“Ci vado con della gente. E tu puoi portare dei tuoi amici”.
 Tuoi amici si riferiva a una sola persona.
“Non hai speranze con Elena, Marco” fece Cherise. Chissà come doveva essere piacere a così tanti ragazzi.
Marco si avvicinò. “Cazzo, ti prego, portacela” fece quasi in un bisbiglio.
Cherise si trattenne dal scoppiare a ridergli in faccia. “Non so neanche come arrivarci”.
“Puoi trovare una scusa migliore”.
“Sul serio, il Baraonda è in culonia”.
Marco sembrò rallegrarsi. “Allora dormite da me dopo. Io abito a Pianoro”.
Dormire da lui? “Con i tuoi amici? Non se ne parla”.
Il ragazzo sbuffò. “Oh, andiamo, non siamo dei maniaci”.
Cherise non aveva paura di Marco, ma chissà che razza di amici squilibrati aveva.
“Se veniamo ci portiamo dietro Mattia” disse, minacciosa, come se Mattia fosse una sorta di bodyguard.
Marco scoppiò a ridere. “Parisi?”.
“Parisi” ripeté Cherise, la mascella protesa.
“Porta chi ti pare basta che ci sia Elena”.
La ragazza ghignò. Marco non poteva sapere che Mattia ed Elena erano come due piselli in un bacello da qualche tempo.
“Allora gliene parlo”. Cherise non aveva molto voglia di passare una serata da-urlo (come avrebbe detto Elena appena l’avesse saputo) al Baraonda ma si trattava pur sempre di passare una nottata fuori casa. Le dispiaceva un po’ per Tonio.
Marco si levò gli occhiali da sole come per glorificare il momento.
Benessum” fece, ilare “fammi sapere”.
“Okay”.
“Si ci vede”. Marco strizzò l’occhio destro e si allontanò col suo passo strascicato.
Ci si vede. Cherise lo guardò con pietà mentre le ragazzine lo seguivano con uno sguardo ammaliato. Lui le salutò con un sorriso storto e loro lanciarono un paio di urletti.
Appena le mutande fucsia di Marco sparirono all’orizzonte e tornò la quiete nei tavoli, Cherise prese la tazza dal banco e la mise a lavare. Forse non era una cattiva idea accettare l’invito di Marco. Perché aveva già una mezza idea su chi avrebbe potuto portarci.
 
 
Cazzarola, pensò Elena, a pochi centimetri da Mattia. Era nervosa. Lui non parlava, lei non parlava. Voleva tentare di spiegarsi, di rimediare. Voleva tenerlo stretto, ma così aveva ottenuto l’effetto contrario.
“Mattia” mormorò.
Lui si girò verso di lei. “Sì?”.
“Mi dispiace per ieri”.
Mattia sorrise. “Non ti preoccupare”. Ma non disse altro.
Se non c’era da preoccuparsi, perché non parlavano più come prima?
“Mattia” insistette Elena, dato che si era rivoltato verso il finestrino.
Lui si rigirò, senza dire niente.
Elena voleva dirgli un fiume di cosa ma come aprì la bocca, la voce non le venne fuori. Cos’era tutto quel disagio?
Lui aspettò qualche istante, poi si rivoltò verso il finestrino.
Maledetto.
“Ti sto antipatica ora?” chiese Elena, trovando la forza di parlare nella rabbia. Non aveva alcun diritto di trattarla così.
Il ragazzo si voltò. “No che non mi stai antipatica”.
“Non mi parli più”.
“Non è colpa tua”.
“Come sarebbe a dire?”.
Mattia sospirò. “Tu non vuoi dirmi di te”.
“Allora è colpa mia”. Elena lo guardava confusa e irritata al tempo stesso.
Lui scosse la testa. “Sono io che non riesco ad accettarlo”.
“Accettare cosa?”.
“Accettare che non ti fidi di me”.
“Io mi fido di te”.
Mattia la ignorò e abbassò lo sguardo. “Non lo accetto perché mi piaci”.
Elena rimase interdetta. Gli piaccio. Ma allora cosa stava succedendo?
“E, non volendoti aprire con me, è come se mi avessi detto che io non ti piaccio”.
No, aveva frainteso tutto. Era tutto il contrario.
Mattia continuò, le gote rosse. “Quindi non è colpa tua, sono io che…”.
“No” lo interruppe Elena.
“No?”.
“Hai fatto tutto da solo, hai fatto un ragionamento e sei arrivato alla conclusione senza chiedermi niente” disse Elena tutto d’un fiato “Chiedilo a me se mi piaci!”.
Mattia aveva inarcato le sopracciglia. “Cosa stai cercando di dirmi?”.
Sbollisci. Elena si sentiva bruciare da quanto era rossa. “Che la tua conclusione è sbagliata”.
“Quale conclusione?”.
L’avrebbe preso a sberle. Glielo voleva proprio far dire? “Ma cosa dici, sappiamo tutti e due di cosa stiamo parlando!”.
“Di cosa stiamo parlando?”.
Entrambi si guardarono, rossi e disperati.
La vecchietta seduta davanti a loro si voltò spazientita.
Soccmel du ball! Non fare lo gnorri, baciala!”.
I due si guardarono increduli, incerti se scoppiare a ridere o meno.
La vecchietta continuò. “Alaura? Sorbole, giovanotto, lei non ti può ashpettare per tutta la vita, muvet!”.
Mattia guardò Elena. “Meglio non farla arrabbiare non credi?”.
“Credo anch’io”.
Lui le si avvicinò e il cuore di lei prese a battere così forte da farle male. Ma non era un problema, il ragazzo di fronte a lui poteva farle tutto il male che voleva.
Le loro labbra si sfiorarono, si schiusero e una lingua andò in cerca dell’altra in un gioco d’amore. Che Elena avrebbe voluto durasse per sempre. Lui la cinse con le braccia e lei gli gettò le sue al collo.
Fammi male ma prendimi con te.
 
 
“Ele, ci sei?”.
Elena aveva una strana espressione assorta.
Cherise le passò la mano davanti agli occhi. “Ele!”.
Quella si riscosse. “Sì? Che succede?”.
Erano a casa Mancini, in salotto. Andrea era appena giunto in sala a dire trionfante che il nonno stava meglio, mentre Luca era stato lì tutto il tempo ad origliare.
“Ti stavo parlando di Castellani e il Baraonda” disse Cherise.
 “Ah, sì, giusto, per me va bene”.
“Lo sai che quello proverà a impezzarti, vero?”.
“Ma figurati”.
Elena non si rendeva conto di essere tanto apprezzata dai ragazzi. Va bene la modestia, ma c’è un limite a tutto. Era un po’ un’ocarotta.
“Lo farà” insistette Cherise, minacciosa, come se stesse parlando di qualcuno che sta per uccidere qualcun altro.
Elena scrollò le spalle. “Fa niente, tanto io ora sto con Mattia”.
 
Qualche secondo di attonito silenzio e poi a Cherise cadde la mascella, Luca aveva gli occhi come due scodelle e Andrea, che stava per andarsene, tornò all’ascolto.
“Quando avevi intenzione di dirmelo?” fece Cherise. Beh, non era il caso di rimanere poi così sorpresi, era solo questione di tempo.
Elena la ignorò. “Chiamiamo anche lui, vero?”.
“Sì, certo” disse Cherise, soddisfatta. Castellani avrebbe rosicato ben poco quella sera.
 “Ah, volete venire anche voi?” domandò poi, rivolta a Luca e Andrea, sperando di apparire indifferente.
Luca aveva la faccia di uno che era stato appena schiaffeggiato e disse freddamente “No, grazie”. Era un ragazzino ma a Cherise metteva i brividi.
“Io ci sarò” disse invece Andrea, sorridendo “perché ci lavoro lì”.
Accidenti. Chissà se era un bene o un male. “Oh, okay” disse Cherise, senza guardarlo per troppo tempo. Lui invece la guardava, sempre con quel sorriso perfetto. Che diamine, se continuava così avrebbe cominciato a piacerle. Forse era meglio che al Baraonda lo evitasse.
“Dai, sarà una figata!” esultò Elena. Era parecchio su di giri. Cominciò a esporre il suo guardaroba, filo per segno, nel tentativo di trovare cosa mettersi.
Stava con Mattia, sembrava felice. Ma non poteva continuare a essere così felice. Sarebbe esplosa. Cherise leggeva negli occhi di Andrea la paura di rivedere la sorella sprofondare in un buco nero. Era passato troppo poco tempo, quella felicità che andava mostrando a tutti non aveva solide fondamenta. Poteva crollare in un attimo. Bastava una piccola cosa, una cosa insignificante che andasse storta e la depressione era lì, svoltato l’angolo. Mattia doveva stare molto attento, lui che praticamente non sapeva niente. Elena se ne lamentava, ma Cherise capiva perché i fratelli le stessero col fiato sul collo e si preoccupassero tanto. Come dare loro torto?
“E tu, Cher, cosa ti metti?”.
Cherise riemerse dai propri pensieri e fissò Elena. “Oh, io… non so” bofonchiò.
“Qualcosa di corto e scollato mi raccomando!” si raccomandò l’amica.
Cherise evitò accuratamente di guardare Andrea, perché aveva come l’impressione di essere arrossita.
Dannata debolezza.
 
 
Mattia era steso sul letto a riflettere.
Aveva baciato Elena. Stava con Elena.
L’aveva sempre sognato, tutto ciò doveva mandarlo in orbita. Non era mai stato veramente felice quando stava con delle ragazze. Non ne era mai veramente innamorato. Si era pure dimenticato i loro nomi.
Ma Elena era diversa, sì. Lei gli piaceva sul serio.
“Mattia!” tuonò la voce di Giulia dal salotto.
Oh no.
“Vieni a vedere un film con noi!”.
Che palle. Ogni sera doveva vedere un film con Giulia, i genitori e pure il cane. Tutta la famiglia al completo. Lui e Bobby erano le vittime della cosa, entrambi costretti a stare fermi, ipnotizzati dalla televisione. Poi quel giorno era giovedì. Il giovedì doveva scegliere Giulia il film. Avrebbero dovuto sorbirsi un film d’amore sicuro. Almeno Bobby non capiva un cavolo.
“Mattia!” insistette Giulia.
“Arrivo!” fece Mattia, alzandosi a fatica.
Si diresse in corridoio pronto ad affrontare qualunque schifezza.
Ma perché era sempre così infelice?
Anche ora che stava con Elena, gli mancava qualcosa.
Ricordò le parole di Chiara. Cosa ti aspetti?
Non lo sapeva neanche lui cosa voleva.
Ma c’era sempre quella chiara, insopportabile sensazione di insoddisfazione.



Ecco qui un altro capitolo per la mia unica, assidua commentatrice. Grazie Red, le tue recensioni chilometriche sono sempre apprezzate! xD diciamo che di Andrea ti piace il nome più che altro... eheh... dici che è perfetto e questo non ti piace molto... in realtà non lo è ma si vedrà più avanti... Cherise per forza ti sta simpatica, in fatto d'amore siete UGUALI! Elena poraccia non dire che è moscia... Cmq sono sicura che d'ora in avanti il tuo personaggio preferito sarà Marco! Lo AMERAI! hihi grazie ancora, e grazie anche a chi legge solo (se lo fa qualcuno...boh) ciau! baci
   
 
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