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Autore: BreathE    24/04/2021    4 recensioni
Valanyar è stata portata nella Terra di Mezzo da Gandalf per aiutarlo con il futuro della Compagnia dell’Anello e distruggere Sauron, ma aver letto un libro e vivere una vera avventura sono due cose completamente diverse.
Riuscirà a portare a termine il compito che le è stato affidato, oppure cadrà mutando per sempre il destino dei nostri eroi preferiti?
Tra cambiamenti di copione improvvisati e il mondo degli uomini che la crede un ragazzo, Valanyar cercherà di proteggere a tutti i costi la sua nuova famiglia mentre lotterà per il suo posto nel nuovo mondo.
*
Ragazza dei giorni nostri finisce nell’universo del Signore degli Anelli. Niente di più scontato.
PARING: Legolas/ Nuovo Personaggio
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Faramir, Legolas, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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▌ Capitolo 16  ▌
 










 
«  Le fiabe non dicono ai bambini che i draghi esistono.
I bambini sanno già che i draghi esistono.
Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere uccisi. »

 
__Gilbert Keith Chesteton
 
 






 
«Quindi cosa hai intenzione di fare? Uccidermi? Come voleva quello stolto del tuo stregone? In fondo non sei nient’altro che una pedina nelle sue mani, uno stolto senza cervello! » strepitò Denethor nella galleria vuota, con ancora la mia lama puntata tra le sue scapole, mentre scendevamo nelle profondità della montagna dove giorni prima ero stata scortata da Boromir.
Mi chiesi se Denethor nel frattempo fosse più sceso, secondo Faramir ero rimasta vittima delle visioni di Sauron per quasi un giorno intero, però da quella mattina era passato un bel po’ di tempo, eppure Denethor non aveva mai dato l’allarme per la mia fuga.
Forse aveva pensato che ero stata trasferita in qualche altra cella? O più semplicemente morta, quell’opzione appariva altrettanto plausibile.
« Ma Denethor voi non valete niente » dissi riproponendogli le stesse parole che aveva usato contro suo figlio Faramir poco prima « Cosa vi fa credere che qualcuno si prenderebbe la briga di perdere del tempo con voi? Siete solo un vecchio, rinchiuso in un palazzo che neppure vi appartiene. Mi fate solo pena » mentii in tono sfrontato e canzonatorio, poiché in realtà il Sovrintendente di Gondor non mi faceva neppure pena.
Tutt’altro, non avessi tenuto a Faramir e alla sua amicizia, probabilmente avrei ammazzato il vecchio con le mie stesse mani e senza neppure troppi rimorsi. Ma il giovane Capitano se ne sarebbe dispiaciuto, poichè nonostante tutto, amava suo padre.
Giungemmo alla fine della galleria, illuminata dalle fiaccole per entrare nel corridoio dove era stato posizionato il palantìr e a dove Boromir mi aveva incatenata qualche giorno prima.
Feci avanzare Denethor lungo il muro, fino a dove ero stata legata a terra io. Era facile da ricordare quale tra le tante manette fossero quelle giuste, poiché non dovevano pulire spesso. Il mio sangue sporcava ancora il pavimento dove adesso sostavano i piedi di Denethor.
« In ginocchio » gli dissi puntandogli nuovamente la lama alla gola e frapponendomi tra lui e il colonnino che sosteneva la sfera di Anor.
« Io sono il comandante in carica di Gondor! Non mi inginocchio per nessuno! » gridò urlandomi in viso mentre io mi aprivo in un lieve sorriso sadico.
« Ti inginocchierai per me » insistetti mentre lui mi sputava ai piedi, sfidandomi con lo sguardo a chiederglielo di nuovo.
Inarcai un sopracciglio, ritrovandomi particolarmente alterata, e non solo per quello che aveva detto a Faramir prima, non per come lo aveva trattato per tutta la vita. Ma per quanto debole la persona davanti a me fosse diventata.
Denethor II sarebbe potuto essere un grande signore degli uomini e per un periodo lo era stato.
Ma il vecchio di fronte a me, non era neppure un’ombra di ciò che sarebbe potuto diventare. Il suo stesso popolo soffriva di perdite eterne e costanti, eppure era pronto a lottare nuovamente per proteggere i propri vicini, si sostenevano l’un l’altro e in un modo o nell’altro cercavano di andare avanti.
E chi avrebbe dovuto guidarli? Se ne stava rinchiuso in una sala del trono a trangugiare cibo e a giudicare tutti coloro che riteneva inferiori, mandando perfino i propri figli in missioni suicide troppo soggetto all’influenza di Sauron per capire che quella determinazione che lo aveva portato a guardare il palantìr, lo avrebbe distrutto rubandogli tutto ciò che contava veramente.
Mi scostai leggermente per mettermi di lato, solo per tirargli un calcio nella piega del ginocchio, obbligandolo a piegare le gambe e a franare rovinosamente a terra.
Mentre ancora mi stava insultando, con il viso ricoperto dal suo stesso mantello,gli presi il polso sinistro assicurandolo alla catena agganciata alle mura, per poi fare lo stesso con un’altra manetta, assicurandola al braccio opposto.
« Cosa hai intenzione di fare eh? Credi davvero di potermi incatenare nel mio stesso palazzo?! » urlò alzando il viso in uno scatto veloce, cercando di rigettarsi alle spalle il mantello.
« Perché credi forse che qualcuno verrà a cercarti quaggiù? » ribattei piegando un angolo delle labbra all’insù « No Denethor, ti dimostro come posso essere misericordioso. Vuoi passare tutti i tuoi giorni ad impazzire davanti a ciò che ti mostra Sauron senza fare niente per impedirlo? Ti accontento » dissi facendo qualche passo indietro, verso la colonna del palantìr e gettando a terra il telo che ricopriva la sfera di Anor.
« Buona visione » conclusi poi ignorando le sue grida e lasciandomelo alle spalle come lui aveva fatto con me, mentre ripercorrevo all’insù la galleria notando che più salivo più le sue grida si mescolavano con il frastuono della superficie, rendendole impercettibili.
 

 
L’idea di aver lasciato Denethor alla stessa tortura a cui ero stata costretta, mi impensierì a tal punto che passai le ore successive a ripulire le mie lame nella più minuziosa accuratezza.
Dimenticatemi molto velocemente del vecchio sovrintendente, ero intenta a non rincorrere nella furia eterna di Arwen se avesse mai visto l’elsa delle mie spade sporche a quel modo.
Quando finalmente lo stemma di Imladris risplendette sotto i raggi del sole mi potei ritenere soddisfatta ed uscii dall’ala del palazzo nella quale mi ero nascosta.
Sgattaiolai fuori senza farmi notare dalle guardie, passando attraverso le vie della servitù che non mi degnò neppure di uno sguardo, mentre mi dirigevo fuori dal palazzo senza una vera meta, fino a ritrovarmi nei pressi dell’albero bianco.
L’albero dei Re era più piccolo di come lo avevo immaginato, ma dovevo ammettere che irradiava potere e sapere, mettendomi perfino leggermente in soggezione. Fossimo stati in un regno elfico, probabilmente avrei creduto che avrebbe iniziato anche lui a parlarmi da un momento all’altro.
Ma eravamo in una città degli uomini, e l’albero bianco stava appassendo da così tanti anni, che se non avessi saputo dell’arrivo di Aragorn lo avrei dato per spacciato.
Sforzai lo sguardo, socchiudendo le palpebre, alla ricerca del bocciolo che Pipino giurava di aver visto il giorno del loro arrivo a Minas Tirith, prima di venire colta di sorpresa da una mano che si poggiò delicatamente sulla mia, richiamando la mia attenzione verso il basso.
« Peregrino Tuc » lo salutai con un sorriso mentre l’hobbit mi affiancava completamente, lasciando la mia mano per mettersi le mani in tasca.
« Gandalf è cupo, la guerra è vicina non è vero Val? » domandò lui guardando nella mia stessa direzione, ma a differenza di me, non si stava osservando l’albero bianco, bensì molto più in là verso l’orizzonte e il buio eterno di Mordor.
« Sì amico mio » confermai poggiandogli la mano che poco prima aveva sfiorato, sulla spalla « Non possiamo più andarcene da qua, possiamo solo sperare che l’aiuto venga da noi » dissi stringendogli leggermente la casacca, in un gesto affettuoso.
« Hai riavuto le tue spade » commentò lui guardano le lame che adesso erano tornate al loro posto sul mio fianco, mentre io mi illuminavo in un’espressione soddisfatta.
« Oh è stata una gentile concessione del Sovrintendente » dissi con una lieve scrollata di spalle « Sai dov’è Faramir? »  aggiunsi sviando la sua attenzione.
« Era andato da Boromir, di qualunque cosa avessero iniziato a discutere, è stato in fretta cacciato fuori dalla casa di cura dalla donna che la gestisce. Pare che Boromir fosse impazzito e minacciasse di uccidere Denethor o cose così » disse l’hobbit grattandosi i riccioli castani, oramai un po’ troppo lunghi, poiché gli sfioravano le spalle.
« O cose così » ripetei io divertita prima di spiegargli cosa era successo, raccontandogli della richiesta che Denethor aveva fatto a Faramir poche ore prima e che quindi non c’era da stupirsi se il fratello maggiore l’avesse ripudiata con tanto vigore.
Non apprezzavo molte cose di Boromir, in realtà solo due: era un grande Capitano e amava veramente suo fratello.
« Ma tu perché sei qui? » domandai poi non appena conclusi la mia spiegazione.
« Oh me ne ero completamente dimenticato! Gandalf ti cercava! » disse lui guardandomi e  spalancando gli occhi come un cervo spaventato.
Sospirai, passandomi una mano tra i capelli e gettandoli all’indietro, lasciando cadere anche il cappuccio del mantello alle mie spalle.
« Ah Pipino, e poi ti chiedi perché Gandalf ti prende sempre a bastonate nella zucca vuota » lo presi in giro mentre lui arrossiva leggermente, prima di salutarci e separarci ognuno con la propria destinazione.
Mi incamminai verso l’ala del palazzo dedicata a Faramir, stupendomi leggermente quando trovai il giovane Capitano ad aspettarmi sulla soglia, seduto su uno dei gradini. Forse Pipino vi aveva messo davvero molto a riferirmi quel messaggio, ma considerando che io stessa ero stata impegnata altrove, decisi che l’avrei coperto con le stregone mentre sorridevo all’uomo di Gondor ed entravo nella stanza dopo di lui.


 
 
 

 
Gandalf si trovava all’interno e non appena mi vide si tirò su dalla sedia in cui era seduto, accogliendo con un sorriso così spento, che non raggiunse mai i suoi occhi.
« Credo sia giunto il momento per  te amica mia di abbandonare l’anonimato. Questi uomini, hanno bisogno di Gwend. Lascia decidere a loro se vederti come l’apprendista stregone o il Ranger, ma bisogna assicurarsi che ricevano tutta la speranza a cui possano aggrapparsi » lo stregone si avvicinò alla finestra per osservare il paesaggio ma guardando oltre le mura di Minas Tirith, osservando l’orizzonte da cui persino il sole oramai sembrava volersi nascondere.
Io e Faramir lo affiancammo mentre annuivo alle parole del mio vecchio amico e lui si voltava verso di noi, con uno sguardo così preoccupato che sembrò fosse appena invecchiato dinanzi i nostri occhi.
« La guerra sta già marciando su Minas Tirith, se nessun aiuto verrà in tempo … Beh dobbiamo comunque farci trovare pronti ».
Faramir sospirò, probabilmente cercando di non farsi prendere dal panico, come me in realtà.
Non era la prima battaglia che affrontavo, né la prima guerra e secondo la storia, quella non sarebbe stata neppure l’ultima, ma sarebbero morti così tanti visi conosciuti in questo scontro che temevo che io stessa alla fine, non sarei riuscita a sopravvivere.
Le mie conoscenze avrebbero davvero potuto aiutarci a resistere più a lungo? A risparmiare qualcuno magari?
« Andiamo, dobbiamo trovarti qualcosa da mettere » mi invitò Faramir dandomi una lieve pacca sul braccio e portandomi a seguirlo in una camera secondaria.
Era la stessa dove qualche giorno prima, aveva tirati fuori gli abiti che indossavo al momento, e che aveva permesso a Pipino di avere una divisa della giusta taglia.
« Altri abiti di quando eri un ragazzetto? » intuii accennando un sorriso mentre apriva una cassapanca che doveva essere rimasta chiusa molto a lungo, a giudicare dalle ditate di polvere che spiccavano sull’apertura.
« Mi dispiace non ho altro da offrirti, forse potremmo provare a chiedere a qualche soldato più giovane in città … » mormorò imbarazzato, con la pelle sul collo che assumeva una leggera sfumatura di rosso e lo sguardo, che si spostava da me ai vestiti nella cassapanca.
Alzai un sopracciglio, appoggiandomi alla parete con sempre più disinvoltura nonostante la ferita sul fianco. Non era miracolosamente guarita ovviamente, ma grazie all’aiuto della magia di Gandalf, adesso la mia fasciatura non si allentava, stringendomi sempre al punto giusto, così che non rischiassi di tirare troppo i punti.
« Faramir ero ironica, i tuoi vestiti andranno benissimo » lo tranquillizzai immediatamente leggermente confusa, dinanzi al suo ritrovato imbarazzo nei mie confronti.
Si comportava come se fossimo tornati a quasi quattro mesi prima a Gran Burrone, e lui avesse appena scoperto che era una ragazza.
« E’ solo che, trovo ingiusto che tu non possa semplicemente mostrarti per ciò che sei. Hai fatto così tanto per così tanti e sei comunque costretta nasconderti … » mormorò abbassando lo sguardo ai suoi piedi, sospirando piano prima di rincontrare i miei occhi « Ti meriteresti molto di più, ma tutto ciò che ottieni in cambio sono altre responsabilità » disse lanciando uno sguardo alla porta alle mie spalle, evidentemente riferendosi agli ordini di Gandalf.
« Boromir ti ha parlato di Re Théoden non è vero? » dissi comprendendo finalmente, dove fosse nato tutto quel suo bisogno di rendermi nuovamente giustizia.
Non sapevo cosa frullasse appieno tra i suoi pensieri, ma avevo notato come guardava a volte Gandalf quando mi parlava e nonostante la sua curiosità dovesse essere stata tanta, non mi aveva neppure chiesto cosa ne fosse stato di Aragorn e gli altri. Forse per non irritare il fratello o forse, perché si ricordava come il ramingo si era comportato nei miei confronti dopo che lo stregone era caduto.
« Non è giusto » rispose annuendo alla mia domanda. Chiuse le mani a pugno lungo i fianchi, come i bambini che avevano appena imparato le prime lezioni sulla vita e adesso, distinguevano da soli il buono dal cattivo anche nella realtà, e non più solo nelle favole.
Scrollai le spalle, non sapendo come altro gli rispondergli perché la pensavo esattamente come lui. Non era giusto.
Ma non lo era semplicemente perché negli anni avevo ritenuto Théoden un amico, avevo conosciuto suo padre e avevo combattuto per il suo popolo. Eppure gli esseri umani erano così, volevano tutti accanto grandi persone, ma nessuna che potesse essere più grande di loro e metterli nell’ombra.
« Cerchiamo questi vestiti dai » dissi avvicinandomi a lui, e invitandolo ad iniziare a scavare in quella cassapanca.
 

 
 

 
La ricerca portò un buon esito.
Adesso avevo un nuovo paio di pantaloni in cuoio nero con annessi parastinchi in metallo, una nuova camicia bianca e sopra una cotta di maglia con una casacca nera che sulla schiena aveva ricamato l’albero dei Re.
Mi fermai davanti allo specchio nell’angolo della sala, osservando il mio aspetto e sentendo già la mancanza del mio mantello di Lòrien. Non che avrebbe fatto la differenza in battaglia, ma per quanto a Gondor mi conoscessero come l’apprendista di Gandalf, avevo una pessima sensazione sull’immagine che mi restituiva lo specchio.
Ma forse erano solo i miei occhi ad infastidirmi, da quella distanza, sembravo veramente una creatura di Mordor, con la circonferenza dell’iride nascosta dalla penombra, il mio sguardo assomigliava a quello di un’orrenda creatura che non aveva nient’altro se non due pupille nere su uno sfondo bianco.
Scostai lo sguardo passandomi una mano tra i capelli e spostando i ciuffi più fastidiosi e lunghi dietro le orecchie prima di prendere in mano Aiantcuil, che brillava di luce propria sul mio petto e portarmelo dinanzi al viso.
Sarebbero morti in così tanti in quella battaglia, chi avrei dovuto salvare?
Il ciondolo vibrò, quasi avesse capito che stavo pensando a lui mentre sorridevo mesta, prima di nasconderlo nuovamente al sicuro tra i miei vestiti, sotto la casacca.
Nel complesso non stavo male, decretai legandomi in vita le mie due faretre non più vuote, riflettendo che però, avevo cambiato più abiti e schieramenti io in quei  quattro mesi, di quanto non avessi mai fatto in un’intera vita.
Uscii dalla stanza, per trovare solo Faramir ad aspettarmi.
« Pipino è venuto a richiamare Mithrandir. E’ giunto il Signore del Lossarnach con almeno duecento guerrieri e anche mio zio è stato avvistato, sarà qui in meno di un’ora. » mi aggiornò con un sorriso che non riuscii a restituire.
Erano numeri così esigui che non riuscii a farmi contagiare dal suo buonumore,  neppure alla notizia che sarei riuscita a rivedere un vecchio amico.
Sapevo che entrambi i Signori, avevano tolto quegli uomini a discapito delle loro stesse difese ed era onorevole. D’altronde gli uomini stavano per affrontare una guerra contro l’impossibile e l’impossibile sarebbe stato richiesto per vincere quello scontro.
Così con il giovane capitano di Gondor, andammo a trovare Boromir sperando in un miglioramento nelle sue condizioni, così che potessimo presenziare un nuovo concilio di guerra.
 
 
 
 


Arrivammo da Boromir che il Capitano di Gondor era pallido come i lenzuoli sotto di lui, ma se ne restava seduto sull’angolo della branda, come se non avesse l’intero letto a disposizione per sdraiarsi.
« Era avvelenata vero? » dissi guardando con molto scetticismo la fasciatura che gli abbracciava tutta la spalla ancora macchiata di sangue. Da sotto di essa, era facile riconoscere i capillari che viaggiavano a fior di pelle completamente neri, come se al posto del sangue, stessero trasportando inchiostro.
« Già » replicò Boromir lanciandomi un’occhiataccia, evidentemente non era per niente felice di vedermi ma concesse un sorriso fraterno a Faramir, quando assunse un’espressione preoccupata dinanzi alle condizioni del fratello.
« La curatrice non ha potuto fare altro? » domandò Faramir avvicinandosi al maggiore e ispezionando da vicino la pessima fasciatura.
Boromir lo lasciò fare, anche se evidentemente irritato da tutte quelle attenzioni, parlarono di più e del meno per qualche minuto, fino a quando il maggiore dei fratelli fu sicuro che il minore, non sarebbe partito a breve verso nessuna missione suicida affidatagli dal padre.
« Bei vestiti comunque, erano tuoi vero Faramir? » disse il Capitano di Gondor per cambiare discorso. L’uomo più giovane annuì, mentre io scrollavo le spalle con indifferenza.
« A quanto pare non posso vestirmi da sempliciotto di campagna se dobbiamo scendere in guerra » replicai facendo un breve giro su me stessa per mostrargli l’albero dei Re sulla mia schiena.
« Sembri comunque un sempliciotto » commentò Boromir schioccando la lingua.
Assottigliai le palpebre, pronta a rispondergli per le rime quando ovviamente il fratello minore si intromise con uno dei suoi migliori sorrisi.
« Io trovo che tu stia bene invece. Ma quando uno è bello, è bello sempre anche se lo vesti da sempliciotto » commentò con un sorriso affettuoso e spostandomi una ciocca di capelli da davanti agli occhi, facendomi  arrossire.
Avrei dovuto legarli prima della battaglia, o magari metterci qualche altra goccia di olio anche se ero certa che dopo le prime ore, ci avrebbe pensato il sudore a tenerli fermi.
« Oh fratellino finalmente hai fattola tua mossa? » disse Boromir allungandosi per dargli una forte pacca sul sedere.
« Eh? » domandò Faramir mentre sia io che lui guardavamo confusi il Capitano di Gondor.
« Ma sì avrai una cotta per lei da quando? Vent’anni? » soppesò fingendo di non notare l’imbarazzo che prese fuoco sulla pelle dell’uomo più giovane mentre io nascondevo un sorriso divertito dietro il palmo della mano.
« Boromir ma di cosa parli! Ho scoperto che era una donna quattro mesi fa! » urlò in mezzo all’infermeria, costringendomi a guardare da un'altra parte per trattenere una risata, mentre la voce di Faramir diventava particolarmente acuta.
« Non lo sapevi? » domandò Boromir evidentemente confuso, guardando prima me e poi suo fratello minore, facendo passare lo sguardo tra noi almeno una decina di volte prima di sbuffare divertito.
« No! E poi Gwend è impegnata, non oserei mai! » aggiunse facendomi girare verso di lui alla velocità della luce.
« E con chi sarei impegnata? » domandai guardandolo scandalizzata come se gli fosse cresciuta una pianta di pomodori in testa. E considerando che il suo viso era ancora rosso a causa delle affermazioni di Boromir, l’opzione era perfettamente plausibile.
« Con l’elfo biondo no? Lui mi ha detto che non avrei dovuto permettermi di fare mosse avventate con te » mormorò piano quasi ricordasse il giorno della conversazione con timore.
Le mie sopracciglia schizzarono in alto, mentre spostavo lo sguardo persino su Boromir, che però non era di nessun aiuto mentre mi guardava divertito.
« Emh, parliamo di Haldir? Lui è solo un amico » dissi confusa cercando i ricordare quando il Capitano delle guardie avesse preso in disparte Faramir per parlargli.
« No, l’amico di tuo fratello, Legolas » disse mentre io sentivo nuovamente il viso andarmi a fuoco, prima di strozzarmi con la mia stessa saliva e tossire lievemente presa dal panico.
Boromir rise, pentendosi subito della sua decisione quando iniziò a gemere di dolore a causa della spalla ferita, cosa che migliorò nuovamente il mio umore.
« Che cosa ti ha detto di preciso? » tentai quindi cercando di ricompormi, mentre Faramir sembrava sentirsi leggermente più a suo agio ma anche più confuso, dinanzi al mio imbarazzo.
« Che non era una buona idea farmi strane idee su di te. Avrebbe potuto rivelarsi pericoloso … Mi parlò quel giorno lungo il fiume, dopo che stilammo assieme il piano di fuga con gli hobbit verso l’Ithilien » aggiunse incerto, passandosi una mano dietro il collo, come se temesse di aver detto qualcosa di sbagliato.
« Oh » ripetei ricordando qualcosa su quel giorno: Aragorn mi aveva perfino fatto una battuta su una possibile infatuazione di Faramir e se non erravo, Legolas era stato a pochi passi da noi…
« Sì ma … Beh diciamo che con Legolas abbiamo avuto delle incomprensioni. Non lo ha detto per il motivo che pensi tu, lo ha detto perché credeva veramente che io fossi un pericolo … per te » dissi evitando il suo sguardo e muovendo le mani ancora imbarazzata.
Non volevo rivelare troppo della relazione tra me e Legolas, sicuramente l’elfo non si meritava che la sua vita venisse spiattellata dinanzi a degli estranei, ma come gli era venuto in mente di avvertire Faramir a quel modo? Come non poteva aver capito che l’uomo avrebbe frainteso?
Era un elfo vissuto per centinaia di anni per la miseria, e ancora non aveva capito come funzionava il cervello degli uomini?!
« Oh, d’accordo » si limitò a dire Faramir, provando evidentemente della pietà nei miei confronti. Cosa per cui gliene fui eternamente grata, specialmente quando cercò di riportare il discorso sullo stato di salute di Boromir.
« No no, non mi incanti fratellino, questa è la tua occasione dunque per fare la tua moss- » non gli permisi di proseguire oltre mentre gli detti malamente una spinta proprio sulla spalla ferita, facendolo urlarle di dolore mentre una sequela di insulti partirono dalle sue labbra e cercò di tirarmi un calcio, che però evitai facilmente spostandomi di lato e dietro suo fratello.
« Stavi dicendo? » dissi con la mia voce più falsa ed angelica mentre Boromir sembrava trattenersi dal mettermi le mani al collo, prima di schioccare la lingua e far cadere l’argomento.
« Non ti uccido solo perché ci farai comodo » mi disse guardandomi con tutto l’odio che sicuramente provava mentre io mi limitavo a continuare a sorridergli in modo sornione.
 
 
 
La discussione passò alle prossime strategie che avremmo dovuto intraprendere e a come suddividere i guerrieri e i rispettivi comandanti.
Nel frattempo tornò anche la famosa capo-guaritrice che dopo avermi dato una lunga e confusa occhiata si limitò a concentrarsi solo sul suo paziente, ignorando i commenti di Boromir che continuava a sostenere stesse “bene”.
Era evidente che la donna avesse avuto a che fare con troppi soldati idioti che erano passati lungo la sua casa della guarigione, per concedere delle attenzioni differenti all’ennesimo capitano.
Quello fu il momento in cui scelse di arrivare anche Imarahil sorridendo alla vista del nipote che stava imprecando contro la donna sulla cinquantina, che lo stava ignorando come se fosse niente di più di un bambino petulante, e non il figlio del Sovrintendente.
Decisi che quella guaritrice, mi stava particolarmente simpatica.
« Boromir, Faramir » li salutò avvicinandosi per accogliere quest’ultimo in un mezzo abbraccio.
« Valanyar » disse l’uomo salutandomi con un breve inchino ed un cenno del capo.
« Come è che voi due vi conoscente? » bofonchiò Boromir mentre cercava di allontanare cautamente la guaritrice, che per tutta risposta gli schiaffeggiò via la mano quando cercò di impedirle di sfasciare completamente la benda.
« E’ uno dei Dùnedain, ero presente alla sua incoronazione quando suo padre morì quasi dieci anni fa. Lo avvisai che avrebbero avuto dei problemi con i corsari di Umbar » dissi mentre lui annuiva prima di aggiungere « Ma ci siamo conosciuti ad Imladris, suo padre Elrond, è sempre stato un nostro ottimo amico, mio padre si affidava spesso al suo consiglio » aggiunse mentre io mi ritrovai nuovamente ad imbarazzata. Non ero abituata a sentire riferire Elrond come mio “padre”.  Solitamente io ed Aragorn eravamo i “figli adottivi” certo, ma proprio per questo la differente presentazione in qualche modo mi imbarazzava.
Come se adesso avrei dovuto tenere le spalle più dritte ed essere un esempio migliore, per difendere l’onore del mio Re. Era strano in pratica.
« Quindi un altro che sapeva che Gwend era una donna. Fratellino eri rimasto solo tu » disse Boromir ridacchiando sommessamente prima di smettere per imprecare, quando la guaritrice, poggiò la garza umida con troppo forza sopra la ferita.
Avrei potuto giurare che fosse stato un incidente dato che si scusò prontamente, ma il suo sorriso soddisfatto, mi fece invece intuire le sue preferenze, per quanto riguardava i suoi due signori.
« Comunque potremmo avere un problema, sono andato a cercare vostro padre. Ma le guardie mi hanno riferito che nessuno lo vede da questa mattina »
« Come è possibile? » disse Faramir voltandosi a guardare il fratello allarmato. Boromir si accigliò prima di spostare  suoi occhi accusatori su di me.
« Come hai riottenuto le tue spade? » domandò con la sua migliore voce di comando. Peccato che l’avessi sentita così spesso, e ignorata così tante volte anni addietro, che aveva perso per quanto mi riguardava, tutto il suo vigore.
« Oh beh questa mattina, dopo aver incatenato il Sovrintendente nel cuore della montagna » risposi poggiando le mani sull’else delle spade, concedendo alle lame delle carezze affettuose.
« Oh Dei » disse Faramir coprendosi il viso con una mano esasperato, mentre Boromir urlava un « Che cosa?! » che richiamò l’attenzione di tutta l’infermeria solo per beccarsi un altro schiaffetto da parte della guaritrice.
Adoravo quella donna.
 

 
 
 

Sorbita l’ennesimo urlo da parte di Boromir, e uno sguardo da cucciolo bastonato di Faramir mi arresi, ed esasperata tornai dal sovrintendente per liberarlo. Non che avessi avuto intenzione di lasciarlo lì a vita, ma un po’ della sua stessa medicina non gli avrebbe di certo fatto male.
Insomma, era difficile peggiorare quando si era Denethor.
« Dunque è questo che sei. Ti fingi un uomo retto Gwend dei raminghi del Nord, ma non sei altro che un uomo minore, come tutti gli altri » Denethor mi guardava con il furore negli occhi mentre ancora legato dalle catene. I suoi polsi poco prima delicati e perfetti iniziavano a possedere delle ferite gemelle alle mie.
« Fosse per me, ti lascerei qui a marcire fino a quando non moriresti per l’autocombustione data dalla tua stessa rabbia. Ma qualcuno più saggio di te, mi ha insegnato che non spetta a noi decidere chi deve vivere e chi deve morire a questo mondo, quindi Denethor figlio di Ecthelion io ti offro una scelta:
Brucia nella tua superbia, rinchiuso nel tuo palazzo dove nessuno sentirà più parlare di te, oppure sfrutta quelli che potrebbero essere i tuoi ultimi attimi per dare un senso alla tua vita »
« Le tue parole sono vuote. Non vi è speranza … Credi che anche se nascosto in questo buco, non abbia visto le forze di Mordor? Verremo spazzati via, trucidati tutti … Gondor non sarà che un ricordo perduto nel tempo … »
Mi avvicinai al palantìr sulla colonna, sfiorando il meraviglioso cristallo nero che aveva smesso di mostrare le armate di Sauron al mio arrivo.
Poggiai senza esitazione il palmo sopra la sfera, coprendo l’occhio del nemico con la mano aperta, non appena apparve all’interno della Sfera Anor  mentre cercavo di imporre il mio volere a quello del nemico.
Non fu facile, sapevo quanto la mia mossa fosse azzardata. Nessuno prima di Denethor era mai riuscito a resistere alla magia del nemico ma mentre sentivo le prime gocce di sudore sfuggirmi dalla fronte e il cristallo sotto le mie dita bruciarmi il palmo da quanto era freddo, l’occhio iniziò a vacillare. Resistetti alla tentazione di strappare via la mano e scappare lontano da quella stanza, e quasi spingendo fisicamente la mano più a fondo nel cristallo dissi:
« Tu non comandi la Sfera di Amon, vattene. Il palantìr è una magia che non ti appartiene fu creato quando fosti distrutto la prima volta. E anche oggi, fallirai.
 Io non sono il Sovrintendente, le tue armate non mi spaventano, vattene e torna a guardare dalla tua torre. » soffiai tentata quasi di ritrarre la mano quando l’occhio senza palpebra, parve guardarmi nuovamente dentro,e  come aveva fatto giorni addietro per delle ore infinite, il signore Oscuro parlò, facendo scorrere un intero brivido di gelo lungo a mia spina dorsale.
Rammenta le tue parole Narratrice dei Valar, rammentale poiché con esse hai segnato il tuo destino. Quando ci incontreremo sul campo di battaglia, per te sarà la fine. Cadrai esattamente dove io vorrò, dove io l’ho visto succedere .”
Denethor gemette dietro di me, facendomi intuire che anche lui aveva sentito la minaccia della voce dell’Oscuro, ma infine l’occhio di Sauron svanì e la sfera si spense, prima di riaccendersi quasi, mostrandomi ciò che volevo mostrare a Denethor.
« Guarda Sovrintendente, ammira:  la speranza » dissi mentre mi spostavo di lato, permettendogli di vedere le immagini che si stagliarono all’interno del palantìr:
 
Vi era Théoden in cima ad una collina, che guardava i suoi guerrieri dall’alto. Erano troppi guerrieri per rientrare tutti all’interno della visione, ma nonostante i grandi numeri il Re di Rohan era chiaramente preoccupato. Si impose comunque un’espressione piena di determinazione mentre guardando i suoi uomini urlava « Domani, marceremo contro Mordor! Per Gondor! » urlò egli uomini sotto di lui risposero come in un eco, mentre Éomer si affiancava all zio poggiandogli una mano sulla spalla.
 
 La scena cambiò e adesso  vi era Faramir che passava tra le file dei soldati sopravvissuti ad Osgiliath, portando ogni guerriero nella posizione ottimale, mentre senza timore, lanciava occhiate alla marea di orchi che si avvicinavano alle mura.
« Proteggeremo la nostra meravigliosa città, Rohan sta arrivando, resisteremo perché Gondor può farcela! Perché questa è l’alba della nuova Era e noi vi saremo per assisterla ! » i soldati accanto a lui ruggirono un grido di guerra, ritrovando il coraggio di cui necessitavano mentre con determinazione riprendevano le loro posizioni, dritti e fieri dinanzi il nemico sempre più vicino.
 
Un nuovo cambio, adesso Boromir stava discutendo con l’infermiera.  Voleva alzarsi dal letto, ma ancora una volta lei continuava a spingerlo giù, pregandolo di non fare il bambino mentre gli diceva che doveva riposare.
« Siete stato avvelenato! Cascherete in terra come una bambola se non vi riposate! » gli stava urlando lei con le guancie rosse, sembrava pronta  a legarlo letteralmente al letto se non gli avesse dato ascolto.
« La guerra incombe donna! Il mio posto è con i miei uomini, mi rifiuto di morire in un letto! Il campo di battaglia è il mio posto ! » urlava incurante delle bende che si stavano nuovamente macchiando di sangue, segno che il veleno impediva alla ferita di rimarginarsi a dovere.
« Mio signore, non servite a nessuno vivo a metà! Riposate qualche altra ora vostro fratello vi avvertirà in caso di necessità » lo ribeccò lei facendo probabilmente uso, di tutta la pazienza a sua disposizione.
Boromir parve ritrovare il senno per un attimo prima di rimettersi nuovamente in piedi, facendo probabilmente venire un’ulcera di disperazione alla donna.
« Hai ragione la battaglia è troppo vicina, i malati, i vecchi e i bambini vanno portati nella cittadella là saranno al sicuro »
« A palazzo mio signore? » domandò lei evidentemente shockata dalla proposta, poiché non lo spinse nuovamente sulla branda « Ma vostro padre non lo permetterà mai ».
« Mio padre sa che Gondor è un regno composto dalle persone, non dalla terra. Il proprio popolo è il cuore della nazione, non certo una sala del trono ed una corona d’oro » ribatté lui mentre negli occhi della curatrice, qualcosa cambiò una nuova si accese nelle sue iridi mentre il suo sguardo si addolciva e adesso rispondeva a Boromir con qualcosa di molto simile al rispetto.
« Sì Capitano » gli rispose con lei con un sorriso così delicato e dolce, che potei giurare imbarazzò l’uomo di Gondor che si sbrigò a voltare in fretta lo sguardo.
 
Un nuovo cambio e Mithrandir camminava per le strade della città, mormorando incantesimi e rassicurando i più giovani. Ogni volta che delle parole lasciavano le sue labbra in lingua antica, una nuova fatica si sommava ad altre sulle sue spalle, costringendolo a camminare più piano, o a stringere con più prudenza il suo bastone.
Pipino accanto a lui lo guardava preoccupato, mentre gli consigliava di prendersi una pausa.
« Non abbiamo tempo per della pause mastro Hobbit, i soldati di Gondor non si riposano da giorni e per altri gironi ancora non potranno farlo, dobbiamo aiutarli Peregrino Tuc, ripagare con tutto ciò che possediamo il loro valore » sorrisi amorevolmente dinanzi l’espressione decisa di Pipino che annuiva, prima di riprendere il cammino assieme a Gandalf.
 
« Perché mi mostri queste cose? Non ha importanza, niente lo ha, verremo annientati . Le forze di Mordor sono troppo potenti … » mormorò il Sovrintendente, rifiutandosi di guardare oltre mentre abbassava il suo sguardo ed io ricoprivo con il telo la sfera di cristallo, prima di avvicinarmi a lui e infilare la chiave nelle toppe di metallo che gli incatenavano i polsi, sfilandogli le due manette di ferro.
Ma nonostante Denethor fosse ora libero della catene, non si alzò, restando immobile in ginocchio, rannicchiato dentro il suo stesso mantello, con i capelli scomposti che lo facevano assomigliare ad un vecchio pazzo.
« Non si po’ scegliere come si viene a questo mondo. Sei nato Sovrintendente, la tua carica è stata tua di diritto dalla nascita. Ma puoi scegliere come verrai ricordato.
Se non vuoi farlo per te stesso, fallo almeno per i tuoi figli, loro moriranno per proteggere Minas Tirith.
Avete il doppio della loro esperienza nel mondo, eppure sono loro che possono ancora insegnarvi così tanto … Andate da loro, guidate il vostro popolo »
«Non non mi muoverò da qui » ringhiò ancora rabbioso il sovrintendente, con lo sguardo perso sulla sfera, adesso nuovamente coperta dalla stoffa « Che seguano chi vogliono, perfino il Grigio Stolto, benché la sua speranza sia fallita io, rimango qui ¹».
Vorrei dire che rimasi sorpresa dalla facilità con cui Denethor era pronto ad abbandonare i suoi figli, il suo popolo, solo perché non trovava la forza di tirarsi in piedi. Vorrei poter dire che mi fece pietà.
Invece, mi fece solo schifo, come sempre mi aveva fatto e non sprecai altri secondi del mio tempo per andarmene, lasciandolo solo in compagnia del suo adorato palantìr.
 

 
 

 
« Sei una donna molto particolare Valanyar di Imladris » mi salutò Imrahil non appena svoltai l’angolo. Mi aspettava nella penombra della galleria appoggiato al muro con le braccia incrociate.
Gli sorrisi iniziando a camminare su per la galleria, affiancata dal Principe di Dol Amroth.
« Non avete intenzione di andare a prendere vostro cognato? » domandai senza realmente temere una ritorsione per le mie gesta. Come aveva detto Boromir poco prima in infermeria, adesso a Gondor vi erano fin troppe priorità per farne di me la prima.
« Da quello che ho sentito, mio cognato è libero di muoversi, ma poiché lo hai lasciato solo nella stanza con la Sfera di Anor … Dubito che lo farà » si voltò verso di me, costringendomi a fermarmi a metà scale, per poter incontrare il suo sguardo « Sai che il palantìr lo porterà alla follia. Avresti potuto salvarlo, portandogliela via » disse lui studiandomi come se fossi un indovinello particolarmente complesso.
« Non ho intenzione di fare questa scelta per lui, se sceglierà la follia come avete predetto, non ho intenzione di ritenermene responsabile » dissi scrollando le spalle mentre riprendevo la nostra camminata sfuggendo al suo sguardo. Non mi importava se secondo lui, a quel modo avevo giocato un tassello importante nella vita del sovrintendente. La vita di tutti d’altronde era fatta di scelte, era giusto che Denethor facesse la sua.
« Credi che Re Elrond approverebbe la tua decisione? » domandò quindi il Principe, colpendomi dove sapeva che avrebbe ottenuto la mia attenzione.
Ma in tutta sincerità? Ero piuttosto stanca di tutti quei Signori che erano sempre pronti a giudicare ogni mia azione. Tutti mi richiedevano aiuti o consigli ma non appena mi vedevano agire, erano sempre i primi a puntare il dito.
« Elrond è una brava persona » risposi determinata a continuare a salire, nonostante sapessi che l’uomo accanto a me potesse percepire con facilità la mia irritazione crescente « Ed un guaritore. Una persona buona non incatenerebbe mai qualcuno ad una parete costringendolo a rivivere i suoi peggiori incubi »
« Quindi ritieni che ti giudicherebbe, e che non vorrebbe che tu lo facessi, quindi perché? » insistette accelerando anche lui il passo per potermi affiancare lungo la salita, mentre la luce della sala sopra di noi, si faceva sempre più vicina.
« Perché io mi ritengo una persona giusta. Non mi piace stare a guardare Imrahil » dissi voltandomi verso di lui, e probabilmente mancandogli anche di rispetto mentre abbandonavo ogni appellativo « Si dice di non giudicare mai qualcuno, non prima di aver camminato almeno un miglio nelle sue scarpe. Mi piace assicurarmi che sia un concetto che valga per tutti »
« E chi assicura te alla giustizia? Chi giudica Valanyar? » ribattè lui in un tono meno accusatorio del previsto, solo curioso.
« La gente come te, i buoni. » conclusi accennandogli un sorriso, mentre lui scuoteva la testa, rispondendomi con uno simile prima di fare assieme l’ultimo passo ritrovandoci in cima alle gallerie
 
Arrivammo nella sala del trono scoprendo che era giunto un nuovo alleato. Il cui soprannome era letteralmente Hirluin il Bello ed una volta che il mio sguardo si posò su di lui, non potei dargli torto.
Lo salutai con un cenno della testa, a cui rispose con un occhiolino malizioso che mi fece immediatamente arrossire, prima di rischiare di spiaccicarmi a terra.
« Gwend vecchia canaglia! » venni accolta alla mia sinistra da una manata così forte sulla mia spalla, che mi costrinse a fare un paio di passi in avanti per non perdere l’equilibrio.
« Salve Forlong » lo salutai massaggiandomi la spalla appena accusata, mentre gli accennavo un sorriso « Vedo che la tua pancia è cresciuta ancora » dissi guardando l’enorme sporgenza a forma di collina,che l’uomo aveva dinanzi a sé.
Il vecchio rise di gusto, ricordandomi molto Gimli dopo qualche birra di troppo, nonostante fossi certa che l’uomo fosse perfettamente sobrio.
« E tu invece hai sempre la stessa faccia da mingherlino! Possibile tu ancora non sia cresciuto come un vero uomo? » ribatté avvicinandosi per un'altra pacca, che però riuscii prontamente a schivare « Avrai quanto oramai? Trecento anni? » aggiunse ridendo.
Forlong mi aveva sempre preso in giro per la mia altezza, e quando in passato avevamo combattuto assieme, ad ogni banchetto della vittoria aveva cercato di farmi mangiare almeno un maiale intero.
Merry e Pipino avrebbero sicuramente apprezzato le attenzioni del signore del Lossarnach.
 

 
 
 

« L’esercito di Mordor marcia su di noi, saranno qui prima del calare della notte, nessun ulteriore aiuto può giungere a noi per proteggere la città. Dobbiamo prepararci a resistere all’assedio » e con queste parole Gandalf sancì l’inizio del nuovo concilio di Guerra.
Gli uomini iniziarono a dibattere tra di loro, mentre Faramir cercava di tenere il conto di quanti aiuti fossero giunti dai Feudi del Sud.
« Siamo circa novemila soldati » conteggiò amaramente il giovane Capitano di Gondor. Forlong fischiò in assenso a quel numero, ma quando nessuno rispecchiò il suo buon umore, si guardò mestamente attorno.
« Diecimila soldati dietro a delle spesse mura gente! Potremmo resistere per mesi, senza contare che Rohan sarà probabilmente a meno di due giorni di viaggio. Possiamo farcela! » persistette cercando di contagiare i presenti e passandomi un braccio attorno alle spalle, scuotendomi con vigore.
« Gwend » disse Faramir ricercando il mio sguardo, imitato da gli altri presenti « Di quanti numeri parliamo? Qual’ è la mole dell’esercito di Mordor? »
Sospirai, sfilandomi via dall’abbraccio del vecchio panzone, per guardare uno per uno i comandanti. Boromir ovviamente non era presenta, ma ero certa che avesse già dato le sue diposizioni in merito a suo fratello.
« Sauron crederà che tu abbia condotto l’anello del potere al sicuro nella Capitale. Intere legioni sono state sguinzagliate.  Se Aragorn riuscirà a fermare i Corsari, parliamo comunque di almeno ottantamila unità nemiche. » affermai  iniziando a cercare di far chiarezza tra i miei pensieri, camminando in su e in giù davanti i presenti.
« I Nazgûl scenderanno in guerra, il Re Stregone stesso guiderà almeno quarantamila guerrieri tra orchi ed uruk neri. Alla quale però dobbiamo aggiungere gli uomini delle Terre dell’Est … Faramir hai detto di aver avvistato gli Olifanti qualche giorno fa, prima che tuo fratello vi trovasse. » aggiunsi desiderando di ricordare i numeri con più precisione, ma sapendo di non poter fare di meglio o avrei finito per dargli informazioni inesatte.
« Vi saranno Nove bestie alate, uno per ogni Re. E molti Troll di Montagna e d’Elite. Alcuni di loro porteranno un ariete estremamente pericoloso. Andranno abbattuti costantemente o il cancello della città finirà per cedere » li avvisai ricordandomi poi di avvertire Faramir e Hirluin sui Troll che invece avrebbero spinto le torri piene di nemici. I due uomini annuirono, assicurandomi che avrebbero avvertito i proprio arcieri e che si sarebbero fatti trovare pronti.
« Dove impiegherete le guardie della cittadella? » domandò lo zio dei due Capitani di Gondor mentre continuavo a fare il punto della situazione.
« Le guardie della Cittadella resteranno qui, sotto ordine di mio fratello. Saranno l’ultima linea di difesa per i civili » disse Faramir lanciando uno sguardo alle porta chiuse che davano nel piazzale esterno.
« I civili? Vuole portarli tutti qua? » domandò il vecchio Forlong con espressione stupita « Boromir è cresciuto su proprio bene. Ben fatto! Queste sono le cose importanti, un regno senza il suo popolo è come un corpo senza un cuore! » trattenni un sorriso dinanzi a quelle parole, chiedendomi se non fosse stato proprio quel vecchio svariati anni prima a proporre il paragone ad un giovane Boromir.
« Bisogna avvertire anche gli uomini delle prime linee » aggiunsi ricordando un episodio particolarmente macabro.
« Quando i primi colpi di catapulta partiranno, non saranno offensivi » dissi prendendo una breve pausa per guardare gli uomini davanti a me uno ad uno, fino a soffermarmi su Gandalf.
« Hanno dissacrato i soldati uccisi a Osgiliath … Vi verranno restituiti » dissi lasciando che ognuno di loro si facesse la propria idea di ciò che sarebbe stato in quelle catapulte, mentre anche il più vecchio dei comandanti sembrò non trovare più niente per cui sorridere in una simile situazione.
« Non che non apprezziamo. Ma com’ è che questo ragazzino sa tutte queste cose? » domandò Hirluin ricordandomi che tra i presenti, era l’unico che non mi aveva mai conosciuto.
« Oh lui è Gwend ! Un grande guerriero famosissimo a Rohan! » disse Forlong con un gran sorriso nello stesso momento in cui interveniva Faramir dicendo:
« E’ l’apprendista di Mithrandir » così come Himrail invece se ne uscì con:
« Chi è? Lei è Valanyar la figlia adottiva di Re Elrond di Imladris, i suoi occhi conoscono la storia della Terra di Mezzo, è una narratrice benedetta dai Valar » ovviamente quasi tutti gli occhi iniziarono a spostarsi tra il Principe e me, mentre Gandalf si sforzava inutilmente di trattenere uno sbuffo divertito.
« Oh capisco » disse il vecchio panzone avvicinandosi a me, e scrutandomi il viso come se lo vedesse per la prima volta « Sei una donna, ma certo! » disse dandomi un’altra sonora pacca sulla schiena che minò il mio equilibrio. Faramir mi aiutò, prendendomi sotto il gomito appena in tempo ed evitandomi una rovinosa caduta.
« Questo spiega perché eri un mezzo-cacio d’uomo! » annunciò mentre io cercavo di rispecchiare il suo sorriso, lieta semplicemente che non avesse preso male la notizia.
Alla mia sinistra apparve anche Hirluin, che si chinò leggermente per potermi parlare a pochi centimetri dal  viso:
« L’ho capito dal primo momento che ti ho vista, la tua bellezza era troppo delicata. Pensa a quanto sarebbero meravigliosi i nostri figli » disse con un sorriso ammaliatore.
Diventai rossa come un peperone mentre istintivamente facevo un passo indietro, allontanandomi dal soldato e dal suo sorriso sornione.
« Non abbiamo tempo per queste sciocchezze. Gli uomini stanno sistemano il pietrame attorno alle catapulte di difesa, non abbiamo più molto tempo » si intromise Gandalf mentre io tiravo un sospiro di sollievo per il cambio di direzione della discussione.
Boromir scelse quel momento per spalancare le porte della sala del trono, lasciando entrare la flebile luce del sole nella grande sala.
Data la colorazione, notammo tutti con timore, che era quasi il tramonto. Nonostante l’altitudine, adesso che le porte erano state aperte, era possibile udire l’esercito di Sauron che marciava, sempre più vicino.
« E’ finito il tempo delle strategie. Mordor è alle porte, la guerra ha inizio » ci annunciò con la luce che gli splendeva da dietro, riflettendo i suoi ultimi raggi sull’ armatura del guerriero e facendolo apparire come gli eroi dipinti negli affreschi della sala.
« Quindi come devo chiamarti? Valanyar? O Val per gli amici? Ma potremmo essere molto più di questo » mi fece ritornare con i piedi a terra il signore di Pinnath Gelin strappandomi anche una mezza risata.
« Gwend andrà benissimo » risposi invece mentre lui piegava eccessivamente le labbra all’ingiù fingendo un’espressione triste.


 
 
 

 
Ovviamente in memoria dei vecchi tempi, Boromir mi affidò la prima linea.
Avrei voluto controbattere e fargli notare che ero ferita e quanto fosse ingiusto, ma invece una piccola parte di me fu perfino felice. Guidavo i mille uomini che erano sopravvissuti all’incursione su Osgiliath e dato che i più vecchi erano volti conosciuti, dovetti persino riconobbero che quella del Capitano di Gondor era stata una buona idea.
Accanto a me, vi erano Hirluin e i suoi trecento uomini, schierati in mezzo ai miei così da potersi alternare con i quattrocento arcieri di Minas Tirith. I movimenti di difesa erano già stati concordati mentre oltre il cancello, dall’altra parte delle mura, vi erano Faramir e suo fratello.
Gandalf avrebbe continuato a muoversi nella città, per infondere coraggio alla popolazione. Forlong e i suoi erano a difesa del cancello; mentre Imrahil si occupava delle difese interne e soprattutto dell’abbattimento delle creature alate, se si fossero fatte troppo vicine.
Sotto di noi, i Campi del Pelennor brulicavano di nemici.
Il Re stregone non era in testa all’esercito con mia grande sorpresa. Ma ero comunque certa che sarebbe apparso non appena le tenebre avrebbero favorito al meglio l’avanzata della sua cavalcatura.
Anche senza i nove nazgûl, la vista dinanzi a noi era terrificante.
« Siamo spacciati, non possiamo farcela » mormorò un giovane soldato di fianco a me, con il sudore che gli colava lungo il viso, come lacrime.
Si voltò per incrociare il mio sguardo, con il panico negli occhi, ma nonostante questo non si mosse dalla sua postazione.
« No, forse non vinceremo » iniziai attirando l’attenzione di tutti i soldati vicini, compreso Hirluin alla mia sinistra « Forse l’unica cosa che potremo fare sarà quella di rendergli la vita difficile. Ma per batterci, dovranno riuscire ad ucciderci, e per ucciderci dovranno avere il fegato di stare di fronte a noi. E per fare questo, dovranno essere pronti a morire anche loro!² » urlai attirando ancora di più, l’attenzione degli uomini vicini, mentre davo le spalle al nemico sentendo gli occhi dei soldati di Osgiliath puntati su di me dove per un attimo, non dovevano confrontarsi con l’orrore dei nemici così vicini « Ma noi, non ce ne andremo in silenzio nella notte. Noi non ci arrenderemo senza combattere. Noi continueremo a vivere e a lottare e noi sopravvivremo!³ PER GONDOR! » urlai alzando un braccio verso il cielo, mentre un esplosione di grida seguitava alle mie parole e il nome della nazione risuonava in angolo della città, dando la carica ad ogni singolo soldato e rimpiazzando la paura con la determinazione.
 
Poi le catapulte del nemico fecero  fuoco.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[…] perfino il Grigio Stolto, benché la sua speranza sia fallita io, rimango qui ¹ = tali meravigliose parole sono state veramente pronunciate dal nostro adorato Sovrintendente.
Poiché di solito cito il film e non il libro, ho pensato di sottolinearlo ;)
 
 
Forse l’unica cosa che potremo fare sarà quella di rendergli la vita difficile. Ma per batterci, dovrà riuscire ad ucciderci, e per ucciderci dovranno avere il fegato di stare di fronte a noi. E per fare questo, dovranno essere pronti a morire anche loro!² = Ovviamente modificato al plurale ma è la citazione di Rocky IV
 
[…]Ma noi, non ce ne andremo in silenzio nella notte. Noi non ci arrenderemo senza combattere. Noi continueremo a vivere e a lottare e noi sopravvivremo!³ = citazione leggermente modificata, ma appartenente al film Independence Day.
 
Hirluin = mi scuso con chiunque abbia letto i libri e trovi questo personaggio OCC. Perché in tutta onestà ci sta, anzi credo sia così al 100% unico dilemma è che io non me lo ricordo minimamente xD
Ricordo di aver letto di lui, e vagamente la sua parte nella battaglia, ma in tutta sincerità non ricordo neppure se lui arriva assieme agli uomini di Rohan oppure partecipa con i suoi uomini anche all’assedio.
Avendo il vuoto totale e girellando sui vari siti per trovare delle risposte ho deciso che mi avrebbe fatto comodo per l’assedio e quindi è finito a combattere accanto alla nostra Valanyar con la sua nuova affascinante personalità.
Se qualcuno era affezionato al personaggio originario, chiedo venia.




 
NdA : Beh insomma, cambio il classico venerdì con il “posto tra il venerdì e il sabato, la coerenza è perduta gente!”
Ieri era pronta ma avrei postato comunque la sera tardi e senza averlo corretto, non ve lo meritavate gente suvvia! Non adesso poi che siamo sempre più vicini alla fine!
 
L’ho già annunciato ad alcuni di voi nelle recensioni (quindi a tre persone ma bisogna adattarsi e a voi vi amo particolarmente <3)
Questa storia si conclude con la fine della trilogia del Signore degli anelli e quindi a breve. Ma, conclusa potrete finirla lì (il finale avrà senso quindi non dovete temere dubbi amletici od altro) però io ho previsto il seguito, quindi poi potrete tornare continuare l’avventura con Valanyar dove avranno risposta tutte le domandine più fastidiose che vi siete fatti!
In ogni caso, capirete poi ;) A presto e grazie per apprezzare la mia storia <3
 
   
 
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