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Autore: Wolstenholme    29/04/2021    1 recensioni
[Thalexios/OC] [Assassin's Creed Odyssey]
«Scusa, non volevo svegliarti.» rispose il misthios voltandosi appena, per poi tornare alla precedente posizione.
«Non stavo dormendo bene, ma non è colpa tua. Sei praticamente immobile.» mormorò, prendendo posto al suo fianco. «L'Adrestia è esattamente come la ricordavo, equipaggio a parte.»
«Il mare ha questo potere e Poseidone sembra clemente questa notte, arriveremo molto prima a destinazione.»
«Allora il mare non fa abbastanza per te.»
«Mi aiuta. Rifletto meglio, tra le onde.»
«Pensi ancora a lui?» domandò Rieleen a bruciapelo, lo sguardo fisso all'orizzonte.
Alexios sospirò in risposta prima di ribattere, il suo tono di voce più duro di prima.
«Penso che questo sarà un buon giorno per Sparta, di nuovo.»
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Through the Storm

 II. chapter one



Isola di Mykonos, 429 a.C.


Scelta saggia avrebbe preso Zeus se avesse deciso di fulminarlo appena messo piede a Mykonos. Con ancora più accurata precisione, non appena aveva dato ordine al suo equipaggio di assassine specializzate nell'arte della furtività di ormeggiare l'Adrestia e riposare per qualche ora, prima di controllare e sistemare l'imbarcazione per qualsiasi evenienza; Alexios era appena approdato sulla grande Isola d'Argento e, svelto come un leone sulle montagne della Macedonia, avvertiva già i primi segnali di disagio e pentimento.

Inoltre, la missione in questione, gli avrebbe sottratto tempo prezioso alla complessa ricerca della sua famiglia. Parte di essa, almeno. Myrrine era al sicuro in un piccolo villaggio ai margini della Beozia, mentre Nicolao - il grande Lupo di Sparta -, probabilmente vagava ancora senza una meta, dichiarato oramai morto dalla sua patria.

Il suo compito era tutt'altro che giunto al termine, anzi, Alexios aveva così tante cose da fare, così tanti chilometri da percorrere, così tanti cacciatori di taglie da sconfiggere che una pausa, per quanto breve, non era affatto contemplata.

In più, mettere piede a Sparta era una follia e non ne era affatto entusiasta. Sapeva, tuttavia, quanto la Fenice di Nasso desiderasse fare ritorno alla loro piccola e modesta casa in periferia, teatro dei ricordi più belli e brutti della sua vita.

Desiderio ancora astratto, considerando che prima avrebbero dovuto convincere i due Re a concedergli la cittadinanza, di nuovo.

Ma almeno l'aveva trovata. Viva, come una vera guerriera era sopravvissuta nonostante il dolore e la perdita della famiglia, nonostante il tradimento e la cieca devozione alle implacabili leggi spartane.

La sabbia bianca e fine era tiepida, infiltrata tra le dita nei suoi sandali consumati. Una sensazione familiare quanto scomoda allo stesso tempo.

La temperatura era più mite lì ed era grado di scaldare Alexios fin dentro le ossa, soprattutto dopo quegli ultimi lunghi giorni trascorsi in balia delle intemperie. Il profumo dei fiori era quasi invadente, più di quanto ricordasse. Mykonos era un'isola meravigliosa, non c'erano dubbi, così come lo era la vicina Delo. Lì, ogni vita sembrava in pace ora, dai contadini ai pescatori sulle rive, dagli animali selvatici comuni in quel luogo paradisiaco ai floridi mercati e le feste serali al chiaro di luna; era difficile credere che gli abitanti e i nativi avessero ancora bisogno dell'aiuto di un mercenario e, possibilmente, anche dell'esercito.

Sulla spiaggia e sulla fresca erba a margine regnavano alcuni petali di rosa. In verità, sapeva quanto la gente del posto li amasse. Ogni cosa a Mykonos era ricoperto da fiori, petali inebrianti e alberi rigogliosi. Quelle terre non avevano nulla a che vedere con la moltitudine di altri luoghi dove aveva soggiornato negli ultimi anni.

E, per questo, detestava trovarsi lì; per quanto fosse un luogo incantevole alla vista, avrebbe preferito camminare sulle spine aguzze dei cactus di Pefka.

Avrebbero causato meno dolore. 

Forse, nulla era cambiato sul serio.


Scosse la testa per scacciare quel flebile pensiero dalla mente - non era arrivato fin lì per lasciarsi guidare dalle emozioni, era un misthios per gli dèi -, e cercò con lo sguardo Rieleen, trovandola intenta a discutere con un membro dell'equipaggio mentre affilava la sua spada dall'impugnatura ricamata.

«Possiamo evitare di battere la fiacca?» 

«Alexios Ombra dell'Aquila, dovresti farmi fare davvero un tour di questa splendida isola. Forse potresti scalare il costo della gita dalle dracme che mi spettano.» rispose la giovane con un'ironia sprezzante, prima di alzarsi e atterrare sul suolo polveroso con un agile balzo, l'arma ora riposta nel fodero allacciato al fianco sinistro, assieme all'arco e alla faretra posizionata sulla schiena.

«Oh, ti prego.»

«Con più precisione, cosa dobbiamo fare?»

«Da quello che c'è scritto sul contratto, sembra che i pirati abbiano iniziato ad affondare alcune navi locali adibite ai rifornimenti, avvicinandosi sempre più alle coste.» 

Rieleen spostò lo sguardo sulla vasta distesa blu oltre l'Adrestia. «Non sembrano essere un grosso problema, né per loro né per noi.» 

«No, ma… Cira pensa possa essere opera di Cosmos o, forse, dei seguaci di Ares, chi lo sa.»

«Be', ma Podarce è morto. Abbiamo dato fuoco al suo corpo un anno fa.»

«Podarce era solamente uno dei tanti, Ri.»

«Va bene. Dove andiamo, allora?»

«Da Cira. Ora vive nel palazzo che, una volta, apparteneva a suo padre.»

«Pensavo vivesse in una grotta, da vera ribelle.»

«È passato molto tempo, immagino.» mormorò pensieroso Alexios. «Non perdiamo altro tempo, vorrei restare su quest'isola il meno possibile.»

«Siamo d'accordo su qualcosa, allora. Andiamo.»


Rieleen conosceva la via per la vecchia casa di Podarce, anche se avrebbe preferito esserne estranea.

Ora era consapevole che giurare di non tornare più in un luogo non significava nulla. Il destino evidentemente giocava a scombussolare ogni suo piano, ogni qualvolta ritrovava la serenità.

Che fosse apparente o meno, poco le importava.

Vagare qua là per il mondo era la sua vita, l'aveva accettato ed era perfino diventata una necessità per fuggire, ma se era certa di qualcosa era proprio che alcuni luoghi, alcune póleis, erano vietate.

Le poneva dei limiti, anche in termini economici e di agio, ma preferiva di gran lunga riposare sul pavimento di una squallida baracca e mangiare pesce cucinato alla bell'e meglio che sottomettersi alla dracme facili di città come Atene.

Eppure, ciò non si era rivelato corretto; gli dèi sicuramente ne erano divertiti.

Per quanto procedesse lentamente e senza la minima voglia di rivedere la faccia tirata di Cira, arrivarono a destinazione in meno di mezz'ora.

Senza ombra di dubbio, la nuova leader s'era data da fare e, in un anno, aveva fatto ristrutturare buona parte dei punti d'interesse dell'isola, rimasti vittime della guerra.

Ora, ogni traccia del passaggio degli ateniesi sembrava insabbiata.


Icaro volava nei dintorni dell'immensa villa. Era un'abitudine ormai consolidata da molti anni quella di avvertire Alexios di eventuali pericoli nei paraggi.

Fin da quando era bambino, Icaro era stato al suo fianco. Non ricordava esattamente il momento in cui quell'aquila aveva iniziato a seguirlo - sicuramente dopo gli eventi di Sparta -, ma era sempre stata una presenza utile. 

All'inizio, semplicemente come vedetta e poi come qualcosa più simile a un vero amico, in effetti l'unico amico.

Lo stridore dell'aquila sopra le loro teste riportò Alexios alla realtà, constatando che la via era libera. Infatti, all'ingresso, vi era un solitario nerboruto tipicamente spartano di guardia.

Non trovava saggia la presenza di una sola persona, ma senz'altro era vero che nessuno sano di mente avrebbe dato il via a una strage entrando comodamente dall'entrata più in vista, sicché aveva un senso; ragionevolmente non era l'unico soldato nel complesso, ma era certo non avrebbero ostacolato il loro passaggio; in verità, nessuno di loro ne sarebbe stato in grado, pur volendo.


«Bussiamo alla loro porta o facciamo ciò che ci viene meglio fare?» domandò Rieleen, spostando lo sguardo furbo su Alexios. 

«Se ce ne sarà occasione. Mi sono arrampicato su questi muri e finestre già una volta.» rispose, dirigendosi a passo spedito verso il soldato che non tardò a reagire.

«Chi sareste, voi due? Allontanatevi e nessuno si farà male.» borbottò, estraendo per precauzione la sua spada corta.

«Chi saresti tu, non noi. Facci passare, adesso.» Rieleen era sulla difensiva, teneva ora la mano sul fodero per qualsiasi evenienza. 

«Ragazzina, chi è che ha il coraggio di minacciare uno spartano?»

«Questa non è Sparta.» ribatté seccata a un passo di distanza dall'altro.

«Le sue leggi sono valide ovunque, viandante. Ti esorto a rispettarle un'ultima volta.»

«Maláka. Ti sembro una viandante, eh?» continuò, alzando il tono di voce.

«Calma, calma. Dobbiamo solo incontrare Cira.» intervenì Alexios, estraendo il contratto inviato dalla leader a mo' di prova. «Ecco.»

La guardia sbuffò, sistemando nuovamente l'arma per leggere ogni singola parola del foglio di pergamena arrotolato. «La prudenza non è mai troppa di questi tempi, misthios. Seguitemi, in silenzio. Non voglio problemi.»

Rieleen alzò gli occhi al cielo. Quella missione si stava rivelando un grattacapo.

E ciò non era altro che l'inizio, pensò.


~


«Alexios, Rieleen. È un piacere rivedervi.» pronunciò Cira, invitando le sue guardie personali a lasciare la stanza. «Così tanto tempo è passato, sembra che mio padre sia morto da una vita.»

Ottima considerazione.

«Non staremo a Mykonos per molto.» mormorò Rieleen incrociando le braccia al petto, riempiendo l'aria del tintinnio delle punte acuminate delle frecce dentro la faretra ancora allacciata sulla schiena.

«Oh, certo. Potremmo parlare dei nuovi problemi di queste isole questa sera, a cena» propose la leader dei ribelli. «Che ne dite?»

Rieleen osservò Alexios. La sua espressione era seria, imperturbabile, ma sapeva quanto la sua fosse esclusivamente una dura facciata costruita ad arte durante gli anni bui della sua sofferenza.

«In realtà, abbiamo prenotato una stanza giù al porto per poche dracme. Staremo lì.» mentì lei, senza preoccuparsi di mostrarsi convincente; non le doveva nulla.

«Del buon vino non si rifiuta mai, ragazzi miei.» insistette. «Almeno, in onore dei bei vecchi tempi. Ci sarà anche Erodiano. Scommetto che a Barnaba farebbe piacere allietarlo con qualche sua storia da marinaio.»

Alexios sbuffò, prima di replicare. «Ci penseremo, va bene?»

«Stasera, in questa casa. Le guardie non vi daranno problemi.» continuò, avvicinandosi con passo lento e calcolato a lui. «E… Alexios?» 

Rieleen le lanciò uno sguardo sospettoso e aggrottò la fronte. 

Non era cambiata affatto. Non capiva proprio come Alexios avesse potuto accettare l'incarico.

Certo, era un misthios da praticamente tutta la sua vita, fin dai tempi di Cefalonia e di Marco.

Riflettendoci, per quanto l'uomo fosse discutibile, aveva allevato Alexios fin all'età adulta. Obiettivo in cui entrambi i genitori avevano fallito con risultati catastrofici. E, certo, un misthios che si rispetti non recide le promesse, non decide di scappare prima di aver concluso il suo lavoro e aver intascato un bel po' di dracme dorate, però... «Ci sarà anche lui, ma non dire che te l'ho confessato.»


Se qualcuno avesse chiesto ad Alexios di identificare il momento in cui la sua anima aveva fatto crack, avrebbe indicato esattamente quell'istante. Se non fosse stato impossibile, avrebbe giurato addirittura di percepirlo chiaramente nel suo petto.

Sentì un calore fastidioso raggiungere le sue guance decorate da un sottile strato di barba, il battito cardiaco accelerato e un nodo che non avrebbe ingoiato facilmente alla gola.

«Andiamocene.» sbottò Rieleen, rubandolo dal suo avido torpore, afferrandogli il polso con le dita esili e trascinandolo fuori, seguita dalla voce contrariata di Cira in sottofondo.

Era furiosa. «Non ci posso credere, lo sapeva! Malàka

Alexios non emetteva un fiato, era assente mentre la ragazza al suo fianco procedeva a tirarlo di nuovo verso il porto a passo spedito, verso l'Adrestia, verso casa. «Con che faccia tosta!» continuò, l'animo infuocato come quello del suo arco di Ade.

«Proprio lei che è stata parte del problema!» disse, ancora. «Ce ne andiamo, ora.»

Fu in quel frangente che Alexios si fermò, facendo sbilanciare la giovane. «Che c'è?»

«Non mi tiro indietro, lo sai. Ho accettato questo incarico e lo porterò a termine.» dichiarò con voce fredda e distaccata. Lo conosceva così bene.

«Alexios…» 

«Non preoccuparti Rieleen, non andremo alla sua festa.»

«Oh, grazie agli dèi. Mi hanno ascoltato una volta tanto.» esalò, sbuffando alla testardaggine del mercenario.

«In ogni caso, finiremo il nostro lavoro e dopodiché, queste isole svaniranno dalla nostra mente, perfino dalla mappa intagliata sull'Adrestia.»

«Non potrei essere più d'accordo.» rispose l'altra, scuotendo il capo. «Va bene. Andiamo a prenotare sul serio una stanza.»


~


La locanda dove alloggiavano era silenziosa, così come il sentiero appena sotto l'unica finestra della stanza, ma dormire sarebbe stata comunque un'impresa eroica degna di nota, compromettendo con certezza l'energia che la nuova alba avrebbe richiesto.

Rieleen riposava già da ore, gli dava la schiena e, nonostante la poca luce, era evidente che stesse tenendo una mano sulla sua arma favorita.

Questa, così come quella riguardante Icaro, era diventata in fretta un'abitudine.

Quando sei in fuga, quando rinneghi la tua città natale, devi essere pronto a qualsiasi evenienza, così come faceva Rieleen.

Il rituale serale era il medesimo ogni giorno, dopo il tramonto e appena prima di immergersi nel buio: le armi venivano adagiate sul lato destro della stuoia e le varie componenti dell'armatura semplice e sottile che era solita indossare appoggiate con ordine alla parete.

Non accadeva di rado di svegliarsi di soprassalto con il cuore in gola e dover saltare dalla finestra in appena una manciata di secondi; almeno, questo era necessario se si teneva alla propria pelle attaccata alle ossa.

Quella, tra le altre, era una capacità vitale, una capacità che doveva necessariamente svilupparsi fino a divenire un automatismo.

Dormire, ma con un occhio aperto, era questo il mantra da tenere bene a mente.


Alexios, d'altro canto, guardava il soffitto scolorito della camera. All'interno del piccolo abitacolo c'erano ancora alcune candele accese, che gli ricordavano la sua vecchia casa abbandonata, scovata durante un giro di ricognizione nell'entroterra di Cefalonia.

Soprattutto, Alexios e Rieleen non erano così diversi, affatto. Alexios era sempre stato convinto che per poter fare fronte a ogni insidia avrebbe dovuto conoscere a menadito l'isola. Fu proprio lì che, all'età di quasi quindici anni, decise di varcare per l'ultima volta la soglia della casa di Marco per stabilirsi altrove. Non aveva scelta, se voleva sopravvivere in quella giungla intrisa di crudeli profezie.

La casa abbandonata - mantenne questo nomignolo -, era vuota da anni e, per molto tempo, si domandò chi l'avesse abitata prima del suo arrivo, perché se ne fosse andato e cosa avessero udito quei vecchi muri.

Fece in fretta a rivendicarla come sua.

Fu sufficiente un letto improvvisato, qualche coperta e cuscino e alcune candele consumate.

Ben presto si procurò la legna e anche una piccola rastrelliera per le armi che, via via, collezionava grazie al fabbro di Sami che aveva iniziato a ripagarlo per alcuni piccoli favori che Alexios svolgeva quando non era intento ad allenarsi.

Quella, non era altro che una semplice casa abbandonata, tuttavia era la sua casa, per la seconda volta nella sua vita. Era solo lì, ma ciò non gli impedì mai di cominciare a muovere i primi passi nel mondo.

Tutto ciò era estremamente naturale per lui e ricordava ancora con un sorriso quando comunicò a Marco la volontà di diventare un forte guerriero.

Lo sapeva già, sì, non poteva certo scampare al ricordo degli intensi allenamenti con suo padre, anche se a tratti era come se avesse archiviato quella parte della sua vita una volta sfuggito alla morte ai piedi del monte Taigeto, insanguinato e con un largo taglio obliquo sulla guancia.


Ci vollero mesi prima d'essere trovato con le mani nel sacco da un importatore locale.

Era molto abile e precoce, soprattutto nel furto; era questo che l'agoghé insegnava, a Sparta.

Più di una volta l'avevano picchiato, una volta scoperto, e non tanto per il furto in sé quanto per essersi fatto scoprire. Rimembrava ancora perfettamente gli interi giorni e notti trascorsi in balia dei lupi, per ritornare a casa o vincitore oppure morto.

Oltretutto, il DNA del guerriero era insito in lui, in tutta la sua famiglia.

Scappare dal destino sarebbe stato un suicidio, assecondarlo avrebbe fatto male in ogni caso, ma era solamente un bambino di sette anni e aveva sofferto a sufficienza.


Pensare e perdersi nelle fantasiose forme astratte create dalle fiammelle sul soffitto lo conduceva dritto verso Taleta e la sua dedizione per Sparta che aveva distrutto ogni cosa; perché questo era quello che la città faceva.

Quell'ultima notte sulla spiaggia, le giornate intere trascorse all'archegesion di Delo nelle sacra terra di Artemide, la scia di petali di rosa con cui Taleta l'aveva conquistato, mettendo in dubbio le sue capacità con un sorriso furbo stampato sulle labbra.

Avevano lottato - contuso, sanguinante o spezzato, non arrenderti mai, gli aveva detto quel giorno -, e poi qualcosa era scattato.

Qualcosa che lo inseguiva da quando Alexios aveva messo piede sull'isola, da quando avevano abbattuto insieme e coperti di sangue quegli sporchi cani ateniesi.

Alla fine, Taleta gli aveva voltato le spalle.

L'abbandono che così l'aveva fatto soffrire era stata ancora una costante, un fardello sulle spalle.

Senza una casa, un luogo degno di portare quel nome, senza una famiglia, un padre, che aveva preferito abbandonarlo in nome della legge, con il rimorso della sua sorellina che, ancora avvolta in un telo bianco, andava incontro alla morte.

Era un misthios e in quanto tale il suo compito era viaggiare per l'intero mondo greco per guadagnarsi da vivere con qualche contratto a nome di persone bisognose, a volte fragili, a volte corrotte.

Era paradossale. Più forniva il suo aiuto al prossimo e più si sentiva solo, più perdeva interesse nel mettere finalmente le radici da qualche parte. 

Il peso d'essere costantemente fuori posto, in mille luoghi meravigliosi e in mare aperto che, però, non gli appartenevano davvero.

Quella stessa sera, Taleta gli aveva confessato i suoi sentimenti - era arrossito e aveva spostato lo sguardo dal Generale spartano -, e poi… quella ferita bruciava ancora.

Essere di nuovo a Mykonos a distanza di un anno sarebbe stato deleterio per la sua anima, ne era consapevole. E se solo gli dèi gliene avessero dato occasione se ne sarebbe andato, di nuovo.

Al diavolo Cira, al diavolo Taleta, al diavolo quei dannati petali setosi e morbidi contro la pelle sensibile.

 

Chiuse gli occhi, costretto ancora a inebriare il profumo gentile della candela che saturava l'aria, rassegnato all'idea di non poter dormire serenamente.

In realtà, da quando il contratto era giunto tra le sue mani, non aveva quasi chiuso occhio.

Farlo, significava nient'altro che rivedere quel viso che tanto aveva amato, sfiorato, baciato.

Comunque, la festa alla villa di Cira con ogni probabilità era ancora in corso e, infine, non comprendeva affatto il suo atteggiamento.

Era una provocazione, una qualche forma di vendetta per ciò che era accaduto?

Taleta aveva scelto lei, aveva detto di dover partire per Sparta, ma poi era rimasto lì.

Dannazione, era rimasto lì con lei dopo avergli detto che lo amava.

Non l'aveva seguito sull'Adrestia, non avevano bevuto vino forte fino a raccontarsi i loro più oscuri segreti.


Sospirò rumorosamente e, una volta essersi girato e rigirato per un'altra dozzina di volte, decise di alzarsi e uscire fuori. Aveva bisogno d'aria e, quasi inconsciamente, in un attimo si ritrovò in spiaggia.

La brezza notturna gli fece venire la pelle d'oca e gli scompigliò i capelli castani, ancora legati.

Afferrò uno dei petali tra le dita - possibile che fossero letteralmente ovunque? -, e inspirò ancora una volta il loro profumo, perdendosi nei ricordi brucianti. 

Icaro l'aveva intercettato come sempre, non tardando a posarsi sulla sua spalla.

Così, seduto e con le gambe strette al petto, richiuse gli occhi e lasciò ancora che il vento marino lo trascinasse a sé.

Se si concentrava a sufficienza, e non senza sforzo, riusciva a percepire la sua presenza, come se quell'anno non fosse mai trascorso.

Come se fosse ancora lì, al suo fianco, la sua armatura lucente, la sua lancia e quella treccia tipica dei Generali spartani ad adornargli il capo.


Dire che la sua anima sarebbe andata in frantumi proprio lì tra quei granelli di sabbia e quei petali rosati, era un eufemismo.


fine


 


Oh, che bella cosa, finalmente sono riuscita a pubblicare un secondo capitolo. Più che altro, a trovare il tempo per revisionare il tutto e mettere nero su bianco le mie idee (spesso è un'impresa.)
In verità, grazie a questo gioco, sono riuscita a riprendere in mano la scrittura senza ansia e senza obblighi: una libertà che non assaporavo da moto tempo ormai. È ancora strano per me che sia tornata ad essere un piacere.
Quindi, eccomi qui, mi sono persa abbastanza tra i pensieri di Alexios mentre buttavo giù quelle righe, ma sono abbastanza soddisfatta e, poverino, ne vedrà ancora delle belle.
Detto questo, spero possa piacervi. Pubblicare proprio oggi era una necessità.
Grazie a chiunque abbia letto fino a qui, in silenzio e non. Alla prossima.


   
 
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