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Autore: Valentyna90    02/05/2021    1 recensioni
Alya Merope Black è la sorella gemella di Sirius. Ha vissuto con lui e con il fratellino Regulus gli anni dell'infanzia a Grimmauld Place, sotto la severa educazione impartita da Orion e Walburga Black, i loro inflessibili e orgogliosi genitori.
Sotto l'influenza dei rigidi dettami della sua famiglia, Alya Merope cresce come degna erede della Casata dei Black, fiera e vanitosa delle sue origini; tutto il contrario di suo fratello gemello Sirius, che le rigetta con disprezzo. Insieme, i due gemelli entreranno a Hogwarts, ma vivranno vite separate. Sirius sarà un Grifondoro, Alya Merope una Serpeverde. Un perenne velo di sdegno e indifferenza li separa.
Ma nella vita della giovane Black c'è dell'altro. Un potere arcano e sconosciuto, che nemmeno lei sa comprendere. La sua mente funziona diversamente rispetto a quella dei suoi coetanei. Soprattutto nei sogni. Qui, in questa parte sospesa dell'esistenza, dove tempo e spazio, realtà e finzione si confondono, la coscienza di Alya Merope viaggia, apprende, conosce. Ma sempre inconsapevole.
Quale sarà il destino della giovane maga?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Merope Gaunt, Nuovo personaggio, Orion Black, Regulus Black, Sirius Black
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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PASSI DI DANZA E CONFESSIONI

 

Le stelle vibravano nel cielo nero d’inchiostro come lucciole svolazzanti. L’unghia sottile di una timida luna, incapace di mostrarsi in tutta la sua pienezza, abbracciava un astro solitario, più luminoso degli altri. L’intera volta celeste brillava di una bellezza remota e suggestiva, ma Alya non poteva ammirarla. La vista del cielo notturno le era celato dietro una fitta coltre di rami intrecciati, a lei ormai familiari.

Alya si trovava – o, per meglio dire, stava sognando di trovarsi – dentro al giardino, incolto e abbandonato all’incuria, che circondava la triste dimora della sua amica dei sogni, Merope.

Alya avanzava a passo incerto, inciampando di tanto in tanto tra le erbacce sparpagliate. Sebbene fosse consapevole di essere dentro ad un sogno, ogni sensazione, odore e rumore le apparivano estremamente reali: il profumo di muschio, lo scricchiolio delle foglie secche che si frantumavano come fragili cristalli sotto i suoi piedi, il silenzio denso che l’avvolgeva, il fruscio sottile della veste logora di Merope che procedeva decisa qualche metro avanti a lei.

Un poco intimorita dall’oscurità di quel luogo lontano, Alya lanciava rapide occhiate furtive in tutte le direzioni attorno a sé. Era la prima volta che Merope la conduceva al di fuori della sua stanza, al di fuori della sua piccola e angusta casa. Tutto le appariva lugubre, pericoloso. Anche se gli occhi si erano ormai abituati al buio, gli scuri profili degli alberi dai tronchi contorti, che le si paravano davanti ad ogni metro, sembravano assumere l’aspetto di inquietanti figure mostruose. Alya dovette fare appello a tutto il suo buon senso per non cadere nei tranelli che la notte le serbava. Sono solo alberi, sono solo alberi si ripeteva come un mantra. Merope, che le camminava davanti come una guida, non sembrava per nulla intimorita. Dopotutto, era il suo giardino. Le due ragazzine erano sgattaiolate fuori di casa e avevano percorso già qualche metro, lasciandosi dietro le spalle la lugubre dimora. Merope sembrava decisa ad avvicinarsi il più possibile al cancello. Quando finalmente si fermò, Alya guardò dietro di sé: la vecchia porta di legno era ancora ben visibile, sebbene avvolta dall’oscurità della notte. Si poteva ancora scorgere il cadavere del serpente morto che penzolava appeso ad un chiodo arrugginito. Alya inorridiva ogni volta che lo vedeva.

Ma è proprio necessario tenere sempre quella robaccia là, appesa alla porta?” chiese con sofisticato disgusto, degno di una nobile. Le sue parole suonarono come un sussurro soffiato, nell’antica lingua del Serpentese. Lei e Merope parlavano sempre nella lingua dei rettili quando si incontravano.

Ce lo ha messo mio fratello Morfin. E mio padre esige che si capisca subito a quale famiglia appartiene questa proprietà. È un monito ai visitatori indesiderati.” rispose Merope con semplicità, guardando Alya con i suoi occhi strabici, che guardavano in due direzioni opposte. Gli zigomi si erano fatti più sporgenti e pronunciati dall’ultima volta che Alya l’aveva vista, segno di un’eccessiva magrezza. La veste rattoppata e consunta che le cadeva ampia lungo il corpo, non era in grado di nascondere la figura ossuta di Merope. Più la ragazza cresceva, più aumentava il senso di rassegnata sconfitta che l’accompagnava. Se uno sconosciuto fosse capitato lì per caso, in quel momento, avrebbe potuto tranquillamente scambiare Merope per un fantasma.

A proposito...non hai paura che tuo padre e tuo fratello possano scoprire che sei uscita di casa nel bel mezzo della notte?” chiese Alya preoccupata.

Tranquilla, sono entrambi fuori in questo momento. Una spedizione punitiva. Un babbano si è azzardato a chiamare mio padre ‘vecchio svitato’...non l’ha presa bene...” spiegò Merope con aria afflitta. “Torneranno sicuramente molto tardi.” aggiunse spiccia. Alya rabbrividì al pensiero di ciò che i due spregevoli parenti di Merope avrebbero potuto fare al povero malcapitato.

Il lato positivo è che possiamo godere di tutta la casa e di tutto il giardino. Finalmente posso...possiamo fare tutto quello che ci pare!” esclamò con entusiasmo l’esile Merope. Spalancò le braccia come se volesse abbracciare ogni centimetro del suo cortile misero e abbandonato. Ad Alya venne in mente l’immagine di un uccellino gracile e indifeso che si apprestava per la prima volta a volare. Fu pervasa da un triste senso di compassione. Era così che si riduceva l’esistenza della sua misteriosa amica dei sogni? Rari e anelati scampoli di libertà, ritagliati nei momenti di solitudine in cui il fratello e il padre si recavano in villaggio a dare sfogo a tutta la loro malvagità su babbani innocenti?

In quel momento, si accorse che da una delle due mani ossute dell’amica, penzolava la bambola di porcellana dai capelli dorati. La stessa che Alya possedeva in Grimmauld Place, abbandonata alla polvere, su uno scaffale di camera sua.

E che cosa avresti intenzione di fare...qui?” domandò infine Alya, guardandosi attorno con la stessa espressione di velata disapprovazione che avrebbe avuto sua madre Walburga alla vista di un luogo simile.

Ballare!” rispose Merope, battendo le mani davanti al suo viso, estasiata.

Cosa?” le fece eco Alya, sbalordita.

Ballare. Imparare a ballare, a dire il vero. Non ho mai imparato.” disse Merope con semplicità. Alya non fu in grado di ribattere, tanto era interdetta. Danzare nel cuore della notte, al buio, in un giardino pieno di erbacce, rischiando di essere scoperte da due maghi loschi e inclini a dolorose punizioni, non era di certo la risposta che si era aspettata.

Tu sai ballare, Alya?” chiese Merope a bruciapelo.

Uh? Ah, sì, certo...mia madre mi ha dato lezioni fin da quando ero molto piccola…” rispose colta un po’ alla sprovvista.

Allora puoi insegnarmelo...mi insegnerai, vero?” la supplicò Merope con voce infantile. Alya le rispose con un’occhiata poco convinta, rivolta oltre il cancello. Temeva il ritorno del fratello e del padre dell’amica. Non voleva rischiare di essere aggredita per degli insulsi passi di danza!

Io ti ho insegnato a parlare il Serpentese…” insistette Merope, notando l’indecisione di Alya. Quest’ultimo commento ebbe l’effetto sperato, perché alla fine Alya disse con un sospiro rassegnato:

Va bene, va bene! Ti insegnerò qualche passo.

Che bello! Grazie!” squittì Merope gioiosa.

Avremo bisogno della musica adeguata, però” commentò Alya, con scarso entusiasmo, soppesando con lo sguardo la tetra condizione del posto nel quale si trovava. Di sicuro, avrebbe preferito dare lezioni di ballo in una stanza più adeguata, più sontuosa, con il pavimento di marmo e luci sfavillanti, come quella presente alla tenuta di Arcturus Black. Purtroppo, tutto ciò che le si presentava alla vista era una distesa di terra secca, fogliame marcito e una densa oscurità.

Per questo non c’è problema. Ci avevo già pensato.” rispose Merope con tono pratico, puntando la sua bacchetta verso la bambola che aveva momentaneamente appoggiato contro il tronco di un albero lì vicino. Mugugnò un incantesimo che Alya non comprese e la bocca scarlatta, a forma di rosa del balocco incantato cominciò a muoversi come per parlare. Ma dalle finte labbra non uscirono parole, bensì soavi note musicali che intonavano un valzer. La melodia si propagò presto per tutto il cortile, aleggiando sui fitti alberi e sulle due ragazze come nebbia.

Molto meglio!” commentò Alya, un poco soddisfatta. Dopodiché assunse una posizione ritta e impettita, assomigliando a un soldato sull’attenti.

Il segreto per ballare un buon valzer sono i passi. Sono pochi e semplici, ma devono essere appresi alla perfezione. Devono diventare un movimento quotidiano, come respirare o bere un bicchiere d’acqua.” spiegò a mento alzato, ostentando un tono severo, cercando di imitare quello di sua madre. Merope l’ascoltava con profonda attenzione, guardandola in piena trepidazione.

Alya sciolse il suo corpo dalla rigidità che aveva assunto e si tuffò nella danza, posizionando le braccia davanti a sé, abbracciando un partner invisibile. Un, due, tre. Un, due, tre. I suoi piedi si muovevano leggeri e veloci, cavalcando le note. Alya fluttuava elegante e aggraziata, come se fosse una semplice estensione della melodia stessa. Ogni suo movimento si fondeva con la musica. Alya amava danzare ed ogni parte del suo corpo lo esprimeva a gran voce. In quel momento si sentì libera, felice, dimenticandosi anche del luogo lugubre dove si trovava. Si scordò persino della presenza di Merope, fino a che questa non cominciò a battere le mani estasiata, colma di ammirazione.

Oh Alya, danzi così divinamente!” pigolò Merope. Alya sorrise compiaciuta.

Ora prova tu. Coraggio, alzati!” la esortò. Merope si mise in piedi, scrollandosi alcune foglie secche che le erano rimaste attaccate alla veste. Raggiunse Alya trotterellando come un’allegra scolaretta nel suo primo giorno di scuola.

Per prima cosa, è necessario avere un’ottima postura. Non stare ingobbita come una vecchia fattucchiera! Mento in alto, schiena dritta, petto aperto.” la rimproverò Alya, cercando di raddrizzare le spalle incurvate di Merope, troppo abituate a stare chiuse su stesse come un guscio protettivo. Con il dito indice spinse il mento tozzo dell’amica un poco verso l’alto.

Tutto il tuo corpo deve esprimere bellezza, orgoglio, regale eleganza. Pensa di essere una dama o una principessa!” cercò di incoraggiarla Alya, notando il senso di smarrimento di Merope nell’assumere una posizione che comunicasse una qualche sicurezza di sé.

Sono tutto l’opposto di una principessa…” sospirò Merope afflitta.

Bè, allora fa’ finta di esserlo!” replicò Alya, facendole l’occhiolino.

I passi sono piuttosto semplici. L’importante è saper seguire il tempo scandito dalla musica e per questo c’è bisogno di fare tanta pratica.” spiegò “Guarda come faccio io: un, due, tre...un, due, tre…” Alya mostrò di nuovo i movimenti, lentamente.

Ora prova tu!” disse infine, scostandosi di un paio di metri da Merope in modo da lasciarle lo spazio per muoversi. Merope cominciò a zampettare incerta sul duro terreno. Le sue braccia oscillavano terribilmente.

Concentrati solo sui piedi, Merope! Alle braccia penseremo dopo.” consigliò Alya, in piedi vicino ad un albero, a braccia conserte. I suoi occhi grigi scintillanti osservavano con minuzia ogni movimento dell’amica.

I suggerimenti di Alya, tuttavia, non furono di molta efficacia: Merope si muoveva sgraziata, insicura di ogni passo, traballando visibilmente. Pareva si trovasse in un campo pieno di uova, che non dovevano assolutamente essere calpestate. Alya cercava di aiutarla e di incoraggiarla, contando e battendo le mani, a ritmo della melodia che la bambola continuava a cantare senza mai interrompersi. Per un momento, Merope alzò lo sguardo verso l’amica, forse in cerca di approvazione. Ma incespicò, inciampando nei suoi stessi passi e cadde goffa a terra. A quanto pareva, ciò che ad Alya sembravano movimenti semplici e naturali, a Merope richiedevano uno sforzo superiore alle aspettative. Alya non riuscì a trattenere una risatina nel vedere il buffo capitombolo della sua allieva impacciata. Si ricordò delle rare volte in cui anche lei, da bambina, era inciampata nei suoi passi di danza e di come sua madre l’aveva severamente punita, con quella sua odiosa – e dolorosa – asta di bambù con cui era solita impartire la disciplina in casa Black. Ripensandoci, il terrore di essere percossa da quel bastoncino sottile, ma impietoso era stato fondamentale per affinare le sue doti di ballerina. Tuttavia, Alya non se la sentì di impartire il metodo crudele di Walburga sulla povera Merope. La sua vita appariva già abbastanza misera e dolorosa.

Sono proprio un disastro...non imparerò mai!” esclamò scoraggiata Merope, mentre si rialzava a fatica, massaggiandosi la parte bassa della schiena.

Non abbatterti! Te l’ho detto, no? C’è bisogno di pratica. Devi fare tanto esercizio.” la consolò Alya, amichevole. “Dài, riprova!

Merope si rimise in piedi, con aria mesta. Ci furono altri passi di danza, maldestri, indecisi. Altri capitomboli. Altri sospiri afflitti. In effetti, Alya dovette ammettere con se stessa che l’amica sembrava proprio negata per la danza. Ma non glielo disse. Aveva intuito che imparare a ballare, o almeno a muoversi in modo aggraziato, doveva essere qualcosa di molto importante per lei.

Dopo all’incirca mezz’ora di passi traballanti e rovinose cadute, Alya decise che era arrivato il momento di fare una pausa.

Basta così, per ora. Riposiamoci un po’.

Le due amiche si sedettero l’una accanto all’altra, sotto all’albero al quale Merope aveva appoggiato la sua bambola di porcellana. Per qualche istante, rimasero in silenzio, godendosi la tetra quiete del luogo, ascoltando i loro respiri che si fondevano con il silenzio della notte. Alya ringraziò silenziosa che vicino a lei ci fosse la sua amica dei sogni. Senza di lei, quel posto remoto e desolato le sarebbe apparso spaventosamente inquietante. Con Merope, invece, si sentiva tranquilla e non provava alcuna paura. Tuttavia, non riuscì a fare a meno di chiedersi come si potesse vivere in un luogo del genere. Eppure Merope sembrava essere così legata a quella casa, a quel giardino, a quel posto quasi dimenticato dal mondo, come se non potesse appartenere a nessun altro posto. La sua figura esile, trascurata e afflitta pareva il riflesso fedele dell’incuria e del triste senso di abbandono che trapelava dalla proprietà. O, forse, sarebbe stato più corretto affermare che era il logoro aspetto della dimora di Merope a rispecchiare fedelmente la misera condizione di rovina in cui si trovava la sua famiglia.

Alya si voltò verso Merope, provando un forte senso di pietà. Ne osservò il profilo tozzo, poco grazioso. Lo sguardo dell’amica sembrava perso in qualche remoto pensiero, contemplando con aria assente un punto distante oltre la fitta coltre di alberi, che circondavano il giardino. I suoi occhi che guardavano in direzioni diverse brillavano di una luce che Alya non le aveva mai visto. Sogni? Speranza? Alya non seppe definirlo.

Laggiù c’è una piccola collina che sovrasta l’intero villaggio. In cima, si erge una bella villa. La villa dei Riddle. Sono i signori del villaggio. Possiedono quasi tutto in zona. Tranne questa proprietà.” disse di punto in bianco, con espressione trasognata. Sembrava che stesse parlando più a se stessa che ad Alya.

Sono maghi anche loro?

Oh no, sono babbani...lo sono tutti qui...solo la mia famiglia possiede sangue magico.” rispose Merope, mantenendo un’aria assente.

Ci disprezzano, sai...non sanno che siamo maghi, ovviamente, per via delle leggi sulla Restrizione Magica in Territorio Babbano. Ma ci considerano diversi, strambi...spesso i paesani ci insultano quando passano davanti alla nostra casa, li odo sempre dalla finestra della cucina...’Demoni, feccia, spazzatura’ è così che ci chiamano.”

Per questo mio fratello e mio padre sono usciti stanotte. Vogliono far capire loro chi è la vera feccia.” il tono di Merope era piatto, come se ciò di cui stava raccontando non la riguardasse.

Mi dispiace, Merope… I miei hanno imposto degli incantesimi di protezione sulla nostra casa, per renderla invisibile. Penso vogliano evitare atti del genere, anche noi viviamo in un quartiere pieno di babbani...anche se ogni tanto capita che qualche bambino lanci delle pietre contro le nostre pareti o le nostre finestre. Mio fratello Sirius l’ha sempre trovato divertente. Per me, invece, è davvero fastidioso. I miei genitori vanno su tutte le furie ogni volta. L’unico motivo per cui non reagiscono è perché hanno paura della reazione del Ministero. Vogliono salvare la faccia e mantenere alto l’onore di famiglia.” spiegò Alya, cercando di far capire a Merope che in parte comprendeva cosa provava. Ma l’amica sembrava che non l’ascoltasse affatto. Il suo sguardo vagava sempre più lontano, oltre l’orizzonte.

“Anche il figlio dei Riddle passa spesso qui, davanti al mio cancello. Ogni giorno. Deve fare questa strada per recarsi al villaggio o per ritornare alla villa. Ha un bellissimo cavallo dal manto morello.” la voce di Merope non suonò più triste e distante come prima. Una nota di puerile allegria si era insinuata nelle sue parole. Se non fosse stato per l’oscurità che le avvolgeva, Alya avrebbe anche potuto notare il leggero rossore che imporporò le gote di Merope nel pronunciare il figlio dei Riddle. Tuttavia, Merope non poté nascondere il luccichio di desiderio che apparve nel profondo delle sue nere pupille. E ad Alya fu finalmente chiaro quale fosse il nocciolo di quello strano discorso.

Ti piace il figlio dei Riddle...un babbano?” domandò Alya, esterrefatta. Se c’era una persona che si trovava nella posizione meno ideale per prendersi una cotta per un babbano, quella era senz’altro Merope. La sua famiglia, suo padre, suo fratello non avrebbero certo gradito una notizia del genere.

Io...non...non posso farci nulla…” mormorò Merope, affondando il viso scarno tra le dita ossute. Prese a singhiozzare, colpevole dei propri sentimenti.

Oh, Merope...Tu sei la diretta discendente di Salazar Serpeverde, il più grande mago di razza pura di tutte le stirpi magiche! Prendersi una cotta per un babbano...è assurdo! È così sconveniente! Pensa come reagirebbe tuo padre se sapesse…

Lui non dovrà mai scoprirlo! Mi ucciderebbe. Ucciderebbe Riddle!” gridò Merope terrorizzata. Poi scoppiò a piangere, ritornando a suoi singhiozzi, il viso nascosto tra le ginocchia spigolose. Alya la guardò sconsolata. Non sapeva come tirarle su il morale.

E...questo Riddle che ti piace tanto...lui lo sa dei sentimenti che provi per lui?” provò a chiedere.

Il volto bagnato di Merope riemerse timidamente, scuotendo appena la testa.

No, ovvio che non lo sa! Ogni volta che lui passa davanti alla nostra casa, mi nascondo. Non voglio che mi veda. Non voglio che mi guardi con lo stesso sdegno con cui osserva il serpente appeso alla porta, il nostro giardino incolto…

Merope, non essere sciocca! Tu non sei come il serpente sulla porta!

Oh, Alya! Guardami! Sembro un vecchio straccio! Lui, invece, è così bello, elegante...appartiene ad un altro mondo!

Bè, per forza! Lui è un babbano, tu una strega…

Non sono alla sua portata!

All’improvviso, Alya fu colta da un’illuminazione.

È per questo motivo che ci tieni tanto che ti insegni a danzare! Per farti notare dal bel rampollo dei Riddle!” esclamò con forza, come un investigatore che smaschera il colpevole di un delitto. Merope annuì.

Ho pensato che...ecco… se mi vedesse più aggraziata...I Riddle danno spesso dei balli nella loro villa…” balbettò Merope. Si era fatta piccola, come se volesse sprofondare nella dura terra, mentre confessava ad Alya le sue speranze. Le mani, troppo sottili, stringevano forte le ginocchia contro il suo petto. Ancora una volta, Alya la vide come un fragile uccellino e provò di nuova una fitta di compassione.

Allora dovrai esercitarti duramente, se vuoi imparare a ballare come una vera dama.” constatò Alya, ritornando al suo tono pratico da maestrina di danza. Rivolse all’amica un sorriso complice. Merope si sentì un poco galvanizzata. Sorrise a sua volta, piena di gratitudine.

Sei la sola persona a cui l’ho raccontato. L’unica amica che ho.” disse, infine, con dolcezza mescolata ad una nota di rassegnazione.

Non preoccuparti, non lo rivelerò a nessuno. Sono brava a mantenere i segreti.” rispose Alya, cercando di stemperare la greve atmosfera di tristezza che era calata su di loro. “Forza, alzati e rimettiamoci al lavoro. Devi fare pratica!” la incoraggiò.

Alya e Merope tornarono ai loro passi di danza. Alya, elegante e raffinata, Merope goffa e impacciata. Non riuscì a evitare altre cadute. Risate cristalline, che rivelavano una rinnovata allegria, si levarono fin sopra le chiome degli alberi contorti.

D’un tratto, il viso sorridente di Merope si irrigidì come impietrito. Gli occhi che guardavano in direzioni opposte, si spalancarono spaventati.

Che c’è?” chiese Alya allarmata. Ma Merope non rispose. Guardava terrorizzata l’oscurità oltre la spalla dell’amica.

CHI È LÀ?” ruggì improvvisamente un roca voce d’uomo. Alya riconobbe i suoni sibilanti del Serpentese, gli stessi con i quali lei e Merope avevano conversato per tutta la notte.

M-mio p-padre…è tornato…” disse Merope, tremante di terrore. La voce le si strozzò in gola. Intanto, i passi pesanti dell’uomo calcavano il terreno, calpestando rumorosamente rami e foglie, che scricchiolavano come per avvertire del pericolo imminente. Altri passi, più leggeri, ma altrettanto minacciosi seguivano quelli del padre.

Presto nasconditi!” intimò Merope, guardando Alya con una decisione che raramente le aveva visto in volto.

Non scherzare! Non ti lascio da sola!

Lui non deve trovarti qui! Non voglio che ti faccia del male!” disse Merope imperativa. Spinse Alya con una forza inaspettata, visto le sue esili braccia sottili come ramoscelli, buttandola nell’oscurità, dietro un grosso tronco.

Ah, sei tu piccola feccia indegna del tuo sangue!” tuonò il padre di Merope, emergendo dall’ombra. Sul suo volto rozzo e sgradevole apparve un ghigno malevolo.

Che ci fai fuori dal letto? EH?” sbraitò, sguainando rudemente la bacchetta, puntandola verso la figlia che tremava di paura di fronte a lui. La sua angoscia era tale da non riuscire più a parlare. Merope se ne stava in piedi, immobile, braccata come una preda dal suo cacciatore. La melodia gentile intonata dalla bambola di porcellana abbandonata accanto all’albero, faceva da improbabile sottofondo a quella scena grottesca.

Che è questa roba? Sei sgusciata fuori dal letto per ballare con le bambole, lurida svitata?” la sbeffeggiò il padre, con espressione sempre più maligna. Una risatina crudele suonò dietro le spalle dell’uomo rozzo. Anche Morfin, il fratello di Merope, li aveva raggiunti.

Morfin, fa’ tacere quell’affare!” ordinò perentorio il padre al ragazzo dietro di lui. Quest’ultimo obbedì all’istante: agitò rapido la bacchetta e la musica soave si smorzò, la bambola emise un rantolo inquietante, strozzato.

Ottimo! Quanto a te…” sibilò voltandosi di nuovo verso Merope, fissandola con occhi perfidi, che tradivano una perversa soddisfazione. “...è bene che ti insegni quali sono le regole di questa casa!

P-padre, p-per f-favore...i-io non...ho f-fatto nulla…” mormorò la figlia supplichevole, ricambiando lo sguardo impietoso del padre con occhi imploranti e terrorizzati.

“CRUCIO!” gridò l’uomo rozzo nella lingua degli umani, senza pietà. Il giardino, dove fino a pochi minuti prima si spandeva la dolce melodia di un vecchio valzer, si riempì delle urla di dolore di Merope. Un suono straziante che sembrava penetrare nelle ossa della stessa Alya, celata nell’oscurità della notte, a pochi metri di distanza. La ragazza non riuscì a sopportare la crudeltà inferta sulla sua povera amica indifesa. Incapace di starsene nascosta a guardare – e, soprattutto, ad ascoltare quelle urla di sofferenza – senza far nulla, Alya estrasse la sua bacchetta, pronta ad avventarsi sull’uomo spregevole che Merope chiamava padre. Fu una sensazione molto strana: nel momento esatto in cui Alya stava per compiere il balzo, qualcosa la strattonò all’indietro. Una forza invisibile, ma potente, la trascinò via, lontano. Le immagini degli alberi contorti e del giardino incolto cominciarono a vorticare, le figure a confondersi, fino a perdersi in un’oscurità totale, molto più densa rispetto a quella della notte. Infine, Alya si svegliò. Tuttavia, nelle sue orecchie echeggiavano ancora le grida di dolore di Merope. Ma non poteva fare più nulla, ormai.

 

***

3 novembre, 1973. Hogwarts.

 

“Merope! Merope! Lasciala stare!” Alya mugugnava disperata, cercando di divincolarsi dalla misteriosa presa che l’aveva risvegliata con violenza.

“Alya, calmati! Sono io. Reg! Svegliati!” la voce familiare del fratello minore riportò Alya alla realtà. Aprì gli occhi e vide il profilo annebbiato di Regulus, il quale la fissava molto preoccupato.

“Reg! Io dove…? Oh, stavo sognando…” sospirò un poco sollevata. Si mise a sedere, con fatica e si accorse di essere nella sala comune dei Serpeverde. Riconobbe lo scoppiettio del fuoco che ardeva danzante dentro al camino di marmo, vicino al sofà di pelle nera dove Alya giaceva. Regulus era accovacciato accanto a lei.

“Sognando...non minimizzare! Eri in preda agli incubi. Ti dimenavi e urlavi come una pazza! Hai spaventato a morte quelli del primo anno!” disse il ragazzo, lanciando un’occhiata sprezzante ad un gruppetto di ragazzini atterriti, rintanati in un angolo della stanza.

“Ehi, voi! Andatevene a fare un giro!” sbraitò Regulus contro di loro. Il gruppetto di bambini non se lo fece ripetere due volte, dileguandosi in un batter d’occhio.

“Che mocciosi codardi! Spaventarsi così, per due urletti.” commentò Alya, schioccando la lingua in segno di disapprovazione. Cercò la caraffa piena d’acqua posta perennemente sul tavolino davanti al sofà e si riempì un bicchiere di cristallo. Aveva la bocca impastata e la gola secca. Dubitava di essersi limitata a qualche urletto, ma non osò chiedere i dettagli al fratello.

“Più che per le grida, Alya, direi che è stata la lingua che hai utilizzato a terrorizzarli…” disse Regulus, abbassando improvvisamente la voce, anche se nella stanza non c’era più nessuno, eccetto loro due.

“Io ormai sono abituato ai tuoi spettacolini in Serpentese e a casa siamo tutti - bè, quasi tutti se contiamo anche Sirius - fieri di questa tua dote ma...qui a Hogwarts...lo sai che è diverso…”

“Non è una cosa che riesco a controllare, Reg!” sbottò Alya. Regulus fu sul punto di controbattere, ma lasciò perdere.

“Stai bene?” si limitò a chiedere, notando il viso pallido e sudato della sorella.

“Sì, Reg, sto bene. Era solo un incubo. Ora è passato.” cercò di tranquillizzarlo Alya, ritrovando il suo regale contegno da Black. In quel momento la ragazza notò che il fratello non indossava il nero completo scolastico, bensì la divisa verde-argento della squadra di Quidditch. Si ricordò che quella mattina si era tenuta la partita tra Serpeverde e Grifondoro.

“Tu, piuttosto, come è andata?” chiese, accennando all’abbigliamento che Regulus indossava.

“La partita? Un disastro, non voglio parlarne. Abbiamo perso.” sbuffò il ragazzino, adirato.

Alya bevve un altro sorso d’acqua, senza commentare. Sapeva cosa significava quella sconfitta per Regulus.

“Quel Potter! Dannato! Mi ha soffiato il Boccino da sotto il naso. Se solo non rischiassi l’espulsione dalla squadra, lo butterei giù da quella sua ridicola scopa alla prima occasione!” sibilò a denti stretti.

“Quello lì è talmente pieno di sé che rimbalzerebbe indenne sul suo stesso ego. Non ne vale la pena, Reg!” scherzò Alya, beffarda. Regulus si concesse un sorrisetto amaro.

“E pensare che Sirius gli trotterella sempre dietro. I due amichetti! Sempre in giro a pavoneggiarsi. Non lo sopporto. Non li sopporto!” di nuovo la voce di Regulus fu inondata di rabbia e frustrazione.

“Reg...lascia perdere Sirius. Lo sai com’è fatto…”

“Ha messo quell’arrogante di Potter su un piedistallo, mentre noi, la sua famiglia, la sua vera famiglia...ci disprezza!”

“Lo ha sempre fatto.” commentò Alya, laconica.

“Non fa altro che disonorarci!” ribatté Regulus, la mascella serrata sembrava di granito.

“Ora sembri la mamma!” lo canzonò Alya divertita.

“Tu...lo difendi?” sbottò Regulus, con lo stesso tono imperioso del loro padre, Orion.

Alya tornò seria.

“No, Reg, non difendo Sirius, né i suoi atteggiamenti da spaccone ribelle. Dico solo che non ne vale la pena, adirarsi così. Come ho già ripetuto tante altre volte, che gli piaccia o no, Sirius è un Black e lo sarà sempre. Un giorno, forse, se ne ricorderà.” sentenziò con tono definitivo.

“Sarà come dici tu. Ad ogni modo, sono stanco. Visto che adesso stai bene, posso lasciarti da sola? Credo che andrò a riposare un po’.” disse Regulus, sostenuto. Si congedò dalla sorella e andò a rifugiarsi nella sua stanza al dormitorio maschile. Lì, poteva rimuginare in pace su tutte le possibili vendette da scagliare contro Potter, il ragazzo che gli aveva soffiato non solo il Boccino, ma anche l’affetto di suo fratello maggiore.

A settembre era entrato a far parte della squadra di Quidditch di Serpeverde, come Cercatore, e da quel momento Regulus sembrava avere come unico obiettivo quello di sconfiggere James Potter. Come Alya ben sapeva, tale competizione aveva ben poco a che fare con lo sport: Regulus non gli aveva mai perdonato di essere il migliore amico di Sirius. Quest’ultimo lo considerava alla stregua di un fratello e Regulus non si dava pace per questo. Era lui il suo vero fratello e Sirius gli rivolgeva a stento la parola. Alya intuiva quanto dovesse soffrire, sebbene fosse troppo orgoglioso per ammetterlo. Un Black non mostra mai le proprie debolezze. E Regulus rappresentava alla perfezione ogni qualità che ci si aspettava da un degno discendente della loro antica e nobile famiglia. Ma Alya riusciva a cogliere ogni baluardo di tristezza e di sofferenza dietro a quell’armatura spessa di orgoglio e fredda fierezza con cui Regulus affrontava il mondo. Anche lei, dopotutto, soffriva in silenzio per il disprezzo che Sirius le serbava. Per la distanza che poneva tra lui e il resto della famiglia, ogni giorno che passava.

Un giorno si ricorderà di essere un Black, aveva affermato poco prima. Alya, in realtà, non ne era convinta. Lo aveva detto solo per placare la rabbia di Regulus. Ma ci sperava, fortemente. Sperava davvero nel ritorno di suo fratello gemello.

Alya si diede una rapida sistemata e si accinse a uscire dalla sala comune. A quanto pareva aveva dormito gran parte della giornata, non voleva sprecare il resto del tempo a lambiccarsi sul riprovevole comportamento di Sirius nei confronti della sua famiglia. Nella sua testa c’era già abbastanza rumore. Agguantò nuovamente il bicchiere di cristallo e bevve tutto il contenuto. Invano. L’acqua fredda non fu in grado di zittire, annegandole, le urla di dolore di Merope che le rimbombavano insistenti nelle orecchie da quando si era svegliata.

   
 
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