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Autore: An13Uta    07/05/2021    1 recensioni
Biografia a frammenti di Oitesch, che non aveva nessuno al mondo - o almeno, della vita che avrebbe avuto.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Link, Malon, Nuovo Personaggio, Sheik, Skull Kid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'occhi d'ambra'
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adolescenza




I boschi erano rimasti gli stessi.

Non esisteva dentro di essi né luogo né tempo. Il mondo attorno al loro immenso corpo poteva mutare radicalmente, soffrire fino all'agonia, morire per poi nascere ancora, ancora, ancora, ma non sarebbe mai riuscito a permearli; e così rimasero identici, intoccabili, come uova d'insetto imprigionate nell'ambra, fremendo nell'aria immobile più per gioco che per terrore con il suono di scheletri gettati tra le ossa scricchiolanti d'una fossa comune.
 

Attorno a loro vigeva un silenzio assordante.
 

Quelle verdi vesti potevano aspettarsi quel mostro mai visto, quella bestia improvvisa, in quell'inquietante quiete?

Potevano aspettarsi che quel corpo infantile mal cresciuto, quella marionetta urlante piombasse loro addosso, vecchie lame arrugginite strette nelle nocche graffiate e fuochi fatui attaccati con apprensione ai suoi calcagni mal sagomati, scuotendosi violentemente con un baccano infernale mentre menava colpi mezzi ciechi nella speranza di non venire uccisa, senza alcuna pelle a coprire l'osso del suo teschio cornuto e scoperto?

Potevano aspettarsi di vedere, quando respinsero a terra con un colpo di scudo quella voce stridula, rotta come quella di un bambino dopo ore di grida in preda all'orrore, quegli occhi tondi e arancioni e spalancati che si fissarono su di loro per un momento infinito, infinito, infinito, mentre la bocca ossuta e magra di bestia rantolava in cerca d'aria tra i tintinnii di una fata azzurra che riconosceva le luci di due sue consanguinee?
 

Lo fissò scosso da brividi invincibili, in quelle verdi vesti, con quella spada d'argento, con quella maschera rosa.
 

Sei tu.
 

Se avessero avuto riflessi più pronti, le verdi vesti lo avrebbero mandato a morire contro la punta della loro spada sguainata appena avesse fatto il gesto di gettarsi contro di esse.


Ma quei begli occhi blu lo stavano ancora riconoscendo, e rimandando la sua morte lo videro aggrapparsi a loro, al corpo che a loro apparteneva, e stringerlo con una smania ossessiva tra le braccia martoriate, trafiggendolo quasi con le unghie rotte, e intanto urlava, urlava ancora, come un pellegrino arrivato finalmente all'oasi del suo culto, e le gambe gli tremarono tanto che per poco non si spezzarono sotto quel nonnulla del suo peso facendolo scivolare a terra, ancora aggrappato a quelle verdi vesti, ululando con tutto il fiato che aveva in corpo Sei tu, Sei tu, Sei tu, come se il mondo intero si fosse sollevato dalla sua schiena alla sua vista – e scellerato, per poco, per poco! Per poco li stava per uccidere! Per poco stava per ammazzare quei begli occhi blu, blu, blu che infestavano i suoi incubi!


E le braccia rosa e pallide lo strinsero di rimando con un sussulto, come se si fossero appena svegliate, e strinsero forte, forte, forte, finché non riuscirono a fargli schioccare sorda la schiena contro il loro petto.

Il bambino blu e rosa e giallo e verde si accasciò a terra insieme a lui e lo strinse, lo strinse con la stessa disperazione con cui veniva stretto.

Sopra le loro teste veniva il furioso tintinnio sollevato delle tre fate, aggrovigliate l'una con l'altra in acrobazie aeree.
 

Sei tu, gridava ancora, e lo teneva quasi potesse sparire di nuovo, Sei tu.


I tesori, i tesori! I regali per la sua faccia! I regali che gli spettavano!

Senza mai interrompere il loro abbraccio frugò tra le ossa sporgenti della sua persona e prese a riversare tutto quello che aveva conservato per quei begli occhi blu sulle verdi vesti, e tentava di parlare, di indicarglieli, ma tutto quello che usciva dalla sua bocca era solo Sei tu, Sei tu! Sei tu!


Quelle braccia rosa e pallide lo strinsero più forte, come per fermare il suo infinito tremolio.

Sentì quei begli occhi blu, blu, blu gocciolargli sulla spalla.


Per un momento lo rese immobile.


Strinse di nuovo attorno a quelle verdi vesti le sue magre braccia Oitesch, che al mondo non aveva che due fate, una maschera a proteggerlo dagli incubi e due begli occhi blu che gli singhiozzavano sulla spalla, e così rimasero silenziosi nei boschi, acciambellati l'uno sull'altro.


 

-



La memoria gli era stata invasa e rosa dalle tarme.
 

Forse era colpa degli incubi. Gli incubi lo facevano guaire e agitare, gli facevano arcuare la schiena e schiumare come fosse vittima della rabbia. Forse gli incubi erano andati a divorare i suoi ricordi ora che non c'era più carne sulle ossa da sfaldare.

I luoghi si mischiavano nella sua mente, fluidi e incostanti e senza significato. Non riusciva nemmeno a distinguere gli interni dall'esterno.


La cosa che li univa tutti, tutti, dentro o fuori che fossero, erano quei begli occhi blu del ragazzo rosa e giallo dalle verdi vesti, e l'altro.

 

L'altro era rosso, blu, e bendato.
 

La prima volta che lo aveva visto gli aveva soffiato contro come un'orribile creatura, e si erano preparati a sgozzarsi a vicenda in quella radura, bloccati soltanto dal corpo pallido postosi in tempo tra di loro. L'occhio rosso lo aveva fissato con vago disgusto.

Non era la sua battaglia. Non doveva interferire.


Ma gli Dei non si curano dell'esistenza di chi non gli appartiene! Non avrebbero notato nulla, nulla, nulla, se fosse venuto con loro – nulla. Sarebbe stato un fantoccio, un doppio, un manichino, sarebbe servito come carne da cannone, sarebbe stato uno scudo umano.

 

Morirò per lui, aveva detto con un fervore improvviso, infilando le unghie nella carne pallida, possessivo fino alla pazzia: Morirò per lui, morirò io per lui, per lui. Se serve morirò io per lui.



Non ricordava cosa l'occhio rosso avesse risposto.



Il secondo ricordo dell'altro, tra i primi che gli venivano in mente, cominciava in mezzo ad acque torbide solcate da correnti che gli evocavano le rapide che avevano morso il loro letto attraverso una polverosa gola deserta.

Ricordava sfumature lontane, strappate, di rosso e blu e bende bianchicce, verso cui si era trascinato fino ad afferrare quei colori scomposti nelle sue brutte mani, e di averli tirati pazzamente con i polmoni sul punto di collassare tra le fiamme fuori dalla superficie liquida per gettarli su terreno solido. Aveva creduto, per un momento, che l'occhio rosso fosse sceso tra le bende ormai strappate in cui si scomponeva il petto, e che stesse colando in ogni direzione attraverso la stoffa bluastra della sua tunica.

 

Agguantò quel corpo tanto ammirato dai begli occhi blu, blu, blu con i suoi artigli scheletrici, e una mano dalle falangi fasciate lo colpì per gettarlo quanto più lontano possibile. Accettò il colpo; poi schiantò la testa bendata a terra, con una malizia quasi sanguinaria, bestiale, stordendola abbastanza da poter stringere il fiumiciattolo scarlatto in bendaggi che impedissero alla sua sorgente di espanderlo.

 

Non rispose al calcio contro il torace che lo mandò a stramazzare a terra.

Tael e Tatl accorsero tintinnando preoccupati, sorvolando il suo brutto viso: le luci soffuse (gialla, gialla, gialla, e porpora, porpora, porpora) gli balenarono davanti alle pupille come in una danza ipnotica.

 

L'occhio rosso lo guardò con odio malcelato mentre riprendeva fiato, senza pur dire una singola parola, ansimando a sua volta.

La sua bocca scarna fece un suono rauco in direzione delle bende.

 

Come fossi l'unico, gli sputò contro tra spasmi e tremori.

 

L'occhio rosso gli fissò il petto scivolatogli fuori dalla casacca. Sentiva il suo sguardo tentare di bucargli la pelle mentre cercava di comprendere appieno quello che vedeva, come se riuscendo ad aprire quel poco di carne sulle costole e svuotarlo avrebbe capito.

 

Non è comune. Era scosso da brividi brevi, molto meno intensi dei suoi. Non è comune. Non è comune che un uomo abbia un seno.


Cazzate.


Tatl gli colpì la tempia, adirata. Tael scampanellò al suo fianco.


Inarcò la testa: Cazzate, ripeté, scandendo bene le sillabe, arrotando le erre, come a far loro un dispetto: Cazzate, frottole e fesserie.


L'occhio rosso non disse nulla. Strinse a sé il suo, di seno, senza distogliere lo sguardo da quello sul corpo scheletrico.

 

Rise. Non sapeva perché. Forse gli sembrava che fosse tornato tutto a posto, mentre le fate lo riprendevano. Forse aveva pensato a qualcosa, qualcosa, qualcosa che non ricordava più, o forse era solo stato preso da una voglia improvvisa e incomprensibile; e rise con il suono orribile della sua risata contorcendosi agonizzante di fianco all'occhio rosso.

Quando si voltò per fissare quella pupilla nascosta tra le bende con le sue iridi d'ambra annebbiate dalle termiti del tempo, ridendo ancora, la bocca appena aperta con il buco di un dente perduto per sempre e i capelli rossi lisciati e sputati sulla sua faccia come i tentacoli di un mostro marino moribondo, l'altro gli piacque terribilmente.

 

L'occhio rosso, rosso, rosso lo guardò con espressione indecifrabile mentre la sua grottesca risata andava assottigliandosi sempre di più, senza fermarsi. Quell'ultimo momento chiaro del suo ricordo finiva in quel modo: Oitesch, che non aveva che due fate, una risata lugubre ed una maschera altrettanto grottesca al mondo, sdraiato e tremante affianco all'altro, aspettando con quell'occhio rosso, rosso, rosso il ritorno dei begli occhi blu per cui entrambi non avrebbero esitato a morire.


 

-



Dov'era andato, poi, quell'occhio rosso, rosso, rosso?

Dov'era finito, dov'era sparito?

Dietro una nube accecante; ma quando spariva dietro ad esse ritornava, ritornava sempre, con la sua arpa e le sue bende e il suo occhio rosso, rosso, rosso che aveva imparato a farsi piacere come piaceva a quei begli occhi blu, blu, blu, per poter appoggiare la testa su quella gamba blu fasciata stretta, sdraiato su verdi vesti, e tremarvi contro ridendo male come rideva lui in quei tanto rari momenti in cui erano loro tre tutti insieme, tutti insieme, e le fate dormivano vicine l'una alle altre, e quei suoi incubi di cui non riusciva a ricordarsi emergevano pigri e sparivano dal suo sonno come le teste di grossi coccodrilli troppo sazi per cercar di mordere.
 

Dov'era andato, quell'occhio rosso, rosso, rosso?

Dov'era andato?

E quei begli occhi blu, blu, blu – dov'erano? Dov'erano? Dov'erano?

Non ricordava, non ricordava. Non ricordava. Dov'erano? Non ricordava. Non ricordava dov'erano, dov'erano, dov'erano – non ricordava.

 

Non riusciva a ricordare, a pensare, occhi cangianti rubavano il suo sonno, rubavano i suoi occhi il suo corpo braccia gambe collo stomaco pensiero, occhi cangianti blu e rossi e arancio e viola e blu e rossi e giallo e porpora e giallo e porpora e giallo e porpora e arancio e viola e blu e rossi, dov'erano quegli occhi blu blu blu dov'erano non ricordava dov'erano dov'erano non lo potevano avere abbandonato dov'erano? Dov'erano? Dov'erano? Tael e Tatl dov'erano? Dov'erano? Quando aveva perso le loro luci? Quando si erano spenti e dove? Dov'erano? Dov'erano? E quell'occhio rosso rosso rosso e quei begli occhi blu blu blu e quelle luci gialla gialla gialla e porpora porpora porpora e azzurra azzurra azzurra dov'erano? Dov'erano? Dov'erano? Non ricordava non ricordava non ricordava non ricordava, cosa ricordava, cosa, cosa? Cavallo, cavallo e capelli rossi lisci e spettri lanterne cavaliere senza corpo senza pelle cavallo fantasma TAM TAM TAM mani che battono tamburi occhio senza testa senza testa fuoco brucia brucia brucia morte ruggiti scaglie di fuoco di fuoco di fuoco lacrime blu blu blu fuoco ghiaccio fuoco ghiaccio due poi una due poi una urla risate urla stridule di vecchie vecchie vecchie tentacoli d'acqua doppio d'ombra fuori fuori fuori strappa il cuore blu e rosso blu e rosso strappa musica d'organo d'organo un cristallo una figura occhi d'oro oro oro oro oro oro oro oro oro SANGUE SANGUE SANGUE SANGUE SANGUE MORIRÒ PER LUI MORIRÒ PER LUI SE NECESSARIO MORIRÒ IO PER LUI PIUTTOSTO CHE LUI MORIRÒ IO PER LUI Dev'essere così che ci si sente a morire fuori fuori fuori fuori fuori no! no! no! no! per lui per lui per lui sangue sangue sangue per lui per lui per lui il castello cade per lui per lui cade cade cade il castello cade per lui per lui per lui cade cade cade il castello... il castello... il castello... il castello...

 

Il castello era a pezzi? Eppure era lì, era lì, sotto le sue mani, sotto le sue mani.
 

Come era arrivato lì? Perché era andato lì? Non ricordava il tragitto, il flusso del suo pensiero. Vagò tra le stanze i corridoi le sale tremando come un cadavere non ancora colpito dal rigor mortis, come un sonnambulo senza meta.
 

Quegli occhi erano blu. Non erano blu, blu, blu.
 

La conosceva? Quella persona? Con quella pelle e quel viso? Quei capelli, quel movimento del braccio della mano a toccare un seno a proteggerlo ad accarezzare un qualche taglio su di esso? Gli parlò con una voce mentre gli si avvicinava: l'aveva sentita prima? Quella faccia senza bende che gli veniva incontro la conosceva? Aveva una bocca: era inarcata in un sorriso? Lo tenne per una spalla e disse qualcosa, una parola sola: cosa gli aveva detto? L'aveva sentita? Lo aveva chiamato? Lo conosceva?

 

Dov'è?
 

La sua voce era flebile quando glielo chiese.
 

Dov'è?
 

Quella persona gli tenne le braccia gli accarezzò la spalla mosse la bocca e gli occhi, e una voce lasciò il corpo. L'aveva sentita? Cosa aveva detto? Non ricordava, non ricordava, non ricordava.

Affondò le mani in un corpo nello spazio sotto ossa sotto le clavicole.
 

Dov'è? Gridò, gridò, gridò come un pazzo, Dov'è? E continuò a gridare, a gridare, a gridare tremando schiumando Dov'è? Dov'è? Qualcosa braccia metallo qualcosa lo strappò da quel corpo quella persona quella voce mentre gridava gridava gridava gridava gridava gridava gridava Dov'è? Dov'è? Dov'è?

 

Dov'era ora dov'era ora dov'era ora? Dov'era ora? Dov'era ora? Dov'era ora? Non lo sapeva non ricordava non capiva e urlava urlava urlava con guaiti ululati lamenti come un fantasma torturato per il resto dell'eternità e tremava tremava tremava tremava tanto che a malapena riusciva a muoversi schiumante digrignante claudicante ridotto a scheletro ombra spettro leggenda raccontata ai bambini per spaventarli per farli tremare nei loro letti per farli gridare quando sentivano lontano il ringhio lamentoso liquido venire dai boschi maledetti da cui non usciva mai nessuno nessuno nessuno signore nessuno esce da lì signore la prego faccia attenzione la prego nessuno esce da lì avevano detto a quell'uomo che conosceva quella bestia da anni ed anni addietro e che da quella bestia povera marionetta non era ricordato per nulla.


Una voce...

Una voce senza suono...

Senza bocca...


La sentì attraverso il canto flebile dei boschi.

La sentì.


La riconobbe? La riconobbe? Non lo sapeva. Non lo sapeva.


Echeggiò un suono orribile, sordo, un suono di legno contro ossa.


La volpe giacque a terra nelle sue vesti viola con il suo viso umano senza il suo pelo giallo giallo giallo giallo giallo giallo giallo giallo giallo e le sue dita orribili lunghe spezzate graffiate segnate si strinsero forte attorno a un viso ligneo dagli occhi cangianti troppo grandi troppo grandi troppo grandi che chiamava con la sua voce senza voce ridendo ridendo ridendo ridendo ridendo ridendo che protendeva la sua maledizione mortifera verso quel viso di carne ossa pelle senza più quel teschio quel teschio quel teschio che lo aveva protetto prima che la realtà gli incubi divenissero indistinguibili dagli incubi la realtà dov'era quel teschio dov'era quel teschio dov'era quel teschio doveva riaverlo doveva riaverlo doveva riaverlo unico cimelio rimasto di quegli occhi blu blu blu rossi gialli porpora viola verdi arancio cangianti cangianti cangianti e così grandi grandi grandi grandi grandi grandi grandi grandi grandi sempre più vicini più vicini più vicini e poi ci fu un grido agghiacciante.
 

Il corpo tremante si stabilizzò per poco: uno, due minuti. Poi, animata da un'anima mostruosa incomprensibile al mondo in cui si trovava, nei boschi risuonò piano una risata brutta e sommessa uscita dalla bocca di Oitesch, che non aveva più nessuno al mondo – nemmeno sé stesso.


 

-



La donna guardò il sangue che le usciva dal petto come se si fosse trovata fuori da quel corpo che doveva essere suo.

Lo guardò scivolare tra le sue dita. Era rosso. Rosso. Rosso.


Un singulto, un brivido – una risata la raggiunse.


Volse lo sguardo verso il corpo al suo fianco lentamente. Era stanca.


La bocca graffiata sputò ancora uno sghignazzo.

I palmi e i piedi trafitti da frecce di luce tremavano e si contorcevano come potevano in preda a spasmi terribili. Fissò il dardo che aveva tirato là, nel suo sterno color della cannella, tra i seni asportati per metà da orribili ferite; fissò quei seni che non erano comuni per un uomo.

La testa scura si inarcò con un tremolio, schiacciando i ricci color del tramonto. Quella brutta risata ne uscì ancora.


Chiuse gli occhi blu piano.

L'aria era umida.


Cazzate, disse quella voce stridula che non apparteneva ormai più al ragazzo paranoico che era quasi morto per l'eroe dalle verdi vesti.

Sghignazzò di nuovo, facendo un bello spettacolo della finestra buia tra denti bianchi, aguzzi, non suoi.


Lei non rispose. Tenendo il proprio seno sanguinante (una ferita vecchia, riaperta di proposito con malizia feroce) il pensiero le confluì al resto di quell'elisir scarlatto, quel nettare reale, già al sicuro sulle montagne. Non aveva intenzione di salvarsi con loro.


Cazzate, ripeté il burattinaio con irriverenza, con la stessa inflessione di allora, piegando e scuotendo il suo giocattolo: Cazzate, frottole e fesserie.


Caddero le prime gocce.

Lontano, in qualche altura desertica, il demone in forma d'uomo – se demone ancora era, ormai – rinvenuto per divertimento, per affrettare la fine del mondo, si sarebbe abbarbicato in una nuova fortezza. Non poteva fermarlo. Non ci sarebbe riuscita nemmeno se avesse avuto abbastanza tempo.


Era così stanca.


La mente nel corpo vuoto rise.


Le frecce sacre l'avrebbero assorbita e distrutta lentamente con il velo di ruggine che le avrebbe coperte attraverso il passare del tempo, mentre la inchiodavano laggiù, contro quello che sarebbe stato il letto ultimo del mondo; il vessillo di carne ed ossa del suo smodato appetito apocalittico sarebbe giaciuto e marcito sul fondo del mare, preda di pesci e granchi finché non ne sarebbe rimasto nulla, nulla, nulla.

Che efficienza.

Che modo pulito di rimuovere la sua presenza dal mondo.


Cazzate!


Rise forte, più forte. Il corpo sanguinante al suo fianco non si mosse.


E rise ancora, ancora, con gli occhi d'arancia puntati sulle nuvole divine, mentre la pioggia cominciava già a riempire i polmoni, la gola, la bocca aperta in quella brutta tremolante risata senza gioia che ancora faceva scuotere il corpo vacuo di Oitesch, che dopo aver perso ogni cosa al mondo non aveva avuto nemmeno la possibilità di rendersi conto di morire, mentre le prime lacrime di un nuovo oceano lo inghiottivano per sempre.

   
 
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