Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: AlsoSprachVelociraptor    26/04/2021    1 recensioni
Nel 2018 Shizuka Higashikata, la figlia adottiva di Josuke, vive una vita monotona nella tranquilla Morioh-cho.
Una notte la sua vita prenderà una svolta drastica, e il destino la porterà nella misteriosa città italiana di La Bassa, a svelare i segreti nascosti nella sua fitta nebbia e nel suo sottosuolo, combattere antichi pericoli e fare nuove amicizie, il tutto sulle rive di un fiume dagli strani poteri.
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Terza riscrittura, e possibilmente quella finale, dell'attesa fanpart di JoJo postata per la prima volta qui su EFP nel lontano 2015.
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Prequel: “La battaglia che non cambiò nulla (o quasi)”
*Spoiler per JoJo parti 1, 2, 3, 4 e 6*
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Aggiornamenti saltuari.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Josuke Higashikata, Jotaro Kujo, Nuovo personaggio, Okuyasu Nijimura
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Minerva non correva- camminava lentamente, passo dopo passo, sicura e trionfante come una marcia di guerra. Okuyasu le stava a fianco, ma le sarebbe stato volentieri dietro, a seguirla senza nessun indugio in quell’enorme labirinto che era l’Ala Blu della scuola, il polo universitario. Ogni due classi c’era un incrocio da cui due altri corridoi si snodavano, e in quei corridoi altri corridoi si intrecciavano perpendicolarmente, creando un dedalo infinito da cui era difficile districarsi. 

Okuyasu, da solo, non ce l’avrebbe fatta, e sospettava che si sarebbe perso anche con chiunque altro che non fosse stata Minerva, così attenta ai dettagli e dalla mente pronta e veloce. 

“Non ci sono mai stata qui.” iniziò a spiegare Minerva, indicando le strisce di nastro colorato sul pavimento. “Ma posso dedurre dove dobbiamo andare. Queste linee aiutano gli studenti ad orientarsi, ogni sezione al suo colore, e quella bianca sembra arrivare al centro della scuola e…”

Minerva si voltò a guardare Okuyasu, con un velo di dubbio nei suoi occhi color ambra. 

“Ti sto ascoltando. Continua, è interessante!” Le rispose Okuyasu, sorridendole. Lei abbassò lo sguardo. 

“Di solito la gente non regge i miei sproloqui per lungo.”

“E di solito la gente non mi parla per lungo.” continuò Okuyasu, cercando di spronarla. Avere finalmente un discorso tra adulti sembrava un sogno. Yukako non era di molte parole e spesso aveva troppo da fare per stare a parlare con Okuyasu, Josuke era totalmente incapace di intavolare una discussione senza secondi fini e non vedeva quasi mai gli altri che erano suoi amici di scuola vent’anni prima, se non quando si fermavano per salutarlo nel suo negozio di fiori. La vita era spesso silenziosa per Okuyasu, soprattutto ora che aveva fatto ciò per cui suo fratello maggiore era vissuto e morto- porre fine alle sofferenze di loro padre. Nella villa di Okuyasu c’era sempre il silenzio, e quando non c’era era perchè la televisione dei suoi vicini, gli Higashikata, era sparata a tutto volume.

Minerva rivolse un vago sorriso al terreno sotto ai suoi piedi, rivolgendogli un cenno del capo.

“La scuola è stata costruita nel 2015, un anno dopo essermi inamicata la Banda e aver interrotto la collaborazione con la Fondazione.”

“Perchè l’hai fatto?” le chiese Okuyasu, cercando di studiare il suo sguardo. Era quasi impossibile, sotto quella coltre di freddezza che lei tanto ci teneva a perseverare. 

“Il mio collaboratore, Nestore Bennutti, lui è… l’ho lasciato al suo destino quando i vampiri ci hanno attaccato. Sono scappata, sarei morta se non l’avessi fatto. Io avevo- io ho una famiglia, non potevo permettermelo... La Banda non me l’ha perdonato, e non li biasimo. Da allora, sono stata lontana da tutto e tutti, ma ora che la situazione è peggiorata non posso più permettermelo.”

Okuyasu fece per appoggiarle una mano sulla spalla, ma si fermò quando i suoi polpastrelli sfiorarono la giacca in pelle della donna. L’esitazione lo stava divorando. Avrebbe dovuto avvicinarsi a lei? Avrebbe dovuto lasciarsi andare?

Decise di non pensare, e premerle il palmo della mano sulla spallina imbottita della giacca, e sorriderle. 

“Io ho visto mio fratello maggiore morire davanti a me, e non ho fatto nulla per aiutarlo. Ma… se l’avessi fatto, io non sarei qui ora. Non devi sentirti in colpa. Hai fatto quello che potevi.”

I loro sguardi si incrociarono per poco, o forse per troppo, e poi entrambi si sentirono colpevoli e imbarazzati. Minerva si schiarì la gola, e riprese a spiegare, con una vaga incrinazione nel suo timbro. 

“Il metallo tra le piastrelle del pavimento serve come scudo contro i vampiri. Questo metallo, così come le porte e il cancello, e tutte le reti sotterranee che stanno costruendo sono in una speciale lega di platino, argento e manimantio, un metallo che è stato trovato solo ed esclusivamente nel sottosuolo di La Bassa. È un superconduttore, che trasmette al 100% l’elettricità senza disperderne, perfetto per portare le Onde Concentriche ovunque nel territorio, anche a lunghe distanze.”

“Secondo me la Banda sbaglia a trattarti così. Sai così tante cose e sei intelligente e…”

Okuyasu si fermò prima di dire qualcosa di cui si sarebbe potuto pentire, però il messaggio passò chiaro e limpido a Minerva, che tentò di non distogliere lo sguardo dalle mattonelle che stava spiegando. Notò comunque il rossore sulle sue orecchie, e anche quello vago sotto al fondotinta sul suo viso. “Io… io penso che quel Joestar, invece, sbagli a trattare te così.”

“Joestar? Intendi Josuke?”

Minerva annuì, mentre raggiungevano la sala centrale dell’Ala Blu. Era come una minuscola piazzetta tra le aule, punto di congiunzione di tutte le stradine. In effetti, appesi alla parete c’erano le legende dei colori sul pavimento, e quello bianco davvero segnava la piazzola. 

C’erano sedie per aspettare o per studiare, una porta-finestra che dava su un piccolo balconcino, e infine diversi distributori- uno delle merendine, uno del caffè e uno di altre bevande e cibarie.

Ma nessun componente della Banda.

Okuyasu, però, non riusciva davvero pensare alla Banda in quel momento. “Come… come mi tratta Josuke?”

“Male.” rispose amareggiata Minerva, osservando tutti i corridoi vuoti da cui i componenti della Banda sarebbero potuti spuntare. “Come se tu fossi inferiore a lui.”

E non lo sono? pensò Okuyasu. Non sono intelligente quanto lui, né forte né bello come lui. Non ho studiato in una prestigiosa università- non l’ho proprio fatta, l’università. Ho vissuto una vita umile. I miei genitori non erano persone di successo, e sono tutti morti. Non ho una famiglia. Non ho nessun legame. Non valgo niente.

“E non è giusto?”
“No. Perchè non lo sei. E perchè nessuno dovrebbe trattare un’altra persona in questo modo.”

Lo sguardo di Okuyasu si perse fuori dalla porta-finestra, a cercare di scorgere l’orizzonte oltre quella corte di nebbia che stava salendo dalla terra. 

Non lo era?

Qualcosa si mosse, proprio nel suo campo visivo. Spalancò la bocca per avvisare Minerva, ma qualcosa la colpì con forza- tanta forza da produrre un suono secco- e lei cadde a terra, tramortita. Era stato qualcosa di una velocità impressionante, simile a un proiettile, ma potenzialmente più grosso. Okuyasu si voltò a cercare un colpevole, e questa volta fu la sua nuca il bersaglio. Riuscì a malapena a parare con un tempestivo intervento di The Hand, e senza vedere, colpì alla cieca dietro di lui. L’enorme pugno di The Hand, che in quegli anni era cresciuto di stazza fino a diventare quasi il doppio di grandezza e altezza di Okuyasu stesso, colpì effettivamente qualcosa, ma sembrò scontrarsi contro un muro impenetrabile.

Okuyasu rotolò a terra, sentendo le vertebre del collo dolere e voler uscire dalla pelle della nuca. Quando alzò lo sguardo, notò un portatore di stand davanti a sé. Il suo corpo atletico era ricoperto da un pesante stand metallico, di colore rosso e nero e bianco, che lo ricopriva completamente come un’armatura integrale, e gli aggiungeva anche un altro paio di braccia completamente funzionanti sotto le proprie. Vedendo Oku e Minerva rialzarsi, si mise in posizione difensiva.

“E così Zarathustra ci ha scagliato contro il suo miglior combattente fisico, Piero Rossi col suo Seven Nation Army.” lo salutò Minerva, ma lui parve non muoversi, né tantomeno rispondere. I suoi quattro pugni si chiusero, pronti a colpire.

Pallas Athena venne velocemente estratto alle spalle di Minerva, luminoso e imponente, e il suo braccio a forma di lancia cercò di colpire Piero. Come dopo un giro sulle montagne russe, la lancia sembrò dividersi in più lance, sfocate e indistinguibili, opera del potere di Pallas Athena, miraggi e illusioni.

Questa tecnica sarebbe stata più utile su uno stand più lento di Seven Nation Army, e con meno braccia, perchè grazie ai quattro arti a disposizione scansò tutte le lance fino a trovare l’unica vera. La prese in pugno, la afferrò con tutti e quattro e tirò con forza verso di sé, trascinando Minerva verso di lui, dove Piero la stava già aspettando con due pugni alzati pronti a colpirla in pieno.

Okuyasu non pensò più- non poteva permettersi che le venisse fatto del male. The Hand sollevò la sua mano sinistra, e caricò il colpo.

Un lampo di luce verde abbagliò la piazzola, e in una frazione di secondo Okuyasu si sentì mancare l’aria nei polmoni e sentì il corpo andargli a fuoco. L’impatto fu così forte da farlo rotolare sul pavimento per un paio di metri.

Per qualche istante perse conoscenza, solo per riprenderla dopo che il fianco sinistro, completamente ustionato, toccò il pavimento causandogli una fitta di dolore che lo fece gridare.

Un raggio di luce, un laser l’aveva colpito e bruciato.

“Enrico! No!” gridò Piero, colpendo Minerva con un forte calcio sugli stinchi e buttandola a terra, e tenendola ferma con un piede sulla schiena, non tanto forte da farle crudelmente male, ma abbastanza per tenerla ferma e immobile. Da dietro l’angolo, spuntò un ragazzino. Era basso, mingherlino e dall’aspetto delicato, grossi occhialoni da vista rotondi sul naso e capelli verdi scuro, con delle ciocche verdi neon che svolazzavano nell’aria, dello stesso colore dei suoi inquietanti occhi luminosi. E lo stesso colore dell’enorme, possente e tremendo stand alle sue spalle, uno scheletro dalle ossa cangianti e luminose, sempre verdi, e al posto del teschio un simbolo di radiazioni. Lo stand, dopo quel lampo di luce, iniziò a brillare meno.

“Scusa fratellone…” borbottò lui, avvicinandosi a Piero. 

“Non devi scusarti, devi solo non farlo. Lo sai che quando usi Nuclear Device senza pensarci lo depotenzi, e rimarrai senza energie.” lo rimproverò suo fratello maggiore Piero, senza nessuna rabbia nella voce, solo sana preoccupazione. Il ragazzino, Enrico, annuì mesto.

“Dobbiamo portarli alla palestra, ha detto così il Boss. Tu occupati di Minerva, io penso a…”

Piero era sicuro che Okuyasu fosse ancora sdraiato a terra dolorante, ma si accorse troppo tardi che si trattava solo di un miraggio di Pallas Athena. La nebbia illusoria di Pallas Athena svanì quando Okuyasu e il suo grosso The Hand la sorpassarono, e colpirono con un pugno l’elmo di Piero, un pugno tanto forte che avrebbe abbattuto una parete, ma causò solo una lieve crepa nel suo elmo, e un enorme fracasso all’interno.

Piero cadde a terra confuso, mentre Okuyasu prendeva Minerva sottobraccio. 

Il suo stand non era particolarmente forte in battaglia, ma era un incredibile supporto.

Piero provò ad alzarsi, ma l’impatto con il pugno di The Hand era stato così forte e rumoroso che il ragazzo cadde di nuovo a terra, senza più equilibrio. Sul viso del giovane Enrico si formò ancora rabbia, e il suo stand lanciò ancora altri raggi, questa volta alla rinfusa.

Okuyasu tentò di cancellare quelli che arrivavano verso di loro con The Hand, ma si accorse che non potevano essere cancellati. I raggi gamma trapassarono the Hand e colpirono Okuyasu, che si era messo a schermare Minerva con il proprio corpo. Le bruciature facevano male sulla schiena di Okuyasu, ma molto meno rispetto a quella sul suo fianco, finchè non finirono del tutto e sentirono solo un grande tonfo metallico.

Nuclear Device si era solidificato e diventato di piombo, pesante e immobile sul terreno, ed Enrico inginocchiato al suo fianco senza più forze. 

Per ora.

“Andiamo, ora. Scappiamo. Tutti si stanno dirigendo alla palestra, ma noi- ora dobbiamo solo scappare da loro.” borbottò la donna, aggrappandosi al braccio di Okuyasu. “Io… io credo di aver visto un posto in cui potremmo nasconderci, l’ho visto con il mio stand.”

“Guidami.” le rispose Okuyasu, sollevandola di peso senza troppo sforzo. Minerva era una donna alta ma magra, e Okuyasu era un omone con molta forza in corpo.

I due scapparono, più veloce che potevano mentre gli avversari erano senza forze a terra. Sapevano che presto si sarebbero ripresi, e non avevano tempo da perdere.

The Hand allungò la sua mano per cancellare tutto l’aria davanti a sé che poteva, così da andare più veloce possibile e seminarli. 

“Sali tutte le rampe di scale, dobbiamo andare all’ultimo piano!” disse la donna, e Okuyasu, con un semplice gesto della mano, fu in cima alle rampe di scale in un istante.

Minerva zoppicò sulla terrazza della scuola al fianco di Okuyasu, a guidarlo disperatamente verso una grossa bocchetta dell’aria. Era enorme, alta almeno due metri, e si protendeva per diversi metri prima di sprofondare sotto il pavimento. 

“È per l’aria condizionata, ma siamo a marzo e saranno spente fino a maggio, forse giugno. Possiamo nasconderci lì dentro..!”

Okuyasu estrasse il suo The Hand per sradicare la grata che non permetteva l’entrata nel tubo quadrato di metallo, ma Pallas Athena fu più svelto di lui, e con poche mosse le viti saltarono e la grata fu aperta.

I due vi si nascosero dentro, rimettendo la grata a posto alla bell’e meglio. Erano al buio, e i loro respiri affannosi si riverberavano nella struttura larga e d’acciaio. Aspettarono lì per chissà quanto, schiacciati a una parete della struttura con il cuore in gola. Se li avessero trovati, sarebbe stata la fine.

Passarono chissà quanti minuti, con Minerva schiacciata alla schiena di Okuyasu a riprendere le forze e controllare se qualcosa nelle sue gambe si era rotto. No, sembrava tutto ok- forse si era slogata una caviglia, ma nulla di serio.

“Credo non ci abbiano seguiti.” borbottò Oku, e Minerva riuscì a sentire il vibrare della sua cassa toracica sotto le sue mani appoggiate alla schiena dell’uomo. “Dovremmo raggiungere gli altri?”

Si, avrebbero dovuto. Decisero di uscire allo scoperto, ed effettivamente non c’era nessuno. La porta da cui erano arrivati non era più stata aperta, e con una veloce panoramica Pallas Athena rivelò che nessuno era nei paraggi.

Minerva accompagnò velocemente Okuyasu in un'area che si potendeva quasi fino a coprire il tetto della palestra, metri sotto di loro, ben più bassa della scuola.

Attraverso il tetto di vetro opaco, i due potevano ben distinguere forme e colori familiari. Erano davvero tutti lì!

“Come facciamo a raggiungerli?” gli chiese Minerva, davvero aspettandosi un piano da parte di Okuyasu.

Lei credeva in lui. Lei gli dava ascolto. E Okuyasu un’idea, stavolta, ce l’aveva davvero.

“Tu sta’ ferma e preparati ad atterrare.” le disse Okuyasu con un sorriso, prima di spingerla nel vuoto.

Con The Hand calcolò quanti metri mancassero dal terreno, e grazie alla precisione aumentata alle stelle in quegli anni, riuscì a cancellare tutto lo spazio che c’era tra Minerva e il pavimento della palestra. 

Minerva si fidò di Okuyasu e saltò per davvero giù senza pensarci due volte, e atterrò dolorosamente col sedere sul pavimento di marmo della palestra, ma almeno era sana e salva.

Ora toccava ad Okuyasu. Prendendo bene le misure, The Hand cancellò lo spazio tra lui e il tetto della palestra, su cui atterrò agevolmente.

Finchè, senza nessun motivo, il vetro non si infrase sotto ai suoi piedi, e Okuyasu cadde nel vuoto, a chissà quanti metri dal pavimento.

Cercò disperatamente di aggrapparsi al vetro con la sua mano destra, ma il vetro si conficcò a fondo nel suo palmo e Oku con un grido mollò la presa sulla lastra, lasciandosi cadere giù.

 
   
 
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