Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Lina Lee    24/04/2021    2 recensioni
Questa one shot è ambientata un anno e mezzo dopo la fine della guerra, sono presenti spoiler per chi non ha terminato il manga.
Jean e Reiner si confrontano, si avvicinano in un modo che forse un tempo sarebbe stato impensabile, all'alba di una nuova vita, ma senza dimenticare i loro passati.
[JeanRei]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Jean Kirshtein, Reiner Braun
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Another life, another chance'
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Si era seduto su una sedia, allentandosi il nodo della cravatta per poi togliersela direttamente e aprirsi una bottiglia di birra. Non poteva esagerare, dato che ora che non possedeva più il potere dei Giganti non poteva far venir meno gli effetti di una sbronza, ma ogni tanto doveva necessariamente concedersi almeno una bevuta.
Per lui era molto più semplice aiutare a ricostruire case, permettere alle persone rimaste vive di avere di nuovo un luogo dove passare le giornate che non fosse una tenda di fortuna, e soprattutto rivedere Marley rialzarsi dalle macerie senza più un ghetto dove rinchiuderli. Ma sapeva bene che anche lui non poteva esimersi dal raccontare quanto accaduto, insieme agli altri suoi compagni, per quanto non fosse mai stato troppo bravo con le parole, ma molto di più coi fatti.
«Ecco dove ti eri cacciato!»
La voce di Jean raggiunse le orecchie di Reiner proprio mentre stava assaporando la bevanda ambrata, portandolo a spostare la bottiglia dalle labbra e voltarsi verso il ragazzo, entrato nella stanza la cui porta era stata lasciata socchiusa. Durante la ricostruzione era stata loro concessa una stanza ciascuno in un caseggiato posto accanto a quello che sarebbe ritornato a essere il municipio, in attesa di avere un luogo migliore dove farli vivere. In fondo loro erano i salvatori dell’umanità, era normale che le persone volessero farli vivere nel miglior modo possibile. In realtà quel caseggiato era stato sfruttato in maniera diversa, lasciandolo a chi ne aveva più bisogno; ora invece, spesso e volentieri persone come Reiner lo vedevano quasi come un rifugio, un luogo dove stare in solitudine quando ne avessero bisogno.
«È successo qualcosa?» chiese il più grande, mentre l’altro socchiudeva la porta alle sue spalle e gli si avvicinava, recuperando una sigaretta per concedersi un po’ di nicotina.
«No. Solo non ti abbiamo più visto e mi hanno spedito a cercarti, anche se tua madre immaginava che potessi esserti rifugiato qui» spiegò Jean, anche lui senza cravatta e coi primi due bottoni della camicia allentati; quell’abbigliamento troppo formale non era adatto a persone come loro, ma come ambasciatori di pace di certo non potevano mostrarsi in tenuta militare!
«Mi dispiace avervi fatto preoccupare, ma avevo bisogno di staccare un po’ dopo l’ultimo incontro per spiegare la fine della guerra» si scusò il biondo, riprendendo a bere la birra, arrivando a svuotare più della metà della bottiglia. Il più piccolo fece spallucce.
«Non hai bisogno di scusarti. Piuttosto ricordati di non sbronzarti, non hai più certe capacità» lo ammonì, dato che inizialmente Reiner era quello che più si scordava questo “piccolo dettaglio”, rischiando sempre di farsi troppo male senza potersi curare immediatamente, come avveniva in passato.
«Rilassati, è solo una bottiglia. Tu, piuttosto, quante sigarette stai arrivando a fumare ogni giorno?» ribatté Reiner osservando il mozzicone che l’altro teneva tra le dita. Jean sospirò, mentre spegneva la sigaretta in un piccolo posacenere presente sopra il tavolo posto davanti al biondo.
«Non le conto, ma non sono poche» ammise, poggiandosi poi al muro in maniera da poter osservare l’altro in viso, le braccia incrociate al petto.
«Ognuno ha il suo modo di riprendere a vivere, tu la birra, io le sigarette». Reiner annuì, tenendo la bottiglia in una mano, solo appena poggiata alla superficie del tavolo, prendendo a rigirarla e osservarla, come se stesse riflettendo su quelle ultime parole e su quanto potessero essere vere, soprattutto per coloro che avevano conosciuto solo la guerra fin dalla più tenera età.
Per qualche minuto i due rimasero in silenzio, Reiner intento a osservare la bottiglia di birra, Jean intento a osservare il suo interlocutore, come se avesse necessità di chiedergli qualcosa e contemporaneamente avesse bisogno di capire se potesse parlare, se fosse il momento adatto, o se fosse meglio tacere. Alla fine, accendendosi la seconda sigaretta, si decise a rivolgersi al più grande, la voce un po’ incerta.
«Senti, posso farti una domanda?... È un po’ personale, quindi se non vuoi rispondere non fa nulla» si premunì di aggiungere, voltando il viso di lato e fissando il pavimento, come se la domanda che aveva in mente lo imbarazzasse non poco. Dal canto suo Reiner, che per tutto il tempo si era sentito gli occhi di Jean addosso nemmeno volesse vivisezionarlo, fu grato che si fosse deciso a parlare, per quanto non si aspettasse né quella domanda, né quell’atteggiamento da parte dell’altro.
«Dimmi» si limitò a rispondergli, attendendo questa famigerata domanda. Jean si lasciò andare a un sospiro più forte, come a darsi coraggio, per poi risollevare lo sguardo e fissare gli occhi del più grande.
«Che rapporti c’erano tra te e Bertholdt?» chiese, quasi d’un fiato, lasciando Reiner a dir poco sorpreso; che rapporti voleva che ci fossero?! Erano entrambi soldati di Marley, Guerrieri, e glielo stava per ricordare, ma dal comportamento di Jean comprese come gli stesse chiedendo, tra le righe, se vi fosse un altro tipo di rapporto, e questo lo lasciò ancora più interdetto. Ora comprendeva perché l’altro gli avesse sottolineato come la domanda fosse piuttosto personale, per quanto non gli fosse chiaro il motivo per cui lo volesse sapere.
Reiner si morse appena il labbro inferiore, recuperando un sorso di birra, indeciso se rispondere o meno; Jean invece aveva ripreso a osservare alternativamente il muro, il pavimento, la sigaretta ormai terminata, pentendosi di aver parlato.
«Presumo lo stesso rapporto che avevate tu e Marco» rispose infine Reiner, e questa volta fu il turno di Jean di rimanere interdetto.
«Pensavamo che avesse una cotta per Annie! Cioè, Armin l’ha usata come scusa per cercare di destabilizzarlo, e una volta c’è pure riuscito…». Il biondo annuì, ricordando perfettamente quella battaglia, gli occhi che fissavano di nuovo la bottiglia, ormai quasi vuota.
«Annie andava e veniva, rimaneva molto più distaccata, lo è sempre stata, fin da bambina. Ogni tanto partecipava anche lei, ma il legame maggiore Bertholdt lo aveva con me» spiegò ancora il più grande, la voce intrisa di nostalgia mista ad amarezza.
«Ero io che lo svegliavo dagli incubi e gli rimanevo vicino quando non riusciva più a dormire, ero io che cercavo di dargli forza quando lui titubava, con tutto che il suo potere era maggiore del mio. E del resto, era lui che riportava ordine nella mia mente quando ce n’era bisogno». La voce di Reiner era diventata sempre più bassa, mano a mano che concludeva la frase, come se gli costasse fatica ricordare, come se gli procurasse dolore fisico riportare alla mente certi ricordi con cui, lo sapeva, avrebbe dovuto fare i conti per il resto dei suoi giorni. Eppure un dubbio voleva toglierselo, perché non comprendeva appieno il comportamento di Jean.
«Come mai lo hai voluto sapere?»
Il più piccolo si avvicinò al tavolo per buttare il mozzicone nel posacenere; avrebbe voluto accendersi una terza sigaretta ma lo sguardo dell’altro gli fece capire che avrebbe dovuto contenersi, almeno un minimo, se non voleva ridursi i polmoni a una poltiglia inutile. Si riavvicinò quindi al muro, tornando nella posizione precedente e cercando di essere il più delicato possibile nel dare la risposta che gli era stata chiesta.
«Beh, quando abbiamo salvato Armin, quando lui ha… sì, insomma, ha divorato Bertholdt… l’ultima parola da lui urlata è stata proprio il tuo nome. Ha invocato il tuo nome in maniera disperata, e questo mi ha fatto sempre pensare che ci fosse qualcosa di più tra voi, un legame che andasse oltre il cameratismo e l’amicizia» rispose, non senza sentire la necessità di fermarsi qualche istante nel momento in cui gli era tornata alla mente l’immagine di Armin che divorava un altro essere umano. Reiner invece rimase a bocca aperta per qualche secondo, salvo poi alzarsi di scatto e recuperare una seconda bottiglia di birra, scuotendo la testa con forza come se volesse scacciare qualche brutto pensiero, gli occhi lucidi nel sapere che il ragazzo a cui era stato così legato per anni avesse invocato il suo nome, lo avesse chiamato nella speranza di venire salvato da lui, cosa che purtroppo non era avvenuta.
«Posso sapere perché nessuno me lo ha detto, almeno dopo che è finita questa dannata guerra?» chiese, la voce tremante che cercava di trattenere un accenno di rabbia, che sapeva essere perfettamente immotivata, ma che non riusciva a frenare del tutto. Jean, che poteva osservarlo solo di spalle, avrebbe voluto dirgli di lasciare quella seconda bottiglia, proprio come l’altro gli aveva silenziosamente intimato di non accendersi la terza sigaretta, ma non era così idiota da non capire che, con un simile discorso, bersi una seconda bottiglia di birra fosse il minimo sindacale.
«Nessuno di noi aveva il coraggio di farlo» ammise, terribilmente sincero.
«Dovevamo aiutare gli abitanti rimasti vivi, dovevamo ricostruire Marley, dovevamo impegnarci per cercare di andare avanti, capire come muoverci con gli abitanti di Paradis… volevamo che avessi un minimo di serenità, ora che potevi restare con la tua famiglia senza più il limite dei tredici anni di vita». Reiner, che nel mentre aveva aperto la bottiglia e aveva preso a ingurgitare diversi sorsi di birra, si era voltato di nuovo, fissando il più piccolo con sguardo indecifrabile.
«E posso sapere come mai ora hai deciso di parlarmene?».
Jean, che nel mentre aveva mandato al diavolo la preoccupazione per i suoi polmoni e si stava fumando la sua terza sigaretta dacché era entrato in quella stanza, sospirò rumorosamente.
«Perché tanto so che ti senti ancora in colpa per la morte di Marco» rispose il castano, di nuovo sincero come non mai.
«Non che non debba sentirti in colpa, per quanto presumo che al tuo posto probabilmente avrei agito allo stesso modo, ma almeno considera il fatto che anche io mi sento ugualmente in colpa, forse perché avevo intuito il vostro legame, forse perché percepivo i due avvenimenti come simili… tu mi avevi tolto il mio compagno, io ti avevo tolto il tuo» concluse in un sussurro.
Di nuovo Reiner scosse la testa, avvicinandosi lentamente a Jean; non si sarebbe mai aspettato quel parallelismo tra i due episodi, eppure gli fece piacere rendersi conto di come il giovane avesse provato non solo a comprenderlo, ma ad aiutarlo a superare i rimorsi legati al passato. Oltre al fatto che avesse intuito alla perfezione il rapporto che aveva avuto con Bertholdt a suo tempo, e questo lo aveva portato a fargli quella rivelazione.
«Non è la stessa cosa, non può esserlo, ma grazie per avermelo fatto sapere, e grazie per aver cercato di aiutarmi a superare i miei sensi di colpa» disse, la voce ancora in parte tremante, accarezzando i capelli sempre perfetti dell’altro, che subito allontanò la sua mano di malo modo, fissandolo torvo.
«Hai idea di quanto ci impiego, ogni santo giorno, per averli sempre perfetti?»
A quelle parole Reiner si allontanò ridacchiando, tornando a sedersi sulla sedia sulla quale era accomodato fino a poco prima; se a quella rivelazione aveva provato un misto di rabbia, dolore e amarezza, ora sentiva che il suo animo stava lentamente tornando più tranquillo, o almeno ci stava provando.
Tra i due calò di nuovo il silenzio. Jean, che nell’udire quei ringraziamenti aveva sentito le guance scaldarsi per l’imbarazzo, stava lentamente tornando più calmo. Era riuscito a togliersi quel dubbio che si portava dentro da troppo tempo e per questo in parte si riteneva soddisfatto. In parte.
Reiner invece sembrava essersi perso in qualche pensiero riguardante il passato, ma legato anche al presente e soprattutto al futuro.
«Quando potremo tornare a Paradis hai intenzione di aiutare Mikasa?» chiese, quasi dal nulla. Dopo tutto ciò che avevano vissuto, se c’era una persona che poteva essere in grado di starle vicina a dovere e aiutarla a riprendere a vivere, oltre Armin, ai suoi occhi era proprio Jean.
«Ora che Eren purtroppo è morto, tu potresti-»
«Frena, frena!» lo interruppe il più piccolo, senza troppi complimenti.
«Io spero con tutto il cuore che Mikasa riesca a riprendersi e a ricominciare a vivere, è una cara amica e come tale tengo molto a lei. Ma quel genere di sentimenti nei suoi riguardi sono venuti totalmente meno nel momento in cui ho deciso di legarmi a Marco».
«E non hai più cambiato idea?»
«No, mai».
Reiner lo aveva ascoltato con attenzione, osservando quel giovane così sicuro, così fermo in quelle convinzioni, che quasi provò una sorta di invidia nei suoi riguardi. Lui aveva perso il conto di tutte le volte in cui era miseramente crollato, e anche ora aveva poche certezze, per quanto tutte legate alle poche persone a lui care ancora rimaste in vita.
«Tu, piuttosto, vuoi ancora fare lo scimmione solitario oppure intendi trovarti una persona da tenerti accanto?»
La voce di Jean lo aveva strappato da quei pensieri in parte autolesionistici, portandolo a sollevare un sopracciglio nel sentirsi definire a quel modo.
«Ohi, cavallo, vacci piano coi nomignoli» lo rimbeccò, in quelle che sembravano provocazioni ormai assodate tra loro due.
«Parla quello che annusa ogni lettera spedita da Historia… pervertito!»
«Non ci posso fare nulla, Historia ha un fascino che continua a colpirmi dritto al cuore».
«Peccato che sia sposata e abbia pure una figlia. Se proprio ti devi cercare una persona, almeno che sia libera!
«Per esempio, potresti pensare a Pieck, sembra ben disposta nei tuoi confronti e vi conoscete da sempre, o sbaglio?»
Reiner osservò Jean, che sembrava davvero convinto di quel consiglio, per poi compiere un cenno negativo col capo, terminando la seconda bottiglia di birra. Il castano, invece, si era avvicinato al tavolo per spegnere la terza sigaretta; sembrava una sorta di tacita sfida tra loro, a chi avrebbe esagerato di più coi rispettivi “vizi”.
Il più grande era rimasto inizialmente silenzioso davanti a quella sorta di proposta da parte dell’altro, ma quando riprese a parlare la sua voce, in precedenza divertita per via delle provocazioni, era di nuovo intrisa di amarezza, come se anche quell’argomento avesse riportato a galla situazioni passate che ancora gli bruciavano l’anima.
«Pieck è una cara amica, proprio come lo è Mikasa per te, ma quel genere di rapporto lei lo aveva con Porco» rivelò il biondo, lasciando per un attimo Jean interdetto.
«Il Mascella?» gli sfuggì, facendo mente locale sul ragazzo biondo che avevano dovuto affrontare e che purtroppo era morto. Reiner annuì, mentre la mente ricordava gli ultimi istanti di Porco, la sua decisione e, di contro, l’impossibilità dello stesso Reiner di poterlo salvare.
«È stato un duro colpo per lei, anche se sul momento non ha potuto sfogarsi, non ha potuto piangere o disperarsi a dovere. Dovevamo fermare la marcia, Porco si era sacrificato per salvare Falco, lei doveva proseguire per non rendere vano quel suo sacrificio».
Jean deglutì a vuoto, fermo in piedi vicino al tavolo, vicino a Reiner; non era a conoscenza di questo legame, nonostante avessero trascorso un anno e mezzo tutti assieme Pieck non aveva rivelato nulla, non a lui per lo meno.
«Mi dispiace» riuscì a biascicare, la gola improvvisamente secca.
«Se avessi saputo non-». La mano del più grande si sollevò per interromperlo.
«Non hai nulla di cui scusarti, proprio perché non lo sapevi» gli fece presente, piuttosto candidamente.
«Le stiamo vicini come possiamo ma anche lei ha bisogno di tempo. Aiutare gli altri, vedere Falco accanto a Gabi in qualche modo attenua il peso che si porta dentro, le ricorda che quel sacrificio non è stato vano, che Porco vive anche tramite Falco, e viceversa».
I due giovani rimasero di nuovo in silenzio per alcuni istanti, ognuno perso nei propri pensieri; poi Reiner si alzò di colpo.
«Ho bisogno di un’altra birra» annunciò, ma Jean gli afferrò il braccio, come a volerlo fermare.
«Ne hai già bevute due» gli ricordò, cosa che portò il biondo ad accigliarsi appena, mentre gettava un occhio al piccolo posacenere contenente tre mozziconi di sigarette.
«Tu ti sei fumato tre sigarette».
«Non è la stessa cosa».
«Senti, dopo tutti questi discorsi ho bisogno di bere per-».
La frase rimase in sospeso perché Jean, attirandolo a sé attraverso la presa al braccio, gli aveva tappato la bocca con le proprie labbra. Reiner sgranò gli occhi incredulo, tutto si sarebbe aspettato ma non quello, non un bacio, non da Jean. Quest’ultimo invece teneva le palpebre socchiuse, in un misto di paura e imbarazzo; paura, perché temeva la reazione dell’altro, imbarazzo perché non baciava una persona da quando Marco era morto, e perché di tutte le persone che avrebbe potuto baciare aveva scelto quella che poteva apparire come la meno adatta.
Non fu nulla di eccessivo, un bacio casto, le labbra del più piccolo rimasero poggiate su quelle del più grande, percependo il sapore della bevanda incriminata, per poi staccarsi. Jean lasciò andare la presa sul braccio del biondo, chinando appena il capo e fissando di nuovo il pavimento, i due corpi a poca distanza l’uno dall’altro, l’imbarazzo crescente che lo portava a mordersi un labbro. Reiner era rimasto fermo, immobile, stava ancora cercando di metabolizzare quel contatto inaspettato, quella situazione che sembrava avere dell’assurdo. O forse no?
«Scusami, prima ti ho mentito» riprese a parlare Jean, il tono di voce basso, quasi colpevole.
«Quando ti ho detto che mi hanno mandato a cercarti… beh, non era vero, sono io che mi sono proposto per venire a cercarti, anche se è vero che tua madre mi ha indicato questo caseggiato come luogo in cui poterti trovare».
«Perché mi cercavi?» chiese Reiner, osservando il rossore sulle guance di Jean, il suo imbarazzo che lo rendeva dolce, apparentemente fragile, così dissimile dal ragazzo che in battaglia aveva imparato ad andare avanti, a uccidere anche le persone, anche coloro che un tempo considerava amici. Vederlo in quelle condizioni gli faceva venire il desiderio di abbracciarlo, di coccolarlo, di aiutarlo a calmarsi, ma aveva anche bisogno di capire, di sapere.
«Avevo bisogno di parlarti» ammise Jean, risollevando il capo e osservando il biondo negli occhi, per quanto gli costasse fatica e sentisse le guance calde, il cuore che gli martellava nel petto.
«Avevo bisogno di capire, di comprendere, di comprenderti in aspetti che non fossero quelli prettamente militari, nei quali ti conosco fin troppo bene. Volevo sapere del tuo rapporto con Bertholdt, volevo sapere se avessi intuito giusto oppure no, ma non avevo nessuna intenzione di farti una simile domanda davanti a tutti, e avevo bisogno di trovare un momento adatto, per quanto, con tutti i casini che ci sono stati dopo la fine della guerra, trovare un momento adatto sia stato piuttosto difficile».
Sincero, sempre e comunque, anche quando doveva ammettere qualcosa di imbarazzante, anche quando doveva mettere a nudo parti di anima che avrebbe preferito tenere celate.
Non all’altezza, persino davanti a una persona che gli aveva appena rivelato una verità che non avrebbe mai pensato potesse accadere, persino davanti a un’ipotesi così chiara, così cristallina, così terribilmente piacevole, tale da sconvolgergli il cuore.
«Da quando volevi parlarmi?»
Da quando volevi baciarmi?
«Bella domanda. Non credo che sia da quella famigerata notte in cui ti ho picchiato a sangue… o forse sì, forse quello è stato il punto di partenza per riconciliarmi con te. Il resto è giunto dopo, piano piano».
Ancora silenzio, fastidioso silenzio.
Reiner non era bravo con le parole, non quanto Jean per lo meno, e quella situazione ne era l’ennesima dimostrazione. Certo, era stato preso alla sprovvista dal più piccolo, ma avrebbe voluto trovare un modo per fargli comprendere non solo quanto lo avesse sorpreso, ma anche e soprattutto quanto gli avesse fatto piacere. E invece riusciva solo a rimanere in silenzio, un silenzio opprimente che avrebbero potuto rovinare la strana atmosfera che si era creata tra loro.
Fu Jean a spezzare quella spirale di mutismo riprendendo la parola, compiendo metaforicamente un passo indietro, consapevole di come forse avesse sbagliato, di come forse avrebbe fatto meglio a tacere, a lasciar perdere.
«Il punto è che non sei tenuto a ricambiare, dannazione! A parte Pieck ci saranno sicuramente altre pers-».
Non era quello che voleva fargli intendere, assolutamente no, ma tutto il contrario, il fatto che fosse quasi una benedizione, inaspettata e ai suoi occhi data a qualcuno di non meritevole come lui. Ecco perché Reiner si mosse d’istinto, ripetendo lo stesso gesto compiuto da Jean poco prima, tappandogli la bocca con le proprie labbra in maniera incerta e quasi febbrile, come se avesse paura che non muovendosi subito, Jean avrebbe potuto cambiare idea.
Aveva agito bene? Aveva agito male? Lo comprese solo nel momento in cui percepì le mani del più piccolo cingergli la nuca in maniera incerta quanto delicata, le dita infilarsi tra i ciuffi di capelli biondi e le labbra ricambiare quel contatto. Solo in quel momento Reiner si permise di cingere la vita di Jean con una mano, mentre l’altra veniva poggiata sul tavolo, accanto al corpo del castano, quasi avesse bisogno di un appiglio ulteriore per non essere totalmente travolto dalle emozioni di quegli istanti.
Le labbra dei due giovani iniziarono a conoscersi, con calma, senza fretta, mordicchiandosi di tanto in tanto, fino a quando non fu Jean, ancora una volta, ad andare oltre, a toccare le labbra di Reiner con la punta della lingua, muta richiesta alla quale il biondo rispose immediatamente, schiudendo le labbra e permettendo che le lingue di entrambi potessero incontrarsi, assaporarsi, trasformando i semplici baci iniziali in qualcosa di più approfondito, di più sentito, di più lascivo. Le mani di Jean strinsero maggiormente la presa sui capelli biondi, quasi tirandoli, mentre le mani di Reiner avevano tirato la camicia del più piccolo quel tanto che bastava per arrivare alla pelle della schiena, trovandola piacevolmente calda. Jean gemette nel percepire quelle dita carezzargli la pelle, in quel momento particolarmente sensibile, portandolo a staccarsi a malincuore da quei baci, non prima di aver lasciato un piccolo morso sul mento di Reiner, cosa che portò quest’ultimo ad accennare un sorriso.
«Scusami…»
«Smettila di scusarti, o sembrerà qualcosa di sbagliato».
Il più grande annuì a quella considerazione, poggiando la testa sulla spalla del castano, solleticandogli il collo col respiro caldo, che lentamente tornava regolare; non aveva ancora allontanato le mani dalla schiena, ma le aveva tenute ferme, continuando ad abbracciare Jean, mentre quest’ultimo continuava a stringergli la testa e carezzargli i capelli.
Mentre entrambi godevano di quella vicinanza reciproca, di quella calma, il biondo sentì l’impulso di tornare a parlare, di porre una domanda forse strana, forse assurda, ma della cui risposta aveva estremo bisogno proprio in quel momento.
«Senti… secondo te loro sarebbero d’accordo con tutto questo?»
Non aveva bisogno di specificare a chi si stesse riferendo, era più che sicuro che Jean lo avrebbe compreso subito, e il suo irrigidirsi improvviso gliene diede conferma. A quella reazione immediatamente Reiner provò ad allontanarsi, ma Jean non glielo permise, come se non volesse che l’altro si facesse un’idea sbagliata; non si aspettava quel tipo di domanda, questa volta era stato lui a essere stato preso alla sprovvista, ma ciò non significava che ci fosse qualcosa di sbagliato in ciò che era appena accaduto che giustificasse l’allontanamento dell’altro.
Passò qualche altro istante, in cui sembrò che nessuno dei due volesse più parlare, poi Jean, dopo un respiro più lungo, si decise a rispondere.
«Io posso parlare con una certa sicurezza solo per Marco, e per come l’ho conosciuto ti posso assicurare che sarebbe d’accordo» principiò, la voce bassa, ma perfettamente udibile per Reiner, che gli era così vicino.
«Non sopporterebbe se non riprendessimo piano piano a vivere, o non sfruttassimo questa occasione, che loro purtroppo non hanno avuto. E se farlo significa anche questo, credo che lo approverebbe».
«Anche se sono io?»
«A maggior ragione se sei tu» ribatté subito Jean con convinzione, come se su quel punto non avesse alcun dubbio.
«Non so dove possano essere ora, non so se in qualche modo veglino su di noi, ma se così fosse presumo che abbia visto tutto ciò che è accaduto, presumo che abbia visto quello che hai passato anche tu, il tuo rimorso, il tuo dolore, le tue battaglie… e ti posso assicurare che Marco è sempre stato molto sensibile e comprensivo su questi argomenti».
Reiner sembrò quasi soppesare per qualche secondo quella spiegazione così accorata, per poi accettarla e stringere maggiormente Jean a sé, come se quella risposta gli avesse tolto un piccolo peso dal cuore.
«E Bertholdt? Credi che a lui andrebbe bene? Tu lo conoscevi molto meglio di me, lo conoscevi da più tempo…».
Toccava a Reiner, ora, fugare quegli stessi dubbi dalla mente di Jean; spostò appena il viso, come a volersi sistemare più comodo sulla spalla del castano e poi prese a rispondere.
«Bertholdt è sempre stata una presenza taciturna e costante sin da quando eravamo bambini, ha sempre cercato di sostenermi silenziosamente e aiutarmi a non crollare, sia quando eravamo cadetti, sia quando la mia mente ha iniziato a giocarmi brutti scherzi» spiegò pacatamente, il calore di quell’abbraccio che gli permetteva di non provare troppo dolore nel ricordare il passato.
«Se ora sapesse che ho la possibilità di vivere senza più le angosce che avevamo nel ghetto, con qualcuno accanto che lui conosce e che, a prescindere da tutto, sa essere una persona affidabile, non potrebbe che esserne felice e soddisfatto».
Nell’udire quelle parole le labbra di Jean accennarono un piccolo sorriso.
«Allora direi che non dovrebbero esserci problemi, non credi?» gli disse, spostandogli il viso in maniera da poterlo fissare negli occhi; entrambi avevano le guance piuttosto arrossate, sinonimo che quella situazione imbarazzava tutti e due, eppure entrambi si sentivano anche più rilassati, quasi che Marco e Bertholdt fossero lì, presenti, e avessero concesso loro il benestare necessario per quel nuovo legame. Reiner annuì, lasciando un piccolo bacio sul collo di Jean e allontanandosi un pochino da lui e dalla sua schiena; il castano si sistemò di nuovo la camicia nei pantaloni.
«Immagino che dovremo raggiungere gli altri per la cena, giusto?»
«Giusto. E poi stasera cucina tua madre, lo sai che la presenza di tutti noi la rende felice, vuoi mancare proprio tu?»
I due avevano preso a parlare mentre si avvicinavano alla porta della stanza, le due bottiglie vuote lasciate sopra il tavolo assieme al piccolo posacenere coi resti delle tre sigarette.
«Possiamo sempre tornare qui dopo cena» propose Reiner mentre apriva la porta. Jean si lasciò andare a un sorrisino ironico, mascherando l’intima gioia che aveva provato nell’udire quella proposta.
«Sei proprio uno scimmione pervertito!»
«Povero cavallino, nessuno ti obbliga!»
La porta della stanza venne chiusa, mentre i due giovani lasciavano il caseggiato per raggiungere gli altri, continuando a punzecchiarsi come se non potessero farne a meno.
Stavano ricominciando. Ancora. Di nuovo. Insieme.



Note dell'autrice: Buonasera! Torno nuovamente in questo fandom con una storia che prende in considerazione una coppia a me molto cara, soprattutto nel periodo post capitolo 139. Premetto che amo follemente la JeanMarco e la ReiBert, ma ammetto anche di essere una multishipper compulsiva e di avere a cuore anche la JeanRei, visto quanto le vite di queste due povere anime sono state legate, nel bene e nel male. Se siete giunti fino a qui avrete notato che, in ogni caso, i riferimenti a Marco e Bertholdt non mancano comunque, loro in qualche modo restano sempre presenti, almeno nella mia visione delle cose, come sorta di angeli custodi.
Ovviamente tutti gli altri intrecci a cui faccio riferimento, come la PorcoPieck per esempio, possono essere condivisi o meno; in questo caso era funzionale alla storia, come era funzionale il fatto che Jean non provasse più nulla per Mikasa, ma ovviamente non è una visione assoluta. Tutto questo per dirvi che se non siete d'accordo con queste teorie o con la ship in sé potete dirlo chiaramente, ma con buone maniere, mi raccomando. ;)
Detto ciò vi saluto e vi ringrazio per aver letto la mia storia. <3
Alla prossima!
Lina Lee

 
  
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