Incanto Patronus
“This ancient and
mysterious charm conjures a magical guardian, a projection of all your most
positive feelings. The Patronus Charm is difficult,
and many witches and wizards are unable to produce a full, corporeal Patronus, a guardian which generally takes the shape of the
animal with whom they share the deepest affinity.”
Bussarono. Lui borbottò
qualcosa in risposta. La porta si aprì e una figurina scura si disegnò sulla
soglia, tracciando il riflesso di un’ombra sulle pareti illuminate dalle torce.
Rothbart alzò gli occhi dagli
appunti e vide la ragazzina nuova, fresca di trasferimento, spedita oltremare
dalla vecchia linda Beauxbatons da un tutore
preoccupato dall’improvviso estinguersi dell’intera famiglia. L’avevano
piazzata a Corvonero con uno Smistamento
straordinario quanto veloce. Lei non era particolarmente dedita allo studio –
nella sua materia, quantomeno, era un disastro – ma dei Corvonero
aveva di sicuro lo sguardo, attento soprattutto nei momenti di quiete. Come
questo.
«Ebbene?» la incalzò,
dacché lei non parlava.
La mano che teneva ancora
sul battente si serrò, e anche attraverso le dimensioni non trascurabili del
suo ufficio sotterraneo, Rothbart ne vide le nocche
sbiancare.
«Ho bisogno...» si decise
infine, deglutì, la voce che si faceva più ferma. «Ho bisogno del suo aiuto,
professore.»
Rothbart tornò a intingere la
penna nel calamaio e vergò un appunto, prima di lasciarlo scivolare nei recessi
della memoria. «Su questo non ci sono dubbi, signorina. Conosco i tuoi voti.»
«Per favore, ho davvero bisogno del suo aiuto.»
Tornò a guardarla. Non era
arrossita, non si era mossa.
«Non si tratta dei tuoi
compiti, vero?»
«No.»
«Allora di cosa?»
«Il motivo per cui sono
venuta qui.» Era pallida, si rese conto. «Devo lasciarmelo alle spalle.»
Lo vedeva tutte le notti:
suo padre fatto a pezzi dal Grande Animale.
La gente lo aveva chiamato
così, perché chiunque l’avesse visto davvero non era più tra i vivi, e ogni possibile
descrizione era rimasta nelle parole di lei spaventata a morte. Il Grande
Animale, peloso, alato, con le zanne affondate nel cuore di suo padre in una
foresta non abbastanza buia da nascondere la scena e il sangue e il terrore.
Ogni notte, ogni singola
notte nei suoi incubi. E a un certo punto, quando aveva iniziato a vederlo anche
con gli occhi aperti – nella torre di Corvonero, il
Grande Animale che sbranava Belle, Jane, il ragazzo Grifondoro
che a colazione la guardava come se non avesse mai visto una ragazza – era
diventato sempre più difficile distinguere l’incubo dalla realtà.
Si era sentita stupida
quando aveva capito che era solo un molliccio nascosto sotto il suo letto, ma
al tempo stesso – luce calda nella sua mente chiusa come un castello
abbandonato – era arrivato il sollievo: sapeva perfettamente cosa fare.
«Lui? Sei sicura?» Tiana l’aveva osservata ansiosa da sopra la
pozione su cui lavoravano insieme da un’ora. «Non so se è una buona idea, Odette. Lui fa
venire i brividi.»
«Sì. È proprio per
questo.»
Se non conosceva lui la
paura, allora non c’era nessun altro a cui chiedere.
what if this storms ends and I don’t see you
as you are now ever again?
L’aula di Difesa contro le
Arti Oscure era spaventosa, di notte.
Pensa a un ricordo felice.
La cassa di legno si aprì.
Odette sapeva, era perfettamente consapevole del
fatto che là dentro ci fosse il molliccio – catturato da un professor Rothbart giunto all’imbrunire, tetro e silenzioso come un
vampiro, a seminare lo sgomento nel dormitorio delle ragazze – e nonostante
tutto, era il Grande Animale quello che uscì fuori a uccidere suo padre e poi
lei, ancora, ancora, ancora.
«Expecto Patronum!»
Un filo d’argento sgusciò
dalla punta della sua bacchetta, debolissimo, e l’essere infernale che
infestava la sua vita lo soffiò via con quella che avrebbe potuto benissimo
essere una risatina. Aveva del sangue sui denti – il sangue di suo padre.
«Expecto Patronum…»
Non serviva a niente. A
niente. Aveva troppa paura. Era su di lei ormai, e tutt’intorno sembrava proprio
una foresta, scura, fredda. Aveva ucciso suo padre. Lo faceva ogni volta. Ogni
volta…
Odette cadde nello stesso
momento in cui una luce accecante circondava la forma del molliccio. Appena
prima che lo costringesse di nuovo nella cassa, lei si rese conto, confusamente,
che il Patronus del professor Rothbart
somigliava moltissimo al Grande Animale.
Sigillò la cassa e si
voltò a osservarla, guardingo.
Non era svenuta. Sembrava
che tutto il sangue le fosse defluito dal viso, ma non era svenuta, e aveva gli
occhi fissi su di lui. Occhi attenti, non solo nei momenti di quiete.
Sbuffò. «Il tuo ricordo
non è abbastanza felice, signorina.»
«Non ne ho molti, di
ricordi felici.»
Certo che non ne aveva. Si
appoggiò alla cattedra e continuò a fissarla, pensoso. Non era mai stato famoso
per la propria discrezione, giusto? Al diavolo Mister Simpatia.
«Pensavi ai tuoi.»
Lei sussultò, ma non
distolse lo sguardo. «Sì.»
«Prevedibile.» Rothbart si rigirò la bacchetta tra le dita, un
polpastrello dopo l’altro. «Molti ripensano alle cose che hanno perso e le
vedono come le migliori della propria esistenza. Non si rendono conto di quanto
il dolore della perdita le contamini, di come riesca a cancellarne tutto il
valore. No, signorina, devi crescere e crearti altri ricordi, ricordi più
felici, incorrotti. Allora, forse,
riuscirai a evocare un Patronus.»
Odette lo aveva ascoltato senza
cambiare espressione. Adesso si alzò in piedi – sedici anni di ricchezza, di
capelli d’oro, di cortine di seta, di favole della buonanotte finite in un urlo
soffocato in un cuscino di una terra non sua. E lo guardò ancora, con quegli
occhi maledetti che – lo sapeva – vedevano molto di più di quanto lui non
dicesse.
«Lei a cosa pensa, quando evoca un Patronus?»
Non poté evitarlo: scoppiò
in una risata.
«Ti piacerebbe saperlo,
eh?»
«Quasi quanto mi
piacerebbe sapere qual è il suo molliccio.»
Allontanandosi dalla
cattedra, dalla cassa e dall’oscurità che conteneva, si portò alle sue spalle:
in controluce. Non l’avrebbe guardata in faccia mentre le mentiva. «Prima
faremo un po’ di pratica, e poi magari te lo dirò.»
La sentì respirare, la
vide sollevare i capelli sul collo bianco da cigno, e pensò a quante notti
avrebbe potuto tenerla lì con sé, nella pozza di luna che filtrava dalle
finestre.
Gli appunti potevano
attendere.
now it’s found us like I have found you
I don’t want to run, just overwhelm me
Spazio dell’autrice
Secondo il mio computer, ho iniziato questa shot
nell’agosto 2017: quasi quattro anni fa. I primi due paragrafi sono rimasti da
allora a infestare la mia cartella di capitoli incompiuti, finché oggi mi sono
detta “basta, io la finisco, non me ne frega niente se non ha senso”. Difatti
un senso non ce l’ha, ma mi è piaciuto da morire aggiungere le ultime due
scene, quindi adesso ve la beccate così com’è.
Specifico anche che potete interpretarla come assolutamente vi pare e
piace: da parte mia non ho mai deciso se il Grande Animale e Rothbart in questo ‘verse sono la stessa cosa oppure no, e
quindi se sia stato Rothbart ad ammazzare il padre di
Odette oppure no. So solo che gli “appunti” sono
effettivamente quelli delle Arti Proibite, perché sì.
I versi che accompagnano il testo sono tratti da The Lightning Strike degli Snow Patrol, mentre la breve
descrizione introduttiva dell’Incanto Patronus è di
Miranda Gohawk/Gadula,
autrice dei vari Manuali degli
incantesimi nel mondo di Harry Potter. Da qualche parte ho letto che i Patronus non funzionano solo contro i Dissennatori,
ma contro le creature oscure in genere, e mi piaceva l’idea di una Odette che si servisse di un molliccio per imparare a
sconfiggere la sua paura del Grande Animale. (Di nuovo, l’identità del
molliccio e del ricordo felice di Rothbart sono a
vostra totale discrezione.)
Il ragazzo Grifondoro che ho citato e che ha
una cotta per Odette è ovviamente Derek.
Aya ~