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Autore: Iander    07/05/2021    1 recensioni
Tony Stark. Un genio, miliardario, playboy, filantropo. E molto di più.
Pepper Potts. Assistente scrupolosa e impeccabile, poi amministratore delegato delle Stark Industries. E non solo.
La storia di un uomo che è diventato un eroe, di una donna dalla forza incrollabile, di un amore che ha affrontato ogni cosa e ne è uscito vincitore, nonostante tutto.
Dal capitolo 2: Armatura e computer, pezzi di ricambio e calcoli. Tutto perfettamente nella norma, non fosse per la persona che in quel momento occupava il divanetto dall’altra parte della stanza: Pepper sedeva placida con le gambe rannicchiate, un libro tra le mani e l’espressione assorta. Il fatto che stessero condividendo lo stesso spazio senza al contempo litigare, ridefinire accordi lavorativi o mettere i bastoni tra le ruote al cattivo di turno, ma solo per il piacere di trascorrere del tempo insieme, rendeva perfettamente l’idea di quanto la sua vita di recente fosse cambiata radicalmente.
[Raccolta; Pepperony; Tony&Peter]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Morgan Stark, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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From Dusk Till Dawn

A Futeki,
per ogni meraviglioso nuovo inizio


 
Capitolo 6
The end where I begin


Contesto: Captain America – Civil War
 
“Sometimes tears say all there is to say
Sometime your first scars won't ever fade away

Tried to break my heart, well it's broke
Tried to hang me high, well I'm choked
Wanted rain on me, well I'm soaked, soaked to the skin
It's the end where I begin”


Dicono che con il passare del tempo si impari a fare tesoro degli errori commessi, per evitare di ripeterli in futuro. Dicono che con l’avanzare dell’età si diventi più saggi, più riflessivi, in grado di valutare con attenzione le situazioni in cui ci si imbatte. Dicono anche che l’esperienza fortifichi e renda la mente più acuta, più lungimirante. Beh, se tutte queste osservazioni andavano considerate come la regola, allora lui poteva senza alcun dubbio definirsi l’eccezione che la conferma.

Tony trattenne uno sbuffo sarcastico, dondolandosi appena sulla sedia girevole: poco ma sicuro, lui si collocava al di fuori della media, e non solo dal punto di vista dell’intelligenza o della ricchezza. Per quanto ci provasse, per quanto ogni volta pensasse di avere imparato la lezione e di essere pronto ad affrontare la vita in modo diverso, puntualmente finiva per sbattere il muso contro a un muro e a dover ammettere che no, non era cambiato proprio niente.

Incrociò le braccia al petto e allungò le gambe di fronte a sé, inspirando a fondo. Il silenzio che avvolgeva il suo ufficio al Complesso contribuiva ad amplificare il misto di sensazioni contrastanti di cui era in balìa da ormai diversi giorni: eppure, più cercava di analizzarle, di trovarvi un senso, e meno ne veniva a capo. Aveva davvero creduto che non ci potesse essere niente di peggio di Ultron, che in quell’occasione avesse toccato il fondo e che da quel momento in poi non avrebbe potuto fare altro che risalire; invece, pensò con amarezza, aveva avuto modo di appurare che il peggio doveva decisamente ancora arrivare, che la sua discesa verso il baratro non si era affatto conclusa.

Il suo volto si incupì, mentre tornava a riflettere su ciò che era successo. A sua discolpa, osservò, poteva dire di non aver passato dei momenti proprio facili. La distruzione di Sokovia lo aveva fatto sprofondare nello sconforto e nel senso di colpa, che lo logoravano dall’interno in un crescendo costante, senza dargli tregua: per la prima volta nella sua vita aveva dovuto accettare l’idea di poter fallire irrimediabilmente, proprio lui che, da quando era nato, non aveva fatto altro che collezionare record e prodigi in una scia infinita di successi. Era stato davvero un duro colpo da digerire, che lo aveva portato a chiudersi sempre più in se stesso e a progettare il R.I.M.B.A.: l’idea di poter trovare sollievo in qualche modo, per quanto fugace ed effimero, aveva costituito un’attrattiva davvero irresistibile. Si era dunque gettato a capofitto nella creazione di un sorprendente esperimento terapeutico, assistito da quell’inquietante inventore di nome Beck, che gli aveva garantito una dolce illusione, ma che non aveva riempito affatto il vuoto incessante che sentiva dentro di sé [1].

Ci aveva messo un po’ a capire che non era quello il modo giusto di affrontare il problema: negare l’evidenza non lo appagava, serviva solo a farlo precipitare ancora di più nella spirale di dolore e frustrazione di cui era preda; era stata questa nuova consapevolezza a spingerlo finalmente a reagire e ad affrontare i suoi demoni.

Poi erano giunti gli accordi e la possibilità di fare ammenda per i suoi errori si era d’un tratto concretizzata: l’idea di un comitato esterno posto a sorveglianza degli Avengers, in grado di mettere un freno alle loro azioni spesso eccessive e prive di limiti era come un balsamo sulla sua coscienza tormentata. Tony era ben consapevole di quanto tutto questo fosse necessario e lo era tutt’ora, nonostante i recenti e amari sviluppi: per gli indifesi, la loro sconsideratezza poteva rappresentare una minaccia pari a quella di un branco di alieni piombati dal cielo. Ma non si trattava solo di questo, ragionò: sebbene fosse ormai indiscutibile che gli Avengers andassero moderati e rimessi in riga, per Tony gli accordi significavano prima di tutto un decisivo punto di svolta per sé; un punto fermo e irremovibile da cui ripartire. Un comitato superiore avrebbe senz’altro inibito il suo estro creativo, limitando la sua libertà di costruire e progettare tutto ciò che gli passava per la testa senza alcun riguardo per le conseguenze: niente più Ultron, intelligenze artificiali dubbie o contorti esperimenti. Negli anni aveva sempre accolto con sfida ed entusiasmo ogni proposta del suo genio, che sviluppava senza alcun tipo di condizionamento morale; ora era giusto che imparasse finalmente di dover sottostare a dei limiti. Porsi al servizio di un bene superiore cedendo per una volta il controllo era un compromesso che, a questo punto, poteva accettare.

Si era ripetuto questo mantra in continuazione, mentre sottostava alle direttive di Ross e cercava di blandire i suoi riluttanti compagni di squadra. Lo aveva tenuto bene a mente anche quando aveva fatto confinare Wanda al Complesso, o quando aveva cercato di convincere Steve sulla vitale necessità di quel cambiamento. Se lo era ribadito con insistenza persino mentre si confrontava con Natasha dopo lo scontro di Lipsia, negli occhi ancora ben impressa la vista di Rhodey che eseguiva la tac e nel cuore l’angoscia insistente per la sua sorte. Si era comportato come un fedele e impeccabile soldatino ligio al dovere, non c’era alcun dubbio. Così devoto ed obbediente da non dare ascolto a nessun parere contrario, sordo ad ogni eventualità che ciò che stava perseguendo con tanta ostinazione non fosse poi del tutto corretto.

Si ritrovò a strabuzzare gli occhi incredulo, nel realizzare come la sua realtà si fosse decisamente capovolta: era sempre stato una testa calda, incline a soddisfare unicamente i propri interessi e senza mai farsi persuadere da alcuno scrupolo morale; la sfrontatezza aveva rappresentato per anni il suo biglietto da visita, accompagnato da una buona dose di menefreghismo e irriverenza. Il suo dibattito con il senatore Stern a Washington ne era un chiaro esempio [2]. Se qualcuno gli avesse detto che un giorno avrebbe fatto quella fine, rifiutando ogni impulso personale per sottomettersi e sostenere gli schemi del tanto odiato sistema, come minimo gli avrebbe riso in faccia.

Scosse la testa con uno sbuffo, per poi spostare lo sguardo sul panorama che si intravvedeva dalle ampie finestre. Lo lasciò vagare con lentezza sulle cime degli alberi che spuntavano sulla sinistra, oltre il vasto spiazzo verde che circondava l’edificio, poi lo fissò sul cielo grigio e coperto di nuvole, specchio ideale del suo umore da ormai diversi giorni. Puntellò un gomito sull’elegante scrivania in mogano e posò una guancia sul palmo della mano, le labbra incurvate in un sorriso amaro. Aveva dimostrato in più occasioni di saper essere un fedele e cocciuto sottoposto ma, ironia della sorte, proprio nel momento in cui avrebbe dovuto dare ampio sfoggio di questa sua nuova predisposizione, aveva gettato tutto alle ortiche senza alcun tentennamento. La faccenda della Siberia bruciava ancora con intensità dentro di lui, in un turbine di dolore, rabbia e frustrazione che si dibatteva senza sosta nel suo animo, e sospettava che avrebbe continuato a farlo ancora per molto.

Si portò meccanicamente una mano al petto, nel punto esatto in cui si era trovato il reattore inerte e distrutto, spezzato con vigore da chi, quanto ad ostinazione, non aveva nulla da invidiargli. Un lampo di irritazione gli attraversò lo sguardo e di riflesso strinse le labbra, irrigidendo la mascella; le dita si serrarono di scatto in un pugno, mentre un moto di profonda frustrazione tornava a scorrergli nelle vene. Si era lasciato manipolare come un ragazzino alle prime armi, in beffa alla sua straordinaria intelligenza e al buon senso recentemente acquisito, reagendo esattamente come Zemo si aspettava. Non c’era stato posto per il dialogo, per la ragionevolezza o per la prudenza, non aveva in alcun modo provato a dare ascolto a Rogers per capire com’erano andate esattamente le cose; aveva lasciato che il dolore e la rabbia accecante si diffondessero lungo il suo corpo e si era limitato ad assecondare l’impulso insistente di eliminare Barnes seduta stante, cedendo alla sete vendetta. Non certo la mossa più azzeccata, per il più strenuo sostenitore degli accordi, nonché del compromesso.

Onestamente, rifletté, il buon senso era decisamente andato a farsi fottere mentre assisteva agli ultimi istanti di vita dei suoi genitori: avrebbe sfidato chiunque a restare calmo e ragionevole, di fronte a certe immagini devastanti. Anche in quel momento, ripensando allo sguardo angosciato e impotente di sua madre, poteva sentire di nuovo il sangue andargli alla testa e doveva sforzarsi per non cedere all’istinto di spaccare subito qualcosa. Si alzò di scatto e prese a percorrere a rapidi passi la stanza, cercando di sfogare l’inquietudine sempre più intensa e pressante.

Era ben consapevole di aver lasciato che il suo corpo si muovesse guidato esclusivamente dall’impulso e dalla disperazione, ma Barnes non aveva tentato in alcun modo di difendersi, di fornire spiegazioni: si era limitato a fissarlo, in silenzio, e ad attendere la sua reazione, in una muta ammissione di colpevolezza; non c’era davvero altro modo per definire il suo atteggiamento. E Rogers, il maledetto paladino delle cause perse, si era subito schierato a sua difesa: neanche per un istante si era messo dalla sua parte e lo aveva appoggiato, nemmeno di fronte a uno scempio così evidente.

Tony arrestò il suo incedere di fronte alla scrivania e scagliò un violento pugno contro la superficie lucida e intonsa. Il dolore si diramò come una scarica dalla mano al braccio e gli permise di ritrovare un contatto con la realtà, nel crescendo di rabbia e dolore in cui era immerso. Strinse con forza tra le dita i bordi del tavolo e chinò il viso, inspirando a fondo. Per qualche istante il silenzio nel suo ufficio si fece quasi assoluto. Infine, sentendosi un poco più calmo, Tony si raddrizzò e si passò con lentezza una mano sul viso. L’ennesimo sbuffo sarcastico gli sfuggì dalle labbra socchiuse: per quanto ci provasse, non poteva proprio fare a meno di biasimare Steve e la sua evidente ipocrisia. Ricordò come, fin dal loro primo incontro, il Capitano non avesse fatto altro che riempirsi la bocca di ideali: aveva sostenuto fino alla nausea quanto fosse fondamentale basare il loro rapporto sulla sincerità e sul sostegno reciproci. Ma poi, nel momento più cruciale, era saltato fuori che il segreto più devastante lo custodiva proprio lui. Mai, nemmeno una volta Rogers aveva tentato di metterlo al corrente di una verità così vitale per lui, che aveva tutto il diritto di conoscere. Il suo era un gesto imperdonabile, del tutto ingiustificabile.

Nelle lunghe e tediose giornate trascorse al Complesso aveva avuto modo di soffermarsi a lungo su quanto accaduto, analizzando a mente più lucida ogni sfumatura dei fatti. Un angolo recondito del suo animo sapeva che Rogers aveva cercato di proteggerlo e che Barnes non aveva consapevolmente ucciso i suoi genitori, vittima a sua volta degli intrighi dell’Hydra; ciononostante, il suo cuore devastato non poteva fare a meno di ritenere l’uno un pomposo ipocrita buono solo a parlare e l’altro l’esecutore materiale del delitto, e dunque colpevoli. Era più forte di lui: in quel momento, il suo orgoglio ammaccato non riusciva a vederla in modo diverso. Voltò appena la testa a destra e lanciò un’occhiata obliqua al cassetto chiuso sotto alla scrivania: il vecchio cellulare giaceva lì dentro da giorni e, per quel che lo riguardava, vi sarebbe rimasto ancora a lungo. Tony sapeva che prima o poi avrebbe parlato con Rogers, ma non sarebbe stato lui a fare il primo passo, ne era certo.

Come a voler ribadire quella consapevolezza, diede le spalle al tavolo e avanzò di qualche passo verso la finestra. Infilò distrattamente le mani in tasca e tornò ad osservare l’esterno, lo sguardo perso in un punto indefinito del prato. Ironia della sorte, la catastrofe che la Siberia aveva comportato non era nemmeno l’aspetto peggiore di tutta la situazione; se da un lato confidava che il tempo avrebbe sanato le sue ferite, conducendolo a più miti consigli, dall’altro non poteva fare altro che constatare con amarezza per l’ennesima volta quanto, ormai, fosse inesorabilmente solo. La squadra degli Avengers si era divisa, attraversata da una frattura netta e incurabile; il progetto a cui negli ultimi anni aveva dedicato tutto se stesso si era rivelato inconcludente. Non che non fosse preparato: nel corso della sua vita aveva affrontato diverse situazioni critiche, alcune davvero disperate. Ma in passato, dopo ogni disfatta, c’era sempre una presenza silenziosa e confortante ad accoglierlo, a sostenerlo e ad infondergli la spinta necessaria a ripartire. In quel momento, l’assenza di Pepper pesava come un macigno sul suo petto già notevolmente provato. Ora più che mai si rendeva conto di quanto la sua vita dipendesse da lei, di quanto la sua presenza fosse diventata una costante preziosa. La solitudine non aveva fatto altro che amplificare ancor più ciò che provava.

Si aggrappò con le mani agli infissi della finestra e chiuse gli occhi, chinando il volto. C’erano momenti in cui gli sembrava di sostenere un peso troppo grande per le sue spalle, temprate dalle battaglie eppure così umane; anche adesso lo sentiva premere, inesorabile, e spingerlo verso il basso. Ma questa volta non c’erano mani calde e forti a sostenerlo, né sguardi limpidi e confortarti capaci di spazzare via anche le ombre più dense. C’erano solo lui e il misto di angoscia e rancore che gli opprimeva la gola. Mai come in quel momento aveva trovato il suo ego così fuoriluogo, così… indigesto.

Eppure, se ora si trovava in quella situazione, poteva biasimare solo se stesso. Era stato lui a farla allontanare con il suo comportamento scostante e vittimista, anche se non lo aveva fatto intenzionalmente: era a tal punto immerso in un dedalo di ombre vischioso e soffocante, da non riuscire a vedere nient’altro se non la propria sofferenza. Aveva eretto un muro attorno a sé e allontanato chiunque, persino lei. E quando, a fatica, aveva iniziato ad intravvedere la luce in fondo al tunnel, era stata Pepper a fare un passo indietro, chiedendogli del tempo per capire se fosse davvero disposta a continuare la loro relazione. Lui, a malincuore, aveva accettato quella pausa e l’aveva lasciata andare, pur comprendendo il suo punto di vista. Anche adesso, a mesi distanza e con un pesante fardello sul petto, poteva capire Pepper se aveva deciso di rinunciare ad una vita in costante pressione, inseguendo un uomo incapace di fermarsi. La capiva, eppure la voleva disperatamente accanto a sé di nuovo.

Tony inspirò a fondo e strinse tra le dita la radice del naso, cercando di tenere a bada la frustrazione. Il suo maledetto orgoglio gli impediva di prendere il cellulare e chiamarla, per cercare un conforto che solo lei sembrava potergli garantire. E tuttavia, dentro di sé sapeva di non avere il diritto di chiederglielo; non dopo tutti i problemi che le aveva causato.

Scrollò la testa e sbatté con forza le palpebre, riscuotendosi. Doveva davvero smetterla di sguazzare in quei pensieri deprimenti e angoscianti: non portavano a nulla, anzi; riuscivano solo a peggiorare il suo umore. Per di più, aveva un tutore da ultimare che aveva già trascurato abbastanza. Ok che Rhodey era suo amico ed era un tipo paziente, ma Tony aveva davvero intenzione di restituirgli la piena mobilità il prima possibile. Era, osservò con ironia, motivo di felicità per il suo amico e un peso in meno sulla coscienza per lui.

Riprese posto alla sua scrivania e avviò il progetto sul computer. Inclinò la testa e scrutò con attenzione lo schema del tutore, chiedendosi quali altre modifiche apportare. Tamburellò per qualche istante le dita sul tavolo, assorto. L’idea dell’aria condizionata non era affatto male, osservò; Rhodey lo aveva detto solo per ribattere a tono alla sua provocazione, eppure più ci pensava e più lo trovava geniale. Del resto, aveva già inserito il riscaldamento nel costume del ragazzo; l’aria condizionata era solo un’ulteriore, piccola aggiunta. Ridacchiò tra sé, mentre procedeva con la progettazione: non vedeva l’ora di vedere la faccia che avrebbe fatto Rhodey, accorgendosi di un raffreddamento nella zona creativa [3].

Trascorse un’ora, durante la quale era quasi riuscito ad accantonare i brutti pensieri e a concentrarsi sul lavoro, quando udì un leggero bussare alla porta. Tony alzò gli occhi al cielo, sbuffando: eppure gli sembrava di essere stato alquanto eloquente sul non voler essere disturbato per nessuna ragione al mondo.

«Chiunque tu sia, sei pregato di levarti di torno all’istante» scandì, senza nemmeno voltarsi e riprendendo a studiare una particolare giuntura del tutore. Sentì la maniglia abbassarsi, seguito dal lieve cigolio della porta che si apriva: il seccatore doveva avere davvero molto fegato, per sfidarlo in quel modo. Beh, si disse, lo avrebbe rispedito da dove veniva in men che non si dica.

«Ciao, Tony».

Il suo cuore perse un battito. Sgranò gli occhi con stupore, nel riconoscere quella voce, la sua voce. Aveva così tanto desiderato sentirla, da non riuscire a credere che fosse reale. Si girò di scatto, per constatare che non si trattasse di uno scherzo beffardo del suo cervello e che lei fosse davvero lì. Pepper sostava sulla soglia, il soprabito elegante tra le braccia e un’espressione incerta sul viso.

Tony le rivolse un’occhiata stralunata, improvvisamente a corto di parole. «…Ciao, Pep» incespicò. Scosse la testa per riprendersi dallo shock e si schiarì appena la voce. «Come mai qui? È successo qualcosa alle Stark Industries?» indagò. Non osava davvero sperare che lei fosse lì per un altro motivo al di fuori del lavoro; aveva la sensazione che in quel momento non avrebbe retto ad un’altra batosta.

Pepper negò con un lieve cenno della testa. «No, alle Stark Industries è tutto ok. Io… sono passata per vedere come stavi» rispose, stringendo appena la presa sull’indumento.

Lui arricciò lievemente il naso e schioccò la lingua. «Oh, io sto bene. Benone, a dire il vero» replicò, minimizzando. «Devo ancora abituarmi alla convivenza con questi tipi anticonformisti, ma a parte questo è tutto a posto» aggiunse, scrollando le spalle.

Pepper inarcò un sopracciglio, scoccandogli un’occhiata eloquente. «Tony. Dico sul serio» ribadì. Poi il suo sguardo si fece più attento, soffermandosi sul suo zigomo destro. «Che hai fatto all’occhio?» chiese, non riuscendo a nascondere un filo di apprensione.

«Oh, questo?». Tony si indicò il livido violaceo, sbattendo le palpebre disincantato. «Non è niente, solo un piccolo diverbio con braccio di ferro. Ma oserei dire che è in via di guarigione. Un altro paio di giorni e non si vedrà più nulla» la rassicurò, disinvolto. Fece poi un breve cenno verso le sedie girevoli, invitandola implicitamente ad entrare.

Pepper continuò a scrutare il suo viso, apparentemente non del tutto convinta. Infine annuì e mosse qualche passo all’interno della stanza, chiudendosi la porta alle spalle; scostò una sedia e vi appoggiò con cura il soprabito e la borsa, poi si sedette. Tony si accomodò di fronte a lei, accavallando le gambe con finta noncuranza. Dentro di sé, cercava in ogni modo di tenere a bada la tensione crescente. Si osservarono in silenzio per qualche istante, studiandosi a vicenda con curiosità e una punta di imbarazzo. Infine, Pepper prese un profondo respiro.

«Ho saputo della Siberia» esordì, senza tentennamenti.

Tony corrugò le sopracciglia, interdetto. «Ah sì? Come?» le chiese. Un istante dopo, un lampo di comprensione gli attraversò il volto. «Ѐ stato Rhodey, vero?» indovinò, abbozzando un sorrisino ironico. «Più invecchia e più diventa pettegolo. Che ti ha detto?».

Pepper scrollò appena le spalle, osservandosi distrattamente le dita intrecciate in grembo. «Non molto, in realtà. Solo che hai passato un gran butto momento… e che c’entrano i tuoi genitori» esitò appena, riportando lo sguardo su di lui. Sebbene cercasse di mostrarsi tranquilla e disinvolta, poteva scorgere distintamente l’ansia nelle sue iridi azzurre.

Tony si grattò distrattamente una tempia, storcendo le labbra in una smorfia contrariata. «Sì beh, questo riassume bene le circostanze» concordò.

Lei inclinò appena la testa, scrutandolo con attenzione. Nonostante il periodo di lontananza, sembrava non aver perso la capacità di sondare il suo animo e di coglierne ogni sfaccettatura, superando senza sforzo la maschera di distaccata compostezza che offriva al mondo. «Ne vuoi parlare?» lo invitò, cauta.

Tony inspirò a fondo, puntando lo sguardo sul soffitto bianco e asettico della stanza. Si concentrò su una piccola crepa che si apriva in un angolo, appena accennata eppure ben visibile. «Mi è stato, per così dire, gentilmente riferito che i miei genitori non sono morti in un incidente d’auto, come ho sempre pensato» pronunciò, asciutto.

Pepper aggrottò la fronte e spalancò la bocca, manifestando pieno stupore per ciò che aveva sentito. «Che cosa?» sfiatò, incredula. Scosse la testa, senza riuscire a capacitarsene. «Ma non può essere. Insomma, abbiamo visto tutti le foto dell’impatto, era chiaramente…» si interruppe di colpo, mentre la consapevolezza si faceva sempre più evidente nel suo sguardo. «Aspetta. Vuoi dire che non è stato un caso?».

«No, infatti. L’incidente era solo una copertura. Si è trattato di un omicidio bello e buono» confermò lui, scrollando le spalle. «Oh, ed è stato James Barnes. Prima li ha fatti uscire di strada e poi li ha freddati senza pietà» concluse, gesticolando appena.

Un lieve ansito sfuggì dalle labbra di Pepper. Si passò una mano sul viso, cercando di riprendersi dallo shock. «Non riesco a crederci» sussurrò.

«Già. Eppure è così» confermò Tony. Puntò lo sguardo oltre la finestra: il cielo si era fatto, se possibile, ancora più cupo. Alcune gocce di pioggia avevano iniziato a rigare le vetrate. «Cap sapeva tutto, per inciso» riprese poi. «Ma si è ben guardato dal dirmelo. Vatti a fidare degli amici…» commentò. Aveva cercato di suonare disinvolto, ma le sue parole erano intrise di amarezza. Sentì le mani di Pepper, calde e forti, stringere le sue con delicatezza e al tempo stesso con vigore. Avvertì una stretta al cuore, rendendosi conto per l’ennesima volta di quanto quei gesti confortanti gli fossero mancati. Si costrinse a scacciare quegli scomodi pensieri dalla mente per concentrarsi sugli occhi lucidi di Pepper.

«Mi dispiace così tanto, Tony» sussurrò lei, sinceramente addolorata.  Tony annuì appena e ricambiò la stretta, esprimendo con i gesti ciò che faticava a dire a voce. In sottofondo, si udiva solo il ticchettare della pioggia farsi sempre più insistente.

«Speravo che non se ne fossero resi conto, che fosse successo tutto in fretta» mormorò Tony, infine. «Speravo che lei non avesse sofferto. E invece ho scoperto che le cose sono andate anche peggio di quanto immaginassi» aggiunse, osservando le loro dita intrecciate.

Pepper gli rivolse un’occhiata angosciata. «È una cosa terribile» convenne. «Vorrei poter fare qualcosa…».

«Sei qui. Questo significa molto, per me» la rassicurò lui, tornando a guardarla. Non erano vuote parole di circostanza: lo pensava davvero.

Pepper lo fissò di rimando, sorridendogli con affetto. Gli accarezzò lieve il dorso della mano. «Che cosa hai intenzione di fare, ora?» si informò. «Dov’è Barnes? È stato arrestato?».

Tony scosse la testa, le labbra piegate in un ghigno canzonatorio. «No. Cap lo ha nascosto da qualche parte. Anche lui si è nascosto, così come il resto degli Avengers clandestini».

«Beh, lo troveranno, prima o poi» osservò lei. «E potrai ottenere giustizia con un processo».

Tony storse il naso, negando di nuovo. «Ne dubito. Cap sostiene che la mente di Barnes era controllata dall’Hydra, che non lo ha fatto intenzionalmente. Come se questo potesse davvero cambiare le cose, per me» spiegò, senza riuscire a trattenere un sonoro sbuffo. «Ma un giudice potrebbe riconoscere delle attenuanti».

Pepper si strinse nelle spalle. «Non è detto. Ci sono tanti altri fattori da tenere in considerazione» precisò. Poi inclinò la testa, un luccichio complice negli occhi. «E comunque, puoi sempre permetterti gli avvocati migliori» ironizzò, e Tony percepì distintamente le sue labbra incurvarsi in un sorriso divertito. Rimasero a guardarsi per qualche istante, un poco più sereni, e infine lei gli rivolse un’occhiata più intensa. «Supererai anche questa, Tony» riprese, con tono sincero. «Potrà volerci del tempo, ma ne uscirai. Come sempre, del resto».

Tony inspirò a fondo, inarcando appena le sopracciglia. «Sì, sicuramente» concordò, più per rassicurarla che per reale convinzione.

Tolse le mani dalle sue e si alzò, cercando di schiarirsi la mente. Si passò una mano tra i capelli e mosse qualche passo verso un mobiletto che sostava poco più in là, sul quale erano posati dei bicchieri e una bottiglietta di Whiskey. «Ma che terribile ospite sono diventato» esordì. «Non ti ho neanche offerto da bere. Gradisci qualcosa? Tè? Succo? Birra? Chiedo a FRIDAY di controllare cosa è rimasto in cucina» le propose, gioviale.

Pepper scosse appena la testa. «No ti ringrazio. Sono a posto così».

Tony strinse le palpebre, osservandola con attenzione. «Sicura? Beh, io credo che berrò un goccetto» proferì, versando il liquido nel bicchiere.

Lei lo guardò compiere il gesto con espressione decisamente accigliata, ma prima che potesse esprimere il suo disappunto, si affrettò ad anticiparla. «Lo so cosa stai per dire. E sono d’accordo con te, se vuoi saperlo» precisò. «Ma ti assicuro che sono pulito, adesso. Ho, diciamo, imparato a bere con moderazione».

Pepper emise un sospiro rassegnato. «E va bene» concesse, increspando le labbra in un sorrisetto esasperato e al tempo stesso divertito. Evidentemente doveva aver colto il suo bisogno di cambiare argomento, perché iniziò ad illustrargli i prossimi lanci e le riunioni cruciali che si sarebbero svolte, di lì a poco, alle Stark Industries. Lo aggiornò, inoltre, sugli sviluppi della September Fondation: alcune proposte del MIT erano davvero interessanti e avrebbero potuto dare il via a collaborazioni notevoli. Lui si limitava ad ascoltare e ad annuire di tanto in tanto, beandosi della sua presenza, della sua risata, dell’entusiasmo contagioso che le permeava la voce mentre parlava di un lavoro che, nonostante lo stress costante e le quotidiane difficoltà, non finiva mai di appassionarla.

Infine, il silenzio calò nuovamente nella stanza. Ma questa volta, l’atmosfera era rilassata, più serena: le chiacchiere di Pepper avevano stemperato la tensione che aveva aleggiato fino a poco prima. Tony assaporò ancora per qualche istante quella ritrovata tranquillità: si sentiva come se avesse preso una boccata d’aria dopo una lunga ed estenuante apnea.

«È stato gentile da parte tua passare a vedere come stavo» le disse infine, sincero. «Non eri costretta a farlo. Soffiate di Rhodey a parte, si intende» concluse, ammiccando nella sua direzione.

Pepper ridacchiò appena alle sue parole, un guizzo divertito negli occhi. «Volevo assicurarmi di persona che tu stessi bene» ammise, stringendosi nelle spalle. «E poi… c’era qualcos’altro di cui ti volevo parlare» aggiunse, tornando a guardarlo.

Tony sentì l’ansia ricominciare a premere con insistenza dentro di sé, spazzando via la serenità. Sapeva a cosa si riferiva: doveva essere giunta ad una soluzione in merito al loro rapporto. Posò con uno scatto il bicchiere sul mobile e si affrettò a ribattere, con tutta la ragionevolezza che possedeva; non desiderava affatto ascoltarla mentre troncava definitivamente la loro relazione.

«Va bene. Non c’è bisogno che tu dica altro, ho capito perfettamente…».

«Tony, aspetta un secondo. Lasciami parlare, per una buona volta…».

«…non devi preoccuparti, so gestire la situazione e non darò di matto…».

«…non hai capito. Non intendevo questo, volevo solo dirti che…».

«…puoi mantenere la carica di Amministratore Delegato. Sei decisamente più adatta di me, lo sei sempre stata…».

«…oh insomma, perché devi sempre saltare alle conclusioni? Se ti fermassi solo un secondo, capiresti che…».

«…e io non creerò problemi, davvero. Potrai portare avanti le tue iniziative…».

«…non sono venuta fin qui per chiudere con te. Io sono qui per restare».

«…e ci aggiorneremo regolarmen– Cosa?!». Tony boccheggiò, interdetto. Non poteva aver sentito bene, era assurdo.

Pepper sorrise incerta, felice di essere riuscita finalmente a interrompere il fiume di parole con cui la stava investendo.

«È così. Resto» confermò. «Ho avuto modo di riflettere a fondo, in questi mesi. Ho analizzato i miei sentimenti… e valutato i compromessi che sono disposta ad accettare». Si sistemò una ciocca dei lunghi capelli ramati dietro l’orecchio, prendendo un lieve respiro. «La verità è che … io sono convinta che in un modo o nell’altro finirai per farti seriamente del male, per non dire ammazzarti. Ma so anche che non posso essere davvero felice, se non sono al tuo fianco. Ho pensato che, se non posso fermarti o farti smettere, posso comunque starti accanto e fare del mio meglio per sostenerti» concluse, inclinando un poco la testa e studiando la sua reazione.

Tony sentì distintamente la gola chiudersi in una morsa piacevole, mentre l’agitazione poco a poco scivolava via dal suo corpo. Era addirittura meglio di quanto potesse immaginare, pensò. «Beh, io…» esitò, improvvisamente a corto di parole. Si grattò distrattamente una tempia, riflettendo. «Sono felice di sentirtelo dire» riprese poi, con voce più ferma. «Davvero. Molto felice. E credo di poterlo accettare. Insomma, non che io sia nella posizione adeguata per accettare qualcosa, ma… No, non era questo che volevo dire». Emise uno sbuffo divertito e si passò una mano tra i capelli, in difficoltà. «Accidenti, non ci so proprio fare. Ma penso tu abbia capito. No?».

Lei gli rivolse un sorriso entusiasta e annuì, per poi stringergli di colpo le braccia attorno al collo. Tony barcollò appena, sorpreso dallo slancio, ma ricambiò subito la stretta. La sentì ridacchiare contro di sé, mentre prendeva ad accarezzargli con dolcezza la schiena. Capì che, d’ora in avanti, avrebbe fatto davvero di tutto per non perderla, a qualunque costo.

«Pep,» mormorò «questa volta sarà diverso, vedrai. Posso prometterti che…».

«No» lo interruppe lei. Si scostò un poco e gli posò un dito sulle labbra. «Non fare promesse che sai di non riuscire a mantenere» aggiunse, scoccandogli un’occhiata eloquente.

Tony scosse la testa, divertito. Lo conosceva davvero meglio di chiunque altro, constatò. «Ok, va bene» si arrese. Tornò a stringerla a sé con forza, accostando la testa alla sua e inspirando a fondo il suo profumo. Per la prima volta da diversi giorni, il suo animo si sentiva in pace.

«Ma se proprio ci tieni a fare qualcosa,» riprese lei, dopo qualche istante «potresti seriamente cercare di tenerti alla larga dalle missioni suicide…».

Tony alzò gli occhi al cielo, sbuffando una risatina. Notò con profonda soddisfazione che anche lui, ormai, la conosceva piuttosto bene: era assolutamente certo che lo avrebbe detto. «Affare fatto» concesse, senza esitazioni.

«…ed evitare di gettarti nella mischia d’impulso, senza riflettere. Questo sarebbe molto gradito» concluse Pepper.

«Ovviamente» concordò. Incurvò le labbra in un sorrisetto irriverente. «Non per vantarmi, ma sono diventato molto più giudizioso adesso, sai? L’unica cosa ribelle che faccio è mettere in attesa il segretario Ross quando mi telefona».

Lei scoppiò a ridere e gli rifilò un pizzicotto sul fianco. Tony la guardò con un luccichio impertinente negli occhi, ridendo con lei, e infine posò le labbra sulle sue.

Negli ultimi mesi aveva decisamente toccato il fondo. Era scivolato negli abissi più cupi del suo animo tormentato, lasciandosi avvolgere da tenebre sempre più fitte e soffocanti. Ma stava imparando a gettarsi alle spalle tutto quel dolore per tornare a guardare la luce davanti a sé, lontana eppure, d’un tratto, molto più vicina. La strada era ancora lunga e faticosa, ora però aveva una solida motivazione e un valido sostegno per ricominciare a percorrerla a testa alta, passo dopo passo.

 
“Now I'm alive and the ghosts are gone
I've shed all the pain, I've been holding on
What don't kill a heart only makes it strong
 
Sometimes we don't learn from our mistakes
And sometimes we've no choice but to walk away, away”

The end where I begin – The Script
 
 


Note:
[1] Mi sono presa una licenza poetica per quanto riguarda il discorso R.I.M.B.A, discostandomi un po’ da quanto detto in Spider-Man: Far From Home: a questo punto degli eventi e con l’evoluzione che Tony ha raggiunto, trovo davvero inverosimile che si sia appropriato di un’invenzione non sua. Preferisco pensare che abbia sviluppato il progetto da solo e che Beck lo abbia assistito sulle questioni “biologiche”, dal momento che Tony non ha queste competenze per sua stessa ammissione.

[2] Riferimento ad Iron Man 2: si tratta dell’udienza a Washington, durante la quale Tony viene invitato a consegnare l’armatura agli Stati Uniti.

[3] Doppio riferimento: il primo è al costume di Peter che, come si vede in Homecoming, dispone effettivamente del riscaldamento. Il secondo, invece, è una citazione diretta di Tony ripresa da Iron Man 3.




Ciao a tutti! Eccomi con il sesto capitolo, forse il più denso di contenuti e riflessioni di tutta la raccolta: mi scuso se il risultato finale è un po’ pesante, giuro che ho tagliato il più possibile e cercato di toccare i nodi cruciali nel modo più sintetico che ho trovato!
 
Questo capitolo si svolge poco dopo i fatti di Civil War: è, a tutti gli effetti, una pietra miliare sia per trarre le somme di ciò che è accaduto fino a questo momento, sia per porre le basi per ciò che avverrà in futuro. Il punto di vista è quello di Tony, che si ritrova ad analizzare tutto ciò che è successo, a partire da Ultron, per poi passare agli accordi e terminare con la Siberia. Le sue considerazioni sono sì il frutto di una metabolizzazione, ma sono ancora molto fresche: per questo motivo ho scelto di rendere più radicali i suoi pensieri in merito a Bucky e a Steve, oltre al fatto che, per lui, giustificarsi sempre e comunque è forse ciò che gli riesce meglio.
 
Ho inoltre approfondito la questione della rottura con Pepper, anticipata nello scorso capitolo: si scopre che è stata Pepper a chiedere la pausa, non tanto per l’evidente autolesionismo di Tony, sicuramente importante, quanto per la necessità di capire se sia davvero disposta a stare al fianco di una persona che non è mai capace di fermarsi. Il momento che ho deciso di rappresentare è proprio il loro ricongiungimento: vedendo i film mi sono spesso chiesta come fossero tornati insieme, e questa è la spiegazione che ho provato a darmi.

Piccola precisazione sul dialogo: ho provato a cimentarmi con le “battute sovrapposte”, che nei film di Iron Man erano decisamente ricorrenti nei dialoghi tra Tony e Pepper.

Dedico, infine, questo capitolo a Futeki ♥, a cui va il merito di avermi fatto scoprire la meravigliosa canzone che fa da cornice a questa shot e che mi ha ispirata nella scelta di associare una canzone ad ogni capitolo, condividendone il titolo. Se non fosse stato per tutte le storie stupende che hai scritto e che mi hanno accompagnato nel cupo lockdown dello scorso anno, sono certa che non sarei mai riuscita a produrre qualcosa di mio e per questo ti ringrazio di cuore ♥

Grazie a chi seguirà, recensirà e leggerà la mia storia: se mi farete sapere cosa ne pensate, mi renderete molto felice!
 
Iander



 
  
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