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Autore: F_Brekker    26/04/2021    1 recensioni
Eva non fa mistero della sua esistenza votata alla filosofia del carpe diem. Soprattutto se cogliere l’attimo significa imbucarsi con sconosciuti ad una festa e bere alcol gratis. Nel tempo libero, è una insospettabile studentessa di lettere. Un giorno ha davvero esagerato, e non si ricorda dove sia finita. Per fortuna la salva un biondone conosciuto su Tinder (forse).
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Momenti come quelli erano piuttosto frequenti nella vita di Eva. Momenti in cui si guardava intorno stordita, magari con i postumi di una sbronza, e si chiedeva come fosse finita nel luogo in cui si trovava. Nelle situazioni più sfortunate, intorno a lei c’erano persone che sapevano perfettamente come si chiamasse, che le si rivolgevano come se la conoscessero, ma che non ricordava di aver mai visto. Le prime volte era stato davvero difficoltoso svicolarsi da quei contesti, in cui gli altri finivano per guardarla con aria interrogativa oppure per ridere di lei. Si assicurava di avere dei vestiti addosso e bofonchiando scuse di varia natura se la dava a gambe, vergognandosi come un cane. Ma la vergogna evidentemente non era un prezzo così alto da pagare, per una notte in cui potersi dimenticare di tutto. Ad essere sinceri, il costo era clemente paragonato al beneficio. Ben presto aveva imparato a confrontarsi con l’ambiente intorno a lei per capire cosa fosse successo. La presenza di bottiglie vuote, di vestiti sparsi sul pavimento o di sguardi particolarmente indiscreti  erano tutti indizi che non rendevano così impenetrabili i misteri della serata precedente. Poteva capire abbastanza da scambiare qualche battuta con chi si trovava in quel momento, prima di andarsene. Poi non si doveva preoccupare di poter incontrare quelle persone per strada, di trovarsi in imbarazzo in futuro. Anche lei non valeva più dello svago di una notte per loro. 

Quella sera, però, aveva qualcosa di diverso. Sì certo, non riconosceva affatto il luogo in cui si trovava, e non aveva idea di come ci fosse arrivata, ma aveva la certezza di essere in attesa di qualcuno, o di qualcosa. Chi o cosa fosse, era molto al di là di quanto potesse ricordare, ma era fiduciosa. Doveva solo restare lì, e qualcosa sarebbe successo, se lo sentiva. Nell’attesa, picchiettava con insistenza le unghie smaltate di nero sul tavolo del locale in cui si trovava. Era un bar dall’aria accogliente, arredato in stile retrò. La ragazza dietro al bancone l’aveva guardata più di una volta, probabilmente perché non aveva ancora consumato nulla. Da quanto tempo era lì? Minuti, ore? Sicuramente se c’era una persona a saperlo, era proprio quella barista. Incrociò le dita sperando di avere qualche spicciolo nel portamonete, di cui ribaltò il contenuto sul tavolo con un gesto secco, come se la sua forza avesse il potere di far scendere più soldi. Il portamonete sputacchiò un euro e cinquanta centesimi. Poteva andare meglio, ma sarebbe riuscita almeno a prendersi un caffè. Sperò che i suoi spiccioli potessero pagare anche un’aggiunta di sambuca. Andò al bancone e lo ordinò, felice di constatare che i soldi le sarebbero bastati. Diede un sorso, poi buttò giù il resto come se fosse uno shot. Sentì bruciare la gola, e la percorse un brivido, che la fece risvegliare definitivamente dal torpore in cui si trovava. Ahh, ci voleva. Guardò il tavolo da cui si era alzata, e si chiese per quanto tempo sarebbe rimasta in quel locale prima di sentirsi una totale idiota. Riflettendoci meglio, si sentiva già una totale idiota. Tuttavia tornò a sedersi, la sensazione che stesse aspettando qualcuno era troppo forte per ignorarla. Era come se avesse avuto un appuntamento e lei fosse arrivata in anticipo. In realtà poteva essere effettivamente così, e la persona che stava aspettando poteva semplicemente aver dato forfait. Da quanto poteva vedere dall’orologio appeso alla parete, erano le diciotto, e stabilì che sarebbe rimasta in quel bar per altri quindici minuti, poi se ne sarebbe andata. 

Mentre passava in rassegna tutti gli eventi della giornata per capire dove iniziasse il buco di trama, si accorse che anche la ragazza seduta nel tavolo di fianco stava evidentemente aspettando qualcuno. Sicuramente non le sfuggiva l’insignificante dettaglio di chi stesse aspettando, come nel suo caso. Aveva un abbigliamento fintamente casual, e per quanto sembrasse semplice, era perfettamente studiato, dall’abbinamento dei colori pastello alle onde perfette dei suoi capelli.  Notando la frenesia con cui perlustrava le vetrate del bar, Eva capì che doveva trattarsi di un’uscita romantica. E infatti dopo cinque minuti, ecco apparire all’ingresso il baldo giovane. Alto, occhi chiari, biondi capelli lunghi, faccia da bravo ragazzo. Per qualche legge della fisica sconosciuta ad Eva, i tipi così si allontanavano da lei come se fossero magneti con la sua stessa carica. Si congratulò mentalmente con la ragazza per la sua conquista, era notevole. Ora che lo guardava meglio, si tagliava i capelli certamente da solo, oppure avrebbero dovuto radiare il suo parrucchiere dall’albo, ammesso che ne esistesse uno. La ragazza che lo attendeva gli lanciò una rapida occhiata, e poi abbassò lo sguardo. Il baldo giovane avanzò a falcate vichinghe verso il suo tavolo. Ed Eva doveva avere l’espressione di chi si risveglia dal coma quando il biondo si sedette davanti a lei e le disse — Ciao —. Borbottii, sputacchi, squittii, strane parole in lingue sconosciute? Chi può dire cosa gli rispose Eva prima di mettere insieme le sillabe di un “ciao”. 

— Io sono Alex — le disse, porgendole la mano. 

Ah, quindi non si conoscevano? Forse era un tipo matchato su Tinder. Meno male che non era andata via. — Eva —, gli strinse la mano. La stretta di lui era salda ma non trita-ossa, cominciava bene. 

— Allora... — iniziò lui — come stai, Eva? —. Le fece un gran sorriso. Difficile credere che un ragazzo del genere fosse ancora sulla piazza e usasse Tinder per conoscere altre persone. 

— Sto bene, grazie —. In quel momento sperò che il suo aspetto non dicesse il contrario. — Tu? — 

— Anche io. Che dici, ordiniamo qualcosa? —. I primi momenti erano sempre piuttosto imbarazzanti, quindi apprezzò che Alex volesse passare direttamente alla parte dei drink. Purtroppo lei era senza soldi, e non si sarebbe fatta offrire nulla. In ogni caso, prima di iniziare qualsiasi tipo di conversazione, sentiva di doversi dare una sistemata.

— Intanto ordina per te —. Gli rispose. — Io devo andare in bagno. Arrivo subito —. Il ragazzo annuì e lei fece una corsetta verso la toilette. Entrò cercando disperatamente uno specchio, ma dopo aver ispezionato ogni angolo e ogni piastrella, capì di essere incappata nell’unico bagno al mondo che non ne aveva neanche uno. Prese dalla borsetta il cellulare, per guardarsi con la fotocamera interna. Restò sbigottita constatando che era completamente fuori uso: schermo nero, nessun segnale di vita. Non ricordava che le fosse caduto. Sapeva che non era una grande idea, ma fece un tentativo dandogli due colpetti contro il muro, un po’ come quando si tiravano delle pacche alle vecchie tv per far riprendere il segnale. Nulla da fare. La rabbia e il nervosismo cominciarono a montarle dentro, ma sapeva di dover mantenere la calma. Deglutì, come se volesse buttare giù le sue stesse emozioni, e passò in rassegna i pro e i contro: si trovava non si sa bene dove, ed era un mistero anche come ci fosse arrivata, era senza soldi e senza cellulare, e un tipo che sembrava uscito da un film di Hollywood la stava aspettando al tavolo. Il bilancio non era decisamente positivo, ma poteva andare peggio. Molte giornate erano state più sfortunate di quella. Tirò un sospiro. Come sarebbe tornata a casa? Ormai il sole stava tramontando. Ricordava un solo numero di cellulare a memoria, ed era anche il più inutile: quello di suo padre. Non voleva farsi dare un passaggio dal normanno, ma forse non avrebbe avuto scelta. Si strofinò le mani sotto gli occhi, sperando di togliere eventuali tracce di trucco colato, e poi tentò di pettinarsi i capelli con le mani. Per fortuna l’abbigliamento era okay: jeans, maglietta bianca e giubbotto nero con le frange alla texana. Ai piedi i suoi camperos preferiti. 

Non sempre era una sua priorità valutare l’affidabilità delle persone che frequentava, tuttavia quel giorno lo era. Non poteva permettersi un’altra situazione simile a quella che aveva vissuto nel pomeriggio, doveva tenere la testa sulle spalle. Uscì dalla porta del bagno con la ferma intenzione di capire chi fosse il ragazzo seduto di fronte a lei. 

Quando raggiunse Alex, notò che sul tavolo erano posizionate due tazze di deliziosa acqua bollente. Inutile dire che non era esattamente quello che aveva immaginato. Eva osservò il ragazzo prendere due bustine di tè dal taschino anteriore della camicia, affondarle nell’acqua, e poi guardare l’orologio, probabilmente per calcolare il tempo d’infusione. Infine, le avvicinò la tazza fumante. 

— Ci vorranno circa tre minuti — le disse. —Ti avviso io —.

— Ah-ah — bofonchiò lei. Le era caduto l’occhio su un dettaglio importante, che prima non aveva notato. Alex aveva un difetto che difficilmente gli avrebbe potuto perdonare.

— Sei cattolico — constatò, indicando il Tau francescano che portava al collo con un gesto vago. Lui resse il suo sguardo giudicante senza batter ciglio.

— Sì, e mi sembra che la cosa non ti piaccia —. Lei si specchiò nella tazza. Con ogni probabilità quel ragazzo sarebbe stata la sua migliore chance per tornare a casa, meglio evitare inutili controversie. 

Passarono un po’ di tempo in silenzio, e quando i loro occhi si rincontrarono, Eva notò che Alex la scrutava in modo strano. Un po’ come fanno le persone quando guardano i cuccioli di cane abbandonati. Se avesse aspettato un altro istante probabilmente avrebbe allungato la mano per accarezzarla. Lei alzò il mento. Poteva anche avere un pessimo aspetto, ma non aveva bisogno dello sguardo compassionevole di nessuno. Forse solo di un passaggio. Lui capì e guardò altrove. 

— Hai un’aria stanca — le disse, con un tono a cui Eva non era abituata. — Bevi, ti farà stare meglio —. Molte serate disastrose della sua vita erano iniziate con un invito simile, quindi si affrettò a chiedergli di cosa si trattasse.

— E’ una tisana, l’ho preparata io — le rispose Alex.

— Mmh? In che senso? —. Non aveva conosciuto molti ragazzi con la passione per le tisane. Lui estrasse dalla tazza la bustina, e la posò su un piattino. Non l’aveva notato subito, ma le sue mani erano macchiate qua e là da una tintura violacea. 

— E’ il mio lavoro — le spiegò. — Sono quello che definiresti un... Erborista —. Ah.

— Capito — commentò Eva, avvicinandosi alla tisana bollente. Ci soffiò sopra un paio di volte, profumava di dolce. L’assaggiò, e con suo grande stupore dovette ammettere che fosse la bevanda analcolica migliore che avesse mai provato. La sua espressione doveva aver parlato per lei, perché Alex si impegnò a non assumere un’aria compiaciuta, fingendosi improvvisamente molto interessato a un uccello che beccava briciole sulla strada. 

— E’ davvero buona — gli riconobbe Eva. Lui la ringraziò, riportando l’attenzione sul suo viso. 

— E tu, cosa fai nella vita? —

— Studio lettere classiche, e nei weekend faccio la cameriera —. Alex sembrò sorpreso, lei lo ricambiò con un mezzo sorriso. Era abituata a quel tipo di reazioni, non era esattamente lo stereotipo della studentessa di lettere classiche. Lui farfugliò cose, poi concluse — In effetti, non me l’aspettavo —. Fece una pausa, e aggiunse — Mi piacciono i tuoi capelli viola —. Sembrava sincero, lo apprezzò.

— Anche a me — gli rispose.  

Eva non sapeva come introdurre la questione del passaggio, anche se era abbastanza urgente. Aveva motivo di credere di non essere vicina a casa, o comunque non abbastanza da tornarci a piedi. Nell’adolescenza aveva perlustrato in lungo e in largo il suo quartiere e le zone limitrofe, e non si ricordava di aver mai visto un luogo simile. Anche la strada che si scorgeva dalle vetrate non le era familiare. Avrebbe voluto trovare un modo per chiedergli un passaggio senza lasciargli intendere di non avere assolutamente idea di dove si trovasse, ma non era così semplice. 

Doveva essere un tipo piuttosto empatico, perché Alex si accorse rapidamente della sua perplessità. — Qualcosa non va? — le domandò.

Evitò di guardarlo, dato che era imbarazzata e tremendamente a disagio, e gli spiegò di avere il cellulare fuori uso e di non sapere come tornare. — Potresti portarmi a casa? — gli chiese infine.

Alex appoggiò il gomito sul tavolo, mettendosi una mano sotto al mento e porgendole il viso. 

— Casa mia o casa tua? —. Eva rivalutò immediatamente le sue capacità empatiche, non era il momento di far battute. Squalificò la sua domanda ignorandolo completamente. Lui non batté ciglio.

— Ti sembrerà strano, ma io non ho una macchina, quindi non posso accompagnarti a casa a meno che non abiti nei dintorni e ci si possa arrivare a piedi. La buona notizia è che io vivo qui vicino, quindi se hai bisogno di qualsiasi cosa, possiamo stare da me —. Eva alzò un sopracciglio. Forse il biondo non era così innocuo come aveva immaginato.

— Non vivo solo, c’è anche una ragazza —. Eva alzò entrambe le sopracciglia.

— E’ solo un’amica — la rassicurò lui. Se avesse avuto un terzo sopracciglio, l’avrebbe alzato. 

Doveva pensare alle varie alternative disponibili. Da una parte, poteva tentare di chiamare suo padre con il cellulare di Alex, oppure col telefono del bar. Perché Alex non le aveva proposto questa alternativa? Fece due più due e si diede una risposta da sola. Le probabilità che suo padre le rispondesse e fosse abbastanza sobrio da mettersi alla guida per andarla a recuperare erano infinitesimali, non valeva nemmeno la pena tentare. Dall’altra parte, poteva andare a casa di Alex. In una situazione normale, ne sarebbe stata anche felice, ma quella sera proprio no. E poi, in qualche modo il giorno dopo sarebbe dovuta tornare a casa, e sarebbe stata ancora senza soldi e senza cellulare. Rimandare di dodici ore il problema, però, doveva ammetterlo, era un’alternativa allettante. 

— Credo verrò con te — gli comunicò. — Ma non voglio che tu ti faccia strane idee —. 

— Strane idee? Del tipo? —. Finse un’aria interrogativa. Eva alzò gli occhi al cielo.

— Sono lesbica — sentenziò. Ebbe la soddisfazione di vedere per un attimo lo smarrimento nei suoi occhi. Poi le fece un sorriso, un bel sorriso, e portò il suo viso pericolosamente vicino a quello di Eva. Aveva un profumo balsamico, di erbe officinali. Dovette resistere alla tentazione di buttare indietro la testa. Aveva invaso inaspettatamente la sua bolla personale. —Vorrà dire che potremo dormire nello stesso letto senza equivoci — le sussurrò. Diventò paonazza, e lui si allontanò. 

Ora la guardava con estrema serietà, nessuna traccia di divertimento sul suo viso. — Dovrei essere un cane per provarci con te stasera, Eva —. La guardò di nuovo come se fosse un cucciolo da portare in salvo, e si sentì uno schifo. In quel momento capì il gioco di Alex: flirtare impediva loro di soffermarsi sullo smarrimento di Eva. Non l’aveva dissimulato bene come credeva, doveva sembrargli un libro aperto. Gli fu riconoscente. Non poteva sopportare di vestire i panni della ragazza persa e completamente sola, per quanto fosse la realtà dei fatti.

— Mi stai sottovalutando, Alex —. Gli sorrise, un bel sorriso. Lui capì che avevano sancito un tacito patto: parlare di tutto tranne che di come fosse arrivata a quell’appuntamento conciata così. Poi se la sarebbe vista lei, da sola, con i suoi pensieri.

— In realtà, per niente —. Le tese la mano, inclinando la testa per indicarle l’uscita. — Ci avviamo? —. Lei annuì.

Mentre chiudeva la porta del bar, le cadde l’occhio verso la ragazza che era seduta nel tavolo di fianco al loro. La persona che stava aspettando era arrivata, ma non era un ragazzo, le sembrava una donna matura. Non era un appuntamento, ma certamente dal modo in cui gesticolavano erano particolarmente coinvolte nella conversazione. Ora che la poteva osservare frontalmente, notò l’orrendo tatuaggio che si trovava al centro della sua fronte. Una specie di “N” circondata da un cerchio formato da piccoli simboli, potevano essere puntini, fiori o stelline. Era davvero terrificante, e fu felice di constatare che per quanto ubriaca potesse essere stata nella sua vita, non era mai stata così ubriaca da fare una pazzia simile. 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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