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Autore: Atenah    28/04/2021    0 recensioni
[Un'alternativa inufficiale al 22esimo volume di Sherlock, Lupin e io, ambientato dopo "Grande inganno al Royal Hotel".]
Il mondo sta cambiando, il tempo passa, la storia continua e decisioni vanno prese. Non c'è nessuno che questo lo sappia meglio di Mycroft Holmes e così egli assegna agli abitanti di Briony Lodge un'ultima missione che andrà a congiun gere passato con futuro.
Genere: Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Irene Adler, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando il sole dell’alba arrivò finalmente ad accarezzare con i suoi primi raggi le tende della mia stanza ero in realtà già sveglia da ore. Avevo passato la notte a girarmi e rigirarmi sul cuscino e quando riuscivo a chiudere gli occhi per un po’ nella mia mente iniziava una viziosa giostrina di pensieri che mi portavano da Briony Lodge alla Danimarca, alla camera di Mycroft a Pall Mall, all’America della mia infanzia e poi perfino a lontanissime estati a Gatchina. 

La notte era risultata ben più faticosa del giorno precedente e così quando posai i miei piedi per terra, mentre mi stropicciavo gli occhi seduta sul mio letto, non mi sentii affatto riposata, ma se possibile ancora più stanca della sera prima e così invidiai il sonno leggero ma facile di Irene che riusciva a dormire anche nelle più tense delle situazioni.

Mi alzai in piedi e mi diressi verso lo specchio stiracchiandomi, avevo i capelli arruffati e un’espressione stanca dipinta sul viso. Con un sospiro rassegnato tirai fuori dal mio armadio un abito color pervinca che mi stava ancora e poi tornai a sedermi alla mia vanità per spazzolarmi i capelli e poi accorciarli come meglio potevo, stringendo più volte gli occhi quando passavo le dita tra un nodo. Come al solito non fui molto contenta del risultato, ma ero troppo assonnata per ritentare e così mi dissi che l’unico modo per svegliarmi era una bella tazza di the nero e qualche biscotto al burro.    

Quando scesi le scale la casa era ancora quieta di sonno e l'unico che incontrai in sala da pranzo fu Sherlock. Era avvolto nella sua famosa vestaglia bordeaux che anche il dottor Watson aveva descritto nei suoi racconti, ed era in piedi fisso come una statua davanti alla finestra, mentre sorseggiare il suo solito the nero senza latte né zucchero.

Quando entrai nella stanza egli non disse nulla e si limitò a cercarmi una tazza di the e fui sorpresa dal fatto che sapesse esattamente quanto latte ero solita ad aggiungerci, un altro di quei dettagli che solo lui coglieva.

Mi sedetti a tavola ed allungai la mano per prendere un biscotto. Irene aveva comprato una scatola di shortbreat al Ritz proveniente direttamente dalla Scozia e quando fui invasa dal dolce sapore di quei deliziosi dolcetti, mi sentii subito un po' più energica. Inoltre provavo un particolare tipo di adrenalina. Mi succedeva ogni volta che c'era un caso, un enigma o un problema da risolvere, in fondo non vedevo l'ora di mettermi alla ricerca di indizi e persone scomparse, il fatto che si trattasse di una parente di Sherlock, che era ormai un mio "zio" adottivo, mi rendeva solo ancora più intricata.

Riportai il mio sguardo sul profilo spigoloso dell'alto detective e capii che non dovevo essere stata l'unica ad aver dormito male. Era sempre difficile immaginarsi Holmes in preda di qualche emozione, eppure sapevo che era in grado di provarne, come tutti in fondo. Sapevo da Irene e dal comportamento che avevo osservato tra i due fratelli Holmes, che la famiglia era un argomento difficile per lui e mi potei ben immaginare il fastidio e il disagio che provasse ed trovarsi improvvisamente con una sorella perduta, un fratello moribondo e in più una misteriosa nipote sparita nel nulla.

Decisi di lasciare Holmes ai suoi pensieri. Così non sapendo esattamente cosa fare, mi diressi verso la cucina per preparare un caffè per Lupin, dato che lo beveva tutte le mattine.

Ovviamente in cucina vi era già Mary,  sembrava più sveglia e fresca che mai ed in quel momento la invidiai davvero. Negli ultimi tempi riuscivo a capire un po' meglio il suo inglese dal forte accento irlandese, purtroppo però ella non ne volle sapere di farmi preparare un caffè e neanche il fatto che riuscissi a comprendere quasi tutto quello che mi diceva mi aiutò.

La nostra ottima cuoca aveva un'idea ben precisa di come dovesse comportarsi una signorina per bene, ed anche se quegli ideali appartenevano in realtà più al secolo precedente, non ci fu modo di convincerla.

Il mio salvatore, non per la prima volta, arrivò sotto forma di maggiordomo, precisamente come Billy Gutsby dai magnifici occhi azzurri e un sorriso sulle labbra. Scambiò qualche incomprensibile parola in dialetto con Mary e così ebbi improvvisamente il permesso di preparare il caffè.

Il nostro tuttofare mi aiutò e quando la cuoca si allontanò un attimo per cercare qualcosa nel cassetto di un mobiletto, mi sporsi verso Billy e gli sussurrai nell'orecchio: "Ma che cosa le hai detto per farle cambiare idea così in fretta?". Il suo sorriso si allargò: "Che ti avrei insegnato a preparare un caffè cosicché quando sarai sposata sarai una brava moglie rispettabile.", disse con espressione buffa. Io ovviamente arrossì, ma trovai la cosa comunque divertente e mi morsi la lingua per non iniziare a ridere.

Ad ogni modo Lupin apprezzò molto il caffè quando scese insieme ad Irene per fare colazione e il suo animo allegro mi fece scivolare di dosso anche gli ultimi bricioli di stanchezza.

Poco dopo l'intera banda di Briony Lodge era pronta per iniziare le indagini e così ci incamminammo di buon passo verso la Royal Academy of Music. C'era ancora lo stesso vento freddo e umido del giorno precedente che sembrava rubare agli alberi anche le ultime foglie. Il cielo londinese era di un grigio plumbeo anche se per il momento non pioveva e per un attimo rimpiansi il clima più mite di New York.

L'accademia non era lontana, era sempre nel quartiere di Marylebone, così nel giro di un quarto d'ora passammo Baker Street e poco più tardi ci fermammo davanti ad un grande edificio in mattonelle di terracotta e pietra bianca con ampie finestre decorate. Emetteva un'atmosfera di élite e classe en mi sentii quasi intimorita ad entrarvi. 

Ci trovammo in una grande sala con colonne ispirate ad un antico tempio greco illuminata da alcuni lampadari sfarzosi. Si respirava un'aria di talento, passione e serietà e dall'ampia scalinata che portava al piano superiore si potevano udire melodie soffuse di vari strumenti ed anche qualche dolce canto.

Una signora dell'espressione severa, accentuata da un impeccabile chignon e un paio di occhialetti sulla punta del naso, ci venne incontro e chiese come poter aiutarci. 

Sherlock di solito evitava di farsi riconoscere, ma in alcune occasioni come quella, il suo nome apriva porte come un grimaldello delle serrature. "Buon giorno signora, il mio nome è Sherlock Holmes e...", si volse verso mia madre per posare una mano sulla schiena e spingerla leggermente avanti: "Questa è la signora Irene Adler, una mia cara amica.", disse calcando sul "cara amica".

Il viso della signora non si fece più simpatico, ma le sue spalle si rilassarono un po': "Ah, signora Adler, è un piacere rivederla dopo così tanti anni. Conserviamo tutti un ottimo ricordo del periodo nel quale ha collaborato con noi. Come posso esserle utile?".

Irene usò tutto il suo fascino e la sua abilità di rendersi affabile e rispose in tono zuccherino: "Oh, è stata un'esperienza davvero meravigliosa di non mi scorderò mai!", disse quasi sognante per poi simulare di tornare improvvisamente alla realtà: "Sarebbe splendido se potessimo parlare con il preside Mackenzie. Immagino che sia ancora lui a ricoprire il ruolo?". La signora annuì ormai convinta e ci fece strada: "Sì, signora Adler, il nostro magnifico preside ci fa ancora l'onore di occuparsi dell'accademia.".

Fummo lasciati davanti ad una porta di legno scuro con una targhetta d'oro che diceva Sir Alexander Campbell Mackenzie, preside, Irene bussò.

 
   
 
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