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Autore: Merry brandybuck    30/04/2021    0 recensioni
Aragorn è salito al trono da pochi mesi e già si ritrova a combattere una battaglia contro degli orchi che non accettano la caduta di Sauron : per questo scontro il re si ritroverà a chiedere aiuto ai suoi amici fidati e a dover portare alla luce un membro della sua famiglia che è rimasto oscurato per anni.
Come continuerà l’esistenza sua e del regno dopo questo incontro ?
Personaggi: nuovo personaggio/ Aragorn/ Legolas/compagnia dell’anello/ un po’ tutti
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Legolas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9: A me la punizione, a te la benedizione

 

Il principe elfico si aggirava sempre più ansioso per i corridoi della reggia: quella situazione gli dava il tormento manco fosse una zecca attaccata ad una coscia; era notte fonda e non poteva certamente svegliare tutta la magione per questo disdicevole atto, quindi decise di andare alla cerca da solo. Corse verso uno dei cortili dell’ala est, guidato da un cieco presentimento, e senza nemmeno che il fiato gli si facesse grosso percorse tutta la casa a spron battuto; sorpassò un’infinità di varchi e di sale, di guardie e di inservienti ancora intenti a pulire fino a che non giunse al muro di Makar ( una parete di mithril e quello che si pensava, ma non si era mai accertato, fosse tilkal): prese una chiave metallica appesa a una catenella e la girò velocemente nella toppa. Si aprì su uno spazio buio e tetro, illuminato solo dalla luce delle stelle e chiuse l’entrata inserendo il paletto; camminò con estrema lentezza sulle mattonelle in pietra bianca e nera, reggendo una candela in mano: come tutta la sua stirpe non aveva paura di nulla ma i quadri appesi gli incutevano un certo timore. Arrivato alla porta che dava sull’esterno, sul giardino più vicino al perimetro di una muraglia affacciata sul lato malato del Bosco, vi appoggiò l’orecchio e non udendo nulla, la spinse con estrema delicatezza: un cigolio sinistro ruppe il silenzio e le suole delle sue scarpe entrarono in contatto con l’erba umida. Iniziò ad aggirarsi guardingo, provando a tenersi le spalle coperte e a scrutare in quella tenebra lumeggiata solo dalle stelle; quando era intimorita da qualcosa, la sorella diventava come un animale braccato: potenzialmente pericoloso. Non vi era manco un suono, ma l’Elfo sapeva benissimo dove andare a cercare, senza essere costretto ad aspettare che la giovane si tradisse: si avvicinò con tutta calma a un enorme albero morto situato in mezzo allo spiazzo, l’unico vegetale che anche se non era resistita agli influssi malefici di Sauron era riuscita a preservare la propria stabilità. Accarezzò quel tronco ingrigito e nodoso, da cui partivano quei rami contorti così macabri, inquietanti e tristi, soprattutto per chi si rammentava ancora quando la vita fluiva in quell’essere: era un’amarezza il ricordo di quell’accanimento irreprensibile che i Silvani avevano manifestato per tenere in vita la pianta, quasi pari a quello dei Gondoriani nei confronti dell’Albero Bianco, ma era stato tutto inutile; gli abitanti avevano assistito al lento declino dell’essere, inerti, mentre il Male anneriva la sua corteccia e lo dissacrava, rubandogli la linfa vitale. Con le sue dita delicate toccò un solco vicino alle radici e riconobbe immediatamente un’orma freschissima: evidentemente nel frattempo che lui la stava seguendo, la giovine era salita in simultanea su per il fusto; iniziò ad arrampicarsi, con un po’ di precauzioni nel tentativo di non atterrire il suo obiettivo più del dovuto. Mentre passava tra i rami avvizziti vide la castana seduta con il volto rivolto verso il muro di cinta; le strinse le spalle, provando ad abbracciarla per confortarla ( o neutralizzarla, a scelta): lei si spaventò per l'improvvisa comparsa del maggiore e di istinto balzò all’indietro, rischiando di cadere di sotto. Fortunatamente lo schianto non avvenne perché il biondo l’aveva afferrata in modo tale che non potesse accaderle nulla, ed ella dopo un primo momento di timorosa riverenza gli fece posto a fianco a sé: “ Perché ?” provò a essere gentile vedendo quegli occhi atterriti e quelle guance bagnate di lacrime; mantenne comunque una punta di gelido distacco anche quando lei lo fissò in cerca di compassione: “ L’ho vista muoversi troppo in fretta e ho preso paura… non era assolutamente mia intenzione arrecarle dolore” rispose la minore con immenso rammarico. L’Immortale le fu molto grato di essere stata così ermetica, anche perché non era suo solito tediarlo esponendogli lunghi sproloqui sui suoi stati d’animo, e fu ancora più lieto di vederla predisposta all’accondiscendenza quando si mise a farle notare le conseguenze del suo folle gesto: come fratello più grande era suo dovere metterla in guardia. “ La tua azione non resterà impunita, lo sai vero ?” “ Com’è giusto che sia…” un velo di amarezza “ Fortunatamente nostro padre potrà darti la sua clemenza e la sentenza sarà diminuita” “ Non voglio essere sgravata dalle mie colpe: pretendo d’esser punita secondo le usanze del mio popolo d’origine” aveva uno sguardo fiero, segno distintivo di tutti i Dunedain, anche quando aveva deciso per il castigo peggiore; oltre il danno avrebbe avuto anche l’umiliazione pubblica, ma sapeva che era una condanna corretta per il danno apportato.

Comunque, avrebbero dovuto aspettare ancora molte ore prima della grande pena ed entrambi erano troppo tormentati per rimettersi nei propri giacigli, quindi optarono per restare lì a chiacchierare fino a che non sarebbe giunto il fatidico momento; dopo aver atteso il tempo necessario per essere sicuri di essere soli, alla donna si ruppe la corazza di serietà e rivelò il suo carattere leggermente ridanciano, con delle risate sguaiatissime: naturalmente anche l’altro venne contagiato da questo attacco di stupidera e si ritrovarono a discutere di argomenti senza senso in men che non si dica. Era disturbante come avessero celermente cambiato stato emotivo, ma forse erano abbastanza distratti per non accorgersene: “ Un giorno vorrei giocare nuovamente a nascondino con Elrohir e Elladan, tanto per divertirmi: voglio vedere se sono ancora imbranati come quando ero piccola” il Greenleaf sorrise: “ Dopo la punizione potremmo andare tutti insieme a prendere qualche seguace di Melkor: negli ultimi tempi gli orchetti sembrano essersi duplicati” Efneviel fece una smorfia rattristata: “ Io partirò verso le Terre Selvagge prima del mezzogiorno” il biondo rimase esterrefatto: “ Ma sei appena arrivata !” lei tentò di tranquillizzarlo accompagnando il suo discorso con un gesto lento e ampio: “ Sono un comandante, devo stare attenta ai miei doveri: mio fratello conta su di me per la difesa del suo impero. E poi tra l’altro, molti degli uomini delle mie truppe sono ancora laggiù ad attendermi” “ Ah, comprendo… Ma non capisco come tu possa correre incontro alla morte con la stessa gioia di uno scellerato” “ Come mi hanno sempre insegnato il mio fato è già stato scritto da Iluvatar nella notte dei tempi e cantato dagli Ainur; se la Nera Sorte mi aspetta voglio vivere una vita che verrà ricordata da tutti nei canti: userò bene il tempo che mi rimane. E poi è meglio andare incontro alla bella Morte invece di aspettarla come un babbione” Quelle parole facevano terribilmente male e rimarcavano quanto fosse effimera e manipolabile la vita degli Uomini: qualunque cosa avrebbe potuto fargli del male e molti di loro venivano colpiti dalle febbri di potere infuse da Melkor nelle loro deboli menti. In quel momento Legolas si sentì solo e abbandonato come quando era venuta a mancare sua madre e desiderò con tutto sé stesso di poter frenare la veloce corsa di Anar; effettivamente congelando il tempo avrebbe potuto evitare tanti di quei problemi, ma nemmeno i Valar avevano questa possibilità: non gli rimase che arrendersi alla realtà e smettere di provare a dissuadere la sorella dalle sue convinzioni.

 

L’ora funesta giunse in fretta ed entrambi i ragazzi si ritrovarono seduti a fissare l’aurora che illuminava il vespro; la castana era pallida, col volto scavato dall’attesa, gli occhi appallati, il fare trasandato, le unghie piantate nella carne delle cosce e l’espressione di chi sa che la sua fine è ormai vicina. Con i muscoli tesi e guizzanti sotto pelle lei si apprestò a discendere la pianta; con il suo fare scattante appesantito dalla responsabilità sul suo destino, fece per dirigersi lentamente verso la corte che l’avrebbe giudicata: con un’enorme peso sullo stomaco era comunque preparata a ciò che sarebbe successo. Stava andando ma prima però il Principe le tese una mano: “ Come ultima volta in confidenza, in tenerezza, io ti saluto ma seler; la mia porta è sempre aperta, vai e vieni quando vuoi sapendo con certezza che io sarò sempre qui ad attenderti e non azzardarti a sparire di nuovo: saremo lieti di accoglierti, anche Tauriel, e non farti problemi a chiedere qualcosa se ti serve. Vedi di non farti ammazzare, servi il tuo impero con tutta la tua destrezza e la tua sagacia e non portare disonore sulla nostra casata; porti alto l’onore, signor generale” Lei rimase immobile a fissare quelle dita candide e, dopo un attimo d’esitazione, le strinse vigorosamente: “ Non mancherò mio Signore” un ultimo incrocio di sguardi ed entrambi ne lèssero il desiderio ardente di vivere insieme per sempre: un volere impossibile da realizzare. Con un sospiro si lasciarono e lei abbassò il capo, come da tradizione per chi deve essere punito, e indugiò nel proseguire, aspettando che lui la prendesse per la spalla e la conducesse verso il patibolo; si incamminarono lentamente e quando giunsero al portone lo sentirono chiudersi con fragore dietro di loro. Tra le flebili luci dell’alba che filtravano dalle altissime finestre, loro proseguivano in ossequioso silenzio; dovettero girare per vario tempo fino al cortile del Tribunale: era un’enorme piazzola, pavimentata di mattonelle marroni in pietra, delle mastodontiche tribune di legno, un gigantesco tavolo, una compatta lastra di ardesia al centro del cortile e una campana che serviva a convocare i giurati; il Primogenito si appese alla fune della martinella e si mise a suonare come un dannato. La gente impaurita iniziò a sporgersi dai balconi per vedere: “ Che succede ?” si misero a gridargli: “ Riunite la Corte dei Saggi ! Alla svelta !” rispose lui, concitato; una curiosa fu sopraffatta dall’istinto e, prima di sparire, questionò: “ Che disgrazia accade, Sire ?” Il Thranduillion non fece in tempo a dirle di andarsene che la sorella le diede una motivazione sufficiente a farla stare muta: “ La Principessa deve essere processata”. Sire Elrond aveva assistito a questo scambio di battute ed era accorso più in fretta che aveva potuto; comparve sulla soglia insieme ai suoi figli e segnato dall’ansia gli si precipitò incontro: “ Che intendete fare, o voi folli ?” chiese, col dito puntato in loro direzione: non ottenne un gran che di reazione. “ Mi è stata insegnata la giustizia: ho recato un danno e ora pago” Aralis continuava a essere ostinata intanto che si inginocchiava sul piano nero; il Mezzelfo si battè una mano in fronte, in preda allo sconforto: “ La via della pace è la più perigliosa per voi, vero ? Visto che hai il cranio duro come un muro abbi la decenza di non far vedere questo pietoso spettacolo a tua sorella, povera crista…” senza aspettare una loro replica se ne andò, lasciando la sua prole alle prese con questa ingestibile bega. Nel frattempo sempre più persone si stavano affollando per vedere l’emanazione del giudizio; tra il trambusto generale arrivarono i giudici, perfetti e impeccabili nella loro grazia, che si sedettero con l’emblematico silenzio dei Primogeniti attendendo l’arrivo del Re: dopo si sarebbe cominciato in modo tempestivo.

 

Attesero per quasi mezz’ora, il tempo necessario perché il sovrano arrivasse dall’altra ala del palazzo e poi finalmente lo videro giungere in tutta la sua momentanea e strascicata afflizione; mentre camminava lento, con gli occhi finalmente liberi dalla tracotanza e la schiena curva dalla stanchezza, la sua protetta riuscì a scorgere il suo viso tirato: sembrava una maschera di granito piena di crepe. Si accomodò maestosamente: “ Spiegatemi, di grazia, che cos’è successo” le rivolse un cenno infastidito per darle la parola: “ Padre, feci un grave torto a mia sorella e ora chiedo di essere punita secondo il terzo articolo delle Leggi di Elros: il vostro consiglio deve decidere come somministrare la medicina” lei non osava alzare la testa per evitare di incontrare lo sguardo di ghiaccio del genitore; il Consigliere più vicino al Sovrano gli si accostò e confabularono per un paio di minuti buoni: il Sire si erse in tutta la sua statura e con voce tonante le annunciò: “ La tua colpevolezza è certa ed indiscutibile, ma devi dire a questa corte se davvero sei disposta a pagare con un pegno maggiore dell’affronto dato” Ella annuì e il tutore contrasse il muscolo della mascella; si strinse il setto nasale fra l’indice e il pollice e si lasciò cadere sulla sedia, tirando un sospiro: “ E così sia ! Il verdetto ti dichiara colpevole e la pena verrà applicata sul momento”. A tutti i presenti si gelò il sangue nelle vene, sapendo che a qualcuno sarebbe toccato l’odiato ruolo; la ragazza si sfilò la camicia nera e stropicciata, facendola volare in terra, e mostrò di non portare alcun tipo di protezione da i colpi che avrebbe ricevuto: si posizionò meglio sull’asse e stette immobile con il torso nudo in offerta. Un soldato della Guardia Reale le si mise appresso con una lunga pertica di mithril tra le mani e prese accuratamente le misure per colpire in pieno la schiena: non era facile capire dove avrebbe fatto male, visto che i dorsali erano molto sviluppati e in un punto mancava una costola; la pelle era coperta di cicatrici bianche e rosse, piaghe, lividi, bozzi e ferite fresche, segnacci scuri, ricordi di precedenti castighi e le ossa risaltavano tra i muscoli resistenti. Dopo averci ragionato un attimo, l’Elfo alzò le braccia e con forza poderosa abbattè il bastone sulla giovine; questa strabuzzò gli occhi ma non emise un lamento: sarebbe anche potuta crepare dal male, giammai sarebbe uscito neanche un fiato dalle sue labbra, per quanto pallide potessero essere. Le vergate si susseguirono una dopo l’altra e il sangue iniziò a sgorgare dalle botte; la castana stringeva i denti e le unghie artigliavano le cosce, lasciando le strisciate sui pantaloni: la carne aperta bruciava all’aria, le ossa dolevano mandando scariche elettriche fino al capo, il cuore batteva nella scatola cranica, la vista le si annebbiò e tutto intorno divenne viola, cominciò a girare, il dolore si propagava con potenza inumana e gli arti si intorpidivano lentamente, cadendo in sfacelo. Le sembrava improvvisamente di essere stata colpita da un fuoco di Sant’Elmo o affetta dal fuoco di Sant’Antonio e oltre alle scudisciate le scottava anche la vergogna di essere sotto gli occhi del padre oltraggiato e, anche se non sarebbe riuscita mai a provarlo, della sorella: il castigo non le era mai stato così gravoso…

***

Tauriel scostò la tenda e guardò fuori: nel cortile stavano punendo Aralis e lei non avrebbe voluto guardare. Kili era seduto in fianco alla porta e la osservava sconfortato: “ È un bene che abbia deciso da sé la sua pena, ma credo che sarebbe meglio se ti ricongiungessi a lei” la fulva si voltò, poggiandosi al davanzale e cercando in lui una certa dose di comprensione: “ Dammi un solo motivo perché dovrei metterci una pietra sopra e ti giuro che quella bimba non sarà mai più fonte di dispiacere per me” al Nano scappò un risolino: “ Io penso che il fratello maggiore non debba gettare troppi sassi sugli errori del minore; immaginati se lo avesse fatto Fili: probabilmente io non sarei nemmeno qui” la ramata si riebbe grazie alla sua ironia e decise che avrebbe fatto qualcosa: spalancò il suo baule e con l’aiuto del consorte tirò fuori un canovaccio bianco; intanto la punizione dell’altra giovane era finita ed ella era rientrata barcollando nell’edificio, provata e distrutta. L’Elfa uscì dalla sua stanza e in estremo silenzio si diresse verso la camera della punita; cercò di non farsi vedere il più possibile mentre percorreva i corridoi: aveva il presentimento che la castana volesse andarsene e tentò di non smuovere le acque intorno ad essa più del necessario. Arrivata sulla soglia, si fermò e prese aria nei polmoni; buttò dentro la testa e vide la ragazza seduta sul letto davanti allo specchio che fissava i segni lasciatele dai colpi: sembrava abbastanza fiera di ciò che aveva compiuto per rimediare al suo sbaglio. Entrò con la massima calma e poggiò una mano sul collo dell’altra; questa era stupita e commossa al punto di abbracciarla, ma l’Immortale la fermò: “ Voltati” le disse con tono materno, intanto che immergeva la pezzuola in un catino d’acqua posato sul tavolo della toilette. Successivamente ad averla strizzata un paio di volte la strofinò delicatamente sulle ferite per pulirle dal sangue e dallo sporco; la sua assistita fremette un paio di volte al suo tocco, ma si abituò quasi subito alla sensazione: “ Ti ringrazio…” essendo quest’ultima di spalle il suo viso era nascosto: “ Di niente; dopo quello che hai fatto per meritarti il mio perdono è il minimo” “ Mi scuso, è stata tutta colpa mia” “ Adesso che riparti alla volta delle Terre Selvagge non lo ritengo più importante: vai con l’anima in pace, per carità dei Valar” entrambe sorrisero: “ Come sta tuo marito ?” “ Quell’idiota, come lo chiami tu, sta meglio di noi due messe insieme; presumo che adesso stia gongolando qua fuori, ma non ne sono sicura” il riso le contagiò con infima lentezza e ben presto l’Umana si rimise indosso la sotto cotta; la sorella la aiutò a indossare i parastinchi, gli schinieri, il pettorale e per ultimo il mantello: dovevano prendere tutto e andare subito. Uscirono in fretta e furia, una con la sacca delle armi tra le mani e l’altra con un bastone, andando verso le scuderie; sorpassarono i soldati e le mura esterne, giungendo dagli animali silenti: per ora la situazione stava andando bene. La bruna prese le briglie del suo pie-bald e stava per salire in sella, quando Tauriel la bloccò: “ Efneviel, torna intera prima di dieci anni, vieni a vedere i tuoi prossimi nipoti; promettimi che verrai qui presto” quella sospirò: “ Ho fatto una sola promessa in vita mia e ho capito che è una gran fregatura: non posso garantirti nulla, tranne che i tuoi figli avranno una grande sorpresa una volta cresciuti abbastanza” con le lacrime agli occhi la maggiore le diede un bacio sulla fronte e le poggiò l’elmo sul capo. La giovane le fu molto grata e montò a cavallo; con un calcio nelle reni partì in una nuvoletta: l’elfa rimase a guardarla andare via e, nel mentre, pregò: “ Che Eru la protegga e magari gliela mandi buona”

 

La tana della scrittrice 

안녕하세요 여러분! 어떻게 지내세요? Come ogni mese eccoci qui: non so quanto questo capitolo sia stato esaltante, ma devo dire che la storia sta prendendo piede; i prossimi capitoli penso saranno più fluidi, ma non posso dirvi di più. L’idea di questo tipo di punizione corporale l’ho presa dall’anime Mo dao zu shi: il fondatore del culto demoniaco ( se vi interessa lo potete trovare comodamente su YouTube sottotitolato in inglese). Come sempre mi scuso per eventuali errori nel testo o se non è stato di vostro gradimento, saluti e baci hobbit 

Sempre vostro 

 

Merry 

   
 
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