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Autore: MaryFangirl    26/04/2021    1 recensioni
Kaede Rukawa riflette sulle relazioni e sulla propria natura apatica, che considera come un principio secondo cui vivere: dopo due anni, si ritrova su un aereo diretto a Kanagawa.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Haruko Akagi, Kaede Rukawa, Yohei Mito
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Yohei era seduto con disinvoltura in un caffè; il suo corpo era inclinato in avanti mentre sorseggiava la sua spremuta d'arancia appena fatta. I suoi occhi seguivano il movimento di una figura alta attraverso la stanza, il suo sguardo incollato al rossino mentre raggiungeva diversi tavoli, praticamente correndo mentre si spostava da una parte all'altra.
-Devono di nuovo essere a corto di personale- pensò sospirando alla vista del ragazzo che ripetutamente sorrideva, salutava e appuntava le comande per i diversi tavoli. Yohei non poté fare a meno di sorridere a quell'insolita visione, mai avrebbe immaginato che il suo amico avrebbe effettivamente colto la sfida accettando un lavoro part-time. Non che pensasse che Hanamichi fosse incapace di un simile compito, ma considerando il suo atteggiamento, non riusciva davvero a immaginare il ragazzo che dedicava il suo tempo ad altro rispetto al basket. Ma ora, eccolo lì, se i suoi amici avessero scommesso su di lui anni prima, avrebbero perso.
 
Capiva perché Hanamichi avesse deciso di tenersi occupato con lavori e attività, visto che l'anno precedente lo aveva lasciato emotivamente svuotato. Nonostante quello che il rossino avrebbe potuto dire o quali potevano essere le sue ragioni, non c'era dubbio che parte del motivo del suo improvviso sforzo su se stesso era dovuto al fatto di poter concentrarsi su cose diverse, persone diverse e ambienti diversi. La sua priorità principale era e avrebbe continuato a essere lo sport che amava, ma nemmeno quello era sufficiente per cancellare una figura persistente che ossessionava la sua esistenza da sveglio.
 
Distrazione. Ecco di cosa si trattava. Qualcosa, qualsiasi cosa per deviare i suoi pensieri. Non importava quanto Hanamichi avesse cercato di seppellire il ricordo di un passato doloroso, Yohei poteva in qualche modo vedere il barlume di dolore che avvolgeva il turbolento ragazzo. Anche se tecnicamente non era stata una lunga relazione, capiva la complessità e l'influenza che Rukawa e Hanamichi avevano l'uno sull'altro.
 
Yohei osservò Hanamichi scherzare con un altro collega, ridacchiando infantilmente a un tentativo fallito di quella che poteva essere una bella battuta.
 
L'espressione di Yohei si addolcì alla vista del suo allegro amico. Era sorprendente quanto Hanamichi fosse cambiato, anche se in modo sottile, ma il cambiamento c'era. Era ancora energico e sfacciato, ma c'era un'indipendenza e una maturità nel suo amico che non poteva fare a meno di ammirare.
 
“Benvenute!” sorrise Hanamichi quando due donne entrarono nel caffè; una di loro sussultò leggermente, sorpresa dall'alta figura che aveva salutato. Fissò Hanamichi per un momento prima di sorridere, “Tavolo per due, per favore”, indicò il numero due con le dita. Hanamichi annuì ed esaminò il locale, notando per la prima volta quanto fosse effettivamente affollato. Esitò, cercando rapidamente un potenziale tavolo libero.
 
Yohei sentì le guance tendersi mentre osservava Hanamichi che salutava e sorrideva ripetutamente ai clienti che entravano nel caffè. Temeva che se Hanamichi avesse sorriso ancora, la sua mascella sarebbe caduta. All'improvviso la porta si spalancò e una figura familiare entrò nel locale. Hanamichi si voltò immediatamente per salutare la persona e si fermò, il suo sorriso si accentuò più del solito.
 
“Haruko!” la salutò allegramente, gesticolando entusiasta. Lei gli sorrise, agitando la mano verso di lui. “Buongiorno, Sakuragi”
 
“Yohei è laggiù” fece lui indicando il tavolo vicino alla finestra. “Il mio turno è quasi finito; vi raggiungerò presto”
Haruko annuì, quindi si diresse verso il punto in cui Yohei era attualmente seduto. Lui le sorrise, muovendo la mano in un gesto amichevole, raddrizzandosi lievemente. “Ehi, Haruko”
 
“Sakuragi sembra piuttosto impegnato oggi” disse lei, notando i movimenti quasi frenetici del rossino.
“Sai com'è Hanamichi: è sempre così motivato, qualunque cosa faccia” ridacchiò piano Yohei, immaginando soldati indistruttibili con le fattezze di Sakuragi che marciavano in riga con un'espressione minacciosa e inflessibile incisa sui volti.
 
“Sono contenta che gli piaccia il suo lavoro” disse Haruko ottimista.
“Intendi dire che sei contenta che sia riuscito a dimenticare Rukawa, giusto?” continuò Yohei, facendo cambiare l'espressione di Haruko, i suoi occhi si spalancarono all'istante e senza battere ciglio ricordò di colpo il suo precedente incontro. Yohei se ne accorse subito e lanciò uno sguardo interrogativo alla ragazza, agitandole la mano davanti al viso. Quando Haruko uscì di scatto dalla sua trance, il suo viso divenne gradualmente colpevole, i suoi occhi si addolcirono in tono di scusa, ricordando la sua conversazione con il moretto.
 
“Yohei” iniziò Haruko, facendogli cenno di avvicinarsi leggermente. Yohei inclinò la testa e piegò leggermente il corpo in avanti, piegando il capo per ascoltare. “Oggi ho visto Rukawa” bisbigliò. Gli occhi di Yohei si sbarrarono immediatamente alla notizia, tornando bruscamente indietro. “Cosa?”

“Rukawa è tornato, gli ho parlato prima” ripeté Haruko, la voce ancora sommessa.
“Sei sicura che fosse lui?” chiese lui con aria seria. La ragazza annuì, sicura: “Non mi sbaglio, riconoscerei quel volto ovunque”
Un leggero rossore si espanse sulle guance di Haruko mentre ricordava i bei lineamenti familiari della sua passata cotta. Yohei alzò gli occhi al cielo alla sua reazione, detestando il suo sguardo di ammirazione. “Bene, ho capito” disse con amarezza, la sua voce esprimeva una lieve sfumatura di gelosia. “Non possiamo dirlo ad Hanamichi...”
 
“Dirmi cosa?” neanche a farlo apposta, Hanamichi intervenne afferrando una sedia vuota e accomodandosi. Haruko e Yohei furono colti alla sprovvista dall'improvvisa presenza e cercarono ansiosamente di coprire l'ovvia espressione apprensiva sui loro volti.
 
“Non possiamo dirti che sei davvero un genio!” disse Yohei, schiaffeggiandosi internamente per aver tirato fuori una scusa così scarsa.
 
“Sì, perché è ovvio, chi non lo sa?” continuò Haruko, alimentando la scusa usata come spiegazione. Per una qualche ragione sembrò funzionare, Hanamichi si portò le mani ai fianchi con sicurezza e sorrise orgoglioso, iniziando a ridere istericamente: “Certo, sono contento che voialtri finalmente mi capiate”
-Grazie a dio il suo ego è grande quanto il suo piede- pensò Yohei rassicurato.
 
“Oh Haruko, sapevi che Yohei ha comprato una macchina?” fece Hanamichi eccitato.
 
“Wow, davvero?” replicò lei, sorpresa. “Sul serio? È fantastico, dev'esserti costata parecchio”

Hanamichi annuì. “Si è fatto il culo con quel suo cavolo di lavoro, se l'è meritata”

Yohei sorrise all'amico: “Era ora di investire in un buon veicolo, la vecchia vespa non poteva permettersi di sopportare altri abusi”

Haruko ridacchiò al pensiero del vecchio veicolo fatiscente che Yohei aveva fin dal primo anno e alla sua grandiosa resistenza anche dopo essere riuscito a supportare cinque ragazzi su un unico posto.
 
“Hai gli allenamenti oggi, Hanamichi?” chiese Yohei. Hanamichi si alzò con la stessa velocità con cui si era seduto nel ricordare il suo programma di allenamenti con la squadra di basket. “Sono in ritardo!” si lamentò.
 
“Guido io?” Yohei fece penzolare la chiave della macchina in modo allettante davanti a lui mentre un ampio sorriso allargava lentamente le guance del ragazzo. “Andiamo, Haruko, vieni con noi” Hanamichi le fece cenno di seguirlo. “Possiamo sperimentare in prima persona quanto Yohei guida male”

“Sei sicuro?” chiese la ragazza esitante. Yohei le prese la mano e la tirò gentilmente. “Sì!”


 
 
Kaede sbadigliò mentre si muoveva nel suo comodo letto; i suoi occhi arrossati scrutarono stancamente l'ambiente circostante. Sospirò di nuovo sentendo il proprio corpo stanco e incapace di sollevarsi.
-Ugh, jet lag- pensò guardando pigramente l'orologio sul comodino accanto. Erano le 8.30.
 
“Sei già sveglio?” disse la donna a bassa voce, attenta a non svegliare il figlio nel caso stesse ancora dormendo. Kaede seppellì la testa sotto il cuscino nel tentativo di bloccare il raggio di luce che penetrava dalla stanza e il suono dell'intrusione di sua madre. Gemette disperato mentre la madre entrava in punta di piedi nella stanza, sollevando il capo gentilmente.
 
“Kaede?” mormorò in tono allegro.
 
“Sono sveglio, sono sveglio” disse, alzando la mano per rassicurarla. Sua madre sorrise vivacemente a quella risposta. “La colazione è pronta, raggiungici, ok”
Kaede annuì, la testa ancora immersa nella comodità del suo cuscino. Una delle cose che gli mancava del vivere da solo in America sicuramente era la privacy.
 
Si rialzò e iniziò a ciondolare prima di trascinarsi con titubanza fuori dal letto, dirigendosi verso il bagno dove si liberò dei germi che era riuscito a raccogliere dal volo del giorno precedente. Indossò la sua consueta felpa grigia e una giacca nera della squadra universitaria, abbinandola a jeans blu scuri per completare la sua tenuta di stile. Se c'era qualcosa che era riuscito a portare con sé dall'America, sicuramente era il senso della moda. Di solito preferiva lo stile semplice, ma la curiosità aveva avuto la meglio, quindi perché avrebbe dovuto opporre resistenza?
 
Entrò in sala da pranzo e fu accolto dai genitori che avevano un'aria sorpresa.
 
“Co-cosa stai indossando?” chiese suo padre in un tono non così casuale. I suoi genitori lo conoscevano abbastanza bene da sapere che il suo senso della moda di solito si riduceva nello stile semplice e diretto, ma ora sembrava che avesse finito un servizio fotografico e fosse scappato via indossando gli stessi abiti.
 
“Roba americana”

“Beh, è diversa” aggiunse sua madre. Kaede scrollò le spalle e si accomodò. Dissero le preghiere e consumarono una vasta gamma di pietanze deliziose disposte sul tavolo.
 
“Per quanto rimani, Kaede?” chiese sua madre.
 
“Due settimane”
 
“Oh, è poco tempo” disse delusa. Kaede si strinse nelle spalle e disse:
 
“Non posso stare via troppo a lungo, devo tornare e allenarmi”

“Questa non è forse casa tua?” disse suo padre, alzando un sopracciglio interrogativo.
 
“Sì, ma non posso tornare a casa se non ho raggiunto il mio obiettivo”

I suoi genitori si guardarono; la loro espressione rispecchiava un cipiglio preoccupato. “Sono sicuro che una lunga vacanza sia l'ideale allora”

Kaede lanciò a suo padre uno sguardo minaccioso non appena le parole gli sfuggirono di bocca. Senza dire nulla, suo padre alzò entrambe le mani in una posizione esitante e si schiarì la gola.
 
“Ci sono altre cose importanti rispetto al basket, sai!” sbottò improvvisamente la madre di Kaede, le sopracciglia piegate per la frustrazione rivolta al suo unico figlio. Kaede la fissò, realizzando per un attimo la serietà dell'atmosfera e le parole sconsiderate che erano riusciti a scagliargli addosso dal suo arrivo. Si alzò, la sua alta figura torreggiava sui suoi genitori.
“Grazie per la colazione” riuscì a dire prima di prendere la borsa e dirigersi verso la porta.
 
“Kaede!” gridò suo padre dalla sala da pranzo ma era troppo tardi, Kaede era già sgattaiolato dal cancello ed era uscito da quella casa piena di tensione.
  
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