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Autore: Dama delle Comete    27/04/2021    0 recensioni
Dragon Trainer/Le 5 Leggende | Hiccup/Jack | Twilight!AU (sì, seriamente)
"Allora chiedimelo, e io risponderò sinceramente" dichiarò serio. Un tono che non ammetteva ulteriori indecisioni.
Hiccup dovette deglutire per sbrogliare il nodo alla gola che stava bloccando la fatidica domanda. Dopodiché sarebbe cambiato tutto, sentiva, nel bene e nel male.
"Siete vampiri."
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Astrid, Hiccup Horrendous Haddock III, Stoick
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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NB: Calmoniglio/Bunnymund qui viene chiamato Aster, dal suo nome dei romanzi. Dentolina è invece diventata Toothiana.
 


I

Slogatura / Esperimenti
 
 
La casa dell'ispettore Haddock era vecchia e scricchiolante.
Quando era piccolo, Hiccup si divertiva a correre su e giù per le scale, fingendo che i cigolii fossero versi di troll. Un gradino in particolare – il terzultimo – era più rumoroso degli altri, così aveva deciso che sotto il pannello di legno fosse nascosto il mostro più grande. Il re dei troll. Anche le tende del salotto nascondevano un segreto: quando venivano agitate dal vento, nelle umide sere d’estate, rivelavano la loro identità di spettri. Il frigorifero, invece, con quel colore beige smunto e la maniglia d’acciaio, era un robot alieno.
Ironicamente, l’unico oggetto della casa in grado di spaventarlo era uno dei suoi peluche. Gli era stato regalato dalla madre, e inizialmente non se ne staccava mai, ma dopo il divorzio aveva cominciato a terrorizzarlo. Il drago di pezza, che non era nemmeno realistico, improvvisamente gli procurava gli incubi. Il padre di Hiccup, stanco delle urla notturne, lo aveva allora chiuso in soffitta e gli aveva raccontato che era volato via. Certo, lui ci aveva creduto, finché non era salito nell’angusto spazio sotto il tetto per la prima volta, giocando all’esploratore. Dopodiché i suoi ricordi erano confusi, e non aveva idea di dove suo padre avesse nascosto il peluche.
Stoick aveva sempre fatto tutto il possibile per proteggere Hiccup, vista la sua abilità nel cacciarsi nei guai, ma non comprendeva le sue passioni. Diceva che aveva troppa immaginazione, e l’episodio del pupazzo era il suo esempio preferito. Non capiva perché non gli piacesse andare a pesca, o giocare con gli altri bambini. Più cresceva, più i due litigavano. Quando Hiccup si trasferì con sua madre, iniziate le superiori, sospettò di aver lasciato Stoick con il cuore spezzato, e il modo in cui lo riaccolse lo confermava.
Stava per iniziare il terzo anno di liceo, e Hiccup era stato spedito a Forks contro la sua volontà. Ultimamente Valka era molto impegnata col lavoro, tra manifestazioni e attivismo, e aveva avuto la splendida idea di scaricare il figlio dall'ex marito, così da potersi spostare per lo stato senza la zavorra. Non erano state le sue esatte parole, ma Hiccup le aveva interpretate così. ‘Levati dalle scatole’.
Dopo un lunghissimo litigio, il peggiore fino ad allora, aveva fatto le valigie e insistito per partire quell’estate stessa, senza aspettare fino a settembre. Se lei non lo voleva tra i piedi, tanto valeva togliersi di torno il prima possibile. Con una determinazione dettata dalla testardaggine, aveva sopportato il volo in aereo e il tragitto in macchina con suo padre senza fiatare, per quanto possibile.
“Eccoci. Non è cambiata granché, negli ultimi tre anni. Invece tu sei cresciuto davvero tanto” aveva borbottato Stoick mentre lo aiutava con i bagagli, una volta arrivati.
Hiccup lanciò un’occhiata cupa alla casa. Già. Nemmeno di una virgola. C’era pure la sua vecchia bicicletta, ancora appoggiata al grande albero del giardino. Se anche le persone erano rimaste le stesse, avrebbe avuto tutte le sue buone ragioni per essersi ribellato al trasferimento forzato.
“Be’, allora bentornato a casa” disse Stoick per nulla convincente. Hiccup aprì la porta con la chiave stampata di recente ed entrò circospetto. Uno gniiik si levò dal parquet scuro.
“Sì, grandioso.”
Questa non è più casa mia.
Sempre aiutato dal padre, portò le sue cose nella sua vecchia camera da letto. I due si guardarono per un attimo, senza sapere cosa dirsi, poi Stoick scese al piano di sotto. Hiccup analizzò in che situazione fosse la stanza, ma neanche quella aveva subito stravolgimenti. Credeva che Stoick ne avesse fatto un ufficio, invece era tutto come l’aveva lasciato.
Si affacciò alla finestra, da cui si potevano vedere un angolo di foresta e il profilo delle montagne, ma non lo aiutò a tranquillizzarsi come faceva una volta.
“Solo per un paio d'anni” disse ad alta voce. Se a sé stesso, o al destino, non ne era certo.

Il mattino del primo giorno di scuola si svegliò di pessimo umore. Fino a quel momento era riuscito a non deprimersi troppo, grazie ai libri e al vecchio portatile che aveva resuscitato da tre anni di inattività. Quello che aveva a casa era più veloce, ma la discussione con Valka glielo aveva fatto dimenticare là, quindi doveva accontentarsi. Non osava chiamarla, figuriamoci chiedere di spedirgli il computer.
L’umidità era alle stelle, se la sentiva fino alle ossa. Meccanicamente, si alzò e andò alla finestra, una vecchia abitudine che credeva di aver perso.
Pioveva. Ovviamente.
Rimase in bagno il meno possibile, per non procrastinare l’inevitabile, e recuperò una giacca a vento dall’armadio. In quel periodo dell’anno, a casa già metteva maglioni e cappotti pesanti. Rimuginando sull’ingiustizia della vita, rivolse a malapena la parola a Stoick, mentre facevano colazione, salvo qualche commento sarcastico. Se a lui dava fastidio, non lo diede a vedere. “Vai a piedi?”
Hiccup si bloccò alla porta con un piede già fuori.
“Sono solo dieci minuti, da qui.”
Stoick aggrottò le sopracciglia, svelando l’espressione preoccupata nascosta sotto la folta barba. “Sicuro? Guarda che sta piovendo.”
Era un tentativo di premura? Lo sforzo di non fare battute ormai era diventato fisico. “Lo so” disse Hiccup sollevando eloquentemente l’ombrello che stava per aprire. Non aveva la minima intenzione di farsi accompagnare dal padre, avrebbe solo attirato attenzioni indesiderate.
Prima che Stoick potesse obiettare, accennò un saluto e uscì sotto la pioggia. Fuori era ancora più umido, l’aria era praticamente liquida.
Si sistemò meglio lo zaino impermeabile nuovo di zecca sulle spalle – un acquisto di cui era sempre più contento – e prese la strada verso la scuola con il cuore appesantito. Il piccolo parcheggio della Forks High School era già pieno di auto e studenti, tra cui Hiccup si aggirò tenendo lo sguardo abbassato. Sperò di non incrociare facce conosciute.
L’edificio della segreteria era miracolosamente asciutto, ma puzzava di detergente sottomarca. Hiccup si fece dare l’orario nuovo e un’inutile piantina dall’impiegata, che ringraziò senza entusiasmo. Ah, perfetto, aveva ginnastica prima di pranzo: avrebbe avuto l’occasione di rendersi ridicolo; lui e l’attività fisica non andavano per niente d’accordo.
Mentre stava soppesando quante possibilità ci fossero che l’insegnante lo lasciasse in panchina, almeno per il primo giorno, qualcuno lo chiamò in mezzo all'atrio semipieno.
“Hiccup?”
Panico. Lo avevano finalmente riconosciuto. Era il suo timore peggiore, che uno dei suoi vecchi compagni delle medie si accorgesse di lui e ne approfitasse per bullizzarlo. No grazie, ne aveva avuto abbastanza per quattordici anni.
Se solo quel posto dimenticato da Dio non avesse avuto la popolosità di un quartiere… Nessuno si sarebbe preso la briga di tormentarlo.
Vane speranze. Nell’adorabile Forks si conoscevano tutti, una faccia nuova spiccava come un cactus tra le margherite.
“Ehilà.” Forza e coraggio.
Si voltò, e alzò le sopracciglia. Astrid Hofferson? Non lo aveva più degnato di uno sguardo, da quando aveva capito che Hiccup aveva una cotta esagerata per lei. Faceva ancora un po’ male.
“Allora è vero che sei tornato. Cavolo, sei diventato più alto di me” commentò Astrid. Anche lei era cresciuta, rispetto a qualche anno prima. Era ancora carina, ma non sortiva lo stesso effetto travolgente di una volta. Probabilmente era un bene. “Ti serve una mano?”
Non solo gli stava parlando, ma gli aveva appena offerto un aiuto. La cosa cominciava a essere sospetta.
Hiccup si guardò intorno con diffidenza. “Ti ha mandata qualcuno?”
“No. Ti ho visto e volevo salutarti, poi ho pensato di farti arrivare in classe in orario, senza perdere tempo a vagare per la scuola” rispose Astrid.
Era troppo. “Grazie, me la cavo da solo.”
Girò i tacchi e se la diede a gambe, arrossendo di vergogna. Evidentemente provava pena per lui, il povero ragazzino innamorato. Lo stava compatendo, ecco cosa stava facendo.
Scrutò per un momento la piantina, individuò la posizione della sua aula e percorse il corridoio a passo di marcia, rischiando di scivolare sulle impronte bagnate degli studenti. Raggiunse trionfante la sua destinazione, alla faccia di Astrid e della sua pietà.
Si era seduto a un banco libero e aveva abbandonato lo zaino a terra, quando la vide sulla soglia.
Merda. Ma dovevano avere entrambi inglese alla stessa ora? Stavolta lo ignorò davvero, e Hiccup poté tirare un momentaneo sospiro di sollievo. Almeno non avrebbero più avuto conversazioni imbarazzanti. La professoressa di inglese raggiunse la classe prima che Hiccup potesse guardarsi meglio intorno, in cerca di altre vecchie conoscenze, e introdusse il programma del terzo anno senza badare alla presenza del nuovo studente, ma si limitò a dare un anonimo benvenuto generale.
Non ingannò nessuno, purtroppo. Figuriamoci, in quella stanza si conoscevano tutti dall'asilo, chi altri poteva esserci di nuovo? Almeno Hiccup non fu costretto a presentarsi, e si sentì semplicemente qualche occhio puntato addosso.
L'argomento del giorno era l'Amleto, leggermente più avanti rispetto al programma che Hiccup aveva seguito a casa, cosa che non contribuì a farlo concentrare sulla lezione. Un po' prese appunti confusi, un po' si crogiolò nei suoi pensieri funesti. L'insegnante non era male, ma divagava troppo. Hiccup perse il filo del discorso dopo venti minuti.
Tutto sommato, fu un'ora tranquilla e il suo malumore migliorò appena. Stessa cosa per quella successiva. Il professore era troppo alto, per la piccola aula di francese, però faceva pessime battute e non se la prendeva se gli studenti sbagliavano le risposte.
Arrivato all'ora dopo senza incidenti, Hiccup aveva definitivamente abbassato la guardia. Sembrava troppo bello per essere vero. Quasi non era turbato all'idea di educazione fisica. Si cambiò con gli altri e varcò tranquillo la porta della palestra per la prima volta della sua vita.
Il sogno si spezzò di colpo.
Hiccup si trovava di fronte a Jorgenson, il suo incubo personale da quando aveva undici anni. Non lo aveva ancora notato, perciò fece del suo meglio per confondersi tra i suoi compagni.
Il migliore amico di suo padre, Skaracchio, era in piedi accanto a un cesto di palloni consunti. Aveva lo stesso modo brusco di sempre, sdentatura parziale e protesi comprese. Hiccup si era dimenticato che facesse il prof di ginnastica al liceo.
Strisciò lungo il muro, evitando gli altri. Doveva arrivare a lui senza sollevare un polverone, ma Skaracchio era a diversi metri di distanza, in fondo alla palestra.
Non mi notare adesso, non mi notare adesso…
"Ah, Hic! Ci sei anche tu!"
Venti teste si girarono contemporaneamente verso di lui, bloccandolo alla parete come un animale braccato.
"Vieni qui davanti, ti presento alla classe" esclamò Skaracchio, beatamente ignaro della disperazione dell'altro. Hiccup non poté fare altro, se non affiancarlo e lasciare che la sceneggiata iniziasse.
"Ragazzi, questo è il figlio dell'ispettore capo Haddock. Alcuni di voi lo conoscono già, ma forse non lo avete riconosciuto, nemmeno io ho creduto ai miei occhi, quando l'ho visto! L'ultima volta che l'ho incontrato mi arrivava al mento, vero?"
"Ah ah… già…"
Intanto che Skaracchio lo strattonava per un braccio e blaterava ogni aneddoto della sua infanzia, Hiccup vide con la coda dell'occhio gli sguardi dei presenti, tra cui spiccavano quello diabolico del suo vecchio compagno. Non prometteva nulla di buono.
"Ma basta con le chiacchiere" terminò Skaracchio. "Oggi cominciamo con la pallacanestro. Dividetevi in squadre e prendete una palla per gruppo." La mezz'ora seguente fu una serie di momenti da dimenticare. Hiccup sperava di cavarsela rimanendo a distanza di sicurezza, ma era finito in squadra con Jorgenson, che negli ultimi tre anni era diventato ancora più grosso e cattivo. Riuscì a indirizzargli diversi commenti di derisione, premurandosi di aggiungere qualche sgambetto.
Al terzo fallo Hiccup era a metà di un passo, in equilibrio precario, e cadde rovinosamente. Seguì una risata generale.
L'unico a non unirsi a loro era Skaracchio, che si avvicinò a Hiccup per assicurarsi che stesse bene e gli tese la mano vera. Peggio di così non poteva andare, quindi lui accettò l'aiuto. Mosse un piede per darsi la spinta a rialzarsi… E si rese conto di aver gridato quando notò di avere la bocca aperta. Non avrebbe mai, mai più accolto l'ora di ginnastica senza preoccupazioni. "Accidenti, dobbiamo portarti in infermeria. Tocca prenderti braccio." "No!" quasi urlò Hiccup, fuori di sé. Sul suo cadavere! Ci sarebbe andato sui gomiti, piuttosto.
Usò il braccio di Skaracchio per sollevarsi, tenendo il piede alzato. "Posso fare così."
Lasciarono gli altri studenti da soli, dopo mille raccomandazioni dell'insegnante. Saltellando su una gamba, appoggiato al professore, Hiccup riuscì ad arrivare in infermeria senza altre complicazioni.
"Gothi, abbiamo il primo paziente dell'anno, qui!" proclamò Skaracchio aprendo la porta dell'infermeria, un ambiente stretto e claustrofobico. Come tutto, in quella dannata scuola.
L'anziana ingobbita era la stessa delle medie, si accorse Hiccup. Doveva aver cambiato istituto, chissà perché.
Skaracchio lo tirò su da sotto le ascelle e lo depositò sul lettino, mentre l'infermiera si avvicinava.
"È caduto, non riesce a muovere il piede" spiegò l'uomo. La signora Gothi tastò con fare esperto la caviglia di Hiccup, che stava iniziando a gonfiarsi. "Ahia! Non lì!"
"È slogata?" chiese Skaracchio. La vecchietta annuì gravemente, e pescò una borsa del ghiaccio dall'armadietto nell'angolo. Il freddo fu un sollievo immediato.
Skaracchio si grattò la testa. "Ho paura che ti perderai il resto del primo giorno, Hic, devi stare a riposo. Chiamo tuo padre."
"No, no. Lo disturberai mentre lavora. Resto qui in infermeria, se non è un problema" disse Hiccup rapido. Dopo quel disastro, starsene da solo sulla brandina non pareva una prospettiva tanto brutta.
"Se Gothi è d'accordo…"
L'anziana annuì e sventolò una mano ossuta per cacciare via Skaracchio. "Ho capito, ho capito!"
Hiccup rimase seduto sul lettino, il ghiaccio premuto sulla caviglia, felice di essere isolato dal rumore di persone proveniente dall'esterno. Gothi sedeva alla scrivania tutta concentrata su un lavoro all'uncinetto, almeno fino all'ora di pranzo, quando bussarono.
"Come va?" chiese Astrid facendo capolino dietro la porta. Non c'era fine alla sfortuna.
"Una meraviglia." disse Hiccup.
Astrid ignorò la risposta sarcastica, andò a sedersi sull'angolo della branda, attenta a non toccare la sua gamba, e gli porse il suo zaino e un panino dalla mensa. "Skaracchio mi ha chiesto di portarti questi. Ha telefonato tuo padre…"
"Fantastico."
"...E gli ha detto di venire a prenderti quando può."
Gliene avrebbe dette quattro, a quel prof che non rispettava i patti. Poco importava se l'aveva fatto per il suo bene. "Grazie, e scusami per prima. Oggi non è giornata."
Era stata sinceramente gentile, inutile negarlo. Se ce l'avesse avuta con lui, avrebbe buttato il panino e la sua roba nel primo bidone a disposizione. "Scuse accettate."
Non erano mai stati così vicini. La treccia di Astrid gli sfiorava il braccio, tuttavia Hiccup non sentiva niente di particolare. La sua cotta era finita, a quanto pareva. Non se ne rattristò, anzi, era una liberazione.
"Se è degli altri che ti preoccupi, la tua ansia è inutile" disse Astrid improvvisamente. "Non sei l'unico nuovo arrivato."
Hiccup rimase di sasso. Aveva vissuto quelle ore in agonia per nulla?
"Quei due hanno attirato molta più attenzione di te, non essendo di queste parti" continuò la ragazza. Si sistemò la frangia e lo lasciò da solo con Gothi e il panino, abbandonandolo all'ennesima sorpresa.


*


Al loro passaggio, gruppi di uccelli scappavano ad ali spiegate, e gli abitanti della foresta non facevano diversamente. Avevano finito, quindi non c'era bisogno di andare piano per non spaventarli. E comunque sarebbero fuggiti sentendo il loro odore di predatori. Di sangue rappreso.
Jack si lasciò andare a una risata liberatoria, rallentando il passo.
"Stavolta ho vinto io!"
"Hai barato."
Saltò su una roccia coperta di muschio e alzò le mani. "Accetta la sconfitta con dignità, coda di cotone!"
Aster fece una smorfia; non era abituato a perdere nelle gare di velocità. Jack si beò della sua espressione.
"Non chiamarmi così, o ti lascio qui da solo a fare casino. Ti ho accompagnato perché me lo ha chiesto Nord, ma non ho intenzione di sopportare le tue battute."
"Che carino" disse Jack con tono traboccante di ironia. Scese agilmente dal masso e tornò al fianco di Aster con un balzo. "Torniamo a casa?"
Lui sbuffò, e si inoltrarono nella foresta umida di corsa. Era appena tornato il bel tempo, per quanto un timido sole dietro una spessa coltre di nuvole potesse definirsi tale, ma l'aria era ancora satura dell'odore di pioggia. Le scie degli animali stimolavano i sensi e l'erba bagnata era soffice sotto i piedi di Jack, come un manto verde intenso.
"Non capisco il senso della vostra pagliacciata" disse Aster mentre superavano un tronco caduto. Jack intuì subito a cosa si riferisse.
"Eddai, è andata bene. Dammi un mese e sarò praticamente invisibile."
In effetti, era indubbio che l'esperimento dell'altro giorno fosse stato un discreto successo. Per gioia e delizia di Nord, Jack aveva fatto il bravo e aveva tenuto un comportamento ineccepibile. Anche Toothiana lo aveva coperto di complimenti. L'unico contrario alla situazione era proprio Aster, che aveva storto il naso e sostenuto la loro pazzia. Sempre incoraggiante, lui.
Lo scopo di quella prova, secondo Nord, era di inserire Jack nella società umana nel miglior modo possibile, ovvero iscrivendolo a scuola. Dopo una caccia più abbondante del solito, gli aveva fatto mettere vestiti nuovi (comprese le scarpe, con sommo orrore di Jack) e gli aveva dato mille raccomandazioni e suggerimenti, per poi spedirlo alla Forks High School. Nel caso le cose si fossero messe male, era rimasto nei paraggi con l'orecchio teso, ma non era stato necessario. La nuova vita da liceale di Jack era quindi iniziata.
Quel giorno, lui e Aster erano usciti all'alba per un altro pasto, per sicurezza. Era meglio rimanere cauti, dopotutto.
"Tornando al discorso di prima" disse Jack dopo un po', "non ti sembra da ipocriti criticare l'idea di Nord, proprio tu che hai aperto una caffetteria?"
Aster gli lanciò uno sguardo di puro disprezzo. "Forse, ma io sono più anziano di te, e so benissimo controllarmi. Non sono irresponsabile come te."
"E Toothiana, allora? Perché a lei non dici niente?"
"Anche lei è disciplinata. E poi ha più esperienza."
Un salto di Jack particolarmente lungo spaventò un uccello, che volò via gracchiando. Lui si fermò di botto. Era vero, essere più giovane e inesperto lo metteva in svantaggio, ma il fatto che Aster non volesse riconoscere il suo impegno non gli andava giù. Perché doveva sempre essere così pessimista? A Jack piaceva stare con gli umani ed era contento di poter finalmente mescolarsi a loro, perché non poteva essere felice per lui e basta?
Continuarono a correre verso casa senza dirsi altro, chiudendo lì la discussione, ma Jack ne era rimasto più turbato di quanto volesse ammettere. Quella sera, vagando senza meta per la casa, incrociò Toothiana, che stava uscendo a fare compere.
"Cos'è quel muso lungo, Jack? Hai litigato di nuovo con Aster?" gli chiese sistemandosi i capelli scuri.
Lui evitò acrobaticamente la domanda. "Nord è nel suo studio?"
"Sì, sta lavorando al progetto nuovo."
Jack fece un passo indietro. "Allora non lo disturbo."
"Aspetta" lo fermò lei. "Cosa volevi dirgli?"
"Di ritirarmi da scuola, così basterà a far smettere ad Aster di trattarmi da poppante, spero" si sfogò Jack, cogliendo Toothiana di sorpresa. Bastava un altro commento, e sarebbe impazzito.
"Ma a te piace andarci, e sei stato così bravo, fino ad adesso! Lo sai com'è fatto Aster, si preoccupa per gli altri" disse Toothiana con un sospiro. Lei era stata la prima ad approvare l'esperimento e aveva sostenuto Jack in tutti i modi.
Lui abbassò lo sguardo, ancora fumante di rabbia. Forse aveva ragione, non doveva farsi scoraggiare tanto facilmente.
"Senti, ho un'idea" esclamò Toothiana d'un tratto, colta da improvviso entusiasmo. "Magari Aster deve rendersi conto dei tuoi progressi osservandoli di persona! È troppo grande per le superiori, ma se gli chiedi di aiutarlo al caffè vedrà i tuoi sforzi!"
Jack aveva diversi dubbi. "Non so se mi va di chiederglielo. Mi pare una rottura."
Toothiana gli agitò l'indice sotto al naso assumendo un tono autoritario. "Questo, o le discussioni per l'eternità. La scelta è tua."
Con rassegnazione e giusto un pizzico di speranza, Jack annuì. "Allora vada per la rottura."

Il Nido era conosciuto per due cose, a Forks.
Primo, la qualità eccellente delle miscele servite: una splendida varietà di aromi e intensità che spaziavano dal terroso allo speziato, vincitrici di svariati premi della contea. Non troppo prestigiosi, s'intende.
Secondo: il suo proprietario. Giovane, un po' scontroso ma in gamba, aveva conquistato la città in poco tempo, dopo l'apertura. Lavorava sodo e non amava raccontare di sé, ma era apprezzato anche per questo. Affascinava le signore e scherzava con gli uomini con maestria.
Anche il locale saltava subito all'occhio, con i vetri colorati delle finestre e l'insegna adornata da un coniglio, però era all'interno che dava il meglio. Un trionfo di colori primaverili, diversi da quelli freddi e monotoni della zona, ricopriva ogni angolo, tra tende, piante fiorite e soprammobili. Un balsamo per gli occhi e il palato.
Tuttavia, la gente di Forks era stata abbindolata e non conosceva la verità. Non sapevano che il talento di Aster era frutto di oltre un secolo di esperienza e fallimenti, o che l'insegna era degli anni ottanta del diciannovesimo secolo. Le piantine erano finte, altrimenti non sarebbero mai sopravvissute all'umidità, e non capivano quanto fossero brutte quelle cianfrusaglie sul bancone che Aster chiamava 'soprammobili'. Per non parlare della vera natura del proprietario. Se avessero aperto gli occhi e avessero avuto idea di quale miniera di orrori fosse sorta nella loro città, se ne sarebbero tutti scappati urlando.
Macché, gli ignari cittadini erano ben felici di passare il tempo al locale, spesso in compagnia di portatili e libri, oppure di organizzare serate di ricamo e poesia. Roba da matti.
Jack aveva iniziato a lavorare al Nido solo da qualche giorno, durante il turno serale, ma doveva affrontare già diversi problemi. Non se la cavava molto bene col caffè, non avendo il gusto allenato di Aster, come lui non mancava mai l'occasione di ricordargli, e doveva limitarsi a fare il cameriere. Pur riuscendogli alla grande, Aster continuava a rimproverarlo ad alta voce al minimo errore, per divertimento dei clienti. Almeno non aveva più niente da dire sulla scuola, un prova che Jack stava superando con ottimi risultati. Non era il ragazzo più popolare e non aveva amici, certo, ma far parte della società umana era un lusso delicato, che richiedeva basso profilo.
Poteva andargli peggio.
"Fanno molto meno caso a noi rispetto al primo giorno, hai notato?" disse Jack il venerdì che concludeva la prima settimana di scuola. Toothiana, che stava andando con lui a spagnolo, imitò il suo sorriso. Quando camminavano era lei a dettare il passo, per dare modo a Jack di abituarsi alla velocità giusta.
"Vero. Il nostro arrivo è riuscito a distrarli solo per poco. Adesso sono impegnati a spettegolare sull'altro ragazzo nuovo."
"Di chi stai parlando?" Quella era una novità di cui Jack non aveva sentito parlare.
"Giusto, credo che lunedì fossi troppo preso dal gestire questo ambiente nuovo, per accorgertene" meditò Toothiana. "Non siamo gli unici volti nuovi di quest'anno, a quanto pare anche il figlio dell'ispettore capo si è appena trasferito."
Jack ci pensò su. "Non mi pare di averlo visto in giro, me ne sarei accorto." "Infatti è a casa. Ha avuto un incidente, o qualcosa del genere. Dicono che tornerà la settimana prossima" rispose lei.
Jack stava per chiedere come si chiamasse, ma sentì un rumore di passi che accelerava per avvicinarsi a loro. Troppo. Si girò verso la fonte, un ragazzo basso e muscoloso, e sfoggiò la sua migliore espressione rilassata. "Serve qualcosa?"
Il tipo era accompagnato da un ragazzo e una ragazza che si somigliavano molto, probabilmente gemelli. Non aveva una faccia amichevole.
"Mi sembri un po' troppo spavaldo, per essere l'ultimo arrivato" disse bellicoso facendo ciondolare le braccia. Gli altri due si diedero una gomitata e rimasero a distanza.
Volevano vedere uno spettacolo, eh? Jack avrebbe voluto fargli capire con chi avevano a che fare, ma si trattenne davanti all'occhiata di avvertimento di Toothiana e fece dietrofront. "Non hai qualcun altro da tormentare, piccoletto?"
L'altro schioccò la lingua, evidentemente irritato dalla sua reazione. Che idiota, pensò Jack. Se avesse anche solo sospettato di essersela presa con la persona più sbagliata della scuola… Però doveva riconoscere che avesse fegato, per non essersi scoraggiato davanti alla loro aura intimidatoria. Solitamente, gli umani percepivano il pericolo per istinto, e rimanevano alla larga.
"Bravo, corri dalla cuginetta pazza" gli gridò dietro l'umano.
Jack si voltò di colpo. Quel tipo aveva passato il limite.
Violando ogni promessa fatta, si avvicinò a passi misurati al tipo e abbandonò il sorriso. Fissò dritto negli occhi l'umano, che perse la faccia strafottente e impallidì appena. Jack vide la sua stessa espressione glaciale riflessa sulle sue iridi azzurre.
Una visione distolse la sua attenzione dal ragazzo, destabilizzandolo: Nord che gli ripeteva di stare attento, come faceva ogni mattina per rito. Jack scosse impercettibilmente la testa per farla svanire. Quello era il modo preferito di Toothiana per rimproverarlo. Uffa.
L'umano arretrò verso i suoi amici, inciampando nei suoi passi. "Ma che problemi ha? Andiamocene."
Jack osservò con soddisfazione il trio darsi alla fuga seguito dalla curiosità degli altri studenti nel corridoio, ma avvertiva lo sguardo deluso di Toothiana su di sé.
"Non dovevi farlo. È stato imprudente."
"Così impara. Tranquilla, adesso ci lasceranno in pace."
Toothiana non rise con lui. "Che cosa direbbe Nord? E Sandy?"
"Vuoi andare a dirglielo? Prego" sbuffò Jack. E addio buonumore. "Oh, no, ho guardato male un deficiente! Cosa faremo adesso?"
Lei aveva l'aria di star per rispondere a tono, ma una voce li interruppe bruscamente.
"Ehi, voi due nuovi."
Una ragazza bionda li stava approcciando tenendosi leggermente a distanza. Almeno su di lei faceva effetto. "Grazie per aver dato una lezione a Moccicoso, ne aveva bisogno."
Pareva che Jack avesse appena reso un servizio alla comunità. Bene. "Moccichi?"
"Jorgenson" chiarì la sconosciuta. Aveva anche lei gli occhi azzurro chiaro. "È sempre stato uno scemo, ma ultimamente sta dando il peggio di sé."
"Lieto di essere stato d'aiuto, allora" disse Jack con un cenno distratto. Mancavano quaranta secondi alla campanella.
"Davvero, non so cosa gli sia preso. Ha anche mandato Hiccup in infermeria, lunedì" aggiunse la ragazza.
Oh, un momento. Corrispondeva a quanto gli aveva raccontato Toothiana. "Il tizio nuovo?"
La ragazza annuì corrucciata. "Si sta riprendendo, per fortuna."
"Che bella notizia!" tagliò corto Toothiana prendendo Jack per un gomito. Doveva essersi accorta dell'orario. "Ci vediamo…"
"Astrid."
"Chiamaci, se vi dovesse ancora dare fastidio Mocciolone!" disse Jack mentre seguiva Toothiana in classe. Intravide l'espressione divertita di Astrid prima che sparissero dietro l'angolo.
Si sederono sui loro soliti posti vicino al muro, appena in tempo. L'insegnante di spagnolo riempì presto l'aula con la sua parlantina soporifera, permettendo a Jack di sussurrare a volume inumano.
"Tanto per precisare, il tuo giochetto ha rischiato di farmi perdere la concentrazione, prima" mormorò a Toothiana, che non smise di scrivere sul suo quaderno.
"Lo faccio per te, Jack. Stavi per rovinare il tuo duro lavoro. Per niente, poi!" La sua espressione era neutra, ma il tono tradiva preoccupazione.
Con lui era stata premurosa fin dal principio. Il periodo seguente la trasformazione era stato duro, tra la sete e la frustrazione, ma lei lo aveva reso più facile. Lo difendeva da Aster e appoggiava le idee di Jack nonostante fossero spesso irruente, dettate dall'impeto della giovinezza. Non che lei fosse molto più vecchia, comunque. Erano simili, per età, però Toothiana era d'indole gentile e materna. Ecco, era quasi una mamma. Jack le era eternamente grato.
"Va bene. Scusa. Non lo farò più" la accontentò allora. Gli angoli della bocca di lei si piegarono all'insù.
L'insegnante aveva rivolto una domanda a un ragazzo che tentò di prendere tempo, in disperata ricerca della risposta. Poi, dopo un minuscolo cenno di Toothiana, un movimento millimetrico degli occhi, diede la soluzione giusta. Jack trattenne una risata. Nemmeno lei sapeva contenersi.
"Bene, vediamola così" bisbigliò Toothiana a fine dell'ora, dopo una lunga riflessione. "Hai messo in riga un bulletto, conta quasi come un atto di solidarietà. Nord non ha bisogno dei dettagli."
Stavolta Jack non si impedì di sorridere. "È bello poter contare su di te, cugina."



Note
Ho iniziato questa storia a ottobre, quando mi sono accorta che Hiccup canonicamente condivide molto con Bella, e Jack poteva essere paragonato a Edward, da qui l'idea. Purtroppo sono successe diverse cose, tra cui un blocco creativo, ed è rimasta in sospeso per un po'. L'ho terminata di recente, infatti.
Non sono sicura che vada bene pubblicarla sotto la categoria The Big Four anche se Merida e Rapunzel non sono presenti, mi sembrava sensato, dato che comunque sono una grossa fetta del crossover e le regole sono abbastanza confuse. Ho preso in esempio alcune fic che hanno seguito la stessa logica. [Edit 28/8/21: la categoria è stata cambiata in Dragon Trainer x Le 5 leggende]
Capisco che l'AU è decisamente meno popolare dell'Hogwarts!AU, ma non ho resistito. Spero che piaccia comunque.
Pubblicherò il più spesso possibile, dato che è completa.



  
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