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Autore: Sweet Pink    17/04/2021    3 recensioni
Impero Britannico, 1730.
Saffie Lynwood e Arthur Worthington non si potrebbero dire più diversi di così: freddo quanto implacabile giovane Ammiraglio della Royal Navy lui, allegra e irriverente ragazza aristocratica lei. Dire che fra i due non scorre buon sangue è dire poco, soprattutto da quando sono stati costretti a diventare marito e moglie contro la loro stessa volontà e inclinazione!
Entrambi si giurano infatti odio reciproco, in barba non solo al fatto di essere i discendenti di due delle più ricche e antiche famiglie dell'Impero, ma pure alla vita che sono sfortunatamente costretti a condividere.
Eppure, il destino non è un giocatore tanto prevedibile quanto ci si potrebbe aspettare, poiché sono innumerevoli i segreti che li tengono incatenati l'uno all'altra; segreti, che risalgono il passato dei Worthington e dei Lynwood.
E se, con il tempo, i due nemici si scoprissero più simili di quanto avrebbero mai immaginato, quale tremendo desiderio ne potrebbe mai derivare?
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Eccomi tornata! :)

Prima di cominciare, vi auguro una buona giornata e un buon weekend, per quanto possa esserlo vista la situazione in cui ci troviamo (-.-)

Tornando alla storia, il capitolo è piuttosto lungo (lettori avvisati, mezzi salvati) e, vi avviso, potreste essere un po'confusi dal tempo in cui si svolge – soprattutto rispetto al prologo – ma io ho il brutto vizio di voler approfondire le relazioni e le situazioni dei personaggi, per cui spero apprezzerete anche i primi capitoli, in cui il sassolino comincia a scivolare giù dalla montagna, diciamo così! :D

Spero tanto possa piacervi.

Buona lettura!





CAPITOLO PRIMO

Così abbiamo incominciato




Aprile 1728

“Ci vediamo più tardi, mia cara Saffie!”

La voce allegra che aveva pronunciato quella frase apparteneva alla bionda e alta figura di Amandine Lynwood che, ignorando a più riprese i richiami della madre a pochi passi di distanza da lei, ancora salutava qualcuno con il pallido braccio alzato e un sorriso radioso stampato sul volto illuminato dal tiepido sole del primo pomeriggio.

La destinataria di quelle parole, dal canto suo, la osservava con aria divertita all’ombra della grande veranda che dava direttamente sul giardino in fiore e fece appena in tempo a gridare, portando poco educatamente le piccole mani a formare un cilindro attorno alla bocca: “Vedi di non metterti a correre solo perché la sottoscritta non può vederti!”

Amandine concesse una smorfietta frivola e una noncurante alzata di spalle alla sorella maggiore, prima di voltarsi e raggiungere l’impettita figura di Cordelia Lynwood di tutta fretta. Le due dame sparirono poi tra la lussureggiante vegetazione che cingeva il sentiero di ghiaia scura, lasciandosi dietro l’eco delle loro risate.

Allora Saffie scosse la folta chioma castana e sorrise al vuoto che si apriva di fronte a lei: la primavera sembrava aver portato con sé una strana sensazione di felice speranza in tutta la casa, poiché finalmente Amandine sembrava stare molto meglio; in effetti, non ricordava con esattezza quando era stata l’ultima volta in cui sua sorella aveva avuto l’occasione di poter passeggiare come se niente fosse nel parco senza rischiare di dover rimanere confinata a letto per giorni interi.

“Forse ora potrà pensare ad avere una vita normale, come tutte le ragazze della sua età” pensò la signorina Lynwood, girandosi verso l’interno della dimora e varcando con aria assente la soglia dell’elegante salotto “Riuscirà ad entrare in società e partecipare a tutti i ricevimenti che fin da bambina ha sempre sognato”.

Gli occhi scuri della ragazza si posarono su di un piccolo quaderno scuro che, solitario, contrastava in cima a una pila di missive accatastate sullo scrittoio in mogano. Era Il libro delle nostre fiabe, o così l’aveva battezzato Amandine molti anni prima.

Saffie lo prese fra le mani, con infinita tenerezza.

“Pensi che potrò anche io innamorarmi, un giorno?”

“Certo che potrai” sussurrò la ragazza, ricordando ciò che tempo addietro lei stessa aveva risposto alla sorella, quando quest’ultima aveva trovato il coraggio di scrivere quella domanda sul loro quaderno. E, ora che sembrava stare guarendo, quella promessa pareva essere a portata di mano. “Saremo entrambe libere.”

Saffie aprì il libro ad una pagina a caso, distrattamente: avevano iniziato quel diario comune da bambine, per scherzo, e si chiese se sarebbe sopravvissuto, ora che le cose stavano per cambiare.

“…e la bella principessa dai capelli d’oro prese la mano del gentile principe, che la condusse per sempre nel suo regno incantato.”

Amandine aveva amato fin da subito quella favola che aveva scritto per lei e, senza perdere tempo, si era impegnata nel rispondere con un’altrettanto fantasiosa storia in cui una stupenda e furba strega bianca faceva amicizia con gli abitanti di un villaggio lontano e insegnava loro la bellezza di un mondo vasto quanto sconosciuto.

La signorina Lynwood rise internamente, divertita al ricordo dell’entusiasmo dimostrato dall’allora dodicenne sorella e di come lei stessa si era finta mortalmente offesa dell’essere dipinta nei panni di una strega.

I suoi occhi si posarono per un secondo sulla montagna di lettere che l’attendevano: anche se rinchiusa nella villa estiva di famiglia, i suoi amici dei circoli culturali non si erano scordati di lei. Dopo quasi tre anni d’assenza, aspettavano tutti con ansia il suo ritorno e Saffie stessa fremeva dalla voglia di ritornare a frequentare i salotti di Londra, di studiare, conversare di arte e letteratura con gente interessata, e persino di poter nuovamente insegnare ai curiosi quanto ricchissimi figli delle famiglie nobili frequentate da suo padre.

Saremo entrambe libere.

“Porterò finalmente Amandine ai balli con me e la farò divertire per tutta la notte, come si merita; e una delle prime cose che farò sarà accompagnarla per la prima volta ad assistere a una pièce teatrale!” pensò con eccitazione crescente la ragazza, anche se dentro di sé era cosciente che il signor Lynwood non le avrebbe mai concesso di guidare la figlia prediletta sulla discutibile strada scelta dalla maggiore.

Saffie non ebbe il tempo di approfondire il suo pensiero, né di alzare lo sguardo dalle righe scritte da una piccola Amandine, che la porta del salotto venne aperta all’improvviso e, sulla soglia, comparve l’alta sagoma di una persona che lei non aveva mai visto. I suoi occhi sgranati si incontrarono immediatamente con due iridi verde scuro, tanto profonde che – per un attimo – alla ragazza parve di non riuscire a cogliere nient’altro.

Il nuovo venuto sembrava stupito quanto lei, come se non si aspettasse affatto di trovare qualcuno in quella stanza, e accennò un lieve inchino nella direzione di Saffie, portando con eleganza un braccio dietro la schiena. “Vi chiedo perdono, signorina: mi era stato riferito che avrei potuto attendere il signor Lynwood in salotto” si affrettò a spiegare l’uomo ancora immobile sull’ingresso “Non era mia intenzione spaventarvi”.

La ragazza udì una leggera nota di imbarazzo nella sua voce bassa e notò come quel giovane signore ancora non avesse fatto cenno ad avvicinarsi a lei, poiché probabilmente stava educatamente aspettando il suo permesso a farsi avanti. Un sorriso spontaneo nacque sulle piccole labbra rosee di Saffie, mentre il suo cuore agitato cominciava a calmarsi poco a poco: d’altronde, vedersi piombare un estraneo gentiluomo in casa non era una cosa da tutti i giorni.

“Mi avete solo colta di sorpresa, signore” rispose quindi con gentilezza, mentre accompagnava le sue parole con una piccola riverenza “Sono Saffie Lynwood, primogenita del padrone di casa. Vi prego, entrate pure”.

L’uomo misterioso le concesse un sorriso appena accennato, ma pieno di gratitudine.

“Arthur Worthington, contrammiraglio della Regia Marina Britannica”. In due lunghi passi fu già al centro della stanza e la ragazza lo osservò guardarsi brevemente intorno, prima di voltarsi verso di lei e dire, con formalità: “È un peccato che le circostanze non abbiano favorito una degna presentazione”.

Ora, la signorina Lynwood ben sapeva che solitamente l’etichetta imponeva di essere introdotti alla conoscenza di una persona nuova, ma trovò comunque le parole di Arthur Worthington tremendamente seriose. Trattenne a malapena una piccola risata divertita, e disse: “Sì, è triste, contrammiraglio, ma possiamo biasimare con tutta tranquillità le sfortunate circostanze e non noi stessi”.

“Impeccabile ragionamento, non c’è che dire.”

“Oh, sappiate, volevo solamente togliere voi e me da una situazione di imbarazzo.”

“Allora, in questo caso, sono in dovere di ringraziarvi, signorina”.

Worthington sembrava non essere intenzionato ad aggiungere altro per contribuire al proseguimento di quella laconica conversazione e si voltò verso le ampie finestre che davano sulla veranda, come se aspettasse con ansia di veder comparire qualcuno.

Saffie ebbe il tempo di osservare con sé stessa il fatto di trovarsi di fronte ad un uomo dai bei lineamenti aristocratici, seppure freddi e impenetrabili: aveva un naso dritto e delle labbra sottili, come arguta pareva l’espressione trasmessa dai suoi occhi di un incredibile verde smeraldo. I capelli erano castano scuro e leggermente mossi, ma tenuti a bada da un morbido codino basso e da un costoso fiocco blu navy.

Aveva un’aria di raffinatezza elegante e gentile, anche se alla ragazza parve pure un individuo molto serio e impostato. E, di certo, non c’entravano nulla gli abiti sontuosi con cui era vestito.

Mi chiedo se sia veramente così freddo come sembra.

Saffie arrossì leggermente, rendendosi improvvisamente conto del silenzio calato fra di loro e tentò di tornare ai suoi doveri di buona padroncina di casa; anche perché, a quanto vedeva, il contrammiraglio ancora non accennava a spiccicare parola.

“Volete che faccia portare del tè?” domandò quindi, cercando di richiamare la sua attenzione “Mio padre è andato stamattina in città, ma sarà di ritorno a istanti”.

“No, grazie: non lo bevo praticamente mai, il tè” fu l’arida e monocorde risposta che ricevette.

“Un inglese a cui non piace la bevanda per cui siamo conosciuti nel mondo!” lo prese in giro la ragazza, sfoderando un sorrisetto atto a nascondere la punta di fastidio che il tono secco dell'uomo le aveva in realtà provocato. “Volete forse qualcos’altro?”

L’uomo nascose un ghigno fra le labbra sottili, prima di avvicinarsi lentamente a lei con le braccia incrociate dietro l’ampia schiena. “Lo gradivo eccome, invece. Eppure, da quando la maggior parte della mia vita si svolge tra una nave da guerra e l’altra, confesso di non aver molto tempo per organizzare dei deliziosi tea party sopracoperta con i miei ufficiali” asserì con ironia e, dopo aver visto due grandi occhi castani aprirsi sorpresi su di lui, decise di aggiungere, chinandosi appena verso Saffie: “Ho semplicemente perso l’abitudine, signorina Lynwood”.

Per la seconda volta, la ragazza dovette subire il timido rossore che aveva invaso le sue gote all’improvviso. Sì, ne era più che certa: Arthur Worthington era pure una persona abbastanza sveglia e perspicace, che sapeva stare al gioco.

Saffie avrebbe anche risposto divertita, se la profonda voce dell’uomo non l’avesse preceduta: “Amate leggere?”chiese senza alcuna inflessione di tono, abbassando lo sguardo attento sul libricino che ancora lei teneva in mano e, ancora più in là, sulla pila di carte dietro alla sua figura minuta.

La signorina Lynwood chiuse il diario suo e di Amandine con un gesto veloce, mentre spalancava tanto d’occhi, ora veramente colpita dal contrammiraglio: il rossore si diffuse su tutto il suo viso, ma lei nemmeno se ne accorse; e il suo cuore sicuramente aveva cominciato a tradirla, poiché era bastata quella domanda a farlo battere furiosamente, tutto agitato. Se si escludeva la sorella minore, era la prima volta in quei tre anni nel Northampton, che qualcuno mostrava interesse nei confronti di ciò che le piaceva fare.

“Immensamente! E anche scrivere!” esclamò allora Saffie con un gran sorriso “E voi? Voi leggete?”

Il contrammiraglio aprì la bocca, probabilmente per ribattere; ma il rumore di piccoli passi risoluti sulla veranda attirò il suo interesse. E Saffie non ebbe mai più modo di conoscere la risposta.

“Siamo tornate!” annunciò con vigore e contentezza Amandine, varcando la soglia del salotto come un piccolo tornado biondo “E, cara Saffie, sappi che non ti ho ubbidito nemmeno un po’!”.

La giovane signorina si bloccò alla vista dell’uomo che si ergeva alto al fianco della sorella maggiore, mentre un rossore furioso prendeva il posto del radioso sorriso con cui era entrata.

“Amandine!” la sgridò divertita la ragazza castana, mettendosi le mani sui fianchi e fingendo senza troppo successo di parere offesa a morte “Sei senza speranze! Come faremo se ti ammali di nuovo?”

Una piccola risatina arrivò alle orecchie di Saffie perché – stranamente – la sorella non aggiunse altro: i suoi occhi da cerbiatta se ne stavano piantati addosso ad Arthur Worthington che, a sua volta, pareva pietrificato sul posto. Lo sguardo scuro della maggiore delle signorine Lynwood si levò sul viso della persona ad un passo da lei; non bisognava certo essere degli indovini per dedurre l’effetto istantaneo che Amandine aveva prodotto nel giovane contrammiraglio: il cosiddetto colpo di fulmine era palese, scritto in ogni lineamento di quel volto affascinante e virile.

Un sorriso amaro si aprì invece nell’espressione di Saffie, che abbassò gli occhi verso il pavimento, rassegnata.

Ovviamente, non poteva andare in altra maniera.

“Tu a sorella è nata con la bellezza e la bontà di un angelo: nessun partito potrà mai rifiutarla.”

La voce seria di Worthington sembrò echeggiare nella stanza. “Signorina Lynwood, vorreste presentarmi alla dama qui presente?”

I suoi occhi verde scuro non si erano neppure staccati dall’alta e pallida figura di una Amandine che, controluce davanti alle finestre illuminate dal sole, poteva benissimo essere scambiata con un essere disceso dal paradiso.

Saffie guardò nuovamente verso la sorella minore e, con una stretta dolorosa al cuore, lesse nelle sue iridi azzurre quel sentimento che già sapeva esserci. Sapeva come sarebbe andata a finire.

“Pensi che potrò anche io innamorarmi, un giorno?”

E allora riesumò il suo sorriso migliore, il più sereno che potesse trovare. “Ma certo” rispose con dolcezza, allungando una piccola mano in direzione di Amandine, per incoraggiarla a farsi avanti.

Sì, sapeva come sarebbe finita.

Poiché era Amandine la principessa, non lei.


§


Saffie osservò con triste ironia la rumorosa combriccola riunitasi presso l’elegante stanza in cui Amandine aveva fatto irruzione, interrompendo bruscamente il discorso tra lei e il nuovo venuto.

Sua madre era giunta pochi minuti dopo sul luogo e, come da previsioni, anche l’altezzosa figura di Alastair Lynwood si fece vedere accompagnata – guarda caso – dal padre di Arthur Worthington in persona, il famoso e pluridecorato ammiraglio Simeon Worthington: terrore di ogni filibustiere che avesse mai navigato i sette mari, ora distinto gentiluomo in pensione.

Come e più del figlio, quest’ultimo pave alla ragazza castana un uomo terribilmente integerrimo e serio; il suo sguardo da vecchia aquila intelligente, fra l’altro, rafforzava questa impressione e lei si chiese se il giovane contrammiraglio non fosse stato rigidamente allevato all’ombra di un padre abbastanza ingombrante, per questo costretto a soddisfare così presto alte aspettative. Da ciò che aveva potuto carpire, nella mezz’ora di conversazione che seguì, Arthur Worthington era diventato contrammiraglio appena l’anno scorso, all’età di trentuno anni.

“Mio figlio ha raggiunto un traguardo che nessuno finora ha osato sperare” annunciò Simeon a Saffie e ai genitori di lei, gonfiando il petto con orgoglio, come un tacchino vestito in abiti eleganti. “Qualcuno potrà dire fortuna, visti i pensionamenti e i conflitti mortali in atto in questo periodo, ma il mio erede si è guadagnato sul campo il suo rango”.

Da una nave da guerra all’altra. La maggiore delle sorelle Lynwood ricordò le parole che l'uomo le aveva dedicato tempo prima e, con discrezione, si voltò verso il fondo del salotto dove, accanto alla vecchia libreria, Amandine sembrava aver catalizzato tutta l’attenzione di Worthington junior. E lui, indubbiamente, aveva attirato quella di lei: la giovane ragazza ascoltava con trepidazione e occhi spalancati le parole di un contrammiraglio stranamente rosso in viso, quasi fosse in imbarazzo a narrare le avventurose imprese compiute durante la sua vita di ufficiale di Marina.

“Davvero? Fino alle colonie?” la sentì esclamare Saffie, mentre lo sguardo turchese della sorella si illuminava di una luce curiosa ed eccitata. Vide l’uomo annuire e aggiungere qualcosa che lei non riuscì a capire, lontana com’era, ma la reazione sorpresa di Amandine la fece sorridere.

“Ormai pende totalmente dalle sue labbra” si trovò a valutare ancora Saffie, sospirando. Era divertita dalle ingenue reazioni di sua sorella tanto quanto non lo era affatto dall’aria di soddisfatta superiorità stampata sul viso serio di Arthur: il primo imbarazzo che aveva scorto nell’uomo, nel trovarsi di fronte ad Amandine, era stato prontamente sostituito da un contegno elegante, un poco pomposo.

Una punta di inatteso fastidio pizzicò qualche corda nell’animo della ragazza castana, che si obbligò a voltare rigidamente il capo verso Alastair e Cordelia Lynwood, ancora impegnati in un’edificante conversazione con il padre del contrammiraglio. Saffie puntò gli occhi sul gentiluomo giusto in tempo per sentirlo dire, nello stesso tono orgoglioso di poco prima: “Ora, è un matrimonio dignitoso, ciò che gli manca”.

“Oh, se è per questo, signor Worthington, non credo dobbiate preoccuparvi piuttosto a lungo” commentò in risposta il padre delle ragazze, ignorando il lieve sussulto stupito della maggiore e scambiando una significativa occhiata con la moglie, che sorrideva compiaciuta. Come a voler rafforzare il concetto, il signor Lynwood fece appena un cenno noncurante con la testa grigia, indicando i due giovani ancora intenti a confabulare misteriosamente sullo sfondo. “La mia Amandine è una creatura meravigliosa e di un retaggio più che degno, non trovate?”

“Devo dire che le vostre lettere non le rendono affatto giustizia, amico mio” asserì Simeon, addolcendo un poco il suo tono autoritario. “La sua bellezza è quella di un dipinto.”

Anche l’avvenente Cordelia decise di dire la sua, aprendo leziosamente un ventaglio ricamato davanti al viso truccato: “Per i pochi che hanno avuto il piacere di conoscerla, ella assomiglia alla Venere dipinta dal maestro Botticelli. O, almeno questo è ciò che scrivono di mia figlia minore”.

Saffie dovette trattenersi dall’alzare gli occhi al soffitto, di fronte alla teatralità dei presenti, e le risultò più difficile che ignorare la sensazione di opprimente inferiorità a cui comunque era abituata da venticinque anni a quella parte: se sua sorella era stata baciata dalla dea della bellezza, diceva spesso sua madre, lei era nata sotto la sfortunata stella dell’intelligenza; cosa che, secondo Cordelia Lynwood, non serviva proprio a niente in un mondo di nastrini, ricevimenti e divertenti scampagnate a cavallo.

“La nostra è una società in cui noi donne abbiamo la possibilità di delegare tutto all’uomo” aveva cominciato a dirle a più riprese, fin da quando era entrata in età da marito, ormai dieci anni prima. “Non ci è chiesto altro che occuparci della routine domestica, dei figli, per poi goderci le comodità della nostra posizione senza preoccuparci troppo. Presto o tardi, dovrai comprendere qual è il tuo posto.”

Anche alla luce di questi discorsi appassionati, sua madre era rimasta sconvolta nel sapere la maggiore delle sue figlie impegnata nel ruolo di insegnante prediletta dalle maggiori famiglie nobili di Londra, che letteralmente se la contendevano per i loro figli. Era scandaloso per la donna saperla nella capitale a sprecare tempo e impegno in attività culturali e salotti letterari quando, invece, ce l’aveva mandata per trovare uno straccio di marito.

E se Alaistair Lynwood chiudeva un occhio sulla questione solamente a patto che Saffie continuasse a frequentare l’aristocrazia di cui facevano parte, sua madre non era affatto della stessa opinione: la ragazza non ricordava nemmeno più quante lettere di lacrimose recriminazioni erano giunte dal Northampton da parte di Cordelia che, in dieci pagine almeno, stilava una lista delle sue mancanze come figlia, nei confronti della sua povera sorella tanto bella quanto malata e del suo dovere di signorina aristocratica.

Al contrario del marito, le notizie della reputazione crescente della primogenita del Duca di Lynwood presso i letterati più in vista dell’impero Britannico e della Corona non smuovevano affatto la signora che, dal canto suo, non voleva nemmeno sentir parlare di Illuminismo e sciocchezze simili. Era al corrente, in maniera vaga, che in Francia vi erano diverse dame considerate quasi alla stregua degli uomini, in quel campo inerente i discorsi difficili, come li chiamava Cordelia; ma erano donne francesi, e questo già diceva tutto.

“L’unica cosa buona del sapere usare la testa è la furbizia che ne deriva. Hai un visino grazioso, Saffie: usa quello, invece della parlantina che ti ritrovi”.

“Deve essere stato un sollievo per voi il mio ritorno qui, madre” pensò non per la prima volta la ragazza castana mentre, senza neanche sapere come, si trovava seduta sul morbido sofà del salotto in compagnia di un Simeon Worthington in vena di chiacchiere. “D’altronde, non ho avuto altra scelta se non quella di lasciarmi tutto alle spalle e stare accanto ad Amandine”.

Non che Saffie se ne fosse mai pentita, di quella decisione. Il fiore all’occhiello dei Duchi di Lynwood era nato con un dono e una maledizione, proprio come le bionde principesse delle fiabe medievali: una bellezza angelica a cui si accompagnava una salute precaria, fragile. Per questo esatto motivo, Amandine non aveva mai messo piede fuori dal Northampton e Saffie era stata costretta per quasi tutta la vita ad accudirla insieme ai domestici, mentre i genitori erano impegnati a fare gli aristocratici.

Sei anni dividevano le due ragazze, ma in realtà esse erano legate come gemelle: dove andava Saffie c'era anche Amandine, quando la più piccola piangeva era la maggiore a confortarla e farla ridere, leggendole racconti e inventandosi improbabili storie fantastiche. A volte capitava che l’una si sentisse più una madre amorevole e l’altra una bambina da tenere a bada, ma non avevano dubbi di essere migliori amiche.

Lei è la principessa, mentre io sono la strega.

“…e cosa ne dite, signorina Saffie, non vi sembra che vostra sorella abbia preso in simpatia il mio Arthur?” emerse la voce del signor Worthington, comparso dal nulla davanti agli occhi assenti della ragazza che ben sapeva, in realtà, da quanto effettivamente fosse lì accanto a lei.

“L’arrivo dei Worthington mi ha scossa più di quanto pensassi” ammise con sé stessa, arrossendo leggermente, prima di sfoderare il suo classico sorriso gaio e dire, con serenità: “Fin troppo! A contare le ore da cui stanno parlando, direi che potremmo celebrare le nozze anche domani, signore”.

L’uomo spalancò leggermente gli occhi metallici, prima di lasciarsi andare in una fragorosa e tonante risata liberatoria che rimbombò nella stanza come se vi fossero entrati una decina di elefanti impazziti. Tutti si voltarono in tempo per cogliere, non solo il rossore comparso sul viso della ragazza castana, ma anche la leggera pacca sulla spalla che l’attempato gentiluomo le concesse, buttando all’aria qualsiasi rigida formalità.

“Avevo sentito parlare della vostra irriverente sagacia, mia cara: le voci non sbagliavano affatto!” disse quindi lui, con ammirazione “Ex ufficiale o no, mi considero in primis un uomo di mare e, per questo, ho sempre apprezzato le personcine sveglie come voi.”

“Vi ringrazio, davvero” cominciò a dire quindi Saffie, che quasi stava cambiando idea sul conto del temibile Worthington senior, se non fosse stato per le parole secce e serie del figlio, atte ad attirare l’attenzione dei due.

“Padre, vi prego di non mettere in imbarazzo la signorina Lynwood con il vostro rumoroso entusiasmo.”

Se il destinatario del commento sbuffò sonoramente - quasi fosse stato uno scolaretto indisciplinato e non un militare di mezza età - la ragazza castana si voltò invece verso Arthur, perplessa. Il contrammiraglio li osservava tranquillo, con le spalle ampie appoggiate leggermente alla parete e le braccia incrociate al petto; ma le sue iridi verdi furono attraversate da una lieve ironia mentre decideva di aggiungere, stoico: “Seppure credo sia difficile possa succedere una cosa del genere”.

Saffie sentì le gote scaldarsi leggermente e fu grata per l’arrivo della domestica con il cartello colmo di tè fumante e dolcetti per tutti. Il suo cuore traditore aveva malauguratamente perso un battito ma, si disse, non le era piaciuto per niente il tono e l’affermazione di Worthington junior: l’ironia espressa sembrava quella di un uomo abituato a giudicare la gente ad un primo sguardo, piuttosto che una considerazione obbiettiva. Ciò contribuì a rafforzare l’idea che in lui ci fosse effettivamente un’arrogante superiorità, mascherata da un'impeccabile atteggiamento serio ed elegante.

Con un tempismo perfetto, alzò gli occhi castani giusto in tempo per vederlo accettare una tazza di tè dalle mani di un’emozionata Amandine e, dopo averne gustato un sorso, asserire con un’ipocrisia stupefacente che, davvero, lui amava il tè ma che raramente gli era capitato di sentirne di così squisiti.

Nelle favole, solo le principesse sposano i principi. Mai le streghe.

Saffie sorrise a malapena, preda di uno strano sentimento a metà fra ironia e fastidio. Tra le tante cose che i signori Lynwood dicevano di lei, solo su una avevano perfettamente ragione: non riusciva mai a tenere a freno la lingua. Fu così che decise di commentare, in tono apparentemente innocente e casuale: “Ma come, contrammiraglio, da quello che dicevate il tè per voi è una bevanda ormai tabù! Che sollievo, devo aver compreso male le vostre parole!”

E, detto questo, sorseggiò la bevanda dalla sua tazzina in fine porcellana con serafica tranquillità. Sapeva che l’uomo stava in realtà facendo di tutto per colpire una innocente e povera Amandine che ora lo guardava confusa, con gli occhi turchesi spalancati.

Questa persona…mi chiedo chi sia veramente.

Saffie alzò pigramente le palpebre e le sue iridi scure furono fulminate da uno sguardo di limpida e pericolosa rabbia che, immediato, scattò su di lei.

Ecco chi sei.

Con tutta probabilità, fu proprio quello il primo atto di guerra fra Arthur Worthington e Saffie Lynwood.


§


Le visite dei Worthington presso casa Lynwood non si esaurirono ovviamente quel pomeriggio, come del resto la conoscenza fra Arthur e Amandine non era destinata a rimanere un rapporto di cortesia fra vicini.

Se di primo acchito Saffie era rimasta stupita e alquanto nauseata dalle subdole manovre del padre per dar via agli ingranaggi di un piano matrimoniale probabilmente già progettato da tempo, ora la ragazza era più propensa a guardare con benevolente simpatia a ciò che si stava venendo a creare fra il contrammiraglio e sua sorella: era innegabile, i suoi genitori non avevano aspettato nemmeno la totale guarigione di Amandine prima di metterle davanti i Worthington, ma la giovane era così felice e serena in quei giorni, che Saffie non ebbe più il cuore di dire nulla in merito alla questione.

Certo, non erano tutte rose e fiori come poteva apparire, visto il discreto conflitto che serpeggiava fra lei stessa e Arthur Worthington, ben nascosto agli occhi di tutti: abbandonata la simpatia che i due sembravano aver condiviso negli istanti del loro primo incontro, sia l’uno che l’altra erano prontissimi ad ammettere di trovare tediosa – se non insopportabile – la reciproca compagnia.

Durante gli incontri che seguirono fra le due famiglie, Saffie ebbe modo di comprendere quanto effettivamente egli non fosse altro se non un serio e impostato manichino che, con le sue maniere educate ed eleganti, non la smetteva più di cianciare sulla Marina di Sua Maestà, di quanto fosse un onore servire come ufficiale dell’impero e di come nient’altro gli sembrasse più importante di assicurare, a cannonate e sciabolate, la pace nei mari inglesi.

Dal canto suo, Arthur riteneva la maggiore delle sorelle Lynwood la ragazza più saccente e fastidiosa che avesse mai veduto sulla terraferma: l’aria da innocente creatura che i suoi occhi grandi comunicavano non era abbastanza per poter celare l’irriverenza e l’ironia insite nei discorsi da piccola aristocratica cresciuta nei pigri salotti di Londra. Non aveva diretta esperienza del mondo, lei, ma solo i libri e la scrittura parevano essere ciò che veramente le importasse nella vita.

Insomma, pensavano i due con irritazione, non si poteva essere più diversi di così.

Alla luce di questi sentimenti, entrambi non fecero quindi alcuna fatica a limitare i loro colloqui alle occasioni di necessaria formalità e, per il resto del tempo, si fecero bastare il distaccato saluto che veniva scambiato se malauguratamente si incrociavano per i corridoi di casa o per strada.

Ovviamente rimaneva Amandine il principale motivo per cui Arthur e Saffie non esternavano la reciproca antipatia tanto quanto avrebbero voluto. Alla ragazza castana era bastato uno sguardo per indovinare la profondità dei sentimenti provati da sua sorella, mentre l’uomo era abbastanza perspicace da capire in pochi giorni quanto fosse saldo il rapporto fra Amandine e l’insopportabile so-tutto-io.

Infine, la più piccola delle Lynwood sembrava pendere dalle labbra sia di Arthur che di Saffie e nessuno dei due interessati era così ottuso da voler rovinare il rapporto con la ragazza in questione a cuor leggero. Entrambi erano infatti furbi il necessario da sapere che, se tutto andava come doveva andare, lei sarebbe sempre stata l’adorata sorella e lui l’amato marito.

“Non trovi che sia bellissimo, Saffie?” aveva chiesto un pomeriggio Amandine con occhi sognanti, dopo aver intravisto l’alta sagoma del contrammiraglio attraversare il giardino e sparire nell’ingresso di casa. “Ormai viene a trovarci quasi ogni giorno.”

La sua risata allegra si era poi persa nella stanza; e si trattava di quella risata frivola ma al contempo adorabile che era solo sua, un suono che prometteva vita e sogni finalmente realizzati, raggiungibili.

Allora Saffie le aveva risposto di sì ma, sorridendo divertita, l’aveva anche rassicurata della sua, di bellezza, e di quanto Arthur Worthington non sembrasse più poter respirare nemmeno un giorno senza vederla almeno una volta.

“Quanto sei sicocca, Saffie! Sai mai esser seria?” era stato il commento scettico della sorella, accompagnato da una graziosa alzata di spalle. La bionda si era però voltata subito verso di lei e, con una strana espressione ansiosa dipinta sul viso emaciato, aveva osato chiederle se secondo Saffie fosse vero.

Sì, era proprio vero.

Gli occhi verdi e attenti dell'ufficiale non riuscivano a staccarsi da Amandine, quando quest’ultima era presente nella stanza; come il loro padrone pareva impossibilitato a non prendere il suo esile corpo fra le braccia ogni volta che i due riuscivano a trovarsi soli, lontano da occhi indiscreti.

Una volta Saffie li aveva colti sul fatto per errore, mentre passeggiava distrattamente lungo il parco con un libro aperto in una mano e un piccolo ventaglio bianco stretto nell’altra. Aveva svoltato senza vera coscienza in direzione della grande fontana che sorgeva maestosa sul retro della loro dimora da ormai un secolo a quella parte, nascosta da un labirinto di alte siepi modellate alla perfezione.

Senza poterlo evitare in alcun modo, il suo sguardo castano si era alzato di scatto sulle due figure in piedi davanti a lei, apparse all’improvviso come per una strana magia. Le mani grandi del contrammiraglio Worthington si perdevano fra i capelli d’oro di Amandine, mentre le pallide dita della ragazza premevano con delicatezza sul petto ampio di Arthur; ed entrambi sembravano fin troppo impegnati a scambiarsi un lento quanto profondo bacio per far caso a Saffie, la statua di sale che si era fermata di botto alla loro vista.

Il cuore di quest’ultima pietrificò anch’esso, e la proprietaria si chiese come avesse fatto a mantenere tanta presenza di spirito per riuscire a non mollare di botto libro e ventaglio dallo shock.

“…e la bella principessa dai capelli d’oro prese la mano del gentile principe, che la condusse per sempre nel suo regno incantato.”

La ragazza si era quindi voltata rigidamente, come un burattino, ed era tornata sui suoi passi quasi correndo, scivolando sul sentiero di ghiaia. Il suo volto era invaso da brucianti fiamme di vergogna, anche se ogni imbarazzo venne dimenticato, di fronte alla consapevolezza che si era fatta strada dentro di sé.

Si amano per davvero.

Forse fu quella la prima volta in cui lo ammise con sé stessa, come fu senza ombra di dubbio quello l’ultimo momento in cui lasciò spazio alla dolorosa sensazione che di tanto in tanto aveva preso a visitarle l’anima senza alcun invito.

“Amate leggere?”

Due penetranti iridi smeraldo ferme su di lei. Due labbra sottili incurvate appena su un volto serio e virile.

Non essere stupida, Saffie. Lui è un uomo odioso.

E non ci pensò mai più.

Amandine chiaramente non riempiva solo i momenti e la testa della sorella di entusiasmanti chiacchiere riguardanti navi pirata in fuga ed esotiche isole dalle acque cristalline, ma pure il loro diario comune non ne uscì indenne: la ragazza più giovane aveva sicuramente un’idea romantica della vita di mare e Saffie per prima faceva del suo meglio per non spegnere il suo entusiasmo, scrivendo per lei brevi storie che narrassero non più di principesse rinchiuse in spaventose torri, ma bensì rapite da ciurme di filibusieri male in arnese e salvate, ovviamente, dall’intervento di intrepidi marinai.

“L’ho letta almeno dieci volte!” aveva scritto in risposta Amandine sul quaderno “Sicuramente il tuo talento verrà notato, mia amata sorella, quando potrai andare via da qui”.

“Non prima di aver organizzato insieme a te il matrimonio: sai che mi offenderei a morte se non potessi aiutarti e, del resto, non me lo perderei per niente al mondo!” si era affrettata allora a rispondere l’altra.

In generale, la signorina Lynwood era ottimista: la salute della sorella minore sembrava migliorare giorno dopo giorno, Simeon Worthington era diventato praticamente un amico di famiglia a volte un poco severo, e i suoi stessi genitori guardavano con simpatia all’idea di far tornare la maggiore delle figlie alla sua vita di Londra.

L’intoppo avvenne a due mesi dal primo incontro fra Arthur e Saffie.

La famiglia Worthington si era stabilita a pochi chilometri di distanza dalla tenuta del Duca di Lynwood e l'ex ammiraglio era stato più che felice di poter ospitare il figlio durante la lunga licenza a lui concessa dalla Marina Britannica, soprattutto visti gli ultimi avvenimenti.

L’aria aveva cominciato a scuotersi quando, con l’arrivo di una missiva piuttosto urgente, Arthur era stato richiamato prima del previsto al suo dovere di contrammiraglio al servizio della Corona: un nuovo conflitto imperversava nelle lontane acque delle colonie americane e a ogni uomo che si fregiasse di un rango di comando era stata revocata la licenza, poiché la situazione sembrava essere abbastanza grave.

Il giovane Worthington non poteva, né desiderava sottrarsi alla chiamata che gli era stata rivolta e tutti capirono che questo stava a significare un’assenza dall’Inghilterra di nove mesi almeno, se non di un anno intero.

“Il povero Simeon ha dovuto passare non so quanti anni a bordo della sua amata Royal Chaser prima di poter avere una licenza degna di questo nome” si fece sentire il Duca Alastair, la cui voce piena di rammarico echeggiò nell’intimità dell’elegante sala in cui la famiglia e i due Worthington erano riuniti.

L’attempato gentiluomo preso in causa sospirò con fare rassegnato, muovendo distrattamente il suo bicchiere colmo di liquore. “Quei dissoluti ladri dell’oceano infestavano le acque dei Caraibi come innumerevoli parassiti, mentre noi dovevamo difenderci anche dalle navi corsare alle dipendenze dei governi vicini. Non c'era un attimo di vera pace e molti hanno perso la vita, in quelle battaglie” disse senza alcuna inflessione di tono, mentre i suoi svegli occhi grigi si alzavano sulla figura del figlio in piedi accanto a lui “Non che oggigiorno sia differente, comunque”.

La totalità dei presenti voltò il capo verso Arthur Worthington e Saffie gli lesse in viso un’espressione di fredda determinazione che, poteva scommetterci, non aveva mai visto su di lui.

Un'espressione omicida.

“Demoni dell’inferno, ognuno di loro” sibilò il giovane contrammiraglio. L’uomo si staccò dal fianco del padre e cominciò a camminare rigidamente verso le ampie finestre che illuminavano la stanza con le braccia incrociate dietro la schiena, senza fare caso allo splendido tramonto che si intravedeva al di là di esse. Si fermò infatti a poca distanza dal divano rococò su cui erano sedute le sorelle Lynwood e aggiunse, guardando dritto di fronte a sé: “E all’inferno devono essere rispediti, senza alcuna eccezione”.

“Così…sarà molto pericoloso il vostro incarico?” pigolò ingenuamente Amandine, tormentandosi le mani bianche l’una con l’altra.

Saffie le sorrise con tenerezza e posò le sue piccole dita su quelle di lei, cercando di ignorare il disappunto che le parole gelide del contrammiraglio le aveva in realtà risvegliato. Un fastidioso sentimento cominciò ad agitarsi nelle sue viscere e la ragazza cercò di respirare a fondo, per metterlo a tacere; doveva ricordare il suo posto.

Tieni a freno la lingua.

“Certo, ma è un rischio che sono disposto a correre volentieri, se ciò significa assicurare una caduta sorda a quei disgraziati” rispose l’uomo, abbassando finalmente il capo in direzione delle sorelle con un sorrisetto leggero, ma pieno di arroganza.

Gli occhi azzurri di Amandine si spalancano impressionati, ma Saffie non potè trattenere un piccolo sbuffo scocciato, accompagnato da una veloce occhiata al cielo: non le andava affatto a genio che Worthington stesse spaventando la ragazza accanto a lei, né era del tutto d’accordo con il suo pomposo discorso.

“Avete qualche dubbio, per caso, signorina?”

La maggiore delle Lynwood aveva cercato di essere discreta, ma Arthur aveva colto al volo il suo sguardo corrucciato e il rumore prodotto dalle sue piccole labbra, poi, era stato perfettamente udibile.

Due sorpresi occhi castani si aprirono su di lui, intanto che Aleister rispondeva per la figlia, in tono piatto: “Mia figlia non si trova particolarmente a favore della pena di morte, contrammiraglio. Piuttosto rivoluzionario, non credete?”

Il tuo posto.

“Devi sorridere e chinare il capo con dolcezza, non usare quella lingua lunga che purtroppo ti ritrovi.”

Le iridi verde scuro dell’uomo furono nuovamente su Saffie ed esprimevano un misto di irritazione e stupore che ben si accompagnavano alle parole che seguirono, sputate fuori con incredulo scetticismo: “Ah, ma davvero?”

“Sì, davvero” sbottò infine la ragazza castana, buttando alle ortiche i suoi propositi di figliola modello. “Non parteggio in nessun modo per chi decide di condurre una vita al di fuori della legge, ma alcuni di questi demoni sono solamente dei disperati disposti a tutto pur di non morire per strada e di fame nelle colonie.”

“Si può sempre scegliere” la rimbeccò lui, con distacco. “E una volta intrapresa la disonorevole strada della pirateria, non c’è altra via se non quella che conduce alla forca.”

“Su quelle navi sono imbarcati pure dei ragazzini, che a malapena hanno coscienza di ciò a cui andranno incontro” ribattè Saffie con forza, tentando con scarso successo di controllare il tono di voce e stringendo contemporaneamente le dita sul morbido bracciolo del divano, per darsi coraggio. “La morte indiscriminata non è la soluzione.”

Criminali. Il mio dovere di ufficiale dell’Impero Britannico mi impone di proteggere i cittadini e garantire un’equa giustizia agli individui onesti.”

“Giustizia e onestà” ripetè lei con sarcarsmo, alzandosi in piedi senza nemmeno rendersene conto “E ditemi, contrammiraglio, assolvete a questi meritevoli compiti anche quando le navi di supporto sotto il vostro controllo scortano i vascelli della Compagnia delle Indie, o della Royal African Company, con le loro stive stipate da migliaia di schiavi?”

“Saffie!” urlò quasi Cordelia, chiudendo il suo ventaglio di piume con uno scatto isterico.

“Deve essere facile avere questa parlantina quando si può spendere la propria vita discutendo di sciocchezze astratte, comodamente seduti davanti a un fuoco acceso, e senza alcuna esperienza diretta del mondo” commentò in risposta Worthington, il tono di voce traboccante di rabbia. La uccise con uno sguardo di pietra e aggiunse, implacabile: “Voi non sapete un bel niente, signorina Lynwood”.

“Arthur!”

Il signor Simeon era balzato in piedi e osservava, vibrante di sdegno, l’alta figura del figlio.

Ma né Saffie, né il contrammiraglio accennarono a voltarsi verso l’interno della sala: i due erano impegnati a fronteggiarsi, l’uno a pochi centimetri dall’altra, senza alcuna intenzione di cedere terreno. “Siete un uomo arrogante e pieno di sé” pensò lei, forando con il suo miglior sguardo di sfida le iridi mortalmente fredde di un Arthur che, dall’altra parte, stava considerando Saffie una saccente quanto insopportabile strega.

Fu la voce esitante e supplichevole di Amandine a spezzare l’incantesimo. “Vi prego, può bastare adesso. Sorella mia, torna a sederti qui accanto a me” fece quest’ultima, poggiando con grazia una mano sul posto precedentemente occupato dalla ragazza castana. Saffie si voltò verso di lei e lesse nei suoi occhi chiari un dispiacere e un’ansiosa preoccupazione che la colpirono come un secchio d’acqua ghiacciata; si allontanò dal contrammiraglio di scatto e si accorse degli sguardi esterrefatti dei suoi genitori (Cordelia sembrava sul punto di svenire da un momento all’altro), del pesante silenzio imbarazzato che era calato nella stanza.

“Presto o tardi, dovrai comprendere qual è il tuo posto.”

La sua testa ronzava in maniera fastidiosa, mentre il corpo era scosso da un leggero tremito nervoso.

Che cosa ho combinato?

“Io…”cominciò a dire esitante, lasciando cadere lo sguardo verso terra “Io vi chiedo perdono, ma credo sia giunto il momento di ritirarmi nelle mie stanze”.

Nessuna risposta giungeva dagli astanti e Saffie sentì gli occhi cominciare a pizzicare, mentre la visione sulle piatte forme del pavimento in marmo cominciava a farsi orribilmente confusa.

No. Ti prego, questo no.

Colse con la coda dell’occhio l’ombra di Arthur Worthington passarle agilmente accanto e udì con poca consapevolezza la sua voce, come sempre terribilmente seria: “Penso di dover essere io ad andarmene, per questa sera”.

“Verrò con te, figliolo. D’altronde si è fatto davvero tardi e i nostri domestici avranno quasi ultimato i preparativi della cena, ormai” si unì a lui l'ex ammiraglio, con una voce stranamente tranquilla e pacata; sembrò a tutti sereno e ignaro, come se nulla fosse accaduto.

Aleister fu subito su di loro, prodigo di cerimoniose cortesie e di ansiose raccomandazioni: “Siete sicuri, di non voler restare ancora un poco? La strada è buia, posso farvi chiamare la mia carrozza se volete”.

“Non ce ne sarà bisogno, amico mio” rispose il signor Worthington, con gentilezza.

Dal canto suo, Arthur aspettò di vedere il padre infilare l’elegante cappotto ricamato, prima di fare un brusco cenno della testa e sillabare: “Signori Lynwood, Amandine…vi auguro una buona serata”.

Gli occhi grandi di Saffie erano ancora puntati ostinatamente sulla superficie liscia del pavimento: avrebbe voluto affondarci, per quel che la riguardava. Il fatto che lui non l’avesse inclusa nei saluti di commiato era in fondo il male minore, se paragonato al turbamento crudele provocato dalle parole rabbiose volate fra loro.

È il principe scelto da Amandine. Non puoi permetterti di detestarlo.

Simeon lanciò un’occhiataccia da rapace al figlio girato di spalle e, prima di seguirlo nell’ingresso, voltò la chioma grigiastra in direzione dei presenti per congedarsi. I suoi occhi si posarono per qualche secondo di più sulla figura minuta di una Saffie quasi alle lacrime. “Perdonate il terribile orgoglio del mio erede” asserì dolcemente e, quando vide il visino arrossato della ragazza castana alzarsi su di lui, si sentì libero di continuare: “È stata una conversazione a dir poco interessante, signorina Lynwood”.







Angolino finale dell’autrice:

Troppo lungo?

Spero di no, dai.

Troppo noioso?

Spero decisamente di no.

(Sweet Pink piange in un angolino buio)

Al di là di tutto, ho fatto diverse ricerche storiche prima di scrivere questa storia, visto che non mi piace essere troppo approssimativa…chiaro, mi prendo le dovute libertà narrative, ma niente di troppo sconvolgente (credo T.T)

Arthur e Saffie in fondo sono figli del loro tempo e con educazione decisamente diverse. Anche per questo, pare non si vedano di buon occhio. Diciamo solo che si sa molto bene cosa può diventare un innocuo sassolino, se lanciato a tutta velocità lungo una scarpata.

Io difatti non vedo l’ora di vedere la valanga.

Ancora grazie, se siete arrivati in fondo al capitolo. :) Se vi va, fatemi sapere che ne pensate!

Un abbraccio,

Sweet Pink

  
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