Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Sweet Pink    24/04/2021    2 recensioni
Impero Britannico, 1730.
Saffie Lynwood e Arthur Worthington non si potrebbero dire più diversi di così: freddo quanto implacabile giovane Ammiraglio della Royal Navy lui, allegra e irriverente ragazza aristocratica lei. Dire che fra i due non scorre buon sangue è dire poco, soprattutto da quando sono stati costretti a diventare marito e moglie contro la loro stessa volontà e inclinazione!
Entrambi si giurano infatti odio reciproco, in barba non solo al fatto di essere i discendenti di due delle più ricche e antiche famiglie dell'Impero, ma pure alla vita che sono sfortunatamente costretti a condividere.
Eppure, il destino non è un giocatore tanto prevedibile quanto ci si potrebbe aspettare, poiché sono innumerevoli i segreti che li tengono incatenati l'uno all'altra; segreti, che risalgono il passato dei Worthington e dei Lynwood.
E se, con il tempo, i due nemici si scoprissero più simili di quanto avrebbero mai immaginato, quale tremendo desiderio ne potrebbe mai derivare?
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Eccomi ritornata e, incredibile, sto riuscendo ancora ad aggiornare una volta a settimana!

Questo è l’ultimo capitolo che anticipa il vero inizio della storia: volevo a tutti i costi chiarire il contesto in cui Saffie e Arthur si incontrano, per cui Amandine è un personaggio che non potevo relegare a “semplice” obra del passato. Chiaro, non vedo l’ora di arrivare alla famosa valanga che, comunque, è più che imminente.

Penso infatti che il prossimo capitolo avrà almeno qualche avvertenza! Cara “pace”, è stato bello, grazie e arrivederci!

Ringrazio chi ha aggiunto questa storia nelle sue letture, mi fa veramente tanto contenta! Se vi va, fatemi sapere pure cosa ne pensate! Anche le critiche costruttive sono ben accette: ho sempre timore di scrivere in maniera noiosa! (T.T)

Un abbraccio virtuale,

Sweet Pink

P.s: In fondo al capitolo ho lasciato un’anticipazione del prossimo.






CAPITOLO SECONDO

LA FINE DELL’INIZIO, LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA.




“…anche quando le navi di supporto sotto il vostro controllo scortano i vascelli della Compagnia delle Indie, o della Royal African Company, con le loro stive stipate da migliaia di schiavi?”

“Donna presuntuosa” mormorò fra sé e sé Arthur, con rancoroso disappunto. Cercò di concentrarsi sul bucolico panorama campestre che s’apriva di fronte a lui, ma il visino saccente di Saffie Lynwood continuava a galleggiargli di fronte agli occhi e così ricordargli la terribile discussione avvenuta neanche mezz’ora prima.

“Come dici, figliolo?”

L'alta figura di Simeon Worthington apparve nel suo campo visivo all’improvviso. Arthur lesse nel volto sempre indecifrabile del padre un’espressione di divertimento che non gli era del tutto famigliare e pensò, con fastidio crescente, che l’uomo avesse ovviamente qualcosa da dire sulla questione La signorina so-tutto-io.

Cercò quindi di ignorare quello sguardo grigio ostinatamente puntato su di lui e rivolse la sua attenzione nuovamente sulla strada, spronando il suo fido stallone nero con un colpo leggero delle gambe. Si sarebbe lanciato volentieri al galoppo, se questo significava seminare suo padre e la ramanzina non richiesta che sicuramente stava per piombargli fra capo e collo, proprio come quando era bambino.

…e mia madre ancora in vita.

“…sono solamente dei disperati disposti a tutto pur di non morire per strada e di fame nelle colonie.”

Sbagliate. Devono morire tutti, dal primo all’ultimo.

Una fitta al petto, dolorosa e traditrice, si fece sentire dentro di lui, ma Arthur fu fin troppo bravo nell’ignorarla e ad accantonare quello scomodo ricordo in un angolo recondito della sua coscienza; un luogo quasi sconosciuto anche all’uomo stesso, perché lì erano prontamente dimenticati i dolori di una vita intera. Abbandonati.

“Come se la tua vergognosa madre avesse avuto molta scelta, comunque.”

Dimenticalo, dimentica tutto.

In quel modo era riuscito ad arrivare così presto a ricoprire una posizione di comando, procedendo con lo sguardo puntato sempre in avanti, verso una luce che si faceva anno dopo anno sempre più vicina ma, contemporaneamente, rimaneva irraggiungibile.

È questa mia sfrenata ambizione ciò che più amo, questo mio dovere incorruttibile, che inghiotte tutto il resto.

Eccellere, in fondo, gli era sempre venuto semplice tanto quanto bere un bicchiere d’acqua. E, ora che sembrava così vicino ad avere anche la più bella ragazza che avesse mai visto, non poteva lasciare all’insopportabile sorella maggiore il potere di scombinargli i piani.

Arthur ricordò le iridi turchesi di Amandine aprirsi su di lui spaventate e confuse, mentre udiva le parole ostinate di Saffie Lynwood.

Schiavi.

Una smorfia sprezzante attraversò il bel viso del contrammiraglio e la sua rabbia sembrò quintuplicare. “Le mie navi non hanno mai partecipato a missioni del genere” pensò con malcelato disgusto.

Voi mi giudicate, ma di me non sapete un bel niente.

L’ex Ufficiale Simeon Worthington raggiunse senza fatica il cavallo del figlio, lanciato ora in un energico trotto. L’attempato gentiluomo studiò i lineamenti mortalmente seri del giovane al suo fianco e, con un sospirò pesante, constatò quanto effettivamente quest’ultimo fosse turbato da ciò che era accaduto in casa Lynwood più di quanto volesse far intuire.

“La signorina Saffie ha un caratterino testardo di cui non finisco mai di stupirmi” commentò quindi in tono del tutto casuale, con un mezzo sorriso.

Un piccolo sussulto scosse appena le spalle di Arthur che rispose seccamente, senza degnarsi di guardarlo in faccia: “È una ragazzina viziata che non sa stare al suo posto”.

“Oh, io la trovo di un’intelligenza piuttosto acuta, a dire il vero” buttò lì Simeon, leggermente divertito. “E ha pure una figura graziosa, bisogna ammetterlo. Non come l’angelica sorella, ma è di un altro genere, la bellezza di Saffie Lynwood.”

Arthur Worthington si voltò finalmente verso il padre, di scatto, e lo guardò come se fosse impazzito all’improvviso. Certo, all’inizio, lui stesso era rimasto colpito dalla controversa aura di innocenza e perspicacia che la ragazza sembrava portare con sé ovunque andasse ma, di sicuro, non era nulla se paragonata alla dolcezza di colei che era intenzionato a sposare.

“Ho sentito di come le consorti degli alti ufficiali siano autorizzate a viaggiare insieme a loro fino alle mete più lontane. Promettilo, Arthur: mi porterai sempre con te, vero?”

“Sempre e per sempre, poiché non credo di potermi più separare da te, Amandine.”

Un sorriso vero, largo e spontaneo, nacque sul viso del contrammiraglio Worthngton. Se i suoi sottoposti l’avessero veduto in quel momento, di certo non avrebbero riconosciuto il temibile e integerrimo ufficiale che riusciva, con pochi precisi ordini, a tenere sotto controllo più vascelli da guerra contemporaneamente.

Simeon aveva osservato attentamente le emozioni più diverse susseguirsi negli occhi verdi ed espressivi del figlio, prima di girarsi verso il sentiero ora sprofondato nell’opaca oscurità della sera. Decise di concedersi l'ennesimo sospiro pensieroso.

“A volte mi chiedo se una ragazza dal carattere sveglio e testardo non sia più adatta a un uomo di mare al comando” asserì in tono neutro, puntando lo sguardo da vecchia aquila intelligente sull’austera magione che spuntò di fronte a loro, ben visibile anche in lontananza. “Se la signorina Saffie Lynwood non sia più simile a te di quanto credi.”

Una morsa agghiacciante attanagliò le viscere di Arthur in meno di un attimo. Forse fu per questo che, dimenticando qualsiasi formalità o etichetta, l’uomo si rivolse al padre con voce roca, da animale selvaggio: “I tuoi accordi matrimoniali con il Duca prevedevano Amandine fin dall’inizio; e io ho accettato le tue imposizioni soprattutto perché sono innamorato di quella ragazza, non dimenticarlo”.

Oppure, nemmeno tu dimentichi che il governatore di Kingston è un vecchio conservatore d’altri tempi: più lieto di favorire un posto di comando nel suo ricco insediamento a ufficiali dignitosamente sposati, o con famigliola al seguito” sibilò in risposta l’ex ammiraglio, ora tornato alla fredda serietà cui il figlio era più abituato. “I miei piani prevedevano di accasarti con una fanciulla dell’aristocrazia, mentre quelli del mio caro amico Alaistair erano assicurarsi in famiglia la stabilità e il prestigio che il nostro ruolo garantisce.”

“Mi risulta che la signorina Amandine Lynwood sia la tua fanciulla dal titolo nobiliare, padre.”

“Anche la sorella maggiore lo è, se per questo.”

Come se la sua stessa mente pianificasse contro di lui, Arthur dovette subire per la seconda volta l'irruzione di Saffie nei suoi pensieri: in un istante, furono i suoi occhi ridenti e grandi a balenargli davanti, più che il suo sorriso caparbio.

No. Questo mai.

I due Worthington entrarono nel cortile curato della proprietà e un servo di una certà età si fece loro incontro, reggendo una pesante lanterna con mano malferma e tremante. “Bentornati, padroni” li accolse quest’ultimo con un profondo inchino cerimonioso, mentre il giovane stalliere giungeva anch’esso, di corsa e in affanno. “Un’altra missiva è giunta da Londra durante la vostra assenza.”

In un agile balzo, Arthur scese dal suo stallone e lo lasciò alle amabili cure del suo servitore. “Dai a Bharat una razione doppia di fieno, Charles” ordinò, non prima di aver gratificato l’animale con una dolce carezza sul muso “Se l’è meritata”.

“Consideratelo già fatto, padrone.”

Il contrammiraglio osservò Bharat lasciarsi docilmente condurre via e provò una strana tenerezza. D'altronde, era molto legato a quel cavallo nato con il colore della notte stessa: sua madre gliel’aveva portato in dono, di ritorno dai lunghi e rari viaggi nelle colonie indiane in cui accompagnava il marito; la donna aveva in fondo pagato pochi spiccioli per avere quel magro cucciolo dal temperamento già fiero e ribelle.

Una mano grande e affettuosa si posò sulla spalla del giovane uomo che, voltandosi, incontrò lo sguardo d’acciaio del padre; questa volta un nuovo sorriso smussava la severità di quel viso simile al suo. “Mi piace molto la signorina Amandine e penso che vi amiate sinceramente. Questo, è sempre un bene” asserì con dolcezza “Quindi perdona le parole del tuo vecchio, che non voleva causarti alcuna pena”.

“Voi non avete nulla da farvi perdonare, padre”

Entrambi si avviarono poi lungo il corridoio d'ingresso in silenzio e Simeon Worthington aspettò di essersi tolto l’elegante e lunga giacca in velluto prima di commentare, apparentemente rivolto al vuoto: “Ugualmente, dovrai scusarti con Saffie Lynwood per le tue rimarchevoli parole”.

“Voi non sapete un bel niente, signorina Lynwood.”

Arthur sospirò rassegnato, e massaggiò distrattamente la fronte ampia con le dita per qualche istante. Già lo sapeva: incontrare la ragazza non sarebbe stato né facile, né piacevole.

“Immaginavo che prima o poi mi avreste detto qualcosa del genere.”

“Non ti ho cresciuto per vederti ridurre in lacrime deliziose signorine aristocratiche” lo prese in giro suo padre, lanciandogli nello stesso momento un’occhiata di rimprovero.

Gli occhi verde scuro del contrammiraglio si allargarono sorpresi.

In lacrime?

Un irritante senso di colpa si fece strada dentro di lui anche se, in quel preciso istante, erano di ben altra natura i suoi pensieri: il suo ritorno nei Caraibi era imminente; sarebbe stato via a lungo, avrebbe combattuto e rischiato la vita per la pace dell’Impero Britannico. Lui e Amandine non potevano più aspettare ad annunciare il fidanzamento.

Non poteva permettersi di perderla a causa delle sue stesse azioni.

Avrebbe fatto qualsiasi cosa, pure se questo significava chiedere scusa alla piccola strega.


§


Il silenzio della stanza era reso più pesante, più insostenibile e tossico, dal ticchettio costante della pendola dorata posta in fondo alla sala da pranzo dove, da qualche tempo, la famiglia Lynwood si era riunita per la cena. Il rumore metallico delle posate faceva da coretto d’accompagnamento a quello prodotto dall’antico orologio, producendo una bizzarra melodia scoordinata.

Saffie sedeva rigida e dritta di fronte alla sorella minore, ma il suo sguardo rimaneva ostinatamente fisso sul piatto ormai vuoto. Si chiese quanto i genitori avrebbero effettivamente resistito prima di sentire l’impellente dovere di recriminare lo scandaloso comportamento da lei tenuto nei confronti dell’odioso contrammiraglio Worthington.

Sia Alastair che Cordelia avevano in realtà stupito la ragazza, visto il mutismo dietro cui avevano deciso di trincerarsi per tutta la durata del pasto. Ma, quest’ultima lo sapeva bene, la situazione non era destinata a rimanere tale tanto a lungo e, difatti, il vento di tempesta cominciò a levarsi poco dopo l’arrivo dell’ultima portata, un delizioso dolce alla ciliegia.

“Dovrai chiedergli scusa” esordì monocorde il Duca di Lynwood, ignorando completamente la mano del domestico, entrata con discrezione nel suo campo visivo per versargli da bere. I suoi taglienti occhi castani – gli stessi ereditati da Saffie – erano inchiodati sulla figlia con fredda severità.

“Di chi parlate, padre?” ironizzò con fare vago l’interessata, senza staccare lo sguardo dall’elaborata pietanza che stava maldestramente massacrando con forchettina e coltello. Voleva apparire rilassata e ignara eppure, nella realtà dei fatti, il suo cuore aveva perso più di un battito.

“Voi non sapete un bel niente, signorina Lynwood.”

“Non scherzare con me, Saffie” fu la risposta glaciale dell’uomo seduto capotavola, la cui voce aveva cominciato a far trasparire un pericoloso nervosismo. Alastair voltò appena la testa in direzione dei domestici rigidamente allineati a ridosso della parete e ordinò: “Ritiratevi. Tutti quanti”.

“Cominciano i guai” pensò la ragazza castana con preoccupazione, mentre lei e Amandine scambiavano un’ansiosa occhiata fugace. A Saffie parve quasi che dovesse essere la sorella ad essere redarguita: il suo volto emaciato era molto pallido e scavato, tanto che gli occhi turchesi sembravano sprofondarci dentro; ed era impossibile non accorgersi del tremore leggero che la scuoteva da capo a piedi.

Durante la cena, inoltre, sua sorella minore non aveva praticamente toccato cibo.

Un altro peggioramento.

“Amandine, il dolce è squisito. Prova a mangiarne un poco, ti piacerà” riuscì a suggerirle Saffie, con il cuore ora tornato a battere fin troppo velocemente: non voleva nemmeno dare un significato concreto a quel pensiero, poiché sapeva quale sarebbe stata la ovvia conclusione se si fosse rivelato corretto. Non di nuovo.

Quando? Quando ha ricominciato a peggiorare?

La piccola Lynwood fece appena in tempo ad annuire verso di lei con la sua voluminosa chioma dorata che, ovviamente, le parole del Duca Alaistair si levarono alte nella sala da pranzo.

“Lo hai offeso” sputò freddamente quest’ultimo, incrociando le lunghe dita davanti al viso tanto sprezzante quanto aristocratico. “Tua madre ti ha avvertita più di una volta, se non erro: la tua lingua lunga non può portarci altro che fastidi.”

“Chiedo perdono per la mia solita avventatezza a voi e alla mamma ma, state pur certo, porgerò le mie scuse anche al contrammiraglio Worthington” rispose subito Saffie a sopracciglia agrottate, voltandosi con il busto verso il padre e cercando di ignorare la piccola fitta di dolore che la sua precedente frase le aveva provocato. “Eppure, che mi dite delle sue, di parole? Anche lui ha offeso vostra figlia, se ricordate bene.”

“Arthur Worthington è un uomo!” tuonò il Duca, alzandosi di scatto dalla sedia e picchiando con violenza entrambe le mani sulla superficie del tavolo, provocando una cacofonia di suoni che fece sussultare le tre donne presenti. “È un Ufficiale in carriera, molto ricco e con altrettanto potere! Non ti lascerò mandare all’aria il fidanzamento della mia amata Amandine solo perché senti l’impellente bisogno di spiegare le tue strampalate idee agli altri!”

La ragazza sotto accusa spalancò tanto d'occhi e, senza rendersene neanche conto, indietreggiò con la sedia, allontanandosi dalla figura incollerita e alta di Alastair.

“Deve essere facile avere questa parlantina quando si può spendere la propria vita discutendo di sciocchezze astratte, comodamente seduti davanti a un fuoco acceso, e senza alcuna esperienza diretta del mondo”

Ora l’intero quadro delle cose risultava essere completo. Saffie comprese, come un fulmine a ciel sereno, quanto le aspettative di suo padre fossero interamente rivolte all’accordo matrimoniale con i Worthington. Nulla contava di più per lui: né le aspirazioni della figlia maggiore, né ciò che sarebbe stato giusto per la giovane e fragile Amandine.

“Me lo sarei dovuta aspettare ma, per una volta, ho voluto essere stupida e credere che per papà noi sorelle venissimo prima di qualsiasi accordo o affare” considerò fra sé la ragazza castana, ricacciando indietro lacrime amare e rabbiose. Riuscì infine a dire, il tono più intimorito di quanto avrebbe voluto: “Sapete fin troppo bene quanto io desideri solamente la felicità per Amandine”.

E lanciò uno sguardo supplichevole verso la madre che, in tutto quel tempo, non aveva fatto altro se non cercare di confondersi con l’elegante mobilio della stanza: Cordelia sedeva immobile, con la schiena perfettamente dritta e lo sguardo spiritato fisso su un imprecisato punto della parete di fronte a lei, come se la discussione non stesse avvenendo affatto perché, in sua opinione, presto la famiglia sarebbe tornata a discorrere di quelle frivolezze che tanto le piacevano.

Dal canto suo, Amandine spostava lo sguardo atterrito da suo padre a Saffie, e viceversa: la più giovane delle Lynwood ammirava la presenza di spirito della sorella maggiore poiché, anche se avrebbe voluto venirle in aiuto, un tremendo senso di impotenza sembrava impedirle di aprire bocca.

“Me lo auguro, figlia” commentò Alastair, ritornando al suo consueto tono di voce raffinato, da nobile importante. Portò la mano riccamente ingioiellata alla lunga e ridicola parrucca ricciuta (odiatissima da entrambe le sorelle Lynwood) che da sempre era simbolo del suo status sociale. “Me lo auguro per tutti, ma soprattutto per te.”

Il Duca si sporse leggermente verso Saffie con la schiena e quest'ultima dovette sopportare sia il glaciale distacco, che il pesante significato delle parole che seguirono. “La tua vita a Londra è stata possibile finché io decidevo di accordarti totale libertà, questo lo sai. Hai quasi ventisei anni e non sei sposata: mi chiedo chi potrebbe più tenerti in considerazione, se io procedessi a disconoscerti.”

“Saremo entrambe libere!”

Non puoi farmi questo.

Saffie si alzò a sua volta dalla sedia, di scatto, mentre a malapena udì l'urletto sconvolto sfuggito dalle labbra di Amandine. “No! Papà, vi prego! La ucciderete così!” esclamò la ragazza più giovane, balbettante e bianca come un cencio “Chiederà perdono al contrammiraglio Worthington, l’ha promesso!”

Nel mentre, Saffie osservava il padre con gli occhi ridotti a due fessure e un cuore sanguinante. Mai, in tutta la sua vita, la ragazza aveva provato un sentimento di bruciante delusione paragonabile a quello provocatogli dal Duca, pure se non era di certo la prima volta che l’uomo in questione era stato causa di tanto dolore e tristezza.

Perché, in fondo, è come se ti avesse tradita.

“Lo fareste per davvero…” bisbigliò solamente, incapace di aggiungere altro.

“Si intende che lo farei” rispose lui con noncuranza “Sono tuo padre e questo rientra nei miei pieni diritti”.

Il vostro interesse per i miei successi a Londra, in fondo, non era che una miserabile farsa.

“Saffie…” pigolò ancora Amandine, sporgendosi verso di lei e facendo il gesto di prenderla per mano.

L’interessata si voltò allora verso la sorella e resuscitò un sorriso di gentilezza, condito da una parvenza di tranquillità, anche quella, riesumata chissà dove. “Non ti preoccupare, cara mia: mi scuserò con il tuo Worthington della mia sciocca testardaggine e tornerà tutto come prima.”

“Brava, bambina mia.”

Saffie decise di ignorare sia il commento mellifluo del padre, sia la rigida figura di una madre più che intenzionata a mimetizzarsi con la tavola imbandita; si concentrò invece sulla ragazza bionda e sospirò di sollievo, nel vedere l’espressione ansiosa di quel visino pallido aprirsi in una più distesa e rilassata.

Anche così, Amandine pareva comunque fragile come un evanescente filo di fumo e la sorella maggiore pensò che la preoccupazione dovuta all’imminente partenza di Arthur Worthington - unita allo stress provocato dalle discussioni di quella giornata - non dovesse aver giovato affatto ai suoi nervi, da sempre molto sensibili.

Uno strano senso di colpa cominciò ad agitarsi dentro di lei.

Avrebbe fatto qualsiasi cosa per la libertà sua e di Amandine.

Pure se voleva dire chinare il capo di fronte a quell’arrogante manichino.


§


La partenza del contrammiraglio per le lontane colonie americane sembrava infine essere questione di giorni, così come lo era l’annuncio di un fidanzamento atteso da settimane a quella parte.

Dopo diverse ore di tormentosi ragionamenti, Saffie Lynwood obbligò sé stessa e il suo riluttante orgoglio a salire sulla carrozza di famiglia e procedere a velocità spedita verso la poco distante dimora dell’uomo più noioso dell’intero pianeta terra.

“Così non va bene” si disse la ragazza, strizzando con forza le palpebre per un attimo, prima di tornare ad ascoltare il suo odiato cuore che, bizzarro, pareva voler danzare a ritmo con il dondolio costante del mezzo di trasporto su cui era seduta. “Devo riuscire a chiedergli perdono, non trovarmi a discutere di nuovo con lui.”

Devo farlo per Amandine.

La sorella aveva debolmente insistito per accompagnarla nella sua visita a casa Worthington, ma i Duchi di Lynwood erano stati irremovibili: Saffie sarebbe andata in compagnia di un servo, poiché non potevano proprio permettere che la salute precaria della figlia prediletta subisse un ulteriore peggioramento, vista la ricaduta avuta da Amandine in quegli ultimi due giorni. La maggiore delle ragazze era per una volta d’accordo con i genitori; non le piaceva proprio per niente il respiro affannato di sua sorella minore, come la preoccupava immensamente la tosse secca riapparsa all’improvviso dopo diversi mesi di tregua. Amandine cercava di nasconderlo, ma era palese la sua difficoltà nel fare anche solo una passeggiata intorno al parco della proprietà, figurarsi poi affrontare le immense scalinate che conducevano da un piano all’altro della casa!

Saffie si portò una mano aperta sul petto, come se farlo potesse arginare la fredda paura che serpeggiava in ogni fibra del suo corpo come veleno, intossicandole così i pensieri.

“Ci credi, sorella mia? Quando saremo sposati lo seguirò a Kingston…vivrò una vera e propria avventura!”

Un volto tanto bello quanto bianco come la neve, su cui brillavano a malapena due incredibili iridi turchesi.

Non voleva nemmeno pensarci.

Amandine avrebbe lasciato per sempre la loro prigione dorata e avrebbe seguito il suo principe gentile fino a quell’eccitante mondo di cui finora avevano potuto solo fantasticare; un paradiso sconosciuto al di là dell’oceano, con le sue promesse di avventura e vita vera.

Sarai libera. E io con te.

“In realtà, ho sempre pensato che l’aria di mare potrebbe rivelarsi un toccasana per i suoi polmoni” si disse ancora lei, portando un dito sotto il mento distrattamente “Se solo mamma e papà non fossero tanto chiusi nel loro bigotto conservatorismo!”

Intenzionata a non rivivere il ricordo di una sofferente Amandine ricoperta di sanguisughe, Saffie concentrò la sua attenzione sull’imponente villa apparsa senza alcun preavviso fuori dal finestrino: essa si ergeva senza dubbio maestosa e superba in cima a un dolce pendio ma, al contrario del parco fin troppo ricco di vegetazione dei Lynwood, solo un ordinato prato tagliato all’inglese ne arricchiva la struttura.

La ragazza pensò, con un sospiro divertito, che quel luogo ben si confaceva al carattere della famiglia Worthington. “Mi chiedo pure che fine abbia fatto la madre del contrammiraglio: né lui, né il padre ne hanno mai fatto cenno.”

Ma non fece in tempo a pensare a nient’altro, poiché la carrozza entrò rumorosa nel cortile, fermandosi di botto a un metro esatto dalla figura di un attempato domestico sull’orlo del crepacuore.

“La Duchessina Saffie Lynwood” l’annunciò freddamente il cocchiere, mentre scendeva dal mezzo con un balzo agile di cui l’altro servo non potè che essere invidioso. “È qui per essere ricevuta dal vostro padrone.”

Gli occhi del domestico dei Worthington si posarono con deferenza sulla figura minuta ed elegante che si apprestava a uscire goffamente dalla carrozza. “È il signor Simeon colui che cercate, o il contrammiraglio?”chiese poi con scetticismo, inchinandosi appena.

Saffie maledì l’imbranataggine che fin da bambina le impediva di parere una graziosa e leggiadra creatura ogni qual volta dovesse scendere da un mezzo a quattro ruote. Al contrario delle altre docili ed educate figlie dell’aristocrazia, che avevano fatto dello scendere dalle carrozze una vera e propria arte di seduzione, la ragazza era riuscita sì e no a non ammazzarsi scivolando giù dal predellino su cui aveva posato il piccolo piede.

“Il contrammiraglio Arthur Worthington” rispose infine, accettando volentieri la mano del suo servo e cercando contemporaneamente di non parere troppo sollevata nel toccare terra. “La questione di cui devo conferire con lui è di una certa importanza.”

“In tal caso, vi guiderò immantinente da lui. Prego, seguitemi dentro casa.”

“Vi ringrazio” asserì lei con un sorriso “Qual è il vostro nome?”

Il vecchio domestico parve sorprendersi della gentile domanda rivoltagli da quella signorina di ceto così superiore al suo. “Mi chiamo William Shakespeare. Non ho mai avuto cognome, quindi il signorino ha voluto deciderne uno per me. Devo dire che mi piace molto” rispose inchinandosi di nuovo, questa volta prondamente, accompagnando il gesto con un largo sorriso a metà fra il grato e il compiaciuto.

“Amate leggere?”

Gli occhi scuri di Saffie si allargarono dallo stupore, ma fu la sua leggera risata allegra quella che i due domestici udirono. “Il vostro padrone vi ha assegnato un cognome piuttosto importante, signor Shakespeare. Mi raccomando, andatene fiero.”

“È così, signorina Lynwood.”

Dopo aver rassicurato il suo cocchiere sul fatto di potersela cavare in casa Worthington senza scorta, la ragazza seguì nell’ingresso un allegro William Shakespeare, ora più in vena di chiacchierare con lei riguardo ogni dettaglio inerente alla casa presso cui serviva con orgoglio da oltre cinquant’anni. Saffie ascoltava interessata il monologo del domestico; un po' perché le stanze che si trovarono ad attraversare brulicavano effettivamente di oggetti esotici mai visti, e un po' per calmare il cuore che le era balzato di nuovo in gola, alla prospettiva di affrontare l’impettito quasi – fidanzato di sua sorella.

Non avrebbe voluto trovarsi in quella situazione per niente al mondo, questo era certo. Eppure, senza che Saffie se ne rendesse conto, un sorrisetto gaio era apparso senza alcun permesso sul suo viso teso dal nervosismo; mentre le sue dita andavano inconsciamente a torturare una ciocca di capelli castano chiaro sfuggita all’acconciatura semplice, ma curata.

Shakespeare.

Forse il tuo Arthur non è del tutto senza speranza, Amandine.

Saffie e il domestico dal cognome altisonante uscirono finalmente nel giardino sul retro dove, all’esatto centro della scena, svettava l’alta figura di un elegante uomo girato di spalle. Arthur Worthington se ne stava ritto in piedi come un’immobile statua e tutto ciò che la ragazza riuscì a intravedere, prima di spostare lo sguardo, furono le onde dei suoi capelli scuri ricadere morbide sul collo. Evidentemente, il contrammiraglio doveva aver accorciato la capigliatura proprio in vista del suo ritorno in servizio.

“Padrone” richiamò la sua attenzione William, con formalità “La signorina Saffie Lynwood desidera un colloquio con voi”.

Nessuna esitazione o sorpresa parve scuotere l’interessato, che anzi continuò nell’attività in cui i nuovi arrivati l’avevano colto: ossia esaminare un fascio di importanti missive come se si fosse trattato - a parere di una irritatissima Saffie – di vita o di morte.

“È piuttosto importante” riuscì a sillabare quindi la ragazza, piantando le unghie nei palmi delle mani con forza e rimangiandosi all’istante ciò che poco prima aveva pensato su di lui.

L’uomo voltò appena la chioma scura verso di lei e, continuando a tenere le sue amate carte controluce, le rivolse un’occhiata in tralice, ma dalla profondità disarmante.

“Molto bene. William, puoi ritirarti.”

Saffie lo vide girarsi nuovamente verso ciò che stava leggendo, come se il contrammiraglio si fosse scordato subito della sua presenza lì, a pochi passi da lui. Non aveva fatto alcun cenno al servo di portare loro da bere, come non aveva in nessuna maniera invitato lei a prendere posto su una delle candide sedie posizionate attorno ad un altrettanto elegante tavolo da giardino che, fra l’altro, era a neanche un metro di distanza. Insomma, Arthur Worthington pareva essersi scordato pure dell’etichetta, oltre che della ragazza.

Mandando giù un enorme groviglio di antipatia e fastidio, Saffie fece due piccoli passi in avanti e cercò di affrontare il suo silenzio orgoglioso. “Vi ringrazio di avermi ricevuto, contrammiraglio.”

Di nuovo, non va bene. Mi sta tremando la voce.

“Signorina Saffie Lynwood” esordì l’uomo seccamente, senza staccare lo sguardo dalle parole scritte su carta “Siete venuta fin qui per riprendere l’edificante discorso intrapreso qualche giorno fa? Sappiate, le vostre accuse mi sono state fin troppo chiare”.

“…stipate di schiavi?”

“No” rispose la ragazza interpellata, abbassando momentaneamente gli occhi castani sui ciottoli sotto i suoi piedi “Sono qui per…ecco, io…”

La frase che si era mentalmente preparata a pronunciare da diverse ore a quella parte non ne voleva sapere di uscire dalle labbra. Saffie sentì come se dentro il suo corpo fossero annidiati due serpenti in lotta per avere la meglio; e, ad ogni attacco, le loro spire s’avvolgevano in una stretta mortale attorno allo stomaco di lei. Testardaggine e orgoglio. Senso di colpa e vergogna.

Come posso avergli detto quelle cattiverie senza nemmeno conoscerlo?

“Vi ascolto.”

La signorina Lynnwood alzò la chioma castana di scatto, colpita dal tono accondiscendente di Arthur Worthington: l’uomo era voltato nella sua direzione e ora i suoi occhi verde scuro la fissavano attentamente, in attesa. La ragazza lo vide sedersi sul bordo del tavolo in ferro battuto dietro di lui e incrociare le braccia sul petto, allungando in avanti le gambe toniche.

Come sempre, risultava terribilmente intimidatorio ma, si disse Saffie con sollievo, almeno non aveva la solita aria di ironica superiorità. Fu così che, prendendo coraggio, si sentì tanto temeraria da avvicinarsi di altri due passi al giovane contrammiraglio in questione.

“Io sono venuta a chiedervi perdono” ammise finalmente, sfoderando un sorriso gentile trovato chissà dove.

Arthur osservò il viso della piccola strega farsi rosso in modo adorabile e venne folgorato, sul posto, dallo stesso sguardo di tenera allegria che l'aveva colpito quando i suoi occhi si erano posati su di lei per la prima volta.

“…e voi? Voi leggete?”

“…se una ragazza dal carattere sveglio e testardo non sia più adatta a un uomo di mare al comando.”

Il volto dolce e angelico di Amandine galleggiò nella sua mente, improvviso e inatteso quasi come il ricordo delle pallide mani di lei farsi strada sulla pelle delle sue guance sbarbate, trasformandosi in una leggera carezza piena di desiderio. E allora Arthur provò un'immediata repulsione per ciò che – nemmeno un secondo prima – aveva osato attraversare i suoi pensieri; un sentimento simile, in quel momento, nutriva per sé stesso.

“Sono sollevato di non essere nella lista nera di coloro che meritano il vostro disprezzo, Duchessina Lynwood” asserì infine, mascherando a malapena un ghigno fra le belle labbra sottili.

Saffie intuì immediatamente che, per qualche misterioso motivo, l’uomo era tornato a parlarle con la solita elegante arroganza. Una strana delusione cominciò a bruciare amara nella sua gola, ma non lo ammise nemmeno con sé stessa: quel loro incontro doveva andare liscio come l’olio, poiché sia la felicità di Amandine che la sua stessa libertà erano la posta in gioco.

Ben conscia di questo, la ragazza si trattenne dal rispondere al contrammiraglio per le rime, visto e considerato come quest’ultimo aveva gentilmente deciso di regire alla sua dichiarazione di scuse, vanificando con la sua provocazione gli sforzi da lei compiuti per farla. “Non ho una lista nera, ma non sono a favore della schiavitù che con tanta solerzia la Corona promuove nelle colonie” spiegò quindi, sperando di non parergli sulla difensiva “Detto questo, è stato imperdonabile da parte mia mettervi in cattiva luce, pure se inconsapevolmente”.

“Parola mia, non credo di aver mai visto una ragazza dotata della vostra testardaggine” commentò Arthur, osservandola tormentarsi le piccole mani l’una contro l’altra nervosamente. “Sostenete con forza argomenti pericolosi, soprattutto se di fronte avete un alto ufficiale dell’Impero.”

Saffie gli lanciò uno sguardo indecifrabile.

Che arroganza odiosa

“Fortuntamente, il pensiero libero è ancora un diritto che possiamo esercitare in questo paese.”

“Per i gentiluomini, certo. Il vostro rango e le illustri conoscenze che ne derivano vi danno protezione, signorina” osservò il giovane contrammiraglio, alzandosi in piedi e cominciando a camminare tranquillamente verso di lei con le mani infilate nelle tasche dei calzoni blu scuro. “E, prima che possiate accusarmi ancora di chissà quale malvagità, vi anticipo subito: questo non vuole essere un giudizio nei vostri confronti, ma un incontestabile dato di fatto. In fondo, anche io ho qualcosa di cui devo scusarmi.”

Presa in contropiede, Saffie non potè fare altro che osservarlo ad occhi spalancati. Era la prima volta che l’uomo le si faceva così vicino e la ragazza notò come Arthur Worthington fosse più alto di quanto aveva effettivamente considerato: se le andava bene, gli arrivava al petto ampio con la testa castana.

All’improvviso, si sentì come una bambina indifesa e il sorriso di fredda accondiscendenza che il contrammiraglio le concesse rafforzò il suo imbarazzo evidente. In ugual modo, trovava pure sconcertanti le sue scuse, poiché lo aveva sempre considerato un uomo milioni di volte più orgoglioso di lei.

Anche voi fareste di tutto per Amandine, non è vero?

“Ho sbagliato nel giudicarvi come ho fatto” continuò brevemente Arthur, chiudendo così il suo altrettanto spoglio discorso di giustificazione. “Un giorno diventeremo parenti e non desidero una guerra contro l’amata sorella di Amandine, per quanto credo non saremo mai veramente in accordo su qualcosa.”

Sì, per noi è lei l’unica persona che conta davvero.

L’unico elemento comune.

Di fronte all’onestà schietta eppure gentile del contrammiraglio, Saffie Lynnwood dimenticò in un battito di ciglia l’arroganza che tanto aveva detestato qualche istante prima e si lasciò sfuggire una risata divertita. “Io e voi siamo molto diversi, non è così?”

“Come aria e mare, signorina” rispose l’interessato, sporgendosi appena verso di lei con il busto, mentre un sorriso altrettanto ironico s’allargava sul suo volto. “Permettetemi solamente di acquistare un po’di credito verso di voi, dicendovi che le mie navi non hanno mai scortato alcuna spedizione di terribili schiavisti e, finché ci sono io al comando, non credo mai lo faranno.”

Per le sue parole, Arthur si vide ricompensato da una radiosa espressione di allegria e approvazione che, di nuovo, era apparsa come per magia su quel visino innocente. “Meno male!” esclamò Saffie, sorridendogli apertamente, senza alcuna traccia di costruita cortesia “È bello sentirvelo dire!”

“Se la signorina Saffie Lynwood non sia più simile a te di quanto credi.”

Il contrammiraglio Worthington scosse la testa scura con noncuranza, come se volesse scacciare via un moscone fastidioso. Decise di accantonare per sempre lo scomodo turbamento provocato dalle parole che suo padre aveva malauguratamente deciso di pronunciare, qualche giorno prima; se nella sua esistenza doveva essere certo di qualcosa, questa era il desiderio nutrito per Amandine.

Fu così che Saffie vide una mano grande e salda protendersi verso di lei. Perplessa, alzò lo sguardo sugli occhi verde scuro di Arthur e li trovò di una serietà disarmante, mentre ancora un’eco di gentilezza riverberava nelle sue parole: “Abbiamo un accordo, dunque, signorina Lynwood?”

Senza badare al rossore che aveva invaso le sue gote brucianti, la ragazza accettò quella stretta con un sorrisetto. “Accordo di pace sia, contrammiraglio Worthington.”

A nessuno dei due sembrò importare di andare, con quel gesto, contro a qualsiasi regola imposta dall’etichetta. In quel momento, soli nel giardino silenzioso, entrambi si riconobbero come pari combattenti, ben disposti a seppellire l'ascia di guerra.

Saffie pensò, in un attimo di pazzia, che il tocco dell’uomo era più delicato di quanto si sarebbe aspettata da un rigido ufficiale, mentre Arthur rafforzò di poco la presa su quella pelle morbida, prima di tirare indietro la mano lentamente e sfiorare con la punta delle dita il piccolo palmo di lei.

La ragazza fu percorsa da un brivido traditore, che serpeggiò sottopelle lungo tutto il suo corpo, e chiuse subito le mani sul grembo con fin troppa forza. Il contrammiraglio, dal canto suo, fece un passo indietro, incrociando le braccia dietro la schiena.

Ora basta sciocchezze.

Lo pensarono entrambi, contemporaneamente, poiché si sentivano divorati da un sentimento di vergogna che ancora non potevano comprendere.

Fu Saffie la prima a parlare: “Al di là di tutto, penso davvero che voi possiate rendere felice mia sorella”.

“E io sono altrettanto sicuro di come, fra qualche anno, non si farà altro se non sentir parlare di voi, a Londra” le fece eco l’uomo, in tono neutro.

La signorina Lynwood gli concesse un sorriso pieno di gratitudine e, quando tornarono a guardarsi, quell'impossibile e sciocco turbamento sembrò svanito per sempre dai loro occhi.


§


E fu così che andò per più di un anno intero: quella serenità tanto agognata dalle famiglie di Saffie Lynwood e Arthur Worthington si mantenne stabile per tutta la durata del fidanzamento tra il contrammiraglio e Amandine.

L’evento era stato infatti annunciato due giorni prima della partenza dell’uomo per le colonie, durante un ricevimento elegante e fastoso indetto appositamente per celebrare l’occasione. I genitori delle due ragazze non avevano badato a spese e nemmeno erano stati timidi nell’inviare missive agli invitati che, tempistiche permettendo, arrivarono in massa fin dalle contee più remote per poter finalmente ammirare di persona la divina Amandine Lynwood, ora pronta per esser messa in mostra davanti al Bel Mondo.

Nello splendore generale della casa e in mezzo ad una calca di ricchi e importanti aristoratici, Saffie non aveva beneficiato dell’attenzione della sorella o dei genitori – occupati a gongolare di fronte agli apprezzamenti riguardanti la bellezza della figlia minore, come di quelli sulla graziosa simpatia della maggiore – e fu grata di vedere il contrammiraglio proteggere, come un vero gentiluomo, una sperduta Amandine dall’assalto dei fin troppo curiosi partecipanti. Solo una volta, i suoi occhi castani si erano incrociati con quelli di Worthington e la primogenita dei Lynwood gli aveva dedicato un sorriso gentile, come se fosse stata la sua personalissima benedizione: d’altronde, la ragazza non aveva mai visto sua sorella così raggiante e felice come in quel momento, con Arthur al suo fianco.

Quest’ultimo aveva risposto al suo gesto con un cenno reverente ed educato, prima di voltarsi e dedicarsi totalmente alle attenzioni della sua amata.

“Io e Arthur ci sposeremo, Saffie! Sono talmente felice da sentirmi morire!” aveva esclamato la stessa Amandine una volta finito il ricevimento, mentre faceva come suo solito una vera e propria irruzione in camera di Saffie mantenendo, paradossalmente, la sua altrettanto consueta grazia innaturale. Sembrava un’altra ragazza, quasi non stesse nemmeno più lottando contro la malattia con cui conviveva da quando ne aveva memoria. Quasi l’avesse dimenticata.

Ridendo con lei per la sua felicità, la sorella maggiore aveva scherzato, dicendole che non poteva proprio permettersi una cosa del genere, ora che era così vicina ad avere finalmente il suo principe tutto per sé, con tanto di regno fatato di contorno.

Amandine l’aveva raggiunta sull'imponente letto a baldacchino e si era accoccolata fra le sue braccia, sbuffando. “Un anno di fidanzamento! Ci credi, che dovrò aspettare così a lungo?”

“Speriamo che il conflitto finisca quanto prima, allora.”

“E se non tornasse? Se gli accadesse qualcosa?”

Saffie ascoltò quelle parole improvvisamente timorose e si accorse di come la figura ossuta della sorella avesse preso a tremare leggermente, dal nervosismo. Si guardò bene dal dirle che era un rischio reale, di cui la moglie di un ufficiale doveva essere ben consapevole, poiché sapeva che la salute e i nervi di Amandine ne avrebbero sicuramente risentito.

Una strana morsa afferrò il cuore della ragazza castana che, senza vera coscienza, cominciò ad accarezzare con affetto i capelli d’oro dell’altra, cercando di rassicurare i suoi timori. “Il contrammiraglio Worthington è un uomo dabbene e di grande valore, dal temperamento d’acciaio. Ti sei dimenticata di tutti i suoi racconti avventurosi, quelli che mi hai narrato ormai centinaia di volte?”

“Cattiva!” chiocciò in risposta Amandine, portando i suoi ridenti e luminosi occhi azzurri su di lei. “Vorrà dire che dovrò essere paziente e accontentarmi delle lettere.”

“Immagino già mi obbligherai a leggerle tutte insieme a te da cima a fondo!”

“Sei veramente intelligente come dicono, sorella mia.”

Sì, fu proprio in quel modo che andò.

Amandine non si liberò mai del tutto dalla malattia che l’aveva maledetta e, durante i lunghi mesi che seguirono, impose a Saffie di leggere per lei innumerevoli storie d’avventura o, addirittura, di inventarne di nuove, proprio come quando erano bambine. D’altronde, la più giovane non aveva mai messo piede fuori dal Northampton e, proprio per questo, ogni suo più frivolo desiderio era sempre stato esaudito senza alcuna obiezione.

La ragazza bionda sapeva essere una vera e propria principessa capricciosa quando ci si metteva d’impegno, ma era amata da tutti incondizionatamente e dalla sorella maggiore in maniera smisurata. Quindi, non furono solo Amandine e i Duchi di Lynwood ad aspettare con grande speranza il ritorno di Arthur Worthington, ma anche Saffie si trovò ad attendere il suo ritorno come se dovesse sposarsi lei stessa.

Sarai felice. Saremo libere.

Aspettavano tutti con l'ignara speranza di chi non prende in considerazione le pieghe di un destino beffardo, di una vita scritta al di fuori delle regole delle operette sentimentali; poiché nessuno avrebbe potuto immaginare che quelli sarebbero stati gli ultimi mesi di vita di Amandine Lynwood. Come né Saffie, né Arthur avrebbero mai immaginato di trovarsi per sempre uniti da un legame di vero odio.

In fondo, Saffie non sapeva ancora di stare sbagliando: non era sua sorella la vera protagonista di quella storia, ma lei stessa.



§


Saffie portò allora una mano sulla chioma ribelle dell’ammiraglio, stringendo con forza le ciocche dei suoi capelli scuri. “Io non sarò mai tua” disse solo, impegnandosi di parergli perfettamente controllata.

“Come se io lo volessi davvero” fu il commento acido soffiato sulla sua spalla “Questo è un contratto che entrambi siamo costretti a onorare”.

(dal quarto capitolo)

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Sweet Pink