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Autore: Obiter    04/05/2021    2 recensioni
Prendete Sherlock BBC e tutti i suoi personaggi, diminuite drasticamente la loro età anagrafica e metteteli tutti nella London High School durante il loro ultimo anno. (No, aspettate, non dileguatevi. Non è una storia di adolescenti, non sul serio. Okay, tecnicamente lo è, ma il narratore sarà il nostro maturo, disilluso e geniale Sherlock. Sarà forse un po' più insicuro, un po' più impacciato, un po' più con gli ormoni in subbuglio... Ma sarà sempre lui).
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, De-Aging | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Dopo l’incidente di Stamford ho riflettuto a lungo sul da farsi.

Mi sentivo molto minacciato e il timore mi aveva offuscato la lucidità, ma ora è passato qualche giorno, io ho ragionato sull’accaduto e ho deciso che la strategia migliore per fermarlo era bandire ogni reazione. L’ignorare strategico, tanto in auge con i bambini, funziona anche con le menti deviate.

Dunque ho dissimulato e finto che nulla fosse successo. Ho mantenuto intatta la routine, ho continuato a vederlo in mensa, a parlargli e a rispondergli al telefono, fargli capire sottilmente che il gioco non mi aveva divertito e che non aveva sortito alcun effetto, né in me, né in John. 

L’ho spiegato anche a quest’ultimo durante l’ora di filosofia, ora che io dedico ad altre più concrete attività.

“Le menti schizofreniche hanno bisogno delle ripetizioni e delle stereotipie, le menti criminali invece bramano il controllo, l’egemonia sulle persone, sul fato e perfino su loro stessi. Basta anche la sola illusione per accontentarle. E la schizofrenia criminale mette insieme i due fattori. Quanti assassini ci sono stati nella storia che hanno agito seguendo un preciso e scrupoloso rituale?”

“Tantissimi” mi ha risposto subito lui.

“Precisamente. Io gli ho dato la ripetizione ma gli ho sottratto il controllo. Così facendo è come se lo avessi invitato a cambiare strategia, perché colpendo te non ha apparentemente ottenuto nulla. Capisci? È un discorso contorto, che ben si associa menti astruse e per l’appunto contorte come la sua”.

“No, non è contorto. Ha senso” mi ha risposto “Quindi cosa facciamo?”

“Niente, John. Restiamo in vigile attesa”

Gli scocciava non fare niente, glielo leggevo in faccia. È un energico, un uomo d’azione.

“Come sta Mike?” gli ho domandato, ero sinceramente dispiaciuto.

“È ancora in coma…” mi ha risposto a mezza voce, si era incupito.

“Mi dispiace” 

“Non è colpa tua”.

L’ho guardato gravemente e non ho aggiunto altro. Mi sentivo in colpa, anche se dal punto di vista eziologico-causale non ne avevo motivo. Ma più riflettevo su questi fatti e più mi rendevo conto di quanto Moriarty fosse pericoloso. Rivivevo certi attimi, mi tornavano in mente ricordi sbiaditi di sguardi, frasi o dialoghi che ora mi parevano segnali incontrovertibili della sua deviazione criminale. Ho sempre saputo dentro di me che sarebbe diventato una persona socialmente pericolosa, ma una parte del mio inconscio minimizzava l’idea e la relegava ai margini. Eppure, ora lo vedevo distintamente per quello che era. Ero come un miope a cui avevano messo gli occhiali e mi rimproveravo di non essermi premunito prima.

“Quindi non facciamo niente neanche con la tua amica?”

Si riferiva a Molly. Lo avevo messo al corrente anche di questo, ovvero che nel mirino di Jim c’erano le ragazze. Ammesso e non concesso che fosse vero e che non l’avesse detto solo per depistare le mie attenzioni.

“No” gli ho quindi risposto.

“Mi esaspera non fare niente”

“Lo capisco. Ma più passano giorni e più mi convinco che Molly non sarà il suo bersaglio, anche se rappresenta l’unica amica donna che ho” gli ho spiegato allora, meritava delle spiegazioni “Colpire Molly sarebbe una mossa troppo banale per i suoi standard, troppo scontata, Jim dopotutto agisce nella speranza di sorprendermi e mettermi in difficoltà”.

“Ok. Quindi chi potrebbe essere questo benedetto bersaglio?” mi ha domandato, irritato.

“Ahimè non riesco a immaginarlo” ho ammesso “Oltre a Molly non ci sono altre donne nella mia vita, ad eccezione di mia madre, che sa comunque badare a se stessa”

“Sicuro?”

“Oh sì. Sembra tanto svampita, ma in realtà è una docente di matematica all’università di Oxford e ha il porto d’armi”

Lui sorrise per lo stupore “Tua madre ha il porto d’armi?”

Io annuii, divertito “Tiene un fucile a doppia canna in garage e una Makarov nel cassetto del comodino. Di questi tempi avere il porto d’armi è quasi più importante che avere la patente, caro John. Soprattutto se vuoi fare un lavoro come il mio”.

“Non c’è una cosa di te che non mi sorprenda, Sherlock. Lasciamelo dire”

Ho trattenuto a stento un sorriso, mi sentivo lusingato anche se forse non era sua intenzione farmi un complimento.

“Beh, il lavoro dei detective richiede calma e sangue freddo, ma soprattutto un certo fegato” mi ero acceso, come sempre quando parlo di questo lavoro “Si viene a conoscenza della brutalità umana e la si tocca con mano, la si studia e la si guarda dritto negli occhi. Siamo come dei criminologi, con la piccola differenza che noi non ci fermiamo alla teoria, ma ci infossiamo proprio nella tana del mostro e guardiamo il brutale assassino dritto in faccia e poi gli puntiamo anche contro il dito. Non credo che possa esistere un lavoro più pericoloso di questo. Rischiare di morire sbudellati e farsi dei terribili, sanguinari nemici è all’ordine del giorno”.

“È una figata”

“Lo è!” ho trattenuto un gridolino.

“Peccato che tu non abbia sorella” ha aggiunto scherzosamente. Io abbassai lo sguardo e mi sentii strano. C’era qualcosa di strano in quell’affermazione, che stonava. Anzi più di qualcosa, diverse cose. Tacemmo per qualche minuto. In quella breve pausa cercai di mettere ordine ai miei pensieri e di capire che cosa volesse comunicarmi il mio inconscio. Inspirai dal naso ma sentii il vago profumo balsamico del dopobarba di John. Lo guardai nel suo bel viso dorato dal sole, lui ricambiò il mio sguardo.

“Io nel dubbio lo prenderei a pugni. Così, tanto per dargli un assaggino” esclamò lui, spezzando il silenzio. Era pieno di coraggio e di vigore, lo immaginavo fin troppo bene nel campo di battaglia a correre tra le mine vaganti e gli spari dei nemici.

“No, lascia stare. È armato fino ai denti”

“E allora mi armo anche io!”

“Si fidi di me, Watson” cambiai tono, non poteva nemmeno immaginare che risorse poteva avere Moriarty “Se glielo impedisco, è solo per il suo bene”

“Siamo passati al lei?”

“Se è utile a convincerti...

Lui mi accennò un sorriso e prese a scarabocchiare delle spirali sul libro. Aveva disegnato gli occhiali da sole su una foto di Francis Bacon. Tenerlo lontano dalla mischia equivale a tenere un eroe lontano dalla gloria, ci vuole una bella tempra convincente.

“Sicuro di non avere una cotta per lui?” mi sussurrò appena. Queste domande mi fanno sussultare, ma come gli viene in mente?

“Certo che sono sicuro!”

Lui alzò appena le mani in segno di resa. Mi scocciava che pensasse questo, anche se, ragionandoci meglio, questa domanda poteva sembrare vicaria di un’altra più intima e scomoda.

“Perché me lo chiedi?” gli domandai gentilmente, senza accusarlo “Ti sembro forse gay?”

“No” mi rispose di scatto “Cioè, in realtà non lo so, non sono a bravo a riconoscerli, a meno che non si atteggino in modo proprio evidente”

“Io li riconosco anche se fanno di tutto per nasconderlo” gli rivelai senza modestia alcuna.

“Davvero?” mi domandò, il suo tono sembrava preoccupato.

“Oh sì”

“Che mi dici di Bill, allora?”

Il sorriso mi morì sulle labbra, perché voleva saperlo? Provai un forte senso di oppressione e irrequietezza dentro di me. Gelosia, in altri termini.

 “Bill Murray? Perché?” gli chiesi col mio occhio scrutatore, lui arrossì leggermente.

“È che l’altro giorno, in spogliatoio...” esitò, il mio bassoventre si accese come il candelotto di una dinamite. 

“Cosa è accaduto?” lo incalzai, agitato “Avete avuto un incontro ravvicinato?”

John arrossì ancora di più “Ma no!” mi smentì subito “Io non sono gay, è che lui a un certo punto aveva...” si indicò i pantaloni.

“Ah” 

“Capito?”

“Perbacco se ho capito” esclamai, necessitavo di un bicchiere d’acqua. 

“Io ho ovviamente fatto finta di nulla” ha continuato John “Però, insomma, se sei nello spogliatoio dei maschi e ti capita una cosa del genere mentre si sveste il tuo amico, che poi sarei io... Beh, io un paio di domande me le farei”

Anche un ventaglio mi avrebbe fatto comodo in quel momento.

“Io comunque voglio solo aiutarlo” si sentì in dovere di aggiungere “Se gli piacciono i ragazzi è giusto che lo accetti e che faccia coming out”

“Concordo pienamente” gli risposi in modo poco incisivo, ma ero in una condizione di forte tensione fisica e mentale. Immaginavo John che si spogliava e provai un inaspettato senso di vicinanza e comprensione per il povero Murray. Tuttavia...

“Non credo che Bill sia gay” gli risposi, mi feci coraggio “Magari aveva voglia di farlo e vedere delle persone nude ha semplicemente scatenato la sua fantasia”

“Sì, capisco cosa intendi” ha concordato con me “Anche io delle volte mi scoperei pure il frigorifero” mi ha strappato un sorriso “Però quando sono in mezzo agli altri mi do una regolata, santiddio”

“Ma lui si è accorto che tu lo avevi visto?”

“Non credo, mi sono voltato subito di schiena” mi ha risposto “Ma senza piegarmi, eh”

Giuro che mi ha fatto ridere e arrossire al tempo stesso, ho dovuto coprirmi gli occhi con una mano e scacciare le immagini oscene che la mia mente mi imponeva con un realismo degno di un dipinto fiammingo. Stavo per fare la stessa fine di Murray. 

Mi alzai dalla sedia, volevo solo andare alle macchinette a prendere qualcosa da bere, niente di che, ma in quello stesso istante si alzò anche Irene Adler e perciò io ripiombai di scatto al mio posto. Mi mancava solo lei in quel momento, solo lei. La osservai mentre usciva dall’aula con un piede davanti all’altro, senza nemmeno guardare in faccia il professore (lei non deve chiedere mai). Si era infilata il cellulare sotto la maglietta, probabilmente stava andando a fare una telefonata al suo amante sposato e ultra quarantenne... Maledetto lui, chiunque fosse. Baciarla era un conto, ma andarci a letto doveva essere qualcosa di inimmaginabile, che andava al di là di ogni possibile grazia terrena. Se non fosse chiaro, in quel momento versavo in una situazione drammatica. Mi sentivo infuocato, preda di questa età disgraziata e degli insaziabili appetiti di gioventù.

“È uno schianto” mi ha detto John, a quanto pare aveva seguito il mio sguardo “Ma io preferisco Claudia Schiffer” 

Capii immediatamente che si stava riferendo ad Astrid Mikkelsen, una delle amiche di Irene Adler.

“Ma perché sono nato brutto e basso...” 

“Non sei brutto” l’ho contraddetto subito, non era affatto brutto. Effettivamente era basso, ma nessuno è perfetto.

“Per quelle come lei, sì, lo sono” replicò, rassegnato “Dovresti provarci tu, Sherlock. Tu sei un figo”

Ammetto che mi è sfuggito un sorrisetto colpevole e inopportuno. “Ma no…” ho negato per pudore.

“Sì, che lo sei, accidenti a te. Sei alto, hai gli occhi azzurri, ti vesti” ha continuato John con convinzione “Se fossi in te, mi sarei passato tutte le cheerleader e non so francamente cosa stai aspettando” 

“Non l’ho mai fatto in vita mia” gli ho confessato a bruciapelo. Era la prima volta che ne parlavo con qualcuno, ma lui mi ispirava fiducia. Non è una persona che giudica o che sparla dietro. E infatti John sembrava semplicemente sorpreso. O mi considerava proprio un super figo, oppure si stava domandando come potessi essere sopravvissuto. E in effetti per uno che ha perso la verginità a quattordici anni (per non dire dodici) doveva essere inconcepibile.

“Beh, è un buon motivo per cominciare, allora” mi ha risposto tranquillamente “Ma ti prego punta su Claudia Schiffer, così poi me lo racconti e mi sento meno disperato”

Era esilarante, gli piaceva tanto Astrid Mikkelsen, una svedese bionda che superava il metro e ottanta d’altezza. In effetti costei era bellissima, ma non aveva la grazia o la voce soave di qualcun altro…

“Sicuro che questo non ti renderebbe ancora più disperato?”

Lui mi sorrise “Forse hai ragione. Sai che sei forte? Dovremmo parlare più spesso”.

Il cuore iniziò a battermi in modo sconsiderato.

“Sì, sono oltre modo d’accordo” gli ho risposto subito.

“Non so se sei uno che ama lo sport, ma ci provo” continuò John, io trattenni bene l’emozione “Ti va di fare jogging con me qualche mattina? Se so che c’è qualcuno che mi aspetta, sono più spronato ad andare”

“Ma certo” gli ho risposto subito, come se fosse ovvio. Beh, per me era ovvio, l’avrei accompagnato anche a fare pilates. John sgranò gli occhi, sembrava stupito della mia risposta affermativa. “Davvero?”

“Certo. Sembri sorpreso”

“Non credevo fosse così facile” bisbigliò “L’avevo già chiesto in giro e Bill mi aveva dato del pazzo”

Murray, ancora. Una vocina antipatica nella mia testa sottolineò subito che John l’aveva chiesto prima a lui che a me, ma non volevo farmi abbattere, era già un miracolo il solo fatto che mi avesse interpellato. Mi aveva preso in considerazione, per lui ero una persona a cui si poteva chiedere di uscire.

“E in realtà lo capisco” continuò “Ci vuole un bel coraggio per alzarsi prima la mattina”

“Quando si è in buona compagnia anche le notti insonni diventano piacevoli” gli ho risposo ingenuamente. 

Lui ha sogghignato “Su questo ci puoi giurare! Te lo metto per iscritto!”

Rimasi un attimo confuso da questa sua breve euforia, ma poi realizzai con un certo imbarazzo che avevo fatto una battuta equivoca senza rendermene conto. 

“Come va con Kate a tal proposito?” cercai di sviare.

“Non male, dai. Siamo all’inizio. Tu invece? Ti frequenti con qualcuno?”

Con te sarebbe stata la risposta più appropriata, ma per ovvi motivi mi astenni dal dirla.

“No” e vista la situazione, era più che mai un bene.

“Sai che c’è una tipa che mi ha chiesto di te?” ha continuato John e la cosa non mi sorprese più tanto.

“Davvero?” gli chiesi, più per gentilezza che per reale curiosità.

“Sì, è mora e molto bella”

Mora e molto bella? Mi ricordava qualcuno… Ma proprio in quel momento il professore ci riprese. In effetti avevamo chiacchierato ininterrottamente tutto il tempo, ma dopotutto cosa mai potevano fare un aspirante medico e un aspirante detective durante l’ora di filosofia? Abbiamo quindi taciuto e iniziato a giocare a tris, ma alla settima partita John si è rifiutato di continuare perché vincevo sempre e solo io.

“Mora e molto bella, dicevi?” gli ho chiesto con nonchalance, dopo che l’acque si furono calmate. Lui mi ha rivolto un sorriso di complicità e ha annuito.

“Ha anche due belle tette”

Non era Adler, ora ne avevo la piena conferma.

“Si chiama Janine, non so se la conosci”

Ho annuito subito “Certo che la conosco. È indiscutibilmente mora e molto bella”

“Indiscutibilmente. Provaci con lei, secondo me ci sta” ha continuato “Mi ha chiesto: ma tu sei un amico di Sherlock?” ha fatto una voce in falsetto che mi ha fatto sorridere.

“Ci penso. Grazie” gli ho risposto per cortesia. Ovviamente ci avevo già pensato e la mia risposta era no, un no secco.
Adler intanto era rientrata, la guardai mentre si sedeva sotto lo sguardo incalzante e curioso delle sue amiche. Doveva aver fatto una telefonata particolarmente importante, magari lo aveva lasciato. 
Si inclinò verso Astrid e notai un piccolo livido che le sbucava da sotto la maglietta, troppo scollata per nasconderlo. Ogni tanto aveva degli strani lividi, in posizioni altrettanto strane. Ma non se li procurava da sola, aveva troppa grazia per sbattere ovunque come noi comuni mortali.

Lo sguardo mi cadde furtivamente sul suo viso delicato, ma tempo tre secondi e lei mi intercettò, i suoi occhi azzurri mi punsero come due spilli. Io mi voltai di scatto verso il mio amico. 

La sua presenza era rassicurante, aveva dei lineamenti molto regolari e i capelli biondi come il grano, peccato che li tenesse così corti. Sentendosi osservato, anche lui ha alzato lo sguardo verso di me, ma io gli ho sorriso, mi è venuto spontaneo e naturale.

Anche lui mi ha sorriso, ma insieme al sorriso ha aggrottato le sopracciglia. “Tutto bene?” mi ha chiesto, sembrava  confuso.

No.

“Certo. Benissimo”.

No, non andava tutto bene.


***

 

Pensavo a John sempre più spesso. 

La mia tesi che lui si collocasse nel giusto mezzo di ogni cosa era verissima. Non aveva particolari talenti e probabilmente non distingueva una croma da una semicroma, ma possedeva (possiede) una pazienza e una resilienza che sono a dir poco formidabili. Se esistono le persone lunatiche ed eccentriche, John ne rappresenta il perfetto contrario. Tuttavia ho scoperto cose del suo passato che potrebbero tranquillamente confutare questa mia tesi. Ho scoperto che prima di venire qui frequentava una sorta di collegio militare, dal quale è stato espulso perché beccato a fare a botte con un compagno. Questo non mi ha eccessivamente sorpreso, John Watson sembra tanto calmo e paziente ma in realtà non lo è. È una testa calda assetata di adrenalina, pericolo e perchè no, trasgressione. Ma trasgressione legale, ha un forte senso dell’etica e della civiltà, non è il tipo che va a imbrattare i muri con una bomboletta spray o che si masturba in pubblico, tanto per dire un eccesso. È estremamente interessante e più complicato di quello che sembra, dato che non lascia trasparire nulla. Se sta male, non lo dice. Se è contrariato, non lo dice. Se è stanco, non lo dice. Potrebbe finire sotto un tir ed essere tradito dalla ragazza nello stesso giorno che nessuno lo noterebbe. Questo per dire che John non manda vibrazioni negative, le trattiene tutte a costo di scoppiare. È ermetico come una cassaforte, ma è talmente lineare che si capisce subito quando c’è qualcosa che non va. 

E poi non giudica, non parla alle spalle, non invidia, non è competitivo, non è arrogante, non è indisponente, non è una persona superficiale e non è attaccato al denaro. Gli piace molto il sesso, anche se non ne parla spesso… Perlomeno non con me. È capitato giusto in quell’ora di filosofia di cui sopra e io mi sono sentito strano.

Le persone non si rendono bene conto che la libido è un’emozione estremamente contagiosa, soprattutto se sei un maschio con gli ormoni in subbuglio. Se hai di fianco una persona che ha il fuoco nelle mutande, stai certo che ti ritrovi con lo stesso fuoco in meno di cinque secondi. A me è successo così.

Ora, se volessi indagare meglio sulla natura di queste mie tensioni improvvise, credo che giungerei a una semplice ed elementare conclusione: il mio corpo ha una gran voglia di fare sesso. Che io lo voglia o no, è così. È come se avessi una Ferrari chiusa nei pantaloni, sono pieno di benzina fino all’orlo. Questa tensione fisica ha delle notevoli ripercussioni anche nelle mie facoltà intellettuali. Mina la mia concentrazione, mi rammollisce il cervello e, in estrema sintesi, mi provoca dei fastidiosi malfunzionamenti. L’unico modo per sbarazzarmene è alleviarla, e per alleviarla devo avere degli orgasmi. Nessun problema, me ne sono procurato uno senza nemmeno toccarmi. Credevo ingenuamente che il mio languore sarebbe migliorato e invece no. Aver smussato le spine del desiderio non ha risolto niente, anzi, arrivo a dire che le ha fatte ricrescere più pungenti di prima. È come finire intrappolati in una sabbia mobile, se ti dimeni nella passione, sprofondi ancor più giù. Bisogna solo stare fermi e aspettare (sperare) che il terreno prima o poi si secchi. E soprattutto non bisogna perdersi in fantasie troppo ardite, perché la mente umana ha un modo tutto suo per processare le idee e tende a giocare brutti scherzi in fatto di stimoli. Se io sognassi la mano di John, allora finirei inevitabilmente per collegarlo a quella forte emozione sensoriale e non mi sembra proprio il caso. 

Non mi sembrava il caso ma naturalmente l’ho fatto, mi è venuto quasi naturale pensare a lui. Questo mi rende omosessuale? Mi rende innamorato di lui? Non è un quesito elementare. Avrei bisogno di confrontarmi con qualcuno e potrei farlo anche con John, mentendo, ma anche la mia infinita faccia tosta conosce dei limiti.

Ecco, questo è il principale problema nell’essere asociali e sociopatici, ci ritroviamo da soli anche quando abbiamo bisogno d’aiuto.

Alla fine mi sono rivolto, pur ricalcitrante, all’unica persona possibile, l’unica che mi rimaneva.

Mycroft fa sesso, ma per lui è più una seccatura che altro. Lui è pigro e farlo implica del movimento, del sudore e della condivisione, tre cose che mio fratello odia profondamente. Però lo fa, a differenza mia… E poi mi guarda e capisce perfettamente cosa mi passa per la testa, ci è sempre riuscito e tuttora ci riesce. Le sue capacità deduttive sono più raffinate delle mie, tanto che spesso non devo nemmeno disturbarmi a chiedere: lui mi precede.

“Devi trovarti una ragazza” mi ha consigliato mentre eravamo impigriti di fronte alla tv. Era mercoledì, la sera in cui i nostri due vecchi andavano al corso di ballo e, vivaddio, ci lasciavano soli. Ciò significava fumare come se non ci fosse un domani, mangiare cose sul divano e guardare film di dubbio gusto nella tv del salotto. Ma nessuno di noi due li guardava sul serio, erano solo un sottofondo.

“Sta zitto”

“Non essere allarmato dal sesso”

“Non sono allarmato!” ho replicato con fervore, avevo ben due sigarette in bocca.

“Anche il re dei cretini è capace di farlo” ha continuato lui come se non avessi detto niente “Non sei così stupido, Sherlock”

Io ho alzato gli occhi al cielo. Ma visto che eravamo in argomento, ne ho approfittato per fargli la domanda.

“Come hai fatto a capire di essere eterosessuale?” 

Mycroft mi ha lanciato un breve sguardo e poi è tornato a guardare la tv.

“Non l’ho capito, l’ho deciso” mi ha risposto tranquillamente “Detesto allo stesso modo sia gli uomini che le donne, per cui…”

Mi ha fatto sorridere, io ero sociopatico, ma Mycroft era proprio un eremita. “So già che me ne pentirò, ma perché me lo chiedi?”

“Ho immaginato un mio amico mentre mi masturbava” gli ho rivelato senza tanti preamboli. Ci voleva ben altro per scandalizzarlo e infatti lui non si è scomposto minimamente. Ha solo espirato una bella boccata di fumo.

“Perché, non usa più tra amici?” mi ha domandato facendo spallucce. Io, scioccato dallo stupore, ho raddrizzato la schiena, ma Mycroft si è subito smentito con un sorrisetto beffardo.

“Ma fottiti” ho replicato nel momento in cui ho capito che mi stava prendendo in giro.

“Oh, Sherlock, sei ancora così ingenuo. Sai cosa fanno due uomini quando vanno a letto insieme?”

“Certo che lo so!” gli ho risposto irritato, come se la sola domanda mi avesse offeso. Ovvio che lo sapevo, anche se non lo praticavo, conoscevo il sesso e tutti i suoi feticismi come le mie tasche. Sapevo perfettamente  cosa facevano due uomini, due donne, tre uomini, tre donne e così via. 

“Bene. Inizia ad avere dei dubbi quando sognerai qualcosa di un pochino più intrusivo che un paio di carezze, d’accordo?”

L’ho guardato male, anche se forse aveva ragione. Come sempre aveva ragione.

“Perché non ho immaginato una ragazza?”

“Perché non ne hai il coraggio, probabilmente. O forse perché sei davvero gay, se non lo sai tu…”

E dopo quel breve intermezzo io ho taciuto e così anche lui. Abbiamo guardato quel film truculento pieno di sangue, sesso e sgozzamenti fino al rientro dei nostri imbarazzanti genitori. Io mi sono subito defilato in camera mia, Mycroft pure.

Sotto le coperte e nel buio della mia camera ho provato a immaginare Molly in chiave erotica, ma mi ha dato la metà delle sensazioni che mi ha elargito la mano di John. Ci sarebbe un’altra ragazza su cui avrei potuto edificare un’intensa fantasia, ma non ho voluto farlo. Anche perché sapevo già che con lei avrebbe funzionato.

Forse non sono gay, forse lo sono… Non mi è mai importato saperlo, ma ora che ho un amico credo sia opportuno per me fare chiarezza. Non tanto per lui, perché John non è gay. A lui piacciono indiscutibilmente le ragazze, in particolare quelle molto alte e molto formose. Se fossi nato donna, sarei stata sicuramente alta, forse come lui o addirittura di più. Mi immaginai donna, ma mi immaginai brutta, ossuta e senza seno, ma vidi comunque John sorridermi e avvicinarsi, allungare una mano verso il mio viso…

Ho provato dei brividi di varia natura.

 

   
 
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