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Autore: Exentia_dream2    25/04/2021    0 recensioni
Esiste un castello che non sa raccontare favole, arena di un torneo in cui si può perdere tutto... persino la vita.
Harry Potter e Draco Malfoy sono stati sorteggiati dal Calice di Fuoco, legati indissolubilmente da qualcosa che non conoscono. Chi vincerà il Torneo Tremaghi? E cosa porterà Draco a tornare a Hogwarts per completare gli studi? Ma, soprattutto... chi risponde alle domande che lui scrive su un diario con l'inchiostro invisibile?
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Coppie: Draco/Hermione, Vicktor/Hermione
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Questo è ciò che significa essere amati… quando qualcuno desidera toccarti, essere tenero.
Banana Yoshimoto.
 
V
L’invito
 
 
       Harry non aveva chiuso occhio: dopo aver parlato con Hermione, era andato a cercare Ron per assicurarsi che anche lui gli credesse, ma era tornato poco dopo in Sala Comune con le spalle curve e la bocca dritta, rintanandosi in un silenzio ostile che Hermione non si sentì di spezzare; lo accompagnò con lo sguardo nelle ombre create dal fuoco che crepitava nel camino, poi gli coprì la mano con la propria: Harry la guardò per un solo secondo, nessuna emozione sul viso, mentre lei provava a dargli conforto con un sorriso dolcissimo. “Io ti credo” gli disse con un filo di voce e anche questa volta il suo migliore amico non proferì parola.
Avrebbe voluto dirgli tante cose, rassicurarlo in qualche modo che le cose tra lui e Ron sarebbero tornate come prima, eppure, in quell’assenza di suoni, Hermione capì che, di fondo, c’era la rabbia che Harry provava a tacitare, perciò glielo disse così, come fosse una verità inconfutabile: “Devi scrivere a Sirius, non puoi tenergli nascosta una cosa del genere.”
Harry sollevò di nuovo lo sguardo su di lei e lei, di nuovo, gli sorrise: “Lo verrà a sapere comunque.”
Il suo migliore amico le chiese di accompagnarlo alla Guferia, così, poco dopo, entrambi camminavano nei corridoi quasi vuoti, nel sole freddo di quella domenica mattina: lo osservava, mentre continuava a tenere il capo chino, a perdersi nel pensiero che le persone a cui voleva bene lo credessero capace di imbrogliarli a tal punto e, quando anche Edvige si allontanò da lui, offesa perché aveva affidato la sua posta a un altro volatile, Harry sospirò.
“Harry…” lo chiamò dolcemente Hermione.
“Prima Ron, poi tu. Non è colpa mia.”
Ed eccola, quella rabbia che voleva far tacere, che gli stava pesando sul petto come fosse un macigno enorme, che adesso riverberava nello sguardo di un ragazzo innocente che veniva condannato colpevole a priori.
“Io ti credo” gli disse ancora e lui si lasciò avvolgere dalle sue braccia, unico porto caldo e sicuro in cui non si sentiva colpito dalle cattiverie altrui.
Erano stati giorni difficili, in cui lui era tornato a isolarsi dal mondo che, tra l’altro, evitava di rivolgergli la parola e, anzi, gli faceva pesare il solo fatto che respirasse, con occhiate torve e risate esplose alle sue spalle: lo trattavano come fosse un buffone di corte e Hermione si era trovata più di una volta a puntare la bacchetta contro qualcuno che si fermava a prenderlo in giro.
“Tu e Hagrid siete gli unici che mi credono” disse una sera, con il pensiero rassegnato di dover rimanere solo nella vita, per sempre, raccontandogli di quanto si fosse sentito fuori posto durante la pesa delle bacchette e di fronte a Rita Skeeter, sentendosi un verme mentre la giornalista gli faceva domande a cui lui non avrebbe mai saputo rispondere − non lo sapeva, Harry, quanto si sbagliasse a sentirsi un verme di fronte al più schifoso degli insetti travestito da donna −, e di quanto, poi, avesse preso coscienza del pericolo che correva solo dopo aver parlato con Sirius.
 
 
~•~
 
       Hermione passava gran parte del tempo in Biblioteca sia per cercare informazioni sul Torneo Tremaghi, capire quali sarebbero state le prove dell’edizione che si sarebbe tenuta di lì a qualche giorno, sia per studiare.
Tra quegli scaffali e il rumore frusciante delle pagine che spostava, aveva trovato la sua pace personale, un mondo in cui nessuno osava fiatare nel rispetto delle regole che vigevano all’interno dell’ambiente, al contrario di tutto quello che accadeva nei corridoi.
Ultimamente, però, quella pace che lei tanto amava, veniva interrotta dal brusio e dal vociare che alcune alunne creavano quando in Biblioteca entrava Viktor Krum.
Hermione lo aveva guardato tante volte, il viso imbronciato e le sopracciglia dritte, mentre tutte lo acclamavano, e Madama Pince aveva rinunciato al suo ruolo di bibliotecaria amante del silenzio.
“Io sono Viktor” le annunciò una voce dura, con un forte accento bulgaro.
Erano trascorsi pochi giorni da quando era uscito l’articolo di Rita Skeeter che raccontava la vita di Harry e lei, ormai, si era abituata a difendere l’amico a spada tratta, anche senza che la persona che si trovava di fronte dicesse qualcosa a riguardo.
“Non ti dirò niente su Harry” esordì lei, il mento alto in tutta la sua fierezza.
“Non voglio sapere niente di lui… voglio solo sapere come ti chiami” e lo disse così, con una dolcezza smaccata dall’accento forte e un sorriso appena accennato sul viso. “Posso sedermi qui?”
Hermione non rispose: semplicemente, guardò il ragazzo prendere posto accanto a lei e sorriderle ancora, leggermente imbarazzato.
“Io sono Viktor” disse ancora. “E tu?”
“Hermione.”
“Sei molto bella, Hermi-un.”
Lei scosse la testa, il capo calato e i capelli a nasconderle il viso: per la prima volta, sentì un lieve calore risalirle lungo le guance  e provò a nasconderlo in ogni modo.
Viktor, invece, le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e le sollevò il viso, sistemandole due dita sotto al mento. “E’ solo la verità.”
Allora, il sorriso che lei aveva provato a celare, nacque spontaneo sulle labbra e  fu lo specchio di quello che si disegnò sul viso del giovane che aveva di fronte.
“Io spero di vederti, più tardi.”
“Oh… io, ecco, non so…”
“Buona giornata, Hermi-un.”
Se c’era un motivo per rivedere più tardi il campione di Durmstrang, era certamente quello di insegnargli la giusta pronuncia del suo nome e, nel momento in cui stava per dirgli che sì, le avrebbe fatto piacere rivederlo, si accorse che lui era già andato via, seguito dalla stuoia di ragazzine che sospiravano ancora.
 
~•~
 
       Insegnare il suo nome non le era mai sembrato tanto difficile, eppure, Hermione scoprì che quel pronunciarlo tante volte e ascoltarlo altrettante le piaceva: ogni volta che Viktor provava a chiamarla, lei scoppiava a ridere. Dopo poco lui la imitava e non c’era segno di offesa nel suo sguardo né di vergogna: se ne stava lì, a ridere con lei del suo nome impronunciabile, senza mai smettere di guardarla.
A volte, le spostava una ciocca di capelli dietro l’orecchio, come aveva fatto qualche giorno prima in Biblioteca, altre, invece, osava una carezza sulle braccia, scostandosi non appena lei s’irrigidiva e faceva un passo indietro per allontanarsi.
Era strana, Hermione: occhi che sapevano parlare e un sorriso che gli provocava un calore delizioso nel petto, così piccola e grande al tempo stesso, eppure sembrava non saperlo e lui se ne accorgeva ogni volta che la ragazza arrossiva a un suo complimento, chinando la testa per celare l’imbarazzo, perché per lei era tutto nuovo e Viktor non poteva saperlo.
Non poteva sapere che lei si guardava poco allo specchio, che si sentiva soltanto il cervello di un Trio che con il tempo aveva imparato a lavorare come fosse una persona sola; che non aveva mai lisciato i capelli né truccato gli occhi, perché aveva bisogno di qualcuno che l’amasse per quel che era. E, forse, quel qualcuno non si era ancora reso conto di quanto fosse bella, dentro e fuori, ma lui sì.
“Hermi-un” il ragazzo cominciò con voce gentile e le braccia ferme lungo i fianchi per evitare che lei scappasse. Accennò un sorriso, poi riprese: “Vuoi venire al ballo con me?”
Viktor era un bel ragazzo, le spalle larghe e una corporatura possente, incuteva timore solo a guardarlo e sorrideva raramente. Aveva sul viso un’espressione dura e una voce profonda, ma, in quel momento, a Hermione ricordò un bambino… uno di quelli a cui brillano gli occhi davanti a un giocattolo nuovo e chiedono con ingenua spontaneità di ricevere quel gioco in regalo, con le mani unite in una preghiera muta affinché il proprio desiderio diventi realtà, e la promessa di trattarlo bene, quel gioco, di non romperlo e averne cura.
Forse, per Viktor, lei era un trenino, forse un nuovo modello di Nimbus o, addirittura, un Boccino d’oro difficile da afferrare… e, forse, fu il modo in cui la guardava, in attesa impaziente e fiero, a spingerla a distendere un braccio e prendergli la mano, fermando lo sfarfallio delle ali – lei, che era davvero un Boccino d’oro – , per dargli la possibilità di chiudere le dita e legarle in qualche modo alle sue.
“Mi farebbe piacere” disse lei e il bulgaro, allora, intrecciò davvero la mano a quella di Hermione, portandosela alle labbra e baciandone il palmo.
Lei aveva le gote arrossate e lo sguardo liquido di meraviglia perché, per la prima volta da quando aveva cominciato a frequentare Hogwarts, qualcuno era riuscito a guardare oltre i suoi capelli, aveva graffiato la corazza che si era cucita addosso e non l’aveva guardata soltanto perché era la migliore di Harry Potter: per la prima volta, lei era soltanto Hermione e, a quel punto, quasi non le dava più fastidio che il ragazzo che aveva di fronte sbagliasse la pronuncia del suo nome, anzi.
D’improvviso, il ricordo di se stessa che comprava una fiala di pozione Lisciacapelli le attraversò la mente e sorrise, scuotendo la testa.
Viktor si sporse in avanti, avvicinandosi un po’ e guardandola con una confusa curiosità e chiese: “Ho detto qualcosa di sbagliato?”
“No” rispose Hermione, un sorriso tenue a incurvarle le labbra. “Non hai detto niente di sbagliato.”
 
~•~
 
       Non era mancato modo di sorridersi appena, tra una portata e l’altra della colazione e del pranzo; lanciarsi di tanto in tanto occhiate sfuggenti e trovare gli occhi dell’altro già addosso, a vagare teneramente tra il groviglio di capelli e le pieghe della divisa, come se, in qualche modo, lui provasse a memorizzare il suo viso e la linea del collo. E Hermione lo sentiva, quel calore imporporarle le guance e quel leggero fastidio allo stomaco che era l’emozione di essere guardata così, di essere toccata così: in punta di dita, chiedendo un permesso silenzioso di andare oltre il polso e raggiungere finalmente la mano e allacciarla alla propria; in punta di labbra, fermandosi sempre più vicino all’angolo della bocca, senza per questo sembrare invadente.
Era tenero, Viktor, quando sollevava il calice di succo di zucca al suo indirizzo e le sorrideva come se le stesse raccontando il segreto più bello del mondo, concedendo la sua attenzione a lei e a lei soltanto, senza dar peso ai sospiri di altre ragazzine che sospiravano appena lui muoveva le ciglia.
E quanta invidia avrebbero provato, se solo avessero saputo.
Hermione partecipò a quel brindisi muto incurvando le labbra in un sorriso timido; Harry e Ron di fronte a lei continuavano a chiedersi chi invitare al ballo, senza mai degnarla di uno sguardo, come se lei non fosse una possibile candidata. E, comunque, avrebbe rifiutato il loro invito, certo, perché lei al Ballo del Ceppo sarebbe andata con Viktor Krum, eppure si sentì ferita da quella mancanza e si chiese se, in fondo, non sperasse ancora che Ron la invitasse… anche solo per capire che sì, anche lui sapeva che lei esistesse e che la vedesse bella, in qualche modo.
Invece, Ron, aveva gli occhi che saettavano tra il tavolo dei Corvonero e quello dei Tassorosso e, com’era prevedibile, evitava accuratamente quello dei Serpeverde; Harry, invece, guardava Cho con un insistenza tale che quasi sembrava non respirasse e, forse se ne rese conto anche la ragazza, di quanto pesasse quello sguardo, perché si voltò nella sua direzione e lui, sorpreso di essere ricambiato, si trovò sul punto di morire soffocato e sputacchiò il contenuto del bicchiere direttamente sulla propria divisa.
Ron non sorrise e Hermione non mancò di notarlo e, nonostante i suoi migliori amici ancora non parlassero tra loro, lei seppe che quello era il modo di Ron di sostenere Harry.
A interrompere quel pensiero, fu la voce fastidiosa e strascicata di Draco Malfoy che si sistemò a cavalcioni sulla panca proprio di fronte al Bambino Sopravvissuto, guardandolo con biasimo e una punta di derisione a brillargli nelle iridi. “Molto carine queste spille, non credi Potter?” chiese, osservando la spilla su cui risaltava la scritta Potter fa schifo, calunniando il nome del protagonista come fosse il peggiore degli essere umani e esaltando Cedric  Diggory, l’altro campione, come se fosse davvero migliore di tutti gli altri.
Hermione sollevò gli occhi per osservare il tavolo dei Tassorosso e vide, però, che Cedric provava una sorta di repulsione per quelle spille: aveva uno sguardo vagamente irritato posato sul quel cerchietto d’acciaio e, a differenza degli altri alunni, non ce l’aveva appuntato sulla divisa come fosse una medaglia d’onore.
“Che cosa vuoi?” chiese Harry, stringendo con forza il calice ormai vuoto, una goccia di succo di zucca ancora in bilico sul mento.
“Non durerai più di dieci minuti, te lo dico io. Dieci minuti dall’inizio della prima prova, intendo. E, probabilmente, ti sto sopravalutando.”
“E tu quanto pensi che durerai: due minuti ti bastano per morire?” Harry lo guardava dritto negli occhi, mentre i suoi compagni di Casa scoppiavano a ridere, infastidendolo al punto che lui fece per alzarsi e andare via, ma la mano di Malfoy lo bloccò lì dov’era e disse con tutta la cattiveria del mondo a scivolargli dalle labbra: “Tranquillo, Potter, a breve raggiungerai i tuoi genitori e non li dovrai più piangere.”
Poi, se ne andò così com’era venuto, tornando al tavolo dei Serpeverde, con un’eleganza innata che disturbò Hermione oltre ogni limite. Stava per alzarsi per avvicinarsi e Schiantarlo, la bacchetta già stretta tra le mani e uno sguardo furente, ma Harry le fece un cenno leggero con il capo e lei capì che non era di quello che aveva bisogno il suo migliore amico.
“Torniamo in Sala Comune, Harry” gli suggerì, senza mai staccare gli occhi da Malfoy.
Il suo migliore amico accettò l’invito e, mentre salivano le scale della Torre, le chiese: “Andiamo a Hogsmeade?”
“Va bene” la voce leggera e la voglia di trasmetterla a lui, quella leggerezza che da troppo tempo non gli vedeva sul viso.
“Vado a prendere il Mantello, aspettami qui.”
“Ma… perché?”
“Ho bisogno di stare un po’ tranquillo, Hermione… e l’unico modo per non essere deriso è quello di nascondermi: sono stanco di tutta questa situazione.”
“Va bene” questa volta acconsentì senza spronarlo a non nascondersi, perché sapeva che Harry aveva ragione, che, a volte, il peso di una parola in più poteva far incurvare le spalle e sbaragliare tutte le certezze: era successo anche a lei, quando si era resa conto che Draco Malfoy aveva l’aspetto di un principe, ma l’anima di un mostro e la bocca di un serpente, avvelenata da chissà quali sentimenti verso tutti quelli che non erano come lui, che di puro avevano il cuore e non il sangue.
Hermione non si accorse di Harry fino a quando lui non la chiamò e, per le strade del villaggio, provò a fare di tutto per non sembrare una pazza che parlava al nulla.
“Sembro una scema, qui seduta da sola” disse, una volta seduti al solito tavolo ai Tre manici di scopa. “Meno male che ho portato qualcosa da fare” aprì il quaderno dentro il quale teneva il registro dei membri del CREPA, in cui Ron e Harry erano stati nominati rispettivamente segretario e tesoriere. Che loro, poi, non avessero mai attinto ai propri doveri come componenti del comitato era una cosa di poca importanza, anche perché era una causa in cui sembrava credere solo Hermione e loro, da buoni amici qual erano cercavano di sostenerla, non condividendo del tutto i suoi pensieri: insomma, Harry aveva visto più di una volta Dobby prendere a testate il muro perché non aveva svolto un ordine e, piuttosto che vedere gli elfi ridotti a piccole mummie, preferiva di gran lunga vederli lavorare al servizio di qualcuno che li trattasse bene. Ecco, forse questo era un punto da far notare a Hermione, ma quando lei cominciò a parlare di coinvolgere gli abitanti del villaggio, Harry capì che non era il caso e che era meglio desistere.
Hermione ordinò due burrobirre e madama Rosmerta la guardò in tralice, borbottando qualcosa su quanto fosse deleterio l’alcolismo. “Ecco, lo sapevo che mi avrebbero scambiata per una pazza ubriacona!” si lamentò Hermione; Harry scoppiò a ridere e s’irrigidì soltanto quando il professor Moody chiamò il suo nome, allontanandosi subito dopo insieme a Hagrid.
“Hai paura?” gli chiese d’un tratto l’amica e il Bambino Sopravvissuto la guardò come se la vedesse per la prima volta.
Tirò un respiro profondo, come se avesse avuto bisogno di tutto l’ossigeno possibile per parlare senza interruzione e, infatti, così fece: “Non so cosa mi aspetta, Hermione. Non so cosa c’è lì fuori, quali saranno le prove e ho paura che Malfoy abbia ragione: quanto posso durare? Non lo so, io… io vorrei tirarmi indietro. A volte, vorrei non essere chi sono.”
“Harry, tu sei speciale e vivrai: insomma, sei già sopravvissuto una volta, no? Supererai anche queste prove.”
Il ragazzo fece un sorriso tirato e spostò lo sguardo verso la porta, al tavolo a cui era seduta Cho Chang che non indossava la spilla per tifare Cedric Diggory né per offendere lui. “Vorrei invitarla al Ballo” disse all’improvviso, come se la paura per il torneo fosse scomparsa da un momento all’altro.
Hermione guardò nella sua stessa direzione, chiedendosi perché il suo migliore non le domandava con sarebbe andata al Ballo del Ceppo, perché non aveva la curiosità di saperlo… perché lei avrebbe voluto dirlo, che sarebbe stata la dama di Viktor Krum e al diavolo tutto quello che aveva detto sulla Finta Worky e sul fatto che tutte le ragazze sospirassero al suo passaggio soltanto perché era famoso; lei aveva imparato a sospirare per le carezze che il giovane le dedicava, quando le metteva le dita sotto al mento per farsi guardare e per guardarla. Alla fine, però, disse solo che era ora di rientrare al castello.
 
~•~
 
       “Sono contento che tu abbia accettato il mio invito, Hermi-un. Credevo di avertelo chiesto troppo tardi.”
Era timido, il sorriso di Hermione, mentre Viktor le diceva a modo suo che era bella, che credeva che qualcun altro, a parte lui, la corteggiasse. “Non ho ricevuto molti inviti, in realtà” gli disse in uno guizzo di sincerità che la fece arrossire.
“L’importante è che tu non li abbia accettati.”
“Viktor, posso farti una domanda?”
“Sì.”
“Perché eri sempre in Biblioteca?”
“Era l’unico posto dove potevo guardarti, no? E, poi, volevo già chiederti di venire al ballo con me…”
Hermione arrossì ancora di più e pensò che, se ci fossero stati Ron o Harry a guardarla, probabilmente l’avrebbero presa in giro per sempre. Invece, erano soli, lei e Viktor, a passeggiare sulle sponde del Lago Nero: lui  le raccontava di Durmstrang, lei ascoltava come se le sue parole fossero quelle delle favole più belle e si trovò del tutto impreparata quando il ragazzo le si fermò di fronte e inclinò leggermente la testa verso di lei.
Hermione sapeva cosa stava per accadere: glielo suggeriva il battito frenetico del cuore e il calore che sentiva salirle lungo le caviglie, eppure non si sentì mai impreparata come quel momento.
Chiuse gli occhi per nascondere l’imbarazzo, si chiese cos’avrebbe dovuto fare adesso, com’era che si diceva a un ragazzo come Viktor che quello era il suo primo bacio, come poteva non apparire ingenua e piccola e come…
Smise di pensare nel momento in cui la bocca di Viktor si posò delicatamente sulla sua, labbra screpolate e la leggera prurigine della barba accennata sul viso.  Era tenero, casto, pulito quel bacio, così delicato da farle credere che, forse, non era reale. Poi, però, una parte del suo cervello metabolizzò quello che stava succedendo e capì che sì, era reale e che non sarebbe andato oltre, perché non era quello sfioramento di labbra a essere tenero, casto, pulito: era Viktor.
Era Viktor, che adesso l’aveva stretta a sé in un abbraccio per niente superbo, con le mani che vagano sulla schiena rigida e impaurita, con premura tale che lei sentì la pelle bruciare. “Sei così bella” le disse.
E Hermione non pensò a Ron, a come sarebbe stata la sua bocca o il suo tocco. Semplicemente, dedicò a se stessa e quel ragazzo che aveva di fronte il caleidoscopio di emozioni che l’attraversò in quel momento.
Quando Viktor si allontanò da lei, poggiando il mento sui suoi capelli, Hermione aveva gli occhi lucidi di un’emozione nuova, che la faceva sentire più grande dei suoi quasi quindici anni e capì – forse solo in quel momento – che tra tutti gli alunni di Hogwarts o Durmstrang o Beauxbatons, Viktor era l’unico con cui avrebbe voluto andare al Ballo del Ceppo.
Quando rientrò alla Torre di Grifondoro, portava ancora sul viso i segni della nuova esperienza che aveva vissuto, che le aveva lasciato lo strascico di un batticuore accennato. Superando il buco nel muro, trovò Ron seduto davanti al camino. “Che ci fai qui?” gli chiese.
“E tu dove sei stata?”
“In biblioteca” mentì prontamente. “Buonanotte, Ron” aggiunse, quando capì che l’altro non avrebbe risposto.
Seduto sui gradini, invece, in attesa che lei tornasse, c’era Harry, lo sguardo perso e le mani a torturarsi tra loro. “Harry” lo chiamò lei.
“Sono stato da Hagrid, Hermione. I Draghi.”
“Non capisco…”
“La prima prova: dovremmo combattere contro i draghi.”
Hermione tremò, scossa dalla voglia di tornare fuori e avvertire Viktor per far sì che non si facesse troppo male e che ne uscisse in qualche modo vincitore, invece, si sedette accanto al suo migliore amico e appoggiò la testa sulla sua spalla.
 
 
 
Angolo Autrice:
 
Come ho già detto, questa storia ricalca a grandi linee quello che accade in Harry Potter e il Calice di Fuoco, o almeno, qualcosina c’è, dai.
Ovviamente, ci sono avvenimenti che ho modificato del tutto a causa della trama che ho in testa: tra questi, troviamo l’invito di Viktor Krum e il primo bacio tra lui e Hermione (nessuno di noi sa quando e com’è avvenuto, credo) e il fatto che Harry racconti a Hermione la sua scoperta.
Le spille con su scritto POTTER FA SCHIFO sono presenti anche nel libro, ma in questa storia non è stato Draco Malfoy a stregarle.
 
Credo di aver detto tutto, a presto.
   
 
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