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Autore: moira78    30/04/2021    2 recensioni
Candy e Albert si conoscono da sempre e, da sempre, un filo invisibile li lega. Ma la strada che li porterà a venire a patti con i propri sentimenti e a conquistare la felicità sembra essere infinita e colma di ostacoli...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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George ebbe una sorta di dejà-vu. Solo che, invece che alla Casa di Pony, stavolta stava lasciando William in ospedale: non aveva voluto sentire ragioni e aveva deciso di rimanere lì tutta la notte.

Quando era salito in macchina, gli era parso sfinito ed era stato per due minuti buoni con la testa fra le mani, in silenzio, mentre lui attendeva istruzioni per partire. Lo aveva osservato per un po', quindi gli aveva chiesto se andava tutto bene.

"No che non va tutto bene! Non va bene niente!", aveva sbottato sconvolgendolo e abbandonando finalmente quella postura contrita.

"Mi perdoni, ho fatto una domanda sciocca", rispose. In effetti quella domanda retorica se la poteva risparmiare, ma persino lui aveva i nervi a pezzi, anche se non lo dava a vedere.

"Perdonami tu, George, non me la dovevo prendere con te. Possiamo andare ora", la sua voce era più calma ma sembrava stravolto.

"Non si deve scusare, signorino William. Sono momenti difficili per tutti, ancor più per lei", aveva ribattuto mettendo in moto.

Dopo qualche minuto di strada aveva parlato di nuovo: "Prima se ne va a New York da Terry, poi mi comunicano che è morta. Quando finalmente le cose sembrano mettersi bene e riesco finalmente a stringerla fra le mie braccia, succede questo!". George udì distintamente il colpo del pugno sul sedile.

"È riuscito a parlare con i suoi nipoti?", domandò cercando di non far trapelare la curiosità che lo stava rodendo.

"Sì, ma ho perso il controllo. Ho aggredito Neal e... anche Eliza. La zia Elroy aveva gli occhi fuori dalle orbite".

George strinse il volante: "Li ha... aggrediti?".

Ascoltò il racconto di William in silenzio e non riuscì a stupirsi più di tanto. Per quanti anni la signorina Candy aveva dovuto subire le angherie di quei ragazzi? Quello che le avevano fatto, se veramente erano implicati, era al di là di ogni immaginazione più fosca. Chiunque avrebbe perso il senno.

"Sento che sto perdendo me stesso. Da quando mi sono dichiarato a Candy è come se fossi un'altra persona", disse piano, facendogli stringere il cuore.

Era in momenti come quello che sentiva il bisogno di chiamarlo con il nome che più amava, per rimarcargli l'affetto che provava per lui: "Signorino... Albert. Non sta perdendo se stesso, ha solo gettato via quella corazza che indossava da anni. Finalmente può esprimere liberamente quello che pensa senza nascondersi, anche davanti ai suoi familiari".

"Sì, ma ho praticamente sbattuto al muro Neal e... stavo per picchiare anche Eliza!", ribatté fomentandosi.

"Da quel che mi ha raccontato, il signorino Archibald lo ha proprio fatto, invece, e non mi risulta che non sia un gentiluomo".

"Ma io sono il capostipite e...".

"Oh, basta con queste sciocchezze!", esclamò George, poi si morse la lingua. Colse per un attimo l'espressione stupita di William nello specchietto retrovisore e si schiarì la gola. "Volevo dire che è un essere umano, con i suoi pregi, i suoi difetti e le sue emozioni. Una cosa è occuparsi degli affari di famiglia, come fa egregiamente, e un'altra è consentire che chiunque possa calpestare lei o le persone che ama".

Udì il suo sospiro e notò il sorrisetto sbilenco: "Hai ragione anche tu, ma non sono abituato a sentirmi così, è come se fossi più vulnerabile. A volte temo di non riuscire a controllarmi".

"Imparerà", lo liquidò immettendosi in una nuova corsia per sorpassare un'auto molto lenta.

Arrivati in ospedale, George Villers era rimasto per un attimo nei pressi della sua vettura quando William se n'era andato, riflettendo sul compito da svolgere: l'indomani mattina, molto presto, avrebbe contattato il maniscalco e il veterinario perché si confrontassero sulla ferita alla zampa di Cleopatra. Avrebbe fatto in modo che la polizia fosse presente per stilare una relazione sulle impressioni dell'uno e dell'altro sull'accaduto, uno dal punto di vista medico e l'altro da quello pratico per puntualizzare l'origine della lesione.

A quel punto, avrebbe presentato denuncia contro ignoti, chiedendo che venissero raccolte le prime testimonianze sui principali sospettati. Ovviamente, tutto doveva essere fatto con la massima discrezione possibile perché lo scandalo era dietro l'angolo. La signora Elroy aveva deciso di dare ad Archibald e alla signorina Annie del tempo per riappacificarsi, prima di rendere ufficiale la notizia della loro separazione, quindi al momento c'erano davvero troppe cose a bollire in pentola.

Alzò lo sguardo verso le camere illuminate dei pazienti e, prima di andare via, fece una preghiera a Dio perché facesse tornare sana e vitale la signorina Candy quanto prima.
 
- § -
 
Albert osservava i macchinari che nutrivano Candy e monitoravano le sue funzioni vitali, poi spostò lo sguardo sul suo viso pallido.

Solo la sera prima l'aveva stretta fra le braccia e l'aveva sentita vibrare. Ora era ferma e immobile, inconsapevole di ciò che le accadeva attorno.

Allungò una mano per spostare un ricciolo ribelle che le ricadeva su un occhio, quindi fece scivolare le dita lungo la tempia, fino a sfiorare lo zigomo, la guancia e le labbra secche. Con amore infinito, prese un fazzolettino, lo inumidì con un po' d'acqua della brocca e lo passò su quella bocca che aveva spesso baciato.

Candy continuò a rimanere immobile.

Le prese una mano e se la portò sulla guancia, chiudendo gli occhi al contatto con la sua pelle: "Candy, ti prego, apri gli occhi. Dobbiamo fare un mucchio di progetti, ricordi?".
Spinto dalle parole del medico che sosteneva che parlarle potesse essere d'aiuto, cominciò a ricordarle i giorni alla Casa della Magnolia: le risate, le cene insieme, le difficoltà e le visite dei loro amici, passando da un argomento all'altro senza un filo logico preciso.

"Ti ricordi il giorno del pic-nic? C'era anche Stair e mi ha dato una martellata in testa con un giocattolo per farmi tornare la memoria! E tutto questo appena dopo che tu avevi tentato di fare lo stesso facendomi cadere da una sedia", ridacchiò. "E quando ha affumicato le scale e riprodotto il rumore del treno? Pensavo di udire solo io quel suono, invece era un'altra delle sue invenzioni e per poco non ci hanno cacciati!".

Silenzio. Immobilità.

Albert cercò di cambiare approccio: "Ti ricordi la Collina di Pony, amore mio? È lì che ci siamo conosciuti, quando eri solo una bambina ed è lì che ti ho rivelato la mia identità. Sono il tuo Principe della Collina. Puoi chiamarmi così tutte le volte che vuoi, giuro che non ti sgriderò!". La voce gli si spezzò, suo malgrado.

"Torna da me, Candy, che ne sarà di me se mi lasci?". Sopraffatto dal dolore e dallo sfinimento per quella giornata, Albert scoppiò a piangere tenendo stretta la mano inerme di Candy.
 
- § -
 
Le mani di Terence furono prima sulla sua schiena, poi risalirono fino alle scapole e al collo, quindi scesero di nuovo giù, fino alla linea dei fianchi, lasciando scie infuocate ovunque passassero.

Karen sapeva che il ragazzo era ubriaco e si maledisse per non essere stata più attenta. Voleva solo che uscisse a festeggiare con lei e gli altri colleghi e non si era resa conto del numero di drink che si era fatto servire.

A causa delle nuove leggi, se li avessero scoperti non solo avrebbero chiuso il locale ma avrebbero arrestato probabilmente tutti quanti senza tanti complimenti: era stato un miracolo che nessuno li avesse fermati mentre tornavano in albergo e, comunque, Terence era messo peggio di tutti.

Karen aveva sudato freddo quando un poliziotto le aveva chiesto cosa avesse il suo amico e lei si era inventata un'intossicazione alimentare. Per fortuna, il taxi li aveva ricondotti a destinazione prima che altri li vedessero.

Si lasciò sfuggire un gemito quando si rese conto di come il corpo di Terence aveva reagito al contatto con il proprio e s'inarcò contro di lui d'istinto. Questo suo gesto alquanto sconsiderato portò Terry a reclamare le sue labbra con un lamento urgente e Karen non poté fare altro che arrendersi.

No, era tutto sbagliato. Non era così che si comportavano due amici, soprattutto perché lei lo amava ma lui di certo no.

"Terence, ti prego basta, non è giusto...", sospirò in precario equilibrio tra la passione e la ragione.

"Ho bisogno di te". Soffocò le parole nel suo collo e Karen fu certa che le sarebbe stato sufficiente per cedere. "Non lasciarmi, Candy".

Come una seconda pelle, il calore del desiderio si trasformò in gelo e il suo corpo s'irrigidì. Mentre lo spingeva via, lesse negli occhi annebbiati di lui la consapevolezza di quello che aveva appena fatto.

"Io non sono la tua Candy", disse con voce tremante.

Terence si portò una mano alla fronte, chiaramente sconvolto: "Perdonami, non volevo... non so cosa mi sia preso".

Karen fece due passi e gli fu di fronte. Lo afferrò selvaggiamente per le spalle, scuotendolo: "Lo so io cosa ti è preso: la ami ancora ma devi dimenticarla, capito? Lei non ti appartiene mentre io sono qui, viva, innamorata di te da tanti anni! Dio solo sa quanto ho sofferto in silenzio mentre ti vedevo al fianco di Susanna, infelice, incompleto. Mi ero rassegnata al fatto che non mi avresti mai vista come una donna e stasera, come una stupida, ho pensato che...". Scoppiò a piangere, coprendosi il viso con le mani e si odiò per questa dimostrazione di debolezza di fronte a lui.

"Karen...", tentò Terence allungando una mano.

"Non mi toccare!", gridò scacciandolo. Il ragazzo si ritrasse, visibilmente sconvolto. Dopo qualche istante lo afferrò per un polso e lo trascinò in bagno, mentre protestava e le chiedeva che diavolo stesse facendo.

Senza che lui potesse impedirglielo, aprì l'acqua fredda del rubinetto e gli sospinse la testa sotto al getto.

"Ma che ti salta in mente, smettila!", obiettò Terence che, troppo sbronzo per opporsi, mostrava il suo diniego in modo lento e poco energico.

"Lavala via dalla tua testa insieme all'alcool, Terence! Riprenditi la tua vita e guardati attorno! Apprezza quello che hai di bello e importante, non autodistruggerti con il ricordo di una donna che non sarà mai tua!".

Con un gesto deciso, lui si staccò finalmente dalla sua presa e barcollò fino al muro, dove si lasciò cadere a terra singhiozzando pietosamente, con i capelli che gocciolavano sulla camicia ormai zuppa. Incapace di vederlo in quelle condizioni, Karen gli gettò addosso un asciugamano, resistendo all'impulso di stringerlo a sé.

"Asciugati, Terence Graham, e cambiati quei vestiti bagnati. Ci vediamo domattina alle prove".

Si chiuse la porta della stanza alle spalle, combattendo contro le lacrime e maledicendosi per aver creduto, anche solo per un istante, che Terence si sarebbe innamorato di lei.
 
- § -
 
Neal era arcistufo di tutto e di tutti. Si sentiva offeso, umiliato e aveva solo voglia di prendere a pugni quel borioso di suo zio: si era permesso di mettergli le mani addosso, facendogli perdere la lucidità e spaventandolo a morte, causandogli un incidente imbarazzante che sarebbe sempre rimasto marchiato a fuoco nella sua memoria.

Chissà quante risate si sarebbe fatto alle sue spalle, se solo Candy non fosse stata in quelle condizioni.

Si ritrovò immerso in quel turbine di pensieri mentre vagava per la villa senza una meta precisa, girando per i corridoi a casaccio.

Non aveva più avuto il coraggio di guardare in faccia la sua isterica sorella, né sua zia, che per poco non aveva avuto un mancamento quando era giunta la comunicazione che, per ordine di William, nessuno di loro doveva muoversi da Lakewood finché le indagini non si fossero concluse. Probabilmente sarebbero stati interrogati il giorno successivo.

Ora aveva la prospettiva di un dannato interrogatorio e non sapeva come diavolo fosse possibile che il cavallo avesse reagito in quella maniera. Lui aveva appena toccato quel maledetto chiodo e, da quanto aveva appreso, non era sufficiente a innescare un dolore tale da farlo imbizzarrire in quel modo.

Non voleva uccidere Candy. Non voleva uccidere nessuno, non era un assassino e la sola ipotesi di essere accusato di omicidio o tentato omicidio volontario gli faceva tremare i polsi.

Eppure era stato così attento! Solo quella mattina aveva temuto la reazione di Eliza quando avrebbe scoperto che lo zoccolo era praticamente intatto, ora invece si trovava con lo spettro della galera o dei lavori forzati.

Desideroso di scaricare la tensione e di non vedere nessuno, si inoltrò nei sotterranei della villa e arrivò fino alle cantine. Lì trovò, con sorpresa, decine di bottiglie di whisky scozzese e altri distillati che gli Ardlay avevano accumulato negli anni.

Senza pensare, ne prese una a caso e l'aprì, bevendo direttamente dalla bottiglia: "Non male questa roba", borbottò alla cantina deserta.

Possibile che quel dannato chiodo si fosse spostato? O che qualcun altro avesse terminato il suo lavoro imperfetto? Non voleva finire in prigione!

"Maledetta Candy, maledetti tutti!", gridò al limite dell'esasperazione, lanciando la bottiglia contro il muro e mandandola in mille pezzi.

"Neil!", la voce di Eliza lo fece voltare di scatto. Possibile che l'avesse seguito fin lì?

"Vattene, non voglio vedere nessuno!", le gridò aprendo una seconda bottiglia e ricominciando a bere.

"Che diavolo stai facendo, lo sai cosa accadrà domattina? Dobbiamo parlare!". Le rivolse uno sguardo di fuoco, odiando la sua voce stridula e la sua guancia ancora arrossata.

"Di che cosa diamine vuoi parlare?", chiese sentendosi già preda dei fumi dell'alcool. Barcollò fino a lei, brandendo il whisky come fosse un'arma e spargendo il liquido ovunque: "Sei stata tu a concepire questo meraviglioso piano contro Candy e a coinvolgermi e se non mi sbaglio la zia Elroy ha già capito tutto! Ma sai qual è la differenza tra me e te?".

Eliza indietreggiò e lui fu soddisfatto nel vedere la sua espressione terrorizzata: "Neil, mi stai facendo paura!".

"La differenza", continuò, "è che tu sei una donna! Nessuno penserà che hai manomesso quel maledetto ferro, mentre sospetteranno di me!". Neil ebbe un lampo di lucidità e tacque, osservando la sorella. Cosa era appena passato nei suoi occhi? Perché li aveva distolti da lui?

No, non poteva crederci. La sua altezzosa sorella avrebbe fatto stendere a terra un servitore per superare una pozzanghera, non si sarebbe mai abbassata a toccare la zampa di un cavallo e degli attrezzi per...

"Dì un po', sorellina. Mica sarai stata tu, vero?", azzardò con un sorrisetto, prendendo un altro lungo sorso.

"Ma che cosa stai dicendo, sei impazzito?!", strepitò lei divenendo rossa in volto.

Le si avvicinò, quasi sfiorandole il naso: "Mmhhh, non lo so. Devo crederti?".

Eliza si ritrasse, con una mano sul naso: "Vai via, puzzi d'alcool! È così che vuoi ricevere il poliziotto che verrà a interrogarci domani? Se non ti sbattono in galera per il cavallo lo faranno per la legge che vieta il consumo di alcolici! Quindi vatti a ripulire e...".

Qualcosa gli scattò nel cervello, snebbiandogli la mente: "Cosa hai detto?".

"Che puzzi come un mendicante!".

"No, dopo!", insistette.

"Che c'è una legge che vieta... a che stai pensando?".

Sorprendendo persino se stesso, Neil prese Eliza per le spalle e la baciò in fronte.

"Ahh, che schifo!", protestò lei.

"Sorellina, sei un genio del male!".

"Che vai blaterando?!", chiese senza capire.

Lui si allontanò e fece un ampio gesto con il braccio: "Guardati intorno! Cosa pensi che succederebbe se la polizia venisse a sapere cosa tiene in questa cantina il caro zio William?".

Gli occhi di Eliza si spalancarono per la comprensione: "Oh...", sembrava incerta. "Ma si tratta di qualcosa che appartiene alla famiglia da almeno due generazioni, non lo vende mica al mercato nero...".

Neil comprese come, mentre terminava la frase, Eliza si rendesse conto delle implicazioni legate a quella possibilità.

"Certo, non lo vende. Ma la polizia non lo sa e noi potremmo fare in modo che sembri proprio così". Le rotelle nella sua testa cominciarono a girare diabolicamente, mentre vedeva riflesso sul viso gonfio della sorella il suo stesso sorriso cattivo.

"Accidenti, Neal, non sei tanto migliore di me", lo canzonò lei incrociando le braccia.

Neil aggrottò le sopracciglia: "È diverso. Io non voglio fare del male fisico e comunque non mi limito a spostare uno stupido chiodo nello zoccolo di un cavallo. Ho intenzione di fare molto di più: concepirò un piano così perfetto che la famiglia Ardlay sarà rovinata, trascinando con sé anche i Cornwell. E indovina da chi andranno gli investitori? A chi passeranno automaticamente tutti i beni?".

Eliza pareva entusiasta, tuttavia ribatté: "L'aspetto economico è solo una parte del divertimento. Oh, certo, diventeremo ricchi sfondati, ma la cosa più bella sarà vedere quel vagabondo finalmente in rovina! Non mi è mai piaciuta l'idea che uno come lui fosse a capo della nostra famiglia. E, ancora meglio, se quella Candy sopravvive affonderà assieme a lui!".

"Già", disse Neal mentre il suo sorriso si allargava, "la zia Elroy potrebbe essere travolta dagli eventi, ma noi saremo generosi e la accoglieremo a braccia aperte. Così, semmai le fosse rimasta qualche briciola la lascerà a noi Lagan". Alzò la bottiglia verso Eliza, come per brindare.

Cominciarono a ridere, discutendo dei dettagli e Neal si sorprese di come, fino a pochi istanti prima, fosse sull'orlo della disperazione e ora si trovasse ad avere dalla parte del manico non un coltello, ma una spada affilata.
   
 
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