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Autore: elfin emrys    03/05/2021    3 recensioni
{post5x13, sorta di postApocalisse, Merthur, 121/121 + epilogo}
Dal capitolo 85:
Gli sarebbe piaciuto come l’aveva pensato secoli prima, quando era morto fra le braccia del suo amico, non ancora consapevole che sarebbe tornato, con Merlin, sempre, sempre con lui.
In fondo, non aveva mai desiderato null’altro.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù, Merlino/Artù
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Gli Arthur – Capitolo 36
I Macbeth – Capitolo 11


Frederick tirò su col naso e allargò il braccio per cingere Elisa. Anche lei, in un qualche momento, aveva iniziato a piangere silenziosamente, e i due si strinsero, lasciando che quegli istanti di vulnerabilità, tensione e dolore passassero.
Avevano entrambi bisogno di stare un po’ insieme in silenzio, poiché non ne avevano avuto mai la possibilità durante quelle ultime giornate.
Frederick prese un paio di fazzoletti e i due si asciugarono il viso. Il ragazzo fece un sorriso un po’ storto.
-Hai le guance paonazze.
Elisa ridacchiò asciugandosi il naso.
-E tu gli occhi a pesce.
-Non si sono gonfiati così tanto.
-No, neanche un po’.
Frederick scosse la testa e si asciugò attentamente il sotto degli occhi. Borbottò un “Ci voleva proprio” e la ragazza annuì vigorosamente.
Lui le chiese a cosa avesse pensato e lei rispose semplicemente.
-A Edward. E a Edith, ovviamente. Non credevo che l’avrei mai vista così. Sembra… Sembra invecchiata di colpo. Tu?
Frederick esitò. Aveva pensato a tante cose. Aveva innanzitutto percepito un forte sollievo, non solo perché Callum non avrebbe più potuto fare danni a nessuno, ma perché la lotta era andata straordinariamente bene. Avrebbe preferito non eliminare l’altro in maniera definitiva, se ne avesse avuto la possibilità, però c’era un fatto che, per lui, era la cosa più importante in assoluto: era rimasto presente a se stesso. Quando era bambino, nei momenti di più forte aggressività, aveva sentito la propria mente scivolare via, tanto a fondo che, a volte, Frederick si era reso conto all’epoca di non saper neanche descrivere bene ciò che avveniva. Invece, quel giorno era stato tutto diverso. O meglio, non proprio tutto, ma il necessario, il giusto per far sentire Frederick una persona nuova. Aveva avuto difficoltà a parlare a lotta iniziata, come sempre, e tutto quello che avveniva intorno a lui e il suo avversario era risultato ovattato, quasi inesistente; c’era stata, tuttavia, una consapevolezza: nessuna discesa nell’oscurità, nessuna perdita di memoria, Frederick sapeva descrivere bene gli avvenimenti della lotta ed era riuscito a tenere bene in mente il suo scopo.
E, cosa forse più importante di tutte, non si era gettato sull’altro alla cieca, in maniera primitiva e spietata. Gli aveva permesso di riprendersi in un paio di occasioni, aveva riflettuto sulle mosse da fare per disarmarlo. Quando la spada si era incastrata nell’arpione, aveva attivamente ricordato alcune delle nozioni imparate durante gli addestramenti di Arthur. Quando aveva dato a Callum il colpo di grazia, non lo aveva fatto tanto per il gusto della vittoria, quanto perché sapeva che in quel modo sarebbe morto in maniera rapida, senza soffrire troppo.
Nel momento in cui Charles aveva alzato il suo pugno in segno di riconoscimento, a Frederick era importato poco degli applausi o delle grida di giubilo, perché aveva scoperto qualcosa di prezioso su se stesso.
Gli era sembrato che finalmente l’entità informe che si muoveva nell’oscurità intorno al proprio fulcro fosse uscita allo scoperto, e che non fosse nient’altro che se stesso.
Anche in quel momento, poteva percepire fin dentro le ossa quello che si era detto.
Quando era bambino, la sua aggressività era troppo per lui. Era qualcosa che non sapeva come gestire, che spesso sfuggiva al suo controllo senza che se ne accorgesse. Era qualcosa di grande, confuso, buio, amorfo, che esisteva senza avere una ragione, un motivo per esserci.
Ma Frederick non era più un bambino.
Non aveva saputo fino a quel momento di essere in grado di governarsi.
Ed era in grado di governarsi perché aveva fatto un ottimo lavoro.
Se lo continuava a ripetere, nella mente.
Hai fatto un buon lavoro. Tutta la fatica non è stata vana, tutti gli accorgimenti, piccoli o grandi, tutto l’impegno, l’affanno, le ore spese a riflettere su come migliorare… Ogni successo… Tutto è servito, tutto è andato a buon fine. Tutto, adesso, va bene.
La lotta con Callum sarebbe dovuta essere una perdita, un enorme sacrificio da parte sua, e in parte lo era stato, ma ciò che aveva guadagnato era così grande, così dannatamente importante! Il suo pianto era stato perché, finalmente, si era sentito libero.
Inizialmente.
Poi era arrivato quel pensiero.
Non devi abbassare la guardia”.
Era vero, doveva stare attento. Aveva preso la decisione di preoccuparsi di meno, ora che sapeva che poteva farcela, ma non poteva certo permettersi di ritornare al punto di partenza. Doveva essere sicuro che non si stesse ingannando da solo, che non stesse mentendo a se stesso. Doveva prendere delle precauzioni.
Aveva delle responsabilità, dei doveri, delle promesse – implicite e esplicite – cui doveva tenere fede.
Doveva essere un buon capo per la propria comunità, innanzitutto, il che era davvero complesso. Frederick aveva assistito da vicino sia al modo di governare di Grant che a quello di Arthur e sapeva che, qualunque cosa avesse scelto, avrebbe dovuto superare altre difficoltà che lo avrebbero messo seriamente alla prova. Già il fatto che il giorno dopo avrebbe avuto dei processi per gli aiutanti di Callum era, per lui, qualcosa di enorme: essere capo significava prendere delle decisioni che potevano seriamente fargli perdere qualunque bussola morale, in parte perché avrebbe dovuto rivedere i propri valori, in parte perché, a volte, avrebbe dovuto direttamente ignorarli, e in parte perché, infine, c’era pur sempre il fascino del potere.
Frederick non si doveva dimenticare del gusto che provava a pensare di essere in una posizione così elevata.
Arthur e Merlin gli avevano mostrato quanto bisognasse essere legati al popolo per comandare come era corretto, quanto era importante non erigersi a una figura non umana, che fosse essa bestiale o quasi divina. O meglio, una delle due cose sarebbe quasi certamente avvenuta, se non subito a lungo andare, ma un capo doveva avere bene in mente che lui non era nessuna delle due cose, che era in primo luogo profondamente umano.
Quella poteva sembrare una sciocchezza, ma il ragazzo la sentiva come una minaccia che andava seriamente presa in considerazione, per il bene proprio, del popolo e della famiglia che avrebbe costruito. Infatti, se le cose gli fossero sfuggite di mano, Elisa sarebbe stata di sicuro la prima a subirne le conseguenze.
Il pianto era dunque diventato di angoscia e solo dopo diversi minuti si era presentata alla sua mente una soluzione quasi – totalmente – folle, una decisione che gli costava davvero molto. Le lacrime erano continuate a scendere, ma non c’erano più singhiozzi, né il suo volto era distorto: la sua mente si era fatta fredda in una maniera terribile e, al tempo stesso, intimamente dispiaciuta, perché sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa che, in altre circostanze, non avrebbe mai neanche pensato.
Elisa lo riscosse.
-Deve averti davvero sconvolto, la tua espressione adesso è…
Frederick si voltò a guardarla e le rivolse un sorriso triste; tentennò, si morse le labbra, poi prese le sue mani tra le proprie.
-C’è una cosa che ti sto per chiedere. È una cosa davvero, davvero importante per me e… Non avrei mai pensato di arrivare a questo punto, ma devo essere sicuro nella maniera più assoluta che… Ecco… Aspetta.
Il ragazzo si alzò a fatica e si diresse verso lo zaino in cui aveva messo i vestiti che avrebbe indossato l’indomani. In mezzo alla stoffa vi era una scatola ed egli la prese, stringendola tra le mani come un tesoro.
Quando se l’era portata dietro aveva pensato di farlo solo perché doveva starci attento, a causa del suo contenuto. In realtà, forse, sapeva già che uso ne avrebbe fatto.
Frederick si rivolse a Elisa, la quale osservava il piccolo scrigno con curiosità. Il ragazzo si avvicinò.
-Non so perché non ti abbia mai detto di questo quando mi venne regalato. C’era… Non so, era come se non fosse il momento giusto. Ora credo lo sia, invece.
La fanciulla si alzò, rendendosi conto dalla gravità della voce del marito che era un momento importante, che quella scatola conteneva qualcosa di prezioso. Frederick inspirò e le donò un sorriso sincero e malinconico; i suoi occhi si erano di nuovo inumiditi, ma nessuna lacrima scese sul suo volto.
-Ti sto per chiedere qualcosa di grave, Elisa. Ho sempre creduto che sarebbe stata una cosa che mi sarei portato io fino alla morte, ma adesso sono in una posizione per la quale non è più sicuro e… Tu sei l’unica persona di cui mi fidi come me stesso, se non di più. So che farai la cosa giusta.
-Di… Di cosa stai parlando?
Frederick le porse la scatola ed ella la prese, senza capire. Le loro dita si sfiorarono ed Elisa non le tolse, le lasciò lì, come se volesse accarezzare quelle dell’altro.
Il ragazzo prese un respiro profondo e spezzato prima di spiegare.
-Te… Temo molto quello che accadrà in futuro, le decisioni che dovrò prendere e come questo influenzerà il mio modo di essere. Io…
La sua voce si fece più decisa.
-Io farò tutto il necessario, arriverò all’impossibile perché tutto vada per il meglio. Ma se mi accadesse qualcosa, è assolutamente necessario che ci sia qualcuno che mi possa togliere dalla posizione in cui sto.
Elisa si raggelò e prese la scatola. La aprì e sbarrò gli occhi.
-Frederick, dove l’hai…?
-Mi è stata regalata dai Donald quando fu il compleanno di Arthur. La sto dando a te.
-Non penso di aver capito cosa mi stai chiedendo.
Il ragazzo mise le mani sulle sue. Erano calde.
-Se dovessi dare di matto…
-Tu non darai di matto.
-Se dovessi dare di matto, Elisa, mi dovrai sparare e dovrai farlo subito, senza esitazione. Non dovrai fare altro che aspettare che mi addormenti, puntare questo lato alla mia testa e spingere il grilletto.
-Mi stai chiedendo di ucciderti?
-Ti sto chiedendo di non farmi fare la fine di due dei nostri ultimi capi, di impedirmi di diventare il male di questa tribù.
-Se accadesse ti faresti da parte.
-Non è vero. Sai che non è vero. Sai che, arrivato a quel punto, non mi farei da parte.
-Non stai scherzando.
-No.
Elisa fece per prendersi definitivamente la scatola, ma Frederick la bloccò.
-No, non la devi accettare adesso solo per rassicurarmi o per togliermela: devi essere pronta.
La ragazza esitò e lui chiuse gli occhi. La sua voce era tanto bassa da essere quasi impercettibile.
-Ti prego, non lasciare che debba farlo io.
Elisa smise di respirare e guardò la scatola come se potesse vederne l’interno anche da chiusa. Il luccichio opaco e freddo dell’arma risplendeva ancora nei suoi occhi. Il suo volto era triste, sconvolto, perplesso, incredulo, poi la linea delle sue labbra si fece dritta e serrata. Le sue mani strinsero con più forza la scatola, togliendola da quelle di Frederick. Disse.
-Nel caso tu diventassi pericoloso.
Il giovane annuì e lei si allontanò, discorrendo.
-La nascondo subito da qualche parte dove non potrai trovarla. Intanto girati, iniziamo le cose facendole per bene.
Frederick si voltò, attendendo che lei trovasse un posticino dove mettere momentaneamente la scatola. Sapeva che Elisa aveva capito e si sentiva sollevato: all’improvviso il peso enorme di quello che, forse a torto, gli era sempre sembrato il suo destino – terminare il governo di Grant, di nuovo e di nuovo – pareva più leggero. Era condiviso. E in parte si sentiva in colpa, perché capiva di aver detto qualcosa di orrendo e spaventoso, di aver dato a Elisa una responsabilità gigantesca, ossia di rimediare a un suo – ipotetico, doveva ricordarsi che era ancora ipotetico – fallimento. In fondo, tuttavia, c’era anche la paura, perché lui aveva già messo la propria vita nelle mani di lei quando avevano deciso di sposarsi, ma quello era qualcosa di totalmente diverso. Le aveva appena dato anche la propria morte. Ormai non c’era niente che rimaneva da spartire.
Frederick non sapeva se aveva fatto male, ma sapeva che gli era parso necessario. Sapeva anche che, se Elisa si fosse trovata nelle condizioni di dover esaudire la sua richiesta, sarebbe diventata lei il nuovo capo, con tutta probabilità. Non era mai accaduto nella loro tribù che il posto fosse dato a una donna, ma in altri popoli della foresta succedeva regolarmente e, in tutta onestà, anche loro avevano bisogno di cambiare. Era stata una regina, del resto, a regalargli la pistola che aveva fino a quel momento custodito gelosamente.
Frederick spostò il peso da un piede all’altro. Udiva la giovane che camminava e muoveva oggetti alle proprie spalle; il ragazzo sorrise un poco: già si sentiva più sicuro del fatto che quella scatola sarebbe anche marcita nel buco dove Elisa l’avrebbe messa, ed era bastato solo dargliela perché ciò accadesse.
Rimase un attimo a contemplare quel pensiero, poi scosse la testa e mise a fuoco quello che aveva di fronte. Sobbalzò: c’era un elemento in quella stanza che non si aspettava minimamente di trovare.
Il ragazzo doveva aver fatto un qualche suono, perché Elisa gli chiese se stesse bene.
Frederick le disse di sì, poi si avvicinò dall’altro lato della camera. La giovane terminò di nascondere lo scrigno e si accostò al marito.
-Cosa c’è? Cerchi qualcosa nella cassaforte?
Lui si morse le labbra, poi si decise a spiegare.
-Ho parlato con Henry. Mi aveva detto che Callum non l’aveva trovata, ma… Ma se è stata qui tutto il tempo…
Le sue dita scivolarono sul metallo e il ragazzo si rese conto che c’erano delle incisioni. Le osservò e sorrise. Mormorò un nome.
-Merlin…
-Cosa?
-Qua ci sono delle scritte che sembrano incantesimi di Merlin. Deve aver incantato la cassaforte, forse è per questo che Callum non l’ha trovata.
Elisa ridacchiò.
-Sempre un passo avanti a tutti, il nostro sciamano.
-Chissà se hanno cambiato la combinazione dopo Grant.
-Tu sapevi la combinazione?
-Sì, lo sapevamo io ed Edward, ma credo che lui non sapesse che io sapevo. Insomma, hai capito.
Il ragazzo iniziò a muovere la manovella e fece un’esclamazione di vittoria quando sentì qualcosa scattare. Elisa si mise in ginocchio vicino a lui e i due aprirono la preziosa cassaforte. Dentro, c’erano tutti i testi degli accordi con le varie tribù, delle foto di unicorni e di territori che non avevano mai visto, lettere da parte dei Donald o dei Niall e altri oggetti e documenti di varia natura.
I due ragazzi si misero a controllarli uno a uno rapidamente, aiutandosi anche con i vecchi metodi che venivano usati prima che Merlin e Arthur cercassero di far insegnare alla popolazione a leggere e scrivere per capire con maggiore velocità cosa avevano di fronte.
Elisa si corrucciò, prendendo uno dei plichi più grandi, poi esclamò.
-Questo è l’accordo con i nomadi delle Grandi Distese. C’è scritto che… Che… Che è una seconda copia e che ve n’è un’altra a Lamont. Inoltre anche i capi nomadi ne hanno una. Credo. Ma i capi dei nomadi sanno leggere?
-Non lo so, penso di sì.
-Diamine… Eravamo davvero gli unici a non saperlo fare.
-Col tempo anche noi ci rimetteremo in paro per bene.
I due continuarono ad aprire e richiudere le varie carte, ma più andavano avanti e più la loro attenzione scemava: era stata una giornata lunga e faticosa, si stava facendo davvero tardi, non era così semplice leggere tutte quelle parole e, in più, tutti quegli accordi così ben scritti stavano facendo venire a Frederick un forte mal di testa.
Il giovane si mise le mani tra i capelli e respirò a fondo. Borbottò.
-Io… Io non saprei pensare neanche alla metà di tutte le cose scritte qui. Ormai sono qui e devo dare il massimo, ma… Non sarò mai capace di fare ciò che faceva Arthur. Non so dove mettere le mani è tutto troppo.
Elisa gli mise una mano sulla schiena.
-Non dire così. Magari non sarai così… così preciso, ma è anche vero che sei molto intelligente: imparerai subito. E poi non è necessario tu faccia il capo come lo faceva Arthur. Lo devi fare come lo faresti tu.
-Ma come lo farei io potrebbe non bastare.
-Avrai il resto del Consiglio con te.
-Beh, Greta di sicuro non è contenta che io sia diventato il nuovo capo. Henry è fuori. Edith deve riposare, non voglio metterle addosso un peso di cui non ha bisogno adesso. Edward è… Lo sai. Lui avrebbe saputo come comportarsi, lo sapeva sempre.
Frederick si stropicciò il viso, poi prese degli altri documenti, gettando un’occhiata stanca su ciò che c’era scritto. Scosse la testa e lasciò ciò che aveva preso; i suoi occhi passavano da una parte all’altra di tutti i fogli che avevano riversato sul pavimento e non riuscivano a vedere altro che pagine e pagine e pagine che gridavano “Incompetente” da ogni curva di inchiostro.
Elisa osservò il ragazzo con stanchezza. Abbassò lo sguardo.
-Io non… Non ti ho costretto, vero?
Frederick la guardò.
-Mh?
-Quello che ti ho detto ieri sera, che avresti dovuto battere Callum. Io non ti ho costretto a prendere questa decisione, giusto?
Gli occhi di lui si fecero grandi e la risposta fu immediata.
-No, assolutamente no! Tu eri arrabbiata e io lo sapevo, tutto ciò che ho fatto dopo è stata una mia decisione. Non sarei qui se non lo fosse stata. Se sono in questo pasticcio non è a causa tua: la colpa è solo mia. Avrei dovuto dire subito a Charles che non c’era il bisogno di annunciarmi e io non so perché non gliel’ho detto, non lo so. Ma ora tutti si aspettano che io prenda il comando e lo farò, con tutti i rischi che questo comporta. Io vorrei… Vorrei solo che noi due non fossimo soli in questo. E vorrei anche… Non lo so, forse vorrei una rassicurazione, che mi venisse detto che ho fatto la scelta giusta, che io dovevo essere qui.
Elisa annuì lentamente e scostò l’ultimo documento che aveva scorto per continuare a lavorare. C’era un rotolo e lo prese in mano. Trattenne il respiro nel vedere il simbolo che c’era sopra.
-Frederick…?
Il giovane, il quale stava fissando senza vederla davvero una lettera di Donald, rispose senza girarsi.
-Mh?
-Credo che Arthur abbia…
-Cosa?
-Ecco, questo sigillo qui non è quello, insomma, di caso di morte?
Frederick si voltò istantaneamente e il suo sguardo cadde sul rotolo che Elisa aveva tra le mani. Intorno a esso era legata una cordicella da cui pendeva il solito medaglione che avevano usato per anni, quando non sapevano leggere ancora. Il colore e la forma non lasciavano dubbi. Non avevano mai visto una cosa del genere perché mai era servita, ma sapevano bene cosa significava in ogni caso.
Il ragazzo lo afferrò, rimanendo a bocca aperta.
-Arthur aveva scelto un erede? Dannazione, e perché nessuno lo sapeva?
Elisa alzò le spalle e Frederick iniziò ad aprire il rotolo, poi si bloccò. La ragazza si avvicinò.
-Che hai?
-Stavo pensando che Arthur avrà sicuramente scelto Edward e che perciò non potremo soddisfare quanto scritto qui sopra. Se avessimo saputo prima di questo…
-Nulla sarebbe cambiato. Callum non avrebbe permesso a nessuno di impedirgli di prendere il potere.
-Ma avrebbe dovuto combattere e avrebbe perso.
-Conoscendolo avrebbe evitato la lotta diretta, che è poi ciò che ha tentato di fare.
Frederick fece un sorriso amaro.
-Forse hai ragione, eppure non mi sento meglio. Qua dentro c’è scritto quello che Arthur avrebbe voluto per il futuro di questa tribù e io so già che non avrebbe desiderato niente di quello che è successo, ma vederlo proprio dalle sue parole sarà più dura.
Il ragazzo fece un verso e aprì in fretta il foglio. Elisa si avvicinò di più, leggendo insieme al marito, il quale stava mormorando ciò che c’era scritto.
-“L’eredità di sangue è il principio secondo il quale si basa il passaggio di potere tra un capo all’altro in questa tribù. Questa antica norma si trova, tuttavia, in un momento in cui il suo superamento risulta necessario per la continuazione del…”
Elisa lo afferrò per un braccio e gridò.
-Dei santissimi, Frederick!
-Che c’è?
La ragazza indicò in basso nel foglio e picchiettò su di esso.
-Questo è il tuo nome!
-Che?
-Sì, è il tuo nome, santi numi, Arthur aveva scelto te!
-Che stai dicendo?
Elisa gli mise una mano dietro alla testa, abbassandogliela, e continuò a indicare il punto.
-Leggi! C'è scritto "Frederick", aveva scelto te!
Il ragazzo impallidì, poi il suo volto si fece rosso e caldo. Con voce tremante, lesse.
-"In nome della giovane età, dei nervi saldi dimostrati in innumerevoli occasioni, della rettitudine e della posizione già assunta all'interno della tribù, io, Arthur, nomino come mio successore..." Non ci posso credere. Non... Non ci posso credere.
Elisa rise.
-Beh, credici, perché è esattamente quello che è accaduto. Ti ha nominato anche re dei drammi inutili? No, perché "Aaaah, non sarò mai capace" e poi "Aaaah, se solo quella o quell'altra persona fosse qui"! Ma sta' zitto, lo sapeva anche Arthur che eri un'ottima opzione!
Frederick iniziò a balbettare.
-M... Ma Arthur avrà... Avrà sicuramente pensato ch... che sarebbe successo tra anni, f-forse, o addirittura mai e...
-No, non ci provare neanche, non parlare, abbiamo la prova che avevi richiesto, che tu dovevi essere qui, come dici tu e ora ti godrai questo momento. I dubbi lasciali a domani, quando serviranno tutti questi "nervi saldi" e tutta la "rettitudine" di questo mondo, ma per adesso sentiti solo orgoglioso di te stesso.
Il ragazzo sorrise e scosse la testa, imbarazzato. Non poteva negare che quel foglio significava davvero tanto per lui e che si sentiva sollevato di quella conferma delle sue capacità. Gli pareva quasi di sentire Arthur che gli dava delle pacche sulle spalle, come faceva spesso.
Si chiese se era vero quello che gli oracoli Niall avevano detto, quello che si mormorava, che Arthur fosse ancora vivo.
Frederick rilesse le parole del biondo. Si sentì determinato. Rise insieme a Elisa, la quale gli stava baciando la testa.
Avrebbe guidato il suo popolo, anche in battaglia se si sarebbe rivelato necessario. E se avesse ritrovato Arthur o Merlin, ebbene, sarebbe stato ben contento di andare da loro a braccia aperte per dire che ce l'aveva fatta, che avevano scelto bene.
Li avrebbe resi fieri di lui, ovunque essi fossero.
E anche lui sarebbe stato fiero di se stesso, per una volta nella vita, almeno per quei brevi minuti.

Arthur non riusciva a pensare a niente se non alla fame e alla sete. Aveva finito l’acqua che l’elfo aveva rubato già da diverso tempo, sebbene si fosse trattenuto a lungo, e non si fidava particolarmente di quella del fiume sotterraneo, anche se doveva ammettere di averla almeno assaggiata. Per la fame, invece, aveva potuto fare poco e niente. L’elfo si era offerto di provare a far crescere qualcosa, ma, non riuscendoci, gli aveva spiegato che niente veniva dal nulla e che lì sotto non c’era abbastanza vita perché lui riuscisse a crearne una, per quanto piccola. Inoltre, sarebbe stato solo un rimedio momentaneo, perché qualunque cosa l’elfo avesse fatto nascere, sarebbe stato una finzione, non avrebbe apportato nulla al corpo di Arthur. Il biondo, quindi, si era “consolato” pensando che avrebbe almeno potuto scoprire se davvero era diventato immortale, poiché solo così sarebbe potuto sopravvivere fino a trovare l’uscita, a quanto pareva.
Avevano seguito il fiumiciattolo sotterraneo per diverso tempo, soffermandosi ogni tanto per esplorare i luoghi dove si trovavano.
Arthur era rimasto davvero stupito dalla quantità di segni della presenza umana che c’erano lì sotto. Era inciampato addirittura in qualcosa che, un tempo, doveva essere la base di una colonna o di una statua. Ed era anche per quel motivo che c’erano tutte quelle gallerie e quelle buche: non tutti gli edifici erano crollati. Le vecchie mura sorreggevano ancora parte della terra che le circondava e, se il re avesse osato, avrebbe pure tentato di entrare in un qualche posto.
La sorpresa maggiore, tuttavia, derivava dal fatto che Arthur aveva iniziato a riconoscere ciò che intravedeva nel buio grazie alla luce dell’elfo. Quando era entrato in quell’enorme caverna insieme a Merlin, Henry e i Donald, aveva visto alcuni dei ritrovamenti degli Hanbury e molti non aveva capito bene cosa fossero, poiché provenivano da epoche troppo lontane dalla sua originaria. Invece, sceso più in profondità, aveva trovato forme, colori, materiali, che gli erano più congeniali. Si chiese fino a quando fosse possibile arrivare. Pensò a Donald e al museo che stava mettendo su. Quel posto sarebbe stato una vera miniera per lui, quasi gli dispiaceva che, a causa della loro alleanza, l’altro re avesse dovuto interrompere gli accordi con gli Hanbury.
Il biondo si passò una mano sul viso, sentendo di nuovo lo stomaco brontolare, e si fermò. Si rivolse all’elfo.
-C’è qualcosa più avanti?
La creaturina svolazzò in giro e rispose con un piccolo grido, poi tornò indietro.
-C’è un bivio!
Arthur si morse le labbra. Ecco una notizia che avrebbe preferito non avere. Seguì il fiume e vide che andava a destra. La strada sembrava ancora lunga e lui era terribilmente stanco. Si piegò a bere ancora un po’ d’acqua, poi andò verso il muro e vi si mise contro con la schiena. Fece un cenno col volto a sinistra.
-Quest’altra galleria finisce o…?
L’elfo alzò le spalle, poi si avviò a controllare. Impiegò qualche minuto e Arthur iniziò a preoccuparsi, poi notò nuovamente la sua luce che si avvicinava a grande rapidità.
La creatura esclamò.
-C’è una luce! C’è una luce in fondo qui!
Il biondo alzò un sopracciglio. Come poteva essere?
-Intendi dire in alto?
-No, in basso, sembra ci sia una specie di porta coperta di sassi e si vede qualcosa dalle fessure.
-Una… Porta…?
Arthur guardò i lievi riflessi dell’acqua del fiume, poi si diresse nella galleria di sinistra.
Forse si stava avviando a un’uscita.

Macbeth era scesa una seconda volta a parlare e, finalmente, le era stato dato da mangiare e da bere. Delilah credeva davvero di non essere mai stata così tanto felice di vedere del cibo in vita sua. Aveva fatto il possibile per trattenersi dal divorarlo in modo da non dare alla regina nemica la soddisfazione della sua disperazione, tuttavia supponeva di non esserci riuscita.
Macbeth aveva chiacchierato ancora, anche se Delilah non era sicura del motivo per il quale ella fosse così smaniosa di raccontarle determinate cose. Una parte di esse erano per spaventarla, certo, per osservare come il suo viso cambiava a seconda delle notizie, ma altre erano così intime e personali che la Donald era piuttosto convinta che, semplicemente, l’altra provasse un sincero sollievo nel rivelarle. In realtà, Delilah credeva di non aver mai sentito la regina dei Macbeth parlare per così tanto tempo.
Aveva visto il suo umore cambiare repentinamente, aveva osservato ogni ruga d’espressione del suo volto, senza riuscire a cogliere nulla di preciso e formato in quel marasma di emozioni.
Delilah sapeva, però, che ciò che l’altra le aveva detto era vero: lei aveva voluto portarla lì solo per una questione personale. E, forse, quella era una “questione personale” che lei riconosceva e che sapeva descrivere molto bene.
David aveva sempre detto che lei a la Macbeth erano ben più simili di quello che poteva sembrare a occhio nudo, e, sebbene Delilah non lo avesse mai ammesso del tutto, l’aveva sempre saputo. C’era qualcosa, in quell’astio così forte e in quel desiderio di vendetta tanto freddo, in quel desiderio di raccontarle le cose, come se volesse farle capire fino in fondo cosa aveva fatto per meritarsi quel trattamento, e in quel timore di ucciderla definitivamente – perché Delilah sapeva bene che la ragione che le era stata data era una scusa, che se avesse voluto l’altra l’avrebbe eliminata subito – che la Donald percepiva come proprio, in una maniera intima e sconnessa.
Delilah supponeva che, se non avesse cambiato direzione e fosse andata avanti negli anni, anche lei sarebbe stata così.
Macbeth era venuta da lei, nel profondo dei sotterranei, con gli abiti e i gioielli più belli, rischiando di rovinarli, e solo per farglieli vedere, solo per vedere lei stessa la differenza con una povera donna lasciata a marcire in una prigione. Perché per chi odia non c’è soddisfazione più grande di vedere i ruoli rovesciati, di umiliare chi ha umiliato.
Delilah non credeva di aver fatto nulla per meritarsi quel disprezzo: aveva semplicemente vissuto come desiderava. Nulla di quello che aveva fatto era stato atto a schiacciare l’altra regina, in nessun modo. Ma, del resto, anche la maggior parte delle persone che Delilah aveva incontrato da giovane non aveva avuto alcuna malizia, eppure lei le aveva odiate comunque, per riflesso dell’odio che provava verso la posizione in cui si era trovata, verso chi davvero l’aveva ferita, e verso se stessa.
Macbeth aveva solo fatto lo stesso.
Un rumore metallico colse l’attenzione della regina. Una soldatessa stava parlando con il suo collega, tenendo un vassoio tra le mani.
-Cibo per la prigioniera.
-Che sarebbe questa roba?
-Pane.
-La regina sa di tutto questo?
-È stata una sua richiesta esplicita. Non vuole che muoia prima dell’esecuzione.
Il soldato osservò il vassoio con aria perplessa e la donna lo sgridò.
-Se vuoi vado a chiamare la regina e sentiamo cosa dirà quando saprà che l’hai assolutamente voluta disturbare in un momento così delicato.
L’uomo alzò le mani e aprì rapidamente la cella. La donna avanzò e posò il vassoio per terra accanto alla prigioniera. La luce illuminava parzialmente il suo viso e Delilah impiegò qualche secondo a capire che riconosceva chi aveva di fronte.
Aprì le labbra per dirle qualcosa, ma l'altra scosse un poco la testa. Fece scivolare dalla manica una boccettina con del liquido rossastro dentro. Mormorò.
-Tra qualche ora fingi di sentirti male e usa questa. Di' che è arrivato quel periodo del mese.
Delilah prese la boccettina e la nascose in una tasca e annuì. La donna le sorrise e disse, a bassa voce.
-Comunque non sono chi pensi, ma sua sorella.
La regina non rispose e la soldatessa disse, ad alta voce.
-Non importa a nessuno se non stai bene. Mangia e sta' zitta.
Delilah trattenne una risata e la donna le fece un occhiolino, prima di uscire e commentare con il soldato che la prigioniera le aveva parlato, accennando a della nausea e dei dolori alla schiena. L'uomo la prese in giro, dicendo che forse, essendo una sovrana, non era abituata alla dura roccia, e la donna rise, finché non salutò e risalì le scale.
Delilah tracciò con le dita il contorno della boccettina nascosta, seguendo i contorni di una luna incisa su di essa.


Merlin sobbalzò quando la porta della cella venne aperta in tutta fretta. Gregory gli fece un cenno.
-Alzati. Non ho molto tempo.
Il mago obbedì all’istante e uscì dalla stanza. Il consigliere del governatore mise il dito sopra le labbra e ordinò al soldato di non fare parola di quello che era successo con nessuno, poi disse a Merlin di seguirlo e il moro lo fece.
Uscirono dall’edificio dove stavano e si diressero verso una struttura più bassa, circondata da degli alti cespugli. Gregory tirò fuori la chiave e ne aprì la porta. Non appena furono dentro, strinse la spalla di Merlin.
-Ora ascoltami bene. Gli altri non sanno nulla di tutto questo e non capirebbero perché ti ho portato qui, ma io devo tentare, dopo tutto quello che ho sentito sul tuo conto. Nessuno è stato in grado di salvarla.
-Di chi stai parlando?
Gregory deglutì, poi abbassò la voce.
-Mia figlia. Lei è…
L’uomo sospirò e si passò una mano sulla faccia, poi fece all’altro un cenno.
-Lo vedrai tu stesso.
I due si diressero verso una porta. C’era un soldato davanti, ma non era vestito come quelli della cella; probabilmente era una guardia personale, non a servizio del governatore.
Gregory gli disse di farli passare e il soldato si spostò. Merlin seguì l’altro dentro la stanza e osservò ciò che lo circondava. L’unica finestra era chiusa con delle tende; la luce bassa era dovuta da una lampada che emanava un bagliore giallognolo e caldo. La camera era piuttosto spoglia, pulita in maniera meticolosa e un unico ampio letto era contro uno dei lati. Una ragazza che doveva avere una ventina d’anni era stesa, addormentata, su di esso.
Merlin si avvicinò e la prima cosa che notò fu che i capelli della fanciulla erano davvero pochi ed erano rimasti a chiazze sul suo capo. Il suo pallore era accentuato dalle coperte di un rosso acceso.
Gregory si avvicinò, mormorando.
-Sta così da mesi. Era andata su una nave diretta a nord per un incontro diplomatico importante ed era entusiasta di essere stata scelta proprio lei, ma ci sono stati dei problemi e la nave si è dovuta avvicinare a un’isola. Non sapevano che l’isola era… Era maledetta. E ora è maledetta anche lei.
Merlin si incupì e istintivamente mise le mani di fronte all’uomo per allontanarlo, perché sapeva bene che c’era un unico modo per interpretare quelle parole: avvelenamento radioattivo, dovuto ai rimasugli della guerra.
-Quanto sono stati sull’isola?
-Appena qualche minuto.
-E quanti sono sopravvissuti?
-Meno della metà, per ora. I sopravvissuti stanno tutti male e lei non fa eccezione. Tutti dicono che sono spacciati e i medici dopo un po’ si sono rifiutati di continuare a curarli, ma io non posso lasciare che lei muoia. Non posso.
L’uomo aveva alzato un po’ la voce e la ragazza si spostò. Aprì un pochino gli occhi.
-Papà? Sei tu?
-Sì, tesoro. Ho portato qualcuno che dovrebbe visitarti, va bene?
La fanciulla parve star per protestare, ma poi sbuffò e non disse nulla. Chiuse gli occhi, stancamente.
-Va bene, papà.
Merlin prese una sedia e si mise comodo.
-Devo farti delle domande e ti prego di rispondere nella maniera più precisa possibile.
Lei annuì e il mago precisò.
-Se ti senti stanca, fermati e dimmelo, va bene?
-…Va bene. Ma sono stata maledetta, non c’è modo…
-Non è una maledizione, è un avvelenamento. Non sei destinata a morire, altrimenti non ci sarebbe nulla che si possa fare al riguardo. Io, invece, farò il possibile.
Il respiro di Gregory si fece affrettato. L’uomo mormorò.
-Puoi davvero curarla?
Merlin annuì.
-Non mi sono mai occupato di questo genere di mali, ma posso provarci.
Non importava se in seguito Gregory gli avrebbe dato la libertà, anche se il moro lo sperava ardentemente. Non conosceva lui e non conosceva sua figlia, ma forse era per quel motivo che era finito per rimanere lì: per aiutarla. Negli ultimi mesi, da quando Arthur era tornato, non aveva forse riscoperto che era quello un suo dovere? Non aveva deciso di lasciare dietro di sé gli anni di indifferenza? Era il momento giusto per provarlo. E se mai la ragazza fosse sopravvissuta, almeno l’avrebbe fatto con la consapevolezza che era stato un mago a salvarla e, magari, quel ricordo avrebbe potuto salvare nel lungo periodo tante altre persone come Merlin, se non lui direttamente.
Il moro si rivolse alla ragazza.
-Allora, tuo padre mi ha detto che sei andata su un’isola. Dimmi come ci sei finita e nel dettaglio quanto siete rimasti lì.
La fanciulla prese un respiro profondo e, piano, iniziò a raccontare.

Note di Elfin
Buonasera a tutti! Mi dispiace tantissimo di aver fatto ritardo di nuovo, spero davvero di riuscire a pubblicare domenica regolarmente. Male che vada, comunque, lo farò lunedì come è accaduto nelle ultime due settimane.
E niente, che dire. Abbiamo scoperto cosa c'era scritto nell'eredità di Arthur, non so se ve la ricordate, stiamo parlando dei capitoli subito dopo i Niall. Ah, e sappiamo anche definitivamente che nella scatola che Delilah aveva donato a Frederick c'era davvero una pistola. Ora, non so se vi ricordate, ma la scena di Elisa con una pistola era già apparsa ;) Non ve lo ricorderete di sicuro perché è passato troppo, ma Merlin l'aveva vista nei cristalli quando parlò con Freya. Inoltre sappiamo le intenzioni di Gregory. Vi ricordate, tra l'altro, la questione dei "luoghi maledetti"? Erano stati accennati da Nicholas, che ne aveva sentito parlare, diversi capitoli fa, alla festa di compleanno di Arthur.
Inoltre, avete capito chi è andato a salvare Delilah? Non ho ancora detto il nome perché sarebbe stato strano, ma nel prossimo capitolo viene spiegato tutto. Però ditemi le vostre teorie XD
Nel prossimo capitolo si scopriranno un altro bel po' di cosine, tra cui il finale di un personaggio che non si vede da un bel po'. Sono entusiasta! Tra l'altro due pezzi interi del prossimo capitolo sono già scritti perché erano nella one-shot estesa da cui nacque questa long!
Inoltre, per chi non se ne fosse accorto, ho ufficialmente cambiato il numero di capitoli da 120 a 121: quel numerino in più serve come il pane.
Ora, ringrazio vivamente lilyy che ha recuperato il capitolo 117, poi dreamlikeview, GaiaPaola94 e uelafox che hanno recensito lo scorso capitolo <3
Vi mando un abbraccione e, davvero, urlo al pensiero di pubblicare il capitolo 120 la prossima volta. Urlo. Troppa emozione.
Kiss

 

   
 
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