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Autore: Merry brandybuck    31/05/2021    0 recensioni
Aragorn è salito al trono da pochi mesi e già si ritrova a combattere una battaglia contro degli orchi che non accettano la caduta di Sauron : per questo scontro il re si ritroverà a chiedere aiuto ai suoi amici fidati e a dover portare alla luce un membro della sua famiglia che è rimasto oscurato per anni.
Come continuerà l’esistenza sua e del regno dopo questo incontro ?
Personaggi: nuovo personaggio/ Aragorn/ Legolas/compagnia dell’anello/ un po’ tutti
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Legolas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10: Silenzioso e letale come un Nazgul

 

In un piccolo villaggio dalle parti di Umbar

 

La vecchia filava tranquilla, davanti a un misero focolare; fissava la pioggia fuori dalla finestra e ogni tanto lo sguardo le cadeva sui tre pugnali appesi al muro: non scintillavano più come un tempo. Il primo lo aveva rubato a uno di quegli orripilanti orchetti che li seviziavano da quando l’oscuro Signore era tornato; quell’essere infido e bastardo stava sfilando per le strade coi suoi compari, ostentando l’arma come un trofeo, come se se la fosse guadagnata e non l’avesse rubata da un corpo esanime: appena aveva scorto il simbolo sul manico, si era ripresa quel che era suo. Suo marito sarebbe stato fiero di lei: sarebbe stato contento di essere sepolto con la sua lama; peccato che la salma non fosse mai tornata. Il secondo le era stato riportato dalla settima batteria d’attacco dell’armata Ovest; i compagni di sua figlia lo avevano levato dal cadavere dopo che questa era stata ammazzata durante un’avanzata contro l’esercito di Gondor, ma sapendo che vigeva una maledizione su chiunque tenesse per sé uno di quegli oggetti, lo avevano riportato alla famiglia: quei giovani erano gli unici ad avere onore in quel branco di luridi cani. L’ultimo, invece, l’aveva fregato lei stessa dalle carcasse; un giorno prestabilito del mese, come da ricorrenza, i soliti protestanti agli oppressori si erano riuniti al centro del villaggio e avevano iniziato a urlare ingiurie e denunce contro gli orrori perpetrati dagli occupanti e coperti dal velo dell’omertà: come ogni volta puntualmente Coyeco era andato a vedere, non riuscendo a resistere alla curiosità che tenta ogni ragazzino. Si era nascosto dietro un cadente muro di pietra a guardare i rivoltosi che si scatenavano contro le forze degli oppressori; dopo un’ora circa erano arrivati i rinforzi più pesanti, come da copione, e i manifestanti erano dovuti fuggire alla velocità del vento: il giovanotto non era stato abbastanza svelto. La folla si era stretta intorno ad alcune aree dirute, formando delle risacche, e il ragazzo era rimasto bloccato in una di esse; tutti fuggivano in ogni direzione possibile e immaginabile tranne lui, che era rimasto pietrificato dalla paura: una guardia grande e grossa gli si era piazzata dinanzi e per il suo figliolo non c’era più via di scampo. L’anziana scosse il capo canuto: senza l’aiuto di nessuno era andata a sfilare il coltello dalle tasche dell’ultimogenito, finito decapitato e col cranio esposto sulla cima di un palo perché la punizione fosse esemplare, e aveva riportato alla sua abitazione solo lo stretto necessario; nemmeno uno dei suoi compaesani, compagni di sventura era venuto a darle una mano. Ora all’appello dei morti mancava solo il suo erede, Ryeco; di quelli del suo battaglione ne erano partiti centocinquanta e di questi ne erano tornati solamente dieci: nessuno sperava nel ritorno di qualcun altro da quel massacro. Era ancora immersa nei suoi pensieri, quando qualcuno bussò alla porta: sono arrivati a prendere anche me, mormorò; strinse le dita intorno al fuso e si avvicinò all’ingresso, titubante. Con la convinzione di lottare fino all’ultimo momento, strinse la maniglia e la girò con uno scatto sonoro; era già pronta ad avventarsi sull’indesiderato visitatore, ma quando vide la sagoma oscura sull’uscio rimase pietrificata… 

 

Sotto l’acqua scrosciante stava una figura slanciata, ammantata di nero, col viso celato dal cappuccio e la pelle diafana che somigliava a uno spettro; indossava vesti umili, sporche e bagnate, ma non sembrava darle particolare fastidio, mentre le scarpe, piene di sassi e di palta, facevano dei suoni assai inquietanti. L’anziana signora prese uno spavento quando notò uno strano luccichio sul petto dello straniero: una piccola ancora di metallo dondolava appesa a una cordicella. “ S-sei un fantasma to-tornato dal mare… non c’è altra spiegazione !” Lo sconosciuto rimase in silenzio, senza muovere un dito: “ Non sono stata io a parlare, lo giuro mia Signora, non sono stata io !” lei si mise a piangere, inginocchiata in terra, dimenticando il coraggio dimostrato prima: è bene aver più paura dei morti che dei vivi. Il misterioso essere si portò una mano alla cintura; lei era sicura che fosse per picchiarla e poi portarla alla dimora dei Nazgûl, ma si stupì un’altra volta: una lama splendente era tesa all'altezza del suo volto. “ Vengo a riportarti il coltello di tuo figlio, ergo sono viva; comunque non avere timore dei demoni della mia famiglia: il traditore ha già pagato con la sua vita” La dama afferrò l’arma e la strinse con forza, per avere la certezza che ci fosse almeno qualcosa di vero in quella scena surreale; la creatura mollò il manico dell’oggetto e indietreggiò, prima di allontanarsi in mezzo alla pioggia. Con l’ultimo sguardo che la vecchia le lanciò, fu in grado di vedere un'altra cosa che la fece rabbrividire: un lampo squarciò il cielo e sui polsi bianchi comparvero due tatuaggi neri, in nanico.

***

Un po’ di tempo dopo, nella città di Minas Tirith 

 

Aragorn sentì una specie di tonfo; si mise seduto sul letto, stando attento a non svegliare la moglie che stava riposando al suo fianco, e si guardò intorno: la sua camera da letto era buia, ma una flebile luce filtrava da sotto l’ingresso. Dopo qualche minuto di silenzio stava per ridistendersi, ma un lievissimo passo risuonò nuovamente nell’aria; si avvicinò all’entrata, la spada stretta tra le dita, e uscì cheto cheto. Il corridoio era in penombra e tutto sembrava normale, tranne che per un piccolo particolare: la porta della stanza di Eldarion era aperta; il bambino, nato da solo pochi giorni e messo nella sua culla per ordine della madre, non poteva certo camminare e in quell’ala del palazzo non erano ammesse guardie nel bel mezzo della notte, quindi qualcuno doveva essere penetrato nell’edificio passando dai merli della settima cerchia. Proprio mentre pensava a quanto fosse stato silenzioso l’intruso, un essere nascosto da un mantello si affacciò sulla soglia; quando si accorse della sua presenza, l’individuo si mise a correre verso l’uscita più vicina: Elessar prese a inseguirlo con foga sovrumana. Il loro respiro affannato e il rumore delle loro suole sulle mattonelle candide rimbombava sui muri creando un effetto ancora più macabro di quanto già non fosse; il figlio di Arathorn doveva prenderlo quel bastardo, costasse quel che costasse: il suo cuore gli batteva con forza nella testa, quasi volesse rompergli in due la scatola cranica, ma proseguì imperterrito. La preda braccata si diresse sempre più celermente verso uno dei balconi che davano sull’esterno e spalancò la finestra; uscì all’aria aperta e riempì i polmoni con una sola, lunghissima inspirazione: il cielo era un immenso velo scuro punteggiato di stelle, posato con delicatezza sul mondo dalle potenti mani di Eru Illuvatar, che adesso la nascondeva dallo sguardo della capitale addormentata. Estel giunse, col fiato grosso, e menò un veloce fendente per tentare di colpire l’estraneo: questi si spostò con impressionante agilità, balzando sul parapetto; altri quattro colpi volarono all’aria, ma nessuno andò a segno. Il bersaglio continuava a saltellare in giro con la stessa leggerezza di una foglia al vento e ridacchiava goliardicamente quando Anduril sfiorava le sue vesti; il Sire iniziò a sudare e aumentò la velocità con cui tentava di colpire: il gioco si fece più difficoltoso per l’equilibrista. Dopo un po’ quest’ultimo si stufò e fece un movimento brusco per scalzarsi via l’avversario; per il Signore il tempo si congelò: alla luce della luna piena un sorriso luccicò da sotto il cappuccio e un’ancora di metallo scivolò fuori dal collo della mise. In un attimo di lucidità il Sovrano riconobbe il gioiello e provò a tirare a sé quel giovane; questi gongolò leggermente e compì un atto estremo: svicolò dalla presa e, con una specie di ghigno divertito, saltò all’indietro. Il gondoriano assistette alla caduta nel vuoto, sporgendosi, e quando non riuscì più a vedere il corpo corse a chiamare delle guardie: scese le scale fino alla sala del trono e fece chiamare da un inserviente uno svelto manipolo di valenti uomini per recuperare il cadavere; questi corsero immediatamente alla ricerca, intanto che l’uomo tornava verso i suoi appartamenti. Percorse la strada fino alla stanza del figlio a spron battuto e accese le candele per far luce sulla situazione; si avvicinò preoccupatissimo alla culla e atterrito strinse il  neonato tra le braccia, prima di guardarlo con occhi allarmati: rimase sconcertato e inquieto. Il bambino dormiva beato, con l’espressione distesa, non accorgendosi del rivolo vermiglio che solcava inesorabile il suo volto prefetto; la goccia di sangue e partiva da una ferita sull’attaccatura dei capelli: una stella a otto punte era stata incisa sulla fronte con tale maestria e precisione che quest’ultimo non si era nemmeno svegliato. Lady Arwen sembrò materializzarsi alle sue spalle: “ Amore che succede ?” Quando vide il segno sul viso del bimbo, le cadde la mascella: “ Questo significa solo una cosa…”  il marito annuì tristemente: “ Sì, hai ragione; lo ha scelto. Lo ha già fatto, quindi lui è il secondo… il secondo dei figli delle Stelle…” L’elfa scoppiò a piangere, non sapendo se per gioia o disperazione, cingendo il coniuge e il pargoletto; il Re provò a confortarla con il proprio calore, con delle parole dolci sussurrate all’orecchio, con qualche strofa del canto di Beren e Lúthien, ma tutto fu inutile: la sua sposa stava davanti a lui, in preda ai singulti e immersa nelle lacrime, cercando di ridarsi un contegno. Intanto il responsabile del gruppo di ricerca si presentò a rapporto; sembrava terrorizzato: il suo volto era contratto in una smorfia atterrita. Aragorn si staccò lentamente dalla sua amata e ascoltò con attenzione cosa aveva da comunicargli; dopo fece chiamare un messo per lanciare un allarme generale: il morto era sparito, neanche una traccia del suo schianto, sangue o qualsiasi segno del suo passaggio.

***

Qualche mese più tardi, a Erebor

 

La notte era una delle più tranquille che ci fossero mai state da dopo la riconquista del regno sotto la Montagna da parte del re Thorin, figlio di Thráin e l’impero era in pace; i corvi erano finalmente tornati, i commerci con la città di Dale non erano mai stati così floridi, l’estate era stata abbastanza calda da consentire alle coltivazioni di crescere rigogliose, il fiume portava acqua a tutti consentendo ad ogni attività di svolgersi in piena sintonia con le altre, il clima era stato mite e favorevole, l’estrazione dei metalli preziosi era migliorata tantissimo e le lavorazioni avevano fatto passi da giganti: nulla avrebbe potuto rompere l’armonia di quel momento. La gente del popolo era molto felice di essersi finalmente ripresa dalla grande depressione economica e amava il suo governo: i figli di Durin erano degli strepitosi egemoni, che guidavano con estrema saggezza e prudenza, stando attenti anche ai bisogni più blandi dei loro sottoposti; da quando la splendida Tauriel aveva sposato il secondo principe Kili, anche i rapporti con gli elfi erano migliorati nettamente. Ora che le guerre erano scongiurate, il territorio protetto e i centri abitati ricostruiti un’altra gioia aveva colto il paese: la nascita dei figli dei due fratelli ereditari; le mogli della prole di Dis avevano dato al mondo rispettivamente un nanetto in perfetta salute e due gemelli, nati tutti nello stesso giorno uggioso di autunno. Si erano fatti enormi banchetti per festeggiare la venuta dei nuovi successori del grande Sire Scudodiquercia e gli arrivi degli invitati si erano protratti, insieme ai balli, per oltre un mese dal magnifico evento; erano giunti visitatori da ogni angolo della terra di Mezzo solo per poter dare un’occhiata ai tre poppanti, portando i doni più strabilianti, pegno di adorazione dei loro popoli natii. Non si era parlato d’altro per molto tempo e chiunque in ogni dove era stato informato del lieta novella; in un’epoca in cui nascevano ovunque discendenti di grandi casate come quella del Re di Gondor o del Sovraintendente, nulla passava inosservato: anzi, forse una cosa soltanto… 

 

Adesso l’inverno era inevitabilmente arrivato e con lui anche le grandi gelate che avevano indurito tutti i terreni intorno alla Montagna Solitaria, rendendoli incoltivabili ( fortunatamente avevano scorte a sufficienza per sopravvivere ad almeno dieci lunghi freddi imeali); il volgo sarebbe sopravvissuto senza fare nemmeno troppi sacrifici, almeno, così dicevano i comandanti: l’immortale principessa aveva le sue riserve, ma provava a fidarsi del consorte. Dopo il parto lei aveva deciso di riposare il più possibile, quindi aveva lasciato allo sposo le sue mansioni: era un miracolo che non fosse ancora successo un macello. La seconda figlia di Thranduil si era addormentata ridacchiando al pensiero di quanta distruzione avrebbe portato il coniuge se non fosse sempre assistito da Fili e dal consiglio nanico; si era avviluppata nella sua sontuosa coperta e aveva chiuso gli occhi, ascoltando il respiro tranquilla del compagno che le stava a fianco: non si immaginava mai quel che avrebbe sognato. Era immersa in un buio immenso e non vedeva nulla; un getto di aria fresca le sollevò il leggero vestito che indossava e una musica lontana iniziò a risuonare intorno a lei: non riuscì subito a capire da dove veniva. Piano piano iniziò a muoversi nell’ombra per cercare la fonte del suono e tentò di ascoltarlo meglio: era una specie di melodia fischiata, molto alta e travolgente, che in alcuni punti raschiava come un pezzo di metallo contro la roccia, mentre in altri era dolce come il miele; continuava sempre più forte man mano che continuava a camminare. A un tratto il sottofondo sparì, lasciando posto a dei respiri smorzati, e un’immagine sfocata si fece sempre più nitida nella mente della fulva: una losca creatura avvolta in una cappa di tenebra stava accovacciata sopra a un lettino; le due iridi gialle la seguivano e dalla bocca colava del liquido rosso e viscoso. I capelli castani sembravano peli di animale che incorniciavano la faccia bestiale e le mani sembravano artigli delle aquile di Thorondor; l’essere teneva tra le grinfie due corpi, da cui succhiava il sangue dalla giugulare: l’elfa si accorse con orrore che quei poveri infelici somigliavano paurosamente ai suoi bambini. Iniziò a urlare, in preda al panico, e cercò di colpire il nemico; questo continuava a spostarsi e ridere di lei: non riusciva a colpirlo e tra le risate maligne, la disperazione si fece strada nel suo cuore, mentre la scena si scioglieva come burro al sole.

Si svegliò col batticuore e subito corse a vedere come stavano i figlioletti; uscì dalle coperte e si diresse spedita fino alla culla: le si stava sconquassando il capo. Spalancò la porta e scostò i lenzuoli dei suoi figli; le prese un colpo: sulle fronti di entrambi i gemelli c’erano due ferite profonde pochi millimetri, a forma di stella e della linfa vitale sgorgava copiosa dalla carne esposta da poco. I suoi timori erano fondati dopotutto e il suo sogno era divenuto una spaventosa realtà; quella notte da Erebor partirono decine di messaggeri diretti in ogni angolo delle terre conosciute per avvisare del nuovo pericolo che, ci si era accertati, minacciava molti bambini dei regni della Quarta Era… 

***

In pochi mesi la notizia dell’uomo “ ferita” aveva fatto il giro di tutte le terre emerse e tutti ne avevano paura; la gente si barricava in casa dopo il tramonto e si aveva il terrore di avere figli per via del fatto che si temeva potessero essere marchiati o peggio uccisi dalla creatura misteriosa: anche se non era ancora accaduto nessuno aveva la garanzia di essere al sicuro. C’erano stati alcuni casi anche a Rohan, con il figlio di Éomer, e nella Contea, con gli eredi dei Tuc e dei Brandybuck: non si parlava d’altro che del mostro degli infanti. Anahim era seduta su una murella, coi piedi a penzoloni, ed era piegata in due dalle risate: non riusciva a capacitarsi di quanto un semplice taglietto avesse potuto tanto portare scompiglio… 

 

La tana della scrittrice 

Halo a h-uile duine! Ciamar a tha thu ? Per questo mese vi ho riservato un capitolo un po’ ansiogeno: spero di cuore che vi sia piaciuto ( ditemi cosa ne pensate nei commenti). Non essendoci molto da aggiungere, mi scuso per eventuali errori nel testo o se non è stato di vostro gradimento, saluti e baci hobbit 

Sempre vostro 

 

Merry

   
 
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