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Autore: edoardo811    27/04/2021    4 recensioni
La pace ha continuato a regnare al Campo Mezzosangue, gli Dei si sono goduti molti anni di tranquillità. Ma la pace non è eterna.
La regina degli dei Amaterasu intende dichiarare guerra agli Olimpi, mentre un antichissimo mostro ritornato in auge si muove nell'ombra, alla ricerca di Ama no Murakumo, la leggendaria Spada del Paradiso.
EDWARD ha trascorso l'intera vita fuggendo, tenuto dalla madre il più lontano possibile dal Campo Mezzosangue, per ragioni che lui non è in grado di spiegarsi, perseguitato da un passato oscuro da cui non può più evadere.
Non è facile essere figli di Ermes. Soprattutto, non è facile esserlo se non si è nemmeno come i propri fratelli. Per questo motivo THOMAS non si è mai sentito davvero accettato dagli altri semidei, ma vuole cambiare le cose.
STEPHANIE non è una semplicissima figlia di Demetra: un enorme potere scorre nelle sue vene, un potere di cui lei per prima ha paura. Purtroppo, sa anche che non potrà sopprimerlo per sempre.
Con la guerra alle porte e forze ignote che tramano alle spalle di tutti, la situazione sembra farsi sempre più tragica.
Riuscirà la nuova generazione di semidei a sventare la minaccia?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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37

L'ostacolo più grande

 

 

Passarono diversi istanti prima che la sua mente riuscisse ad elaborare quelle informazioni. Non gli aveva affatto mentito riguardo le risposte che era meglio non ricevere. Si sentì come se gli avesse appena ficcato un ago rovente in un occhio. 

«C-Che cosa?!» riuscì a domandare, sentendo la gola secca. 

Izanami piegò il capo, continuando a scrutarlo criptica. Quel volto divorato dagli insetti si impresse nel suo cervello. Era sicuro che non sarebbe mai riuscito a dimenticarselo. 

«Questo è lo Yomi» ripeté. «Qui è dove gli spiriti dei defunti vengono a trascorrere l’eternità.»

Edward ricordò la sera in cui Rosa era stata rapita. Anche Dioniso gli aveva parlato dello Yomi e aveva detto le stesse cose. E Izanami aveva detto di essere la dea della morte. Per quanto si sforzasse di negarlo, non potevano esserci molti significati dietro tutto quello. 

La verità si abbatté su di lui come una meteora. Era… morto. Morto.

Sentì la testa girargli e il mondo per un secondo apparve sbiadito attorno a lui. Come se scoprire cos’era successo il giorno della sua nascita non fosse stato uno smacco abbastanza grande da distruggere chiunque. Ora doveva pure convivere con l’idea che… che non c’era più. Era uno spirito. Orochi l’aveva ucciso, ferendolo mortalmente alla schiena. 

Non ce l’aveva fatta. L’aveva spuntata per diciotto anni… e alla fine era arrivato il suo momento. La profezia lo aveva detto. Tutti quanti, in realtà, gliel’avevano detto.

La sua vita era uno sbaglio.

Il mondo ne sarebbe stato felice, suppose. Ce l’avevano fatta. Poliziotti, genitori affidatari, compagni di scuola odiosi, mostri, tutti avevano avuto quello che avevano sempre desiderato. Era svanito. E non sarebbe mancato a nessuno, non dopo aver tradito le poche persone che avevano dimostrato di volergli una parvenza di bene.

In compenso, aveva restituito la spada e salvato Rosa. Avrebbe potuto consolarsi con il pensiero di essersene andato facendo del bene, per una sola singola volta. 

Sentì gli occhi inumidirsi. Come fosse possibile, non ne aveva idea.

«La morte accomuna tutti noi, Edward Model» disse all’improvviso Izanami, rompendo il silenzio. Si passò una mano sulle ferite che le deturpavano il volto. «Nemmeno noi dei ne siamo immuni.»

«Anche tu sei morta?» domandò lui, rimettendosi a fatica in piedi. «Come? Credevo che gli dei fossero immortali.»

Izanami distolse lo sguardo e chiuse gli occhi. «Lo siamo. Ma non significa che le nostre vite non finiscano, in un modo o nell’altro. Il mio corpo è deceduto quando ho dato alla luce al mio ultimo figlio. Il mio spirito è rimasto intrappolato nello Yomi quando mi sono cibata di un frutto che ho trovato qui.» Si passò una mano sulle ferite. «Mi sono trasformata in un demone. Non posso più andarmene. E quando mio marito Izanagi mi ha abbandonata, ho deciso di farmi carico di custodire gli spiriti qui.»

Edward si guardò attorno. Izanami continuava a parlare di spiriti, ma lì non c’era nessuno a parte loro. «E dove sono tutti gli altri?»

«Lo Yomi è lo specchio del mondo intero. In quanto sovrano di questo luogo, io posso spostarmi a mio piacimento ovunque io voglia, ma gli spiriti rimangono ancorati al luogo in cui muoiono. E da questa parte del mondo, non sono molti a terminare nello Yomi.» 

Izanami riaprì gli occhi, tornando a squadrarlo con freddezza. «Il sangue divino che scorre dentro di te ti rende più forte, Edward Model. In questo momento riesci a mantenere un legame con la tua vita passata. Possiedi ancora tutti i tuoi ricordi e il tuo libero arbitrio. Tuttavia non durerà ancora a lungo. Presto la tua essenza si sbriciolerà e anche tu diverrai parte di questo luogo, privo di ogni consapevolezza. Vagherai in queste terre senza una meta, senza provare fame, sete o stanchezza. Diventerai uno spirito come tutti gli altri e non avrai più alcun ricordo del tuo passato.»

Quando disse quelle parole, Edward sussultò. Aveva sofferto, aveva pianto, aveva provato dolori inimmaginabili… eppure l’idea che ogni traccia del suo passato venisse cancellata dalla sua mente lo fece sentire peggio di quanto non si fosse mai sentito. Non aveva vissuto una vita fantastica, però non voleva che tutto svanisse. Non voleva… scomparire.

«È inutile provare rimorsi» disse ancora Izanami. Per tutto il tempo, la sua voce non era mutata di una virgola. Sembrava la straziante melodia di un violino. «La morte è una realtà che fa parte della vita di tutti noi. Devi accettarla.»

Malgrado tutto, Edward riuscì a sorridere amareggiato. «Mi risulta difficile accettare qualcosa che avete cercato di impormi dal giorno della mia nascita.»

L’espressione di Izanami subì un leggero mutamento quando lui pronunciò quella frase. I suoi occhi si assottigliarono e anche la sua voce tradì vene di irritazione. «Tua madre doveva pagare per i suoi crimini contro di noi.»

«Ma io non ho commesso nessun crimine» ribatté lui, fissandola dritta negli occhi. Il suo aspetto era terrificante, ma non gli interessava. Era morto, dopotutto. Concetti come la paura erano piuttosto superflui per lui ormai. «Mi avete coinvolto nei vostri stupidi drammi senza motivo.»

«Bada a come parli, Edward Model. Solo perché sei morto non significa che io non possa infliggerti altro dolore.»

Era certo che Izanami volesse sembrare minacciosa. Purtroppo, ottenne l’effetto opposto. Edward emise una tiepida risata, non sapeva se per il nervoso o la paura, e per un momento l’intera San Francisco sembrò sussultare. Di sicuro le risate non erano molto frequenti in quel luogo. «E che cosa vorresti farmi? Vuoi uccidermi ancora di più? Prego, fatti avanti!» 

Sollevò le braccia, accennando al lungo mare e a San Francisco. Era stanco delle minacce. Era stanco di subire e basta. «Tanto sono intrappolato qui, no? In questo schifo di posto con un cadavere ambulante parlante! Che altro può succedermi di peggio?!» Si ritrovò ad urlare senza nemmeno rendersene conto. «Mi sono fatto ammazzare per salvare quegli stupidi degli dei, e cosa ho ottenuto in cambio? Sono morto! E poi, come se non bastasse, ho scoperto avrei sempre dovuto esserlo! Pensi che me ne importi qualcosa di quello che puoi farmi adesso?!»

Izanami assottigliò le labbra. «Ogni cosa ha un prezzo. E tua madre…»

«Questo non riguarda lei!» tuonò Edward, puntandosi l’indice al petto. «Riguarda me! ME! Ho mai avuto voce in capitolo, io?! No, certo che no. Perché secondo voi la mia vita è stata uno sbaglio.»

Cominciò solo in quel momento a capire davvero il peso delle parole che Izanami gli aveva rivolto. Non sarebbe mai dovuto nascere. La sua vita era un errore. Ripensò al giorno in cui era arrivato al Campo Mezzosangue, quando Chirone aveva detto che forse non avrebbe dovuto trovarsi là. Ripensò a tutte le volte che gli avevano detto qualcosa di simile in passato. Ora tutto aveva un peso diverso. Ogni frase, ogni frecciatina, ogni insulto ora aveva un nuovo significato. 

Nessuno l’aveva mai voluto. Nemmeno gli dei. E i pochi che invece lo avevano accettato, erano stati puniti in un modo o nell’altro. Kate era scomparsa, Apollo aveva fatto infuriare gli dei, Rosa era stata rapita e i suoi amici erano rimasti coinvolti in quella maledetta storia. 

Strinse i pugni per la rabbia. Non ricordava di essersi mai sentito così infuriato. Nemmeno quando aveva litigato con Artemide. Sapeva di non essere sempre stato un angioletto. Sapeva di aver sbagliato diverse volte, ma aveva sempre cercato di andare avanti e di fare del bene, ignorando tutto il resto. Si era sempre tenuto tutto dentro, ma ogni cosa aveva un limite. E il suo limite era appena stato superato.

Era morto. Eppure, anche da morto, dovevano continuare a provocarlo, a ricordargli che non sarebbe dovuto esistere, che la sua volontà non contava un accidente. Beh, le cose stavano per cambiare.

«Riportami indietro» ordinò, avanzando verso Izanami. 

Per la prima volta, la dea sembrò provare genuina sorpresa. «Che cosa?»

«Sei tu che comandi qui, no? Bene, riportami in vita. Recita qualche formula magica o cose del genere, non mi interessa. Ma riportami indietro.»

«Non funziona così, Edward Model» sibilò la dea, irritata. «Non esiste alcun modo di andarsene da qui.»

Edward si ritrovò di fronte alla dea. Non appena udì quelle parole, sorrise. «Forse non mi sono spiegato bene.» Afferrò la dea, tirandola a sé e ritrovandosi faccia a faccia con il suo orrendo viso. «Ho detto riportami indietro!» 

La mano affusolata della dea si serrò all'improvviso attorno al suo collo. Edward spalancò gli occhi per la sorpresa. 

«Pensi di poter dare ordini alla morte?» sussurrò Izanami, sibilando di rabbia. 

Il semidio boccheggiò a causa della morsa alla sua gola. Afferrò la mano della dea e se la staccò di dosso, tremando per lo sforzo. «Rimandami… indietro!»

«Non fuggirai ancora da questo luogo, Edward Model. Tu mi appartieni.»

Edward serrò la mascella. Lui non apparteneva proprio a nessuno. Allungò un braccio, affondando le sue dita negli squarci sul volto della donna. 

La dea fece un urlo straziante, mentre Edward scavava nella sua carne umida e putrefatta. Era una sensazione disgustosa, ma non gli importava. Avrebbe fatto rimpiangere Izanami di desiderarlo così ardentemente.

Izanami mollò la presa dal suo collo e lo afferrò per il polso, tentando di allontanargli la mano dal volto grondante di sangue. Lo osservò tra i rivoli rossi che colavano e urlò a squarciagola. La sua bocca si allargò in maniera innaturale, mentre gli scarafaggi sulle sue guance si infilavano nella manica di Edward, che si ritirò di scatto, imprecando. Indietreggiò e si tolse la felpa di dosso, gettandola a terra, poi riportò l’attenzione sulla dea. Izanami abbassò la testa, coprendosi il volto e barcollando all’indietro. Gemette un paio di volte, poi lo trafisse con un’occhiata truce. «Come… hai osato?!»

«Proviamo di nuovo» gracchiò Edward, avvicinandosi a lei e scrollando la mano dal sangue rancido della dea. «Rimandami indietro. Altrimenti…» 

Izanami spalancò le braccia e urlò a squarciagola, così forte da fargli accapponare la pelle. 

Un lago di sangue cominciò ad uscire dalla veste della dea, circondandola, sotto lo sguardo inorridito di Edward. Il marciapiede venne corroso, emettendo un rumore simile ad uno sfrigolio. Dal lago vermiglio, come a crescere dal terreno, cominciò a spuntare qualcosa. Prima la testa di un grosso serpente, che uscì fuori frustando l’aria con la lingua. Poi un teschio umano. Poi un altro. Poi una colonna vertebrale. Poi altre ossa. Poi gambe, braccia, busti e pezzi di muscoli putrefatti. 

Il volto di Izanami si aprì. La pelle si staccò, mostrando la carne viva e parte del teschio. I brandelli del suo viso caddero a terra assieme agli scarafaggi, finendo in quella pozza rossa che stava inglobando ogni cosa e che stava aumentando di volume. Il suo intero corpo cominciò a venirne ricoperto, mentre la montagna sotto di lei continuava ad alzarsi. Edward indietreggiò, atterrito, la propria mente incapace di metabolizzare cosa stava osservando. 

Sentì sempre più forte ed insistente quella sensazione che credeva di non poter più provare dopo la morte: paura.

Izanami raggiunse due metri di altezza, poi tre, poi quattro, poi cinque, e non si fermò. Arrivò ad almeno quindici, sovrastando del tutto non solo Edward, ma anche alcuni palazzi vicini. Il sangue si seccò, saldando tra loro i brandelli di carne, le ossa, i serpenti e i teschi. Decine e decine di tentacoli formati dai brandelli di cadaveri spuntarono dalla massa, dimenandosi in aria come fruste. 

La massa si amalgamò, creando una gigantesca figura. Il semidio non aveva idea di cosa stava guardando. Era come un enorme ragno che si reggeva su due zampe, mentre dal resto del corpo spuntavano decine e decine di gigantesche braccia e tentacoli di carne rancida e ossa. In cima alla mastodontica figura si trovava il busto di Izanami, l’unica cosa assieme alle sue braccia ad essere rimasta invariata.

Capì ben presto che quello non era qualcosa che l’occhio mortale avrebbe potuto, o dovuto, comprendere. Quella era la morte, se la morte avesse avuto un aspetto

«LA TUA SOFFERENZA SARÀ ETERNA!» urlò la dea, con una voce molto diversa da quella flebile e triste di poco prima. Ora era molto più roca e possente, come il ruggito di un drago. 

Edward rimase immobile, incapace di pensare, paralizzato di fronte a quella mostruosità. Vi fu un sibilo. Una delle zampe lo colpì in pieno, scaraventandolo via. Il mondo si capovolse, un dente gli saltò via dalla bocca e la sua guancia bruciò come se gli avessero iniettato dentro dell’acido. Si schiantò a terra e il suo urlo sovrastò il rumore delle ossa che scricchiolavano. Sentì la testa leggera e il sapore della bile in bocca. 

La terra tremò, mentre Izanami si avvicinava a lui, schiantando le zampe sul suolo ad ogni passo. 

Uno dei tentacoli lo afferrò, stringendolo così forte da farlo gridare di nuovo. Venne sollevato come una bambola di pezza e portato all’altezza del volto di Izanami, che ormai era ridotto a un cranio con pochi pezzi di carne ancora attaccati. «Pensavi di poter sconfiggere la morte?!»

Lo stritolò prima che potesse rispondere, strappandogli un altro urlo straziante. Una scarica elettrica attraversò entrambe le sue braccia, prima che perdesse la sensibilità di entrambe. Sentì del sangue scivolare dalla guancia e accasciò la testa. Gemette. «Riportami… indietro…»

Izanami urlò con una forza tale da fargli male alle orecchie. Strinse le palpebre, cercando di sopportare il dolore. Poi la forza di gravità fece il suo corso e si ritrovò schiantato al suolo. Fu come se ogni singolo osso gli fosse esploso nel corpo. Urlò ancora, più forte di quanto mai aveva gridato in vita sua. 

Poi, venne sollevato di nuovo. 

Izanami lo schiantò ancora, e ancora, e ancora, finché non sentì più nulla. Non sentì più dolore, né il proprio corpo. Venne scaraventato sulla strada, dove rotolò incontrollabile, fino a ritrovarsi con la schiena a terra e lo sguardo rivolto verso il cielo. Non riusciva a vedere nulla, solo una massa indistinta di nero e grigio. La figura mastodontica di Izanami comparve nella periferia del suo campo visivo, come una gigantesca macchia sfocata. La sua voce tuonò lungo la strada: «Ti pentirai della tua insolenza!»

Un tentacolo sferzò l’aria, schiantandosi su di lui. Edward gridò di nuovo, mentre sentiva il proprio petto venire lacerato. Tentò di mettersi carponi, facendo versi sconnessi a causa del dolore. Vi fu un altro sibilo e questa volta fu la sua schiena ad essere frustata. Il tentacolo lo schiacciò contro l’asfalto. Ormai Edward non riusciva nemmeno più a gridare.

La punizione continuò. Non seppe per quanto. I tentacoli si abbatterono su di lui, con forza tale da crepare il cemento. Se fosse stato vivo, non sarebbe mai sopravvissuto. Ma siccome era già morto, non poté fare altro che rimanere immobile mentre il suo corpo veniva dilaniato, ricevendo ferite da cui sarebbe stato impossibile guarire, provando dolori così forti da fargli supplicare di essere morto. Purtroppo quel desiderio non si sarebbe mai potuto esaudire.

All’ennesimo scossone del suo corpo, ogni cosa si fece buia. Tutto svanì, rimase solo l’oscurità. 

 

***

 

Prima di quel giorno – ammesso che in quel luogo esistessero ancora concetti come tempo, minuti, giorni eccetera – Edward non aveva idea di cosa fosse la morte. Nessuno, al di fuori degli dei probabilmente, lo sapeva.

Dopo tutto quello, era sicuro di poterla descrivere alla perfezione, al punto che avrebbe potuto comporre una poesia o un sonetto o quello che era giusto per dar fede alla sua discendenza divina.

Ma per motivi di tempo, l’avrebbe solo definita “un dolore incredibile, un veleno che corrodeva il suo corpo dall’interno, bruciando ogni singola cellula una per una, mentre la sua mente delirante proiettava flash su flash del suo passato”.

Si era smarrito spesso nei propri ricordi, durante quell'impresa. Questa volta, però, ogni cosa ebbe un peso diverso, perché sapeva che non avrebbe mai più potuto rivivere quei momenti che gli erano sembrati tanto inutili ed insignificanti. Che stupido che era stato. Come aveva potuto sottovalutarli? In quel momento, non desiderava altro che tornare indietro e riviverli tutti quanti.

Quanto avrebbe dato per tornare al giorno in cui era arrivato al Campo Mezzosangue e incontrare di nuovo quella bizzarra figlia di Demetra che lo aveva riempito di chiacchiere e che con tanto entusiasmo lo aveva portato a fare un tour del posto. Ancora in quel momento ne era convinto al cento percento, Stephanie era la ragazza più bella che avesse mai visto, un fiore estivo senza tempo e senza età. Quanto gli sarebbe piaciuto riuscire a dirglielo. 

Quanto avrebbe dato per essere di nuovo colpito in faccia da Buck ed essere deriso dalle figlie di Afrodite. Sarebbe stato fantastico avere di nuovo problemi stupidi come quelli. 

Quanto avrebbe dato per trascorrere un altro giorno al lago insieme a Thomas, a far rimbalzare le pietre sull’acqua, mentre discutevano di come avrebbero fatto a pezzi gli altri semidei nella partita di caccia al tesoro. Sedersi di nuovo a tavola con lui e gli altri figli di Ermes, mentre Derek raccontava storie assurde e inventate e Natalie obbligava tutti loro ad ingurgitare verdure.

Quanto avrebbe dato per dire a Konnor che gli dispiaceva di essere stato testardo come un mulo. E quanto avrebbe voluto dire a Lisa che, nonostante fosse stata più impulsiva di lui, non c’erano rancori e che le era grato per aver deciso di accompagnarlo in quel viaggio.

Quanto avrebbe voluto riabbracciare Rosa, sentirla cantare di nuovo e farsi massacrare da qualche altra sua sessione di allenamenti. 

Quanto avrebbe voluto fare pace con i suoi fratelli alla casa Sette. Quanto avrebbe voluto conoscere Apollo, nel profondo. 

Aveva iniziato a rimpiangere la vita da semidio e tutti i problemi che ne conseguivano. Ma in quel momento, quanto avrebbe voluto tornare a viverla. 

Solo una possibilità. Se solo avesse avuto un’altra possibilità. 

Quando Izanami lo afferrò nuovamente, sollevandolo, si riscosse dalla trance. Il mantello di oscurità attorno a lui venne strappato, al suo posto riapparve il volto ripugnante della dea. Edward gemette, vedendoci a malapena. Non aveva idea di in che condizioni fosse il suo corpo e non era nemmeno sicuro di volerlo sapere. Uno dei serpenti che formavano le braccia di Izanami si protese verso di lui, spalancando le fauci a pochi centimetri dal suo orecchio. Sollevò la testa, osservando Izanami dritta nei suoi occhi vitrei, fatti soltanto di sclera nera. Stava guardando la morte in faccia, nel vero senso della parola.

«Finalmente taci, Edward Model? Che la sanità abbia prevalso dentro di te?»

Malgrado tutto, ad Edward venne da sorridere divertito. Era chiaro ormai che sano non era mai stata la parola più adatta per descriverlo. 

Una sola possibilità. Soltanto una. Non si sarebbe arreso. Avrebbe lottato finché il suo spirito non sarebbe stato fatto a brandelli tanto quanto il suo corpo. A qualsiasi costo, sarebbe tornato indietro. 

Era immobilizzato. Non poteva muovere nemmeno un muscolo. A parte la testa. La sua fronte si stampò contro il naso di Izanami. «Tu che dici?!»

Izanami muggì di dolore, coprendosi il volto. Il tentacolo gigante lo lasciò andare ed Edward precipitò.

Quando arrivò a terra attutì la caduta facendo una capriola, per poi rimettersi carponi. Mugugnò di dolore, ma riuscì a rialzarsi. Era abbastanza sicuro che se non fosse stato per il suo lato semidivino non sarebbe mai riuscito a continuare a combattere dopo tutto quello che aveva subito. Alle sue spalle, Izanami tuonò: «DIVORERÒ LA TUA ANIMA!»

Edward si voltò, appena in tempo per schivare un tentacolo che stava per staccargli la testa di netto. «Non hai niente di più originale da dire?»

Dall’urlo furibondo che ricevette in risposta, intuì che no, non ce l’aveva. Izanami abbatté la sua furia su di lui. Edward, disarmato, non poté fare altro che schivare gli attacchi. Il suono delle ossa che si frantumavano sul suolo ad ogni colpo a vuoto riempì la strada, assieme all’ululato dell’aria che veniva sferzata dai rampicanti e le grida furiose della dea. 

Il ragazzo indietreggiò finché non si ritrovò di nuovo nei pressi del lungomare. Un altro pugno di Izanami lo mancò, finendo per distruggere un chioschetto di souvenir. Edward osservò le macerie e strinse i denti. Se avessero continuato di quel passo, avrebbe fatto la stessa fine. Non poteva schivare per sempre; gli servivano delle armi.

Purtroppo, le uniche armi che poteva trovare erano al museo d’arte, che si trovava da tutt’altra parte della città.

«Perché non vuoi lasciarmi andare?!» gridò, tentando di guadagnare tempo. «Io non ho fatto niente di male!»

«Ti ostini a non capire, Edward Model» replicò Izanami, con quella voce possente e cavernosa, mentre si trascinava sul suo corpo inumano verso di lui. «Tu non saresti mai dovuto esistere. Io ho soltanto corretto l'errore che è stato commesso.»

Ancora una volta, quella frase. Edward strinse i pugni, ribollendo di rabbia. Non ne poteva più. Era stanco di sentirlo. Stanco. Finalmente, dopo esserselo tenuto dentro per diciotto anni di vita, lo urlò a pieni polmoni: «IO. NON SONO. UN ERRORE!» 

Non aveva idea di quanto avesse voluto dirlo. Non appena lo fece, sentì un’incredibile sensazione pervaderlo. Un dolce torpore che avvolse il suo corpo come un abbraccio. Una leggerezza che mai aveva provato, come se quel male fosse appena stato estirpato.

A furia di sentirselo dire, aveva quasi finito con il crederci davvero. Lui stesso se l’era ripetuto tante volte, durante i periodi più grigi della sua vita. Ma era questo quello che provocavano la tristezza e la disperazione. Ed era stanco di provarle.

Izanami, gli dei, tutti quelli che l’avevano creduto, tutti quanti dovevano sentirlo. Lui non era un errore. 

«Non sono un errore! Mi riprenderò ciò che è mio di diritto! E se vuoi provare a fermarmi, bene, fatti avanti! Sconfiggerò anche te, Izanami! SCONFIGGERÒ LA MORTE!»

Osservò la dea furente, con il fiato pesante, le mani che formicolavano, pronte a fare a pezzi quel corpo mastodontico. Izanami, d’altro canto, si abbassò con una calma straziante, per squadrarlo meglio. Tutta la sua furia sembrava essere svanita nel nulla. «Dunque credi davvero di poter sconfiggere la morte, Edward Model?»

«Ne sono certo.»

Un inquietantissimo sorriso apparve sul volto cadaverico della donna. «Molto bene, figlio di Apollo. Se saprai sconfiggermi, avrai ciò che desideri. Ti riporterò indietro.»

Edward spalancò gli occhi per l’incredulità. Tuttavia, sapeva che non poteva essere così semplice. «E se dovessi perdere?»

Izanami distese il suo ghigno, come se stesse aspettando proprio quella domanda. «Rimarrai per sempre nello Yomi, conservando tutti i tuoi ricordi. Ogni giorno rimpiangerai il tuo passato. Ogni giorno proverai la stessa agonia che provo tutt’ora io. Ogni giorno ti sveglierai in lacrime. E ogni giorno verrai torturato da me, per l’eternità. Ti farò provare dolori che neanche puoi immaginare. E quando penserai di essere arrivato al limite, guarirò le tue ferite, così da poterti torturare ancora. Sarai il mio passatempo, il mio animale da compagnia nella solitudine di questo luogo. E poi…» Si passò la lingua sulle labbra che non aveva più. Qualcosa che Edward preferì non avere mai, mai, mai e poi mai visto. «… sei degno della nomea di tuo padre, figlio di Apollo. Sono certa che troverò molti altri usi per te…»

Mai come in quel momento Edward pensò che la storia delle domande a cui non ricevere risposta fosse azzeccata. Adesso sì che avrebbe avuto materiale per gli incubi per il resto della sua triste esistenza. 

«Affare fatto?» domandò Izanami, avvicinandosi ancora di più, ritrovandosi faccia a faccia con lui.

Il semidio deglutì, ancora inorridito da ciò che aveva sentito. Poi si riscosse, concentrandosi sul suo lato dell’accordo. Una seconda chance. Non se la sarebbe lasciata sfuggire, non gli importava chi o cosa avrebbe dovuto affrontare. Avrebbe sconfitto la morte. Sarebbe tornato indietro. Avrebbe corretto i suoi errori.

Osservò la morte dritta negli occhi ed annuì. «Affare fatto.»

Izanami rise. Fu un suono orribile, come un coltello che sfregava su una lavagna. Poi uno dei suoi tentacoli si abbatté su di lui. Edward lo schivò per un soffio e la passerella di legno venne distrutta al suo posto. Corse lungo il lungomare, mentre Izanami cercava di farlo a pezzi. 

«Coraggio, non essere timido, vedrai che ti piacerà stare qui!» esclamò Stephanie nella sua mente all’improvviso, mentre lo accompagnava in giro per il Campo Mezzosangue, il giorno in cui era arrivato là. 

Altre urla furiose. I tentacoli calarono, distruggendo tutto quello che incontravano. Nell’occhio del ciclone, Edward strinse i denti e si coprì il volto dalle schegge di legno che saltavano da tutte le parti.

«Io sono Thomas Blake, figlio di Ermes, ma puoi anche chiamarmi Tommy» si presentò il ragazzo con i capelli rossi, stringendogli la mano e rivolgendogli un sorriso gentile. «Piacere di conoscerti.»

Edward saltò, evitando un altro devastante pugno. Afferrò un pezzo di legno spaccato e lo conficcò in una delle braccia di Izanami, senza nessun risultato se non quello di farla infuriare ancora di più. 

«Se davvero pensi che mi lascerò intimidire da un pezzente come te ti sbagli di grosso. Vali meno di zero. Proprio la quattrocchi e il nano» ghignò Jane, indicando lui, Stephanie e Thomas.

Una scheggia gli finì in un fianco, mozzandogli il respiro. Se la staccò, sanguinando come una fontana. Imprecò, ma non si arrese. 

«Cambia atteggiamento, o non durerai una settimana» gracchiò Konnor, la prima volta che si erano incontrati, fissandolo dall’alto. 

Corse fra i tentacoli di Izanami, destreggiandosi in mezzo a quella selva mortale, saltando e rotolando, avvicinandosi al suo mastodontico corpo. 

«Mi piacerebbe provare a cantare questa canzone davanti a tutti, ma non così. Al posto di questa chitarra me ne serve una elettrica, e mi servirebbero anche bassista e batterista. E i pyro! Cosa non farei con i pyro!» esclamò Rosa, con sguardo sognante. «Mi immagino uno spettacolo di luci, fumo e fuochi artificiali, il tutto sotto le grida di giubilo degli altri! Oh, dei, sarebbe stupendo! E le facce che farebbero i nostri fratelli… già riesco a vederle!» 

Edward non si sarebbe fermato. Aveva superato decine, centinaia di ostacoli durante la sua vita. Avrebbe superato anche quello. Sarebbe tornato indietro. Si sarebbe preso la sua seconda possibilità. Per essere migliore. Per apprezzare di più quello che aveva. 

«Per quello che mi riguarda, questa votazione ha solo posticipato la tua morte, l’unica differenza è che sarai tu a causarla con le tue stesse mani» borbottò Dioniso con voce svogliata, mentre sorseggiava da una lattina di Diet Coke.

Un altro braccio si schiantò accanto a lui, sfondando il legno. Quando Izanami lo ritirò, Edward ci saltò sopra e sfruttò lo slancio per raggiungere di nuovo il volto della dea. Urlò, avventandosi su di lei. Quando fu abbastanza vicino, però, un tentacolo frustò l’aria, colpendolo in pieno. 

«Che cosa farete una volta a San Francisco? Regalerete ai mostri fiori? Proverete a rubargli le scarpe? Magari gli dedicherete una bella poesia?» domandò Buck con un ghigno divertito, la sera del Consiglio. 

Edward gridò ancora, questa volta per il dolore, e si ritrovò catapultato a terra. Si scorticò lungo il suolo, sentendo la pelle delle braccia in fiamme. 

«Mentre questi pagliacci rimarranno qui a prendermi in giro senza fare nulla di concreto, io smuoverò le chiappe dalla sedia e andrò a darmi da fare per salvare quelle di tutti!» esclamò Lisa.

Il figlio di Apollo sputò un grosso grumo di sangue e tentò a fatica di tirarsi su sui gomiti. L’ombra di Izanami lo sovrastò e un altro tentacolo scese su di lui. Edward rotolò di lato, evitandolo per un soffio mentre la passerella veniva sfondata. Il rumore fu assordante e venne investito da una pioggia di polvere e detriti. 

«Ebbene sì. La tua cara sorella è qui con noi, ed è in perfetta salute» affermò Orochi, sorridendo divertito mentre gli mostrava Rosa intrappolata in un bozzolo di tenebre.

Tossì, rimettendosi di nuovo in piedi. Il dolore era insostenibile. Era un figlio di Apollo, sapeva riconoscere la gravità delle proprie ferite, e le sue erano così gravi che non era nemmeno il caso di preoccuparsene, perché tanto sarebbe stato inutile cercare di guarirle. 

«Troppo lento, semidio, troppo lento! Avere quella spada non serve a niente se non si sa come brandirla!» lo provocò Milù, evitando i suoi attacchi per l’ennesima volta senza nessuna fatica. 

Un altro tentacolo si schiantò su di lui. Edward sollevò le braccia, tentando di arrestarlo. Venne schiacciato a terra e altre schegge gli si conficcarono nella schiena, facendolo sbraitare per il dolore.

«Le persone oneste possono vedere attraverso la natura subdola di una kitsune. Sembra però che tu abbia avuto qualche problemino…» commentò Shinjiro, sogghignando dentro la sua gabbietta.

Lasciò la presa, stramazzando a terra. Izanami lo afferrò per le gambe e le braccia, sollevandolo. I serpenti sibilarono contro di lui, mentre un quinto tentacolo appariva dal nulla, trafiggendolo all’addome. Edward rovesciò la testa all’indietro, gridando con quanto fiato aveva ancora in corpo. 

«Non devi scusarti con me. Quello che devi fare ora è approfittare di questa notte per riflettere sulle tue azioni» lo rimproverò Artemide, la sera in cui aveva deciso di proseguire da solo. «Dovrai scegliere la strada che vuoi percorrere. E quando sarai sicuro di aver scelto quella giusta, non voltarti più indietro. Solo così avremo una possibilità di scongiurare la guerra.» 

Sangue scivolò dalla sua bocca. Gemette, il suo corpo venne colpito da uno spasmo.

«Sei stato un abile avversario. Hai combattuto per quello che credevi, senza mai arrenderti. E alla fine… sei davvero riuscito a proteggere i tuoi cari. Non mi dimenticherò di te, Edward» disse infine Naito, poco prima che tutto si facesse buio.

Amici, nemici. Momenti belli, momenti brutti. Non avrebbe rinunciato né agli uni né agli altri. Era diventato ciò che era diventato grazie ad entrambi i mondi. Le persone che tenevano a lui l’avevano spronato a fare del bene, quelle che l’avevano odiato lo avevano spronato a diventare migliore. Chi l’aveva guarito l’aveva aiutato a fidarsi, chi lo aveva ferito l’aveva aiutato a temprarsi. Chi si era fidato di lui, lo aveva convinto che valeva la pena di combattere per loro. E chi aveva dubitato di lui, gli aveva insegnato che era maledettamente divertente smentirli.

«Nessuno può sfuggire alla morte, Edward Model» gracchiò Izanami, rigirando il tentacolo nel suo stomaco, facendolo gridare ancora più forte. «Ma non temere: sono certa che sarai un ottimo animale da compagnia.»

Edward aprì gli occhi e la osservò. Sentì il proprio petto incendiarsi. Il dolore passò in secondo piano, diventando una pulsazione sorda. Non aveva idea di come facesse ad andare avanti in quelle condizioni e non gli interessava saperlo. In quel momento, l’unica cosa a cui riusciva a pensare era quanto si sarebbe divertito a prendere a calci nel sedere la dea. 

«Ti sbagli, Izanami.» Edward sogghignò, sentendo i propri denti impregnati di sangue. Stava sorridendo alla morte. Sì, ormai era impazzito del tutto. «Io non sarò l’animale di nessuno!»

Con un impeto di forza, si liberò dai tentacoli che gli imprigionavano le mani e afferrò quello che lo aveva trafitto. Vi fu un rumore disgustoso, tipo di qualcosa di bagnato che veniva calpestato, poi Edward riuscì ad allontanare il rampicante dal proprio stomaco, sotto lo sguardo ora atterrito di Izanami. 

Sentì la grinta nelle vene, la determinazione nelle ossa, la passione nel cuore e i fulmini nello sguardo. Non era quella la sua ora. Non sarebbe svanito lì.

Gridò, spingendo via il tentacolo, per poi liberarsi anche di quelli che lo tenevano imprigionato alle caviglie. Per un momento, Izanami rimase immobile, stordita. Il figlio di Apollo si strappò la t-shirt ormai ridotta a brandelli di dosso, rimanendo a petto nudo. Ferite orripilanti gli attraversavano la pelle dal collo alla vita, per non parlare del buco all’altezza dello stomaco, che stava grondando. 

Fissò Izanami dritta negli occhi. «Vuoi ancora sapere se penso di poter sconfiggere la morte?» 

Corse di nuovo verso di lei, rapido come non lo era mai stato. Afferrò un asse di legno spaccato mentre avanzava, con i tentacoli che di nuovo precipitavano su di lui. Per quanto impossibile da credere, Izanami sembrava ancora più furiosa di prima. Ma nemmeno la sua furia sarebbe bastata per fermarlo.

Saltò tra i tentacoli, usandoli quasi come delle liane per saltare sul corpo della dea, scalandolo come una montagna. Utilizzò ossa, teschi e quant’altro come appigli, muovendosi con l’asse di legno stretto tra i denti. Le schegge gli forarono le guance, sentiva la lingua a brandelli, ma non si fermò. Niente, niente, lo avrebbe fermato. Nemmeno la morte.

«Che stai facendo?! Scendi immediatamente!» tuonò la dea, tentando di levarselo di dosso, fallendo come una miserabile. 

Tentò di afferrarlo con una delle sue braccia, ma Edward saltò prima che la gigantesca mano potesse stringersi attorno a lui. Atterrò su un altro braccio e lo afferrò, roteando su di esso, utilizzandolo per ottenere lo slancio necessario per saltare ancora più in alto, per raggiungere il volto della dea. 

«La risposta è SÌ!» gridò, mentre l’incendio divampava dentro di lui. Dimenò l’asse spezzato, che a mezz’aria cominciò a brillare di un’accecante luce bianca. 

Quando raggiunse il volto di Izanami non aveva più un pezzo di legno tra le mani: aveva una katana dalla lama bianca scintillante. Izanami spalancò gli occhi, un attimo prima che la lama glieli strappasse via entrambi. 

Il verso più terrificante che Edward avesse mai sentito provenne dalla dea: il grido della morte che veniva ferita.

Izanami barcollò all’indietro, coprendosi gli occhi sanguinanti. Gridò verso il cielo, così forte da far scuotere le ossa di Edward. Le sue zampe collassarono, non riuscendo più a reggere il peso del suo corpo. Cominciò a tremare, mentre si sgretolava poco per volta. Brandelli di carne si staccarono dal corpo, il sangue colò come pioggia, inondando il lungo mare. 

Edward cadde a terra, atterrando in piedi, con la katana ancora stretta nella mano. Osservò il gigantesco corpo della dea ripiegarsi su sé stesso, sprofondando nel terreno dal quale era spuntato. La voce lacerante di Izanami si abbassò sempre di più, facendosi più roca e baritonale. La dea distese un braccio verso il cielo, mentre con l’altro continuava a coprirsi gli occhi. Diminuì di volume sempre di più, finché non si ritrovò anche lei a terra, all’altezza di Edward. Il sangue si ritirò di nuovo sotto la sua veste, assieme a tutta quella poltiglia di carne ed ossa. 

Ben presto, la sua terrificante figura rimase solo un ricordo, anche se le tracce indelebili del suo passaggio sarebbero rimaste nella devastazione che aveva arrecato a quel luogo.

Edward osservò la dea in silenzio, con il fiato grosso. Il suo sguardo cadde sulla katana. Non c’erano dubbi: quella era Ama no Murakumo. Non sapeva come, ma era tornata da lui. E non avrebbe mai pensato di sentirsi così felice di rivederla.

«Non… è possibile…» sussurrò Izanami all’improvviso. Era in ginocchio, riversa a terra, gli occhi sigillati e ancora imbrattati di sangue. «Come… perché…?» 

«Hai perso, Izanami» esclamò Edward. Strinse la presa attorno ad Ama no Murakumo, percependo quella sensazione di familiarità e sicurezza che solo lei riusciva a dargli. Solo in quel momento realizzò quanto gli era mancata. «Onora la tua parte del patto e rimandami indietro!»

Izanami si voltò, fissandolo con quanto odio aveva ancora in corpo. O meglio, tenendo gli occhi serrati puntati verso di lui mentre digrignava i denti rabbiosa. «Non c’è nessun patto» sibilò, con un filo di voce, per poi urlare a squarciagola e correre verso di lui. 

Edward sollevò Ama no Murakumo. Non lo avrebbe più chiesto con gentilezza: se Izanami intendeva rompere l’accordo, le avrebbe fatto cambiare idea con le cattive.

Prima che Izanami si avventasse su di lui, una luce accecante apparve all’improvviso tra di loro, accompagnata da una forte corrente d’aria. Izanami venne scaraventata a terra, mentre Edward si copri il volto, il vento che sferzava su di lui. Quando la luce si diradò, Edward schiuse le labbra sbigottito.

Un corvo era apparso dal nulla, fra lui e la dea della morte. Volteggiava a mezz’aria, battendo ritmicamente le ali dal piumaggio nero. La cosa più sorprendete, però, erano le sue zampe. Tre zampe, proprio come il corvo che aveva visto in quello stesso lungomare, ma nel mondo dei vivi.

Izanami gemette, rimettendosi in piedi tremolante. Pareva una mummia rinsecchita. Si accorse del corvo – come, Edward non poteva saperlo visto che era cieca – e si corrucciò. Parlò di nuovo in giapponese, ma questa volta Edward riuscì a capirla. 

«Perché sei qui? Che cosa significa?»

Il corvo non disse nulla. Certo, era un solo un corvo, mica parlava. Edward pensò che la dea ormai avesse perso del tutto la testa, ma tutto a un tratto un’autoritaria voce di donna risuonò nella sua mente e forse anche in quella di Izanami, a giudicare dalla sua espressione. Era la stessa che aveva udito quando aveva visto quel corvo la prima volta.

«Il semidio ha dimostrato il suo valore. Rispetta la tua parte dell’accordo e acconsenti a restituirgli la sua vita.»

«Come osi venire qui, nel mio regno, e darmi ordini?! Non hai alcuna autorità su di me!»

«E tu non hai nessuna autorità sulla vita del ragazzo. Lo hai portato qui contro il suo volere e lo hai costretto a combattere per riavere qualcosa di cui non avresti mai dovuto privarlo.»

Edward ascoltò la conversazione incredulo. Era chiaro che chiunque fosse la donna che stava parlando conosceva bene Izanami. Però sembrava essere giunta in suo aiuto, cosa che mai si sarebbe aspettato, soprattutto viste le circostanze. 

«Intendi forse prendere le sue parti?  Dopo quello che la sua famiglia ci ha fatto?!» domandò la dea della morte, con la voce carica di veleno.

«La sua famiglia. Non lui.»

Le dita di Izanami formicolarono. Sembrava in procinto di afferrare quel corvo per spennarlo. Invece, sorprendentemente, rovesciò la testa all’indietro, smarrendosi in una risata maniacale. Un suono che finì con l’aggiungersi dritto dritto alla lista già molto lunga dei carburanti per incubi di Edward.

«Guardati, figlia mia. Ridotta a darti tante pene per questi miseri mortali. Che cosa ci vedrai di tanto speciale in loro, mi domando?»

«Qualcosa che non vale la pena di spiegarti, perché tanto non la comprenderesti, madre.»

Edward batté le palpebre un paio di volte. Quindi un cadavere parlante era la madre di un pennuto? Certo perché no. Aveva sentito cose peggiori. 

«Sappi che le cose stanno per cambiare, figlia mia» disse ancora Izanami, mentre le sue ferite si rimarginavano. Il sangue si ritirò, gli occhi si riaprirono e la pelle ritornò al suo posto. Ritornò ad essere la donna avvenente e trascurata che Edward aveva conosciuto all’inizio. Il lato più seducente e misterioso della morte, che sorrise gelida verso il corvo. «Il tuo regno non durerà ancora per molto. Presto un successore degno di rappresentarci prenderà il tuo posto.» Spostò lo sguardo su di Edward, famelica. «E tutta la feccia umana verrà spazzata via.»

Il semidio assottigliò le labbra. «Non credo proprio» disse, in giapponese. Sollevò Ama no Murakumo, che brillò con intensità. «Finché avrò questa, non ci torcerete un capello.»

Izanami rise ancora, ignorando il tono determinato del semidio. «Non hai idea di cosa ti aspetta, Edward Model. Potrai anche aver sconfitto la morte, ma non credere che tutto quello che mi hai fatto non avrà conseguenze. Quanto tornerai nel mondo dei vivi, ti renderai conto che la tua sofferenza è lungi dal finire.»

«Hm. Sai che novità» gracchiò Edward, cercando di non mostrarsi intimidito, anche se in realtà si sentì davvero turbato da quelle parole. Per qualche motivo, la Izanami umana e con il corpo intatto sembrava ancora più minacciosa della sua controparte mostruosa.

La dea della morte sogghignò un’ultima volta, poi allargò le braccia, cominciando a dissolversi nel terreno. «Saluta tuo padre da parte mia, cara figlia. Digli che attendo trepidante il giorno in cui ci rivedremo.»

La voce nella mente di Edward non disse nulla. Il corvo rimase a mezz’aria, incurante. Poi, Izanami svanì nel terreno. Un silenzio irreale scese nel lungomare, interrotto solo dal rumore delle onde calme e dal battito delle ali del corvo.

«E... E adesso?» domandò, incerto. «Come torno indietro?»

Il corvo si voltò di nuovo verso di lui. Brillò di nuovo di una luce accecante all’improvviso, cogliendolo di sorpresa. Edward strinse gli occhi e si coprì con le mani, infastidito. «Ehi! Potevi avvertire prima di farlo!»

La luce filtro tra le dita, mandando sfumature rosse tra le sue palpebre serrate. Andò avanti per un tempo interminabile, cominciando a bruciargli gli occhi. Cercò di guardare da un’altra parte, ma la luce sembrava seguirlo ovunque virasse, tormentandolo. 

Poi, svanì. Edward tirò un sospiro di sollievo, sbattendo le palpebre un paio di volte per scacciare via le macchioline nei suoi occhi. Quando si guardò attorno, rimase paralizzato. Il lungomare era svanito. San Francisco era svanita. Si trovava ancora in riva al mare, ma questa volta su una spiaggia dalla sabbia nera, con le onde che la incalzavano delicate. Al posto della metropoli, di fronte a lui, si trovava una fitta foresta, con un sentiero che conduceva al suo interno. 

«Questo è Yomotsu Hirasaka, nella provincia di Izumo, in Giappone» annunciò la voce nella sua mente, mentre il corvo continuava a volteggiare attorno a lui. 

«C-Che cosa?» domandò Edward. «Ma… ma un attimo fa eravamo…»

«Mio padre sigillò l’ingresso dello Yomi con un masso proprio qui, alla cima di quel sentiero, in modo che Izanami non potesse fuggire» lo zittì la voce. «Va, Edward Model. Percorri il sentiero, raggiungi il passaggio e sposta il masso per tornare nel mondo dei vivi.»

«Aspetta… quindi…» Il ragazzo osservò la foresta e avvertì un tuffo al cuore. 

«Sì, Edward Model. Hai dimostrato il tuo valore. Sei libero di tornare dai tuoi cari.»

Edward era senza parole. Nonostante avesse ordinato a Izanami di lasciarlo andare, sapere di poterlo fare, sapere di poter tornare indietro, fu una sensazione indescrivibile.

«Grazie…» sussurrò, sentendo gli occhi inumidirsi. 

Il corvo volteggiò nell’aria. «Non ringraziarmi. Te lo sei guadagnato. Adesso vai. Quando avrai spostato il masso e sarai entrato nel passaggio, è imperativo che tu sigilli di nuovo il percorso alle tue spalle prima di continuare. Se mia madre dovesse trovarlo aperto evaderebbe, e sarebbe il caos.»

Il figlio di Apollo ripensò a quel mostro di ossa, carne e serpenti contro cui aveva combattuto. Sì, sarebbe stato davvero un problema avere quel coso che scorrazzava libero nel mondo mortale. Tuttavia, fu proprio il pensiero della dea che lo fece dubitare. «Sei… sei sicura che potrò spostarlo? Se non c’è riuscita Izanami, perché io…»

«Questo dipende da te, Edward Model. Per uscire, dovrai tirare fuori ancora una volta la forza necessaria.»

Il corvo cominciò a volare verso il cielo, ma Edward allungò la mano verso di lui. «Aspetta! Ma tu chi sei? Perché mi stai aiutando?»

«Ogni cosa ti verrà spiegata quando tornerai nel mondo dei vivi, Edward Model. Buona fortuna.»

Il pennuto volò verso l’orizzonte, diventando una minuscola macchia nel cielo grigio. Edward riportò la sua attenzione sul sentiero e tirò un profondo sospiro. Aumentò la presa attorno ad Ama no Murakumo, determinato a non lasciarla più andare. Se non era ancora crollato per tutte le ferite ricevute, dopotutto, era merito della spada. In effetti, era ancora ricoperto da capo a piedi da sangue fresco. Avrebbe fatto meglio ad andarsene da lì il prima possibile. 

«Ok…» borbottò, cominciando a camminare. «Sentiero, masso, percorso… tutto chiaro…»

Avanzò nell’entroterra, smarrendosi con la vista in quel luogo così incantevole malgrado il grigiore che avvolgeva tutto quanto. Piccoli alberi, dei bonsai, decoravano il bordo del sentiero, mentre una miriade di altri alberi multicolore dipingevano il paesaggio, svettando in riva a piccoli laghetti e calmi ruscelli. Immaginò che Stephanie avrebbe adorato quel posto. Quello nel mondo dei vivi, certo. Dopo la sua splendida esperienza nello Yomi, era abbastanza sicuro che non l’avrebbe consigliato a nessuno come meta turistica.

Beh, forse a Buck e Jane. E magari Dioniso.

Oltrepassò due colonne di pietra, disposte parallelamente ai lati del sentiero e unite da una corda sospesa, da cui pendevano tre nodi. Una strana decorazione. Oltre le colonne trovò un piedistallo tirato su con mattonelle, sul quale era posizionata una lastra nera, con delle incisioni sopra. Erano molto vecchie e sbiadite, quindi non riuscì a decifrarle, ma intuì di essere nella direzione giusta.

Continuò, salendo il pendio. Arrivò ad un piccolo spiazzale, su cui svettava un’alta montagna. Vi trovò tre massi, due in disparte in un angolo ed un altro, molto più grosso, di fronte a un arco naturale scavato nella roccia. Fu molto chiaro quale doveva spostare. Edward si avvicinò e posò il palmo su quella superficie calda. Provò a spingere, ma realizzò che era tutto inutile: quel coso era troppo grande per lui.

Si fermò a riflettere. Il corvo gli aveva detto di usare la forza necessaria, ma non aveva senso. Non aveva usato già abbastanza forza per affrontare Izanami? Che altro occorreva, ancora?

Poi, capì. La forza che aveva tirato fuori per sconfiggere la morte era dovuta ad una cosa ed una soltanto: il suo desiderio di rivedere i suoi amici e di correggere i suoi errori. Pensò a tutto quello, sentendo di nuovo il proprio petto scaldarsi. Il masso diventò come di carta all’improvviso. Riuscì a spingerlo via senza nessuna difficoltà, sorridendo trionfale. Lo oltrepassò, entrando nella galleria buia. Fece luce con Ama no Murakumo, poi, come detto dal corvo, si voltò e spostò di nuovo il masso alle sue spalle, piombando nel buio totale. Un penetrante odore di chiuso e muffa invase le sue narici, facendogli arricciare il naso. «Bleah.»

Avanzò a tentoni, il rumore dei suoi passi che riecheggiava nella caverna. A giudicare da come il suono si propagava, sembrava un tunnel interminabile. 

Non seppe per quanto andò avanti. Mano a mano che proseguiva, però, trovò sempre più faticoso camminare. Il suo corpo sembrava pesare sempre di più ad ogni passo, la gravità si faceva sempre più forte. Gemette, cadendo all’improvviso in ginocchio. La luce di Ama no Murakumo si affievolì, prima di svanire dalle sue mani. 

«No, no!» si lamentò, mentre la sua unica fonte di luce lo abbandonava, facendolo piombare nel buio completo. Quel buio, però, era molto diverso da quello che conosceva. Era un buio che non lasciava alcuno scampo. Era impossibile capire dove si trovava, a causa dell’irregolarità del terreno.

Poi, ogni ferita nel suo corpo si rianimò all’improvviso, lacerandolo dall’interno. Gridò per il dolore, stramazzando a terra, mentre ogni taglio, ogni graffio, ogni sfregio che Izanami gli aveva inflitto si accendeva come un falò dentro di lui. 

«N-No…» mormorò, stringendo la mano a pugno. A fatica, strappò un lembo di t-shirt che era rimasto incollato al suo corpo e se lo infilò in bocca, mordendolo così forte da farsi male ai denti. 

Poi, cominciò a strisciare. Ogni centimetro era un’agonia, ogni millimetro era causa di un dolore insostenibile. Eppure, non si fermò. Strisciò sulla superficie spigolosa e tagliente della caverna, graffiandosi, provocandosi tagli sopra i tagli, mordendo quel cencio con quanta forza aveva in corpo pur di ignorare il dolore. Ancora una volta, gli sembrò di andare avanti per eternità. Non perse mai di vista l’obiettivo. Lo avrebbe portato a termine, ad ogni costo.

Il più impercettibile dei movimenti divenne insostenibile. Dopo aver portato il proprio corpo allo stremo per non sapeva quanto, la sua testa crollò a terra esanime. Gemette, non sentendo più nulla. Chiuse gli occhi, rifiutandosi di fermarsi proprio lì. Sarebbe uscito da lì, non gli importava come. Se su entrambe le gambe, se sui gomiti, se sulle dita, si sarebbe trascinato anche con i denti se necessario. Ma non si sarebbe fermato.

Una corrente d’aria gli accarezzò il volto all’improvviso. Sollevò la testa, stordito, e fu costretto ad assottigliare le palpebre per via di una luce improvvisa che aveva penetrato l’oscurità. Udì rumore di passi. Qualcuno camminò verso di lui, chinandosi di fronte al suo corpo distrutto. Non riuscì a vederlo, a causa della vista appannata. Avrebbe voluto chiedergli aiuto, ma non uscì un solo sibilo dalla sua bocca.

Quello, però, non ebbe bisogno di sentire nulla. Gli tese una mano. «Forza Edward. Ci sei quasi.»

Aveva una voce famigliare. Eppure, era convinto di non averla mai sentita prima. Con un ultimo sforzo, allungò la mano verso la sua, riuscendo a stringerla. Bastò quel semplice contatto per trasmettergli un’insolita sensazione di famigliarità. Provò nostalgia di momenti che era certo di non aver mai vissuto, giorni felici, trascorsi assieme a sua madre e suo padre come in una famiglia normale, ordinaria.

«Sei stato bravo. Sono fiero di te.»

Edward cercò di metterlo a fuoco. Quel tizio stava brillando, in tutti i sensi. La sua pelle emanava una calda luce gialla. Individuò un sorriso sul suo volto e dei capelli biondi. La luce crebbe di intensità, ricoprendo ogni cosa.

Sentì il suo corpo levitare all’improvviso. E poi, tutto si fece bianco.

 

 

 

 

 

 

Ed eccoci, siete sopravvissuti a questo mattone, bene! Sarò sincero, non è stato difficile riuscire a scriverlo, anzi ci ho messo abbastanza poco in realtà, specialmente considerata la lunghezza. La parte difficile è stata riuscire a renderlo bene. Penso di esserci riuscito, ma sarete liberi di giudicare voi stessi.

Una cosa importante che è meglio chiarire è che, come anche detto nel capitolo, Edward non è uno spirito comune, ma possiede ancora legami col suo passato, che lo rendono in un certo senso meno… “morto” rispetto ad altri. Lol. Non so come spiegarlo. Questo, comunque, è il motivo per cui riesce ancora a provare emozioni, sentire dolore e, soprattutto, tirare un pugno in faccia ad Izanami senza che la sua mano la attraversi tipo Mirtilla Malcontenta. E allo stesso tempo, siccome è morto, non può perire per le ferite che ha subito. Può comunque sentire un male cane (che penso sia un eufemismo), un dolore così atroce da far desistere qualsiasi persona comune. Ma per sua fortuna, lui non è una persona comune. E questo è anche il motivo per cui è riuscito ad utilizzare di nuovo Ama no Murakumo.

Il fatto che la spada sia riapparsa in contemporanea con il corvo a tre zampe non è del tutto casuale, comunque, ma capirete più avanti (mi rendo conto che dico spesso questa cosa… spero che effettivamente siate riusciti a capire qualcosa fino a questo momento, kek)

Riguardo la trasformazione Lovecraftiana di Izanami, avevo in mente fin dall’inizio di creare qualche abominio del genere, ispirandomi soprattutto a dei boss del videogioco Bloodborne, principalmente il Rinato e Amygdala. Poi, navigando un po’, ho visto che comunque esistono già rappresentazioni di lei che non si discostano molto da questa cosa, quindi ho deciso di unire tutti gli elementi. Spero vi sia piaciuta. 

Anche se il cattivo principale era Orochi, Izanami possiamo definirla una specie di “boss segreto”, che serviva per saziare la mia sete di creare qualche mostro gigantesco e brutto che però fosse confinato in un luogo dove non avrebbe potuto creare disastri per il mondo mortale. 

Infine, la parte finale. Beh… questa è davvero libera all’interpretazione. Io mi cucio la bocca. ZIP.

Grazie per aver letto, questo capitolo mi è piaciuto molto, volevo rendere Edward un protagonista unico, molto diverso da quelli delle saghe Riordiane, e credo di esserci riuscito. Naturalmente, spetta a voi trarre le vostre conclusioni.

Bene, ho detto tutto. Grazie ancora infinite, soprattutto a Farkas e Roland per le recensioni nello scorso capitolo, e alla prossima!

 

   
 
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